venerdì 26 ottobre 2012

INDIA '78, (5) Bombay e Elephanta

8/9 settembre '78
In viaggio verso Bombay con il treno
Stiamo tutto il tempo insieme con una famiglia con due gemelline piccolissime, tutte truccate pesantemente come delle bamboline. Il loro sistema per farle addormentare o calmare, che quasi sempe funziona, è quello -già visto altre volte- di metterle sdraiate sulle gambe della mamma,  distese e con le caviglie incrociate, un po' inclinate verso il basso, con le bimbe a pancia in giù e a testa in giù, e muovere ritmicamente le gambe in modo molleggiato, dandole delle pacchettine leggere sulla testa e sul culetto e sulla schiena. Si assopiscono, magari canticchiando una canzoncina dolce. Altre fanno i famosi massaggini che mi paiono molto più gratificanti. Per giocare anche, le mettono sulle proprie gambe unite, appoggiate col tallone sul sedile di fronte, e le siedono lì, facendo cavalluccio.
Per altre cose invece c'è molto meno attenzione rispetto a noi, le prendono su come viene, con magari la testa all'indietro, non fanno fare il ruttino, le sbatacchiano, ecc.
Anche i bimbi piccolissimi hanno una catenina o almeno un cordino sul giro-vita. I piccoli non li sgridano praticamente mai, finché piccolini, ma poi ... certi urli... però i bambini/e e ragazzini/e sono liberi di girare, fare, provare, e scorrazzano per conto loro facendo le loro esperienze.
le sigarettine beedies di foglie arrotolate

BOMBAY
Dato che col treno si viene giù attraverso i quartieri nord, Bombay [ora denominata Mumbai] ci appare subito nella sua veste più tragica e autentica, con gli slums, cioè con le tendopoli e baraccopoli di periferia (e non solo), puzza di piscia, di fiori marci, ...
C'è gente che si lava accovacciata davanti alla tenda o baracca, o che caga solo un pochino più in là con il suo secchiellino d'acqua trasportabile che serve per pulirsi il didietro.





Ormai chi si stupisce più di santoni deambulanti, giocolieri, saltinbanchi, tizi con delle scimmiette, o con i cobra, mendicanti per terra, malati, gente che ti offre droga, tipi di tribù diverse, o con strani abiti, o atteggiamenti ??
In stazione i treni sono super straboccanti. Anche se Victoria Terminus è un grandioso edificio anglo-indiano, e le vie adiacenti sono piene di bei negozi.

La lingua prevalente è il marathi, parlato da metà della popolazione della città, da cui viene il nome dello Stato del Maharashtra.
Nella sua parte centrale e residenziale è anche una bella città, andiamo lungo Marine Drive fino alla punta del Malabar, dietro a cui c'è la villa ex britannica del governatore dello Stato.

Naturalmente vogliamo andare al quartiere di Colaba a vedere la famosa Gateway to India, l'entrata all'India, una specie di arco di trionfo che fu eretto in onore della visita del re Giorgio V nel 1911. Sulla spianata gettata sul mare (Apollo Bunder) si fanno molti incontri.


C'è il mare (l'oceano indiano appunto) che ha sempre un grande fascino, la città è marittima, dato che è cresciuta grazie all'apertura del canale di Suez, e continua a svilupparsi come grande porto.

E inoltre anche qui c'è lo spettacolo umano che comunque stupisce e affascina sempre, e fa venire voglia di girare, girare, girare ancora per vedere altra gente altri usi e costumi ...



Qui ci sono non solo hindu e musulmani, ma anche indiani cristiani, e ancora ci sono dei britannici ed europei. Ma c'è di tutto, jaïn, e buddhisti, e ebrei, e la  piccola ma antica e attivissima minoranza dei Parsi (zoroastriani di origine appunto persiana).  Ci sono ricchi che vivono accanto a poverissimi,  persone apparentemente messe male che sono però colti o saggi, e persone messe su bene che sono ignoranti o idioti (e viceversa), neri (del sud) e bianchi (del nord), ragazze in jeans e altre col foulard incollato alla testa stretto-stretto... E' una megalopoli di 8 milioni di ab.

Insomma l'India è un po' la patria della complessità, stare qui è anche un bell'antidoto alla inclinazione alla semplificazione, perché qui tutto è evidentemente e palesemente complesso e complicato, sia se si considera la situazione per quanto riguarda le lingue parlate dalla gente che incontri, che per quanto riguarda le religioni (e all'interno di ciascuna di esse), o per la scrittura, o per la storia, o per quanto riguarda le componenti del sentimento di identità, o per quanto riguarda l'economia e i suoi problemi, o la demografia (che sembra in esplosione nella misura in cui per certi ceti le cose stanno migliorando, e che quindi vanifica i miglioramenti....), o per la politica dei governi e dei partiti (e all'interno di ciascuno di essi), o per quanto riguarda i problemi del federalismo, e della unità del Paese, dei diritti di ciascuno Stato, e di ciascuna comunità, e il vivere uno accanto all'altro in coesistenza pacifica, e altrettanto complessa è la situazione sotto il profilo culturale, eccetera ecc.

Andiamo anche qui all'ostello dello Salvation Army, di cui ci avevano dato l'indirizzo: nel quartiere del Fort (la zona originaria del Fort saint George), in Mereweather Road, parallela allo Strand sul mar Arabico, sul lato ovest. Anche qui si chiama "Red Shield hostel". Con la colazione e forse un pasto, viene, tasse comprese: 37,10 rupie in due.

E persino qui, nell'ambiente di questo ostello, troviamo conferma: ci si ritrova a parlarsi tra gente che si riconosce reciprocamente come simili, possibilmente con gli occidentali, e ci si mostrano gli acquisti, si parla di fantastici o immaginari affaroni possibili, a sognare di commerci strabilianti con i quali assicurarsi di poter viaggiare poi per il mondo. O/e comunque ci si da informazioni e dritte utili e importanti, e ci si racconta le avventure o le cose viste e fatte. Si racconta di posti da favola, esistenti qui o lì in India o in Oriente, che magari poi si assomigliano un po' tutti, e che li hai già visti più o meno anche tu, ma che nel sentirne raccontare acquistano nell'immaginario dell'ascoltatore un qualcosa di mitico, e hanno del fascinoso, questi racconti per quanto scarni e asciutti rendono comunque fiabesco anche ciò che oramai potresti ben considerare come lo spettacolo quotidiano ...

A Bombay si può mangiare di tutto, per es. delle polpettine (kofta) fatte di cipolle dolci con farina di ceci, spezie varie, peperoni verdi non piccanti, yogurt, lievito e infine fritte nell'olio, e poi spruzzate di succo di lime. Riso pilaf con uvetta e anacardi, zafferano cipolla, alloro, cucinato con brodo vegetale. O del pollo allo yogurt con spezie, o pollo hara masala, con la mela schiacciata e lo yogurt. Oppure delle uova fritte con patate tagliate fini a fiammifero, peperoni verdi non piccanti, e erba cipollina.
E poi, essendo la fine viaggio, eccoci anche noi nel trip assurdo degli acquisti frenetici dell'ultimo momento, delle polemiche con i vari tizi per ottenere di pagare qualche rupia in meno... Dietro al famoso albergo "TajMahal Hotel", del 1903, c'è la via Colaba Causeway, con un brulicare di bancarelle, e infinite viuzze e vicoli laterali. Andiamo al Chor bazar, il "mercato dei ladri", cioè il mercatino "delle pulci", dove però si mescolano anche vari bei negozi e empori sotto controllo governativo (su prezzi e autenticità e qualità). Finiamo tutto quel che ci è avanzato (! sì è incredibile ci è pure avanzato qualcosa... dalle nostre 115 mila lire a testa: cioè in pratica quello che avevamo portato di scorta per qualunque evenienza urgente, e ora ce lo spendiamo) comprando della crèpe-georgette di seta per fare una camicia, a 3500 L.; e anche tre grandi bei foulards di seta. Altri mercati famosi sono il Crawford market, e lo Javeri il bazar dei gioielli attorno alla omonima moschea dallo stile stranissimo, dove prendiamo un bellissimo bracciale d'avorio antico, del Rajahstan con chiusura d'argento, per 15 mila lire. E altre cose, così anche stavolta torneremo con zero lire in tasca...
Andando in giro per la città ci re-incontriamo, ci si incontra prima o poi sempre in questo oceano umano, anche perché ci si vede da lontano, essendo gli unici veramente diversi. E' incredibile incontrarsi in questo sterminato grande Paese
la spiaggia di Chowpatty, molto popolare

dove i "nostri" costituiscono un piccolissimo gruppo a parte, forse anche un po' "provincialotto", forse come una casta, o una sotto-casta, stagionale, provvisoria, mutante nei suoi membri componenti individuali, ma sempre presente. Così era stato l'incontro con quello che era il fratello di Esoj; e che dire poi di Francesco Gandini di Milano (tanto simile a un certo Erminio, amico di mia madre) con le sue gustosissime collezioni, e i suoi racconti delle avventure a Sumatra o piuttosto in Perù ... E in seguito a sua raccomandazione ("ci sono sculture di raffinata e squisita fattura"), andiamo a fare una escursione in battello all'isoletta di fronte, a 6 miglia dal porto. Ancora un poco dunque in viaggio...

ELEPHANTA ISLAND
Ancora a scoprire qualcosa da vedere, a superare barriere di indolenza, e piccole complicazioni. Così il traghetto un po' scassato per l'isola di Elephanta ci faceva sentire di essere ancora in pieno viaggio e non alla sua conclusione. Ancora un po' di sole fortissimo, e poi ancora un pizzico di assurdo sorprendente: senza accennare al caos del prendere il biglietto della barca (5 rupie e mezza) e salirci, all'arrivo è un arrivo senza arrivare a destinazione ... Cioè il barcone si ferma poco prima della pensilina scassata, e pur essendo a pochi metri, per toccare terra dobbiamo trasbordare tutti quanti su una barca spinta con dei pali. Ci vorrà un bel po' di tempo, dato che siamo di più della capienza della seconda barca. Una occidentale continua a dire but it's crazy, it's impossible! I don't understand...

L'isola è da due colline a panettone, intatta nel suo verde lussureggiante, "distaccata dal Mondo", con il suo villaggetto calmo e sereno, le sue donne piccole e colorate, sorridenti e tutte lente. Poi ci sono da fare centinaia di scalini, per cui si offrono dandi e portantine, e ci sono i gridi di quelli dei baracchini di Campa Cola (a temperatura ambiente). Si va verso le caves, le grotte scavate e scolpite a partire dal 550, con opere di arte Gupta. La scultura rupestre è detta Lenen, ed era molto sviluppata in India. "La pianta è sostanzialmente quadrata -scrive H. Zimmer nel suo libro del 1936 sul simbolismo nell'arte indiana- e rinvia a mandala e yantra". Si utilizzarono grotte soprattutto nel primo periodo duddhista, poi con il declino del buddhismo in India questo luogo sacro fu riutilizzato dai fedeli al culto shivaitico.



Stupendi i bassorilievi a Shiva seduto sul fior di loto, e su Shiva Nata Raja, signore della danza, la danza cosmica, che balla incessantemente il danzatore supremo.

E prima dell'entrata le scimmie, invadenti, buffe, penose, che ispirano anche tenerezza. Scimmiette piccole e con i loro piccoli piccolissimi... Ma serie.
E le donne operaie che trasportano terra e pietre sulla testa, che hanno il saree dentro tra le chiappe perché è legato da un capo che passa tra il sedere. Sorridenti!. Quelle che vendono l'acqua poi sono immerse in un tempo differente dal nostro, con giornate di forse 224 ore, tanto sono immobili e calme e lente. Ti chiedono che ore sono, subito appena ti vedono, senza prima salutarti, per non perdere l'occasione, e poi discutono sul significato di quel che hai risposto e continuano a ripetersela tra loro. Anche queste sorridono.

Chissà forse quello di quest'isola mi è sembrato un mondo così sospeso nel tempo, perché era in realtà l'intimo addio, anche se non volevo riconoscerlo come tale, e l'isola di Elephanta in quel momento era per me tutta quanta l'India, l'ho vista come un'isola di "alternativa" al Mondo, ma anche di tradizione perenne che tutt'ora sussiste, distaccata dalla realtà del continente, e della prospettiva di sviluppo industriale che pure la fronteggia e minaccia, sulla riva di Bombay.
 Il simbolismo del tempo e del suo liscio Lingam di pietra scolpito nella, e traendolo dalla, roccia della montagna,

e d'altro lato del mare della centrale nucleare (sigh...!) che le sta di fronte con il bulbo del reattore atomico, colpisce veramente molto, profondamente, ed è proprio emblematico.
La visita al tempio ricavato nella pura roccia, non può assolutamente essere disgiunta nel ricordo e nella sensazione avuta, dalla prolusione dello speaker, che sembrava come volerci riconnettere al discorso di quel signore a Kanchipuram, per riprenderlo proprio là dove quello si era dovuto interrompere (essendo io svenuto), e infine concluderlo, sempre con la presenza di una testimonianza materiale figurativa di fronte a noi, che "esemplifica" il contenuto della spiegazione...
Non si poteva proprio lasciare l'India anche per questo..., senza cioè recuperare il discorso filosofico- spirituale, in chiave simbolica, che ora fa capire meglio tante cose della cultura hindu, finalmente, e che non è affatto disgiunto da altri piani di feeling della civiltà indiana e del vissuto esperienziale nostro di questa India e di questo viaggio. Ma anzi ne è la base necessaria, e la chiave indispensabile e unica per la comprensione di tutto questo mondo e della sua realtà.
Lord Shiva Mahadeva a Elephanta esercita un fascino misterioso, una attrazione magnetica: è di pietra, scuro, sembra di onice, a tre volti (la Trimurti), enorme, ed è là dentro nell'oscurità di quella grotta scavata nella montagna. Il busto è alto 5 metri e 70, molto ben conservato.



Poi oltre a questo Shiva triforme, c'è un bellissimo Shiva androgino, in cui il principio maschile e quello femminino sono complementari e unite. E infine quello in cui la dea del fiume (la Ganga) scorre con le sue acqua attraverso la capigliatura di Shiva. Figure tradizionali e ricorrenti, ma che qua sono espressi in una forma artisticamente perfetta, con in più la suggestione del fatto che siano state (sculture e ambienti architettonici) ricavate scavando la dura roccia, e la suggestione della semioscurità e del trovarsi nele profondo delle viscere di madre Terra.
A casa ho alcuni dei libri di mia nonna materna (di Vivekananda, Aurobindo, Tagore, Kumaraswami, e altri indiani, e di De Gubernatis, R.Rolland, De Lorenzo, Tucci, Neumann, Yeats-Brown, Guenon e altri), e un bel libro proprio sull'arte indiana di mio nonno paterno (di Leon Preiss), che andrò a riguardarmi e a leggere meglio dopo il rientro.



Infine, sbarcati al molo del Gateway of India, purtroppo andiamo a Victoria Terminus (grande stazione, e in un bello stile anglo-indiano, del 1888), quindi dalla railway station con il treno-metro-di-superficie scendiamo il più vicino possibile all'aereoporto, e quindi con un tuk-tuk (taxi-scooter) ci rechiamo all' aereoporto con il dovuto anticipo ..... (che code!!! e quanto tempo....di attesa...).



§. Noisy Pakistan again


Dopo il nostro bel viaggione per l'India (e Nepal), dunque torniamo a Karachi con volo delle aereolinee indiane da Bombay l'  11 settembre 1978, che ci è costato ben $130 dollari (ma ci risparmia un gran giro). All'aereoporto all'arrivo rivedremo i doganieri Paki che ci perquisiranno ovunque (e noi intanto pregavamo che loro non fingessero di trovarci della roba addosso o nello zaino....). Certo sono sospettosi nei confronti di chi proviene dall'India nemica di ieri (la guerra di sette anni fa, ha causato molti morti e ha portato alla spaccatura del Pakistan in due). 
Poche, pochissime parole su questo dover ripassare da Karachi, su questo breve riaffondare nelle sabbie mobili degli islamisti che ti vorrebbero trattenere per inghiottirti. D'altronde perché stimolare il ricordo con troppe parole ulteriori? Ci è bastata quella sensazione che rimane e rimarrà per sempre in noi...
Solo poche cose gradevoli dunque. Ricordo: le facce, le barbette, le "papaline" ricamate, certi turbanti con pennacchi di uscieri e inservienti, i baffi, certe scarpe. Meglio non dir nulla invece di retiring rooms, toilets, minibus, autobus, treni e altro;  e tantomeno delle povere donne soffocate e sommerse sotto i burka, con solo una retìna per sbirciare attraverso, magari davanti a un solo occhio (!). 
C'è comunque stata da parte nostra una riconsiderazione delle condizioni di Karachi alla luce di raffronti con certe città indiane (tipo Benares o Calcutta), per cui in fondo ora Karachi ci sembra decisamente meno scassata che non al primo giorno. Ci tornerei ora più rilassato di allora...

Per poi da lì prendere finalmente il volo di ritorno della "Thai Airways" (smooth as silk).

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P.S.: le foto le feci con la vecchia macchina fotografica di mio padre, e quindi quasi tutte quelle a colori sono in forma di diapositive da proiettare (e i colori si sono già un po’ sbiaditi…); mi dispiace non saperle inserire … Mentre ho riportato con lo scanner le poche foto stampate su carta, e per il resto ho fatto ricorso a dèpliants e cartoline di allora, o ad alcune immagini trovate su internet...



per la lettura completa delle puntate su questo viaggio del 1978, vedi:

Pakistan (9.sett.12); poi Amritsar - Old Delhi (5.nov.12); poi Rajahstan - Agra - Benares (6.nov.12); quindi il Nepal (1.dic.11); Calcutta-Madras (24.ott.12); a Goa (25.ott.12); e su Bombay e Elephanta, con il rientro via Karachi ( 26. ott. '12); e infine per le considerazioni post-viaggio ( 29 ott. '12).

Tra le ultime guide di viaggio segnalo quella di Roberto Cattani, pubblicata dalla editrice Livingston&Co, di Milano, 1998, poi aggiornata nella nuova edizione del 2018

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