giovedì 4 ottobre 2012

V - magnifico Yucatan 1979


Al di là dell'Atlantico
Notarelle del viaggio in Centroamerica nel 1979

Dopo il Chiapas, il Guatemala, e il Belize, andiamo nello YUCATAN.

Ahorita no hay...

Eccoci di nuovo in Messico. Chetùmal, il capoluogo dello stato di Quintana Roo, è una cittadina insulsa, piccolo-borghese e ladina, tutta moderna e senza nulla di rimarchevole (è stata due volte distrutta da cicloni). Tra l'altro dicono ci sia un alto tasso di criminalità... Dormiamo all'ostello della gioventù. Ripartiamo alle 6:30 del mattino con la Autotransportes del Caribe (2a classe, 33 pesos).

Nel bus di nuovo ritroviamo le facce meticce e indigene. 
Cartello sul bus: "Si no puede ayudar solucionarlo, no se haga parte del problema!", "se non può essere di aiuto a risolvere il problema, non se ne faccia parte!", cioè chi non ne sa nulla non si impicci.
Cartello che dice qualcosa sulla vita di un pullman in cui si passa magari l'intera giornata, tra guasti al motore, soste, scendere per attraversare i ponti, eccetera, ci sono molti motivi di socializzazione.

§. TULUM e playa
14 Agosto
In tre ore da Chetùmal,  eccoci a Tulum, ci sistemiamo a poco più di 6 km dalle rovine archeologiche maya (le uniche sul mare!), in un posto che, appena arrivati, ci ricordava un po' l'Algeria: sabbia bianca finissima, palme, e qualche costruzione moderna nel sole torrido. Ma dietro c'è un mare azzurro e blu trasparente... è stupendo. Appendiamo le amache sulle terrazzine dell' hospedaje- camping "Paraìso",




e dopo una siesta corriamo sulla spiaggiona deserta a fare un po' di nudismo:

Por la tarde ci sono dei tafani tremendi.
Stasera mentre siamo tutti lì che guardiamo l'orizzonte all'imbrunire, in attesa di addormentarci, scattiamo tutti in piedi giù dalle varie amache e corriamo verso la riva per vedere quel che ci pareva impossibile: un grosso pescecane con la sua pinna emergente che passa rapido vicino alla costa, a circa cento metri dal bagnasciuga! e poi ci sembra proprio di vederne altri. No no!, non sono affatto pinne di delfini! ....

Alle ore 10pm il gruppo autogeno si spegne e tutto resta al buio.

Le rovine dei Maya sono famose per il castello o torre di guardia, e per alcuni disegni murali bellissimi. Ma sono proprio dei resti, nel senso che il tutto  resta lì così, abbandonato.





poi andiamo verso la bahia de la Ascensiòn, dove c'è una insenatura bellissima.



E' strano come in questo luogo stupendo e dalle mille possibilità di sviluppo turistico, in un periodo come questo che è di lancio generalizzato del turismo a livello internazionale, ci possa essere stato un arretramento nelle infrastrutture, addirittura un abbandono si strutture già avviate e funzionanti... eppure è quello che è accaduto qui vicino. C'è un posto bellissimo nel palmeto, dove erano state costruite "capanne" o bungalows (tuculs), molto ben distribuiti, che ora sono abbandonati e in rovina.
Allora ci informiamo e veniamo a sapere la storia della americana sposatasi con un messicano che possedeva questo villaggio turistico, e che è annegato. Lei si è subito messa con un altro, e la suocera l'ha cacciata via; allora lei per ripicca prima di andarsene ha svenduto il tutto assai rapidamente, ha venduto persino gli infissi... Poi dopo aver realizzato dei soldi è scappata col suo uomo, e tutto ciò che era rimasto là, è stato subito rubato. Così adesso un tucul, una capanna, che prima affittavano a 250 pesos al giorno, lo danno via per pochi pesos...

La parola ahorita (diminutivo di "adesso"), viene detta in continuazione (=un momentino, fra un pochino) e la frequenza è pareggiata da no hay (=non c'è, non l'abbiamo). Ecco una lunga lista di cibi sul cartellone, chiediamo quello, e risponde no hay, allora chiediamo quell'altro e la risposta è sempre la stessa: no hay. E invece poi viene fuori che ha risposto automaticamente ma invece c'è, o chissà.... come stanno le cose, a volte non hanno semplicemente voglia di darsi da fare. Molte volte è pigrizia altre volte un dispetto forse perché ce l'hanno su con i ricchi stranieri... Ad es. oggi chiediamo per accompagnamento di un secondo, un piatto abbondante di riso: "quisiera cinco paletas de arroz" (vorrei cinque mestoli di riso), risposta: "No hay", allora prendiamo l'unica cosa che c'è... e poi siccome ci è piaciuta, chiediamo il bis, ma la risposta è: "ahorita no hay, solo hay de arroz" (!!!!!!) =al momento non c'è, abbiamo solo del riso  (??).
Questo "ahorita no hay" è divenuto per noi la frase che condensa l'essenza di questo Paese...
Comunque qui ci sono dei buonissimi stuzzichini-antipasto (antojitos) con cui ci si nutre a sufficienza. Ad es.: i burritos, che sono un misto di fagioli, formaggio, carne di pollo (o pesce) con salsa, o chile, il tutto avvolto in una piccola tortiglina di farina di grano. La tostada, che è anche questa una piccola tortilla tostata appunto, e ricoperta di formaggio (oppure carne), lattuga e fagioli. E la machaca, si prendono dei pezzetti di carne (di manzo o di maiale) saltati e fatti essiccare, che vengono mescolati con uova, cipolle, chile, e coriandolo.

Oramai siamo sempre insieme a Beppe, Silvia e Paola, facciamo tutto in cinque.

§. su questo magnifico Paese

La penisola dello Yucatan è ripartita in tre Stati della federazione messicana (Quintana Roo, Yucatàn, e Campeche), in tutto conta circa 770 mila abitanti, di cui quasi il 40% parla il maya yucateco (oltre allo spagnolo), quindi lo parlano non solo gli indigeni ma anche i meticci, e lo sanno anche alcuni ladinos.

Gli uomini portano gli abiti tradizionali solo nelle feste, mentre l'abito tipico femminile è molto diffuso non solo tra le mestizas e le maya, ma in tutta la popolazione. Si tratta di huipil, cioè di tuniche, di bluse, camicette, bianche con bordature in cui sono ricamati motivi floreali colorati e vistosi. O tutto in bianco (questo è l'abito classico e più diffuso) o con bordi colorati.

(foto da una rivista)


   

Si è anche diffusa la moda della foggia alla yucateca anche nel resto del Messico, magari con il colore di fondo cambiato, anche scuro, ... 

   
mentre le bordature ricamate a volte sono anch'esse bianche, su bianco.
Che belli che sono questi abiti, freschi e eleganti.
I colori, le strisce colorate, i fili di sfumature diverse e di tinte contrastanti, uniti insieme, accostati e poi sovrapposti con un gusto cromatico che spesso da un risultato bellissimo. Poi la loro maniera di camminare erette, il loro andar cadencioso, le rende ancor più fascinose.
Stiamo ad ammirare una confezionatrice che sta cucendo. Le bordature a fioroni sono stupende e richiedono un lavoro minuzioso, paziente e lungo.


Dalla strada si intravedono da lontano all'orizzonte le sagome dei grandi buildings costruiti sulla spiaggia a Cancùn, che scempio, che vergogna... autodistruggersi i propri stessi beni paesaggistici, e quella costa che è stata l'attrazione degli stranieri e dei turisti nazionali proprio per il suo carattere incontaminato... Fanno anche un po' pena quelle migliaia di persone che sono venute lì sin da lontano e si ritrovano tra le case nella folla... e vengono privati dell'esperienza autentica dei caraibi...
Chissà com'erano questi luoghi quando vi approdò Francisco Hernandez, e poi Juan de Grijalva, che, proveniente da Cuba, da non molto conquistata, sbarcò a Cabo Catoche, dal maya cotoch che significa punta (vicino a Cancùn, e all'isoletta di Contoy, nel 1518), e poi approdò all'isola Cozumel, e quindi veleggiò lungo tutta la costa nord occidentale dello Yucatan...  Ma nulla di fatto quanto ai risultati materiali. Il governatore di Cuba Diego Velazques de Cuellar ne approntò una terza e Cortés si dichiarò in grado di fare il capitano. Era il figlio di un hidalgo che a Cuba si era fatto una modesta fortuna come agricoltore e come avvocato. Un anno e mezzo più tardi Hernàn Cortés sbarcò in Yucatan nel febbraio del 1519 partendo senza il benestare definitivo del governatore, che non si fidava conoscendo la sua impulsività. Aveva 11 navi, 16 cavalli, 110 marinai, 10 cannoni, 40 archibugi, e 553 soldati, tutti avventurieri o ex-galeotti. Essi pure percorsero la costa cercando di raccogliere informazioni sulla ricca capitale degli indios (così gli spagnoli allora chiamavano erroneamente e indistintamente la popolazione locale), di cui si favoleggiava, e così si imbatterono con loro grandissima sorpresa in un frate spagnolo che era sopravvissuto al naufragio  della spedizione fallita di Valdivia del 1511, e che dunque era lì da otto anni, Jerònimo de Aguilar, il quale aveva avuto il tempo di imparare la lingua dei nativi, e che aveva saputo varie notizie della città al centro dell'altopiano nell'interno. Cortés lo prese con sè come interprete: Aguilar lo presentò al signore locale (presso cui aveva vissuto come prigioniero e suddito), che lo accolse con benevolenza, e in cambio del riscatto pagato da Cortès (secondo la consuetudine dello scambio competitivo di doni) offrì loro venti donne. Tra queste la nobile Malintzìn, una sua prigioniera di lingua nàhuatl, che fu tanto utile nel seguito del viaggio e dell'opera di conquista (della  quale ho detto già nella prima puntata del viaggio).
Qui poi, anni più tardi, morì in un villaggio maya della costa dello Yucatan l'ultimo imperatore azteco Cuauhtémoc, "aquila cadente", giovane cugino e successore di Montezuma, che portato qui prigioniero da Cortez, venne per suo ordine decapitato nel 1527 in quanto sospettato di tramare un attentato contro di lui, secondo quel che gli aveva riferito il cacicco locale che ospitava i soldati spagnoli.

Quindi anche Cortés esplorò lo Yucatan (due volte), e anzi questi furono i primissimi luoghi della terraferma del Centro America ad essere visitati dagli europei (e ad essere descritti in vari rapporti).
Lo Yucatan fu poi conquistato materialmente da un uomo del gruppo di Cortés:  Francisco de Montejo tra il 1527 e il 1546.

Quando Montejo sbarcò chiese agli indigeni come si chiamasse questo Paese e quelli risposero: Ci-u-thàn, "non vi capiamo"; da allora gli spagnoli presero a riferirsi a questo Pese con il termine Yuctàn, ma i maya lo chiamavano nella loro lingua " la terra dei tacchini e dei cervi" (Yucuauhtemalàn). Divertente e interessante.

Ieri, dopo una giornata passata sempre fuori al sole in piedi a camminare, eravamo stanchissimi in autobus nel ritorno a Mérida dalla grande area archeologica maya di Chi-chen Itzà, e c'era una donna maya incinta con il suo vestito bianco a fiori, assieme con la sua madre malferma sulle gambe, che stava in piedi nel corridoio tra i sedili. Loro non osavano chiedere nulla. Allora siccome dall'altra parte del corridoio c'era una bambina che occupava un posto, le ho chiesto se si poteva sedere in braccio a sua nonna nel sedile a lato, e lasciar riposare quella signora, subito la nonna risponde brusca a voce alta che anche lei ha pagato il biglietto. L'india anziana si siede sul gradino di fianco ai sedili, e quindi ogni tanto viene urtata da chi passa nel corridoio. Beppe si alza e le lascia il posto.

I maya hanno mantenuto i loro riti millenari solo un po' contaminati da appena una vernice di cristianesimo, e per questo il papa Wojtyla nella sua visita in gennaio li ha criticati, inoltre dicendo anche che chi si avvicina a Cristo concependolo come un politico rivoluzionario antiromano (allusione alla teologia della liberazione, che qui ha avuto una notevole risonanza), è portatore di una visione incompatibile con quella della Chiesa che predica l'amore universale; ma in compenso i ladinos, devoti alla chiesa, spesso bigotti, sembra che non sentano il messaggio di amore verso il prossimo, nei confronti della popolazione indigena che si permette di condividere con loro questo stesso Paese  ...

Il gran verde continuo delle foreste a lato della strada, della jungla disabitata, che ci accompagnano per ore nei nostri spostamenti in bus, che scorrono lungo questa sottile linea grigia che unisce città lontane, e ogni tanto i villaggetti di capanne fatte con tronchi di legno e col tetto di foglie di palma.  Lungo la strada ogni tanto, anche qui, un indio inspiegabilmente è lì sul bordo che aspetta il pullman, allora noi immaginiamo sentierini che portano a villaggi nascosti tra le frasche.

Annalisa annota:
"Gli indios mi sembrano proprio i figli del bosco, più in alto mi parevano i figli delle montagne, i discendenti di ancestrali mongoli che non amano le terre calde. Invece non è vero, perché molti sono scesi dalle alture immergendosi nelle soffocanti foreste di Tikal, hanno raggiunto coi loro tempietti decorati di figurine piumate come il mitico quetzal, hanno raggiunto il mare, abbandonando le loro stoffe di lana ruvida per vestire bianche tuniche leggere con i bordi ricamati da cui sporge il delicato pizzo della sottoveste. Ma cosa e come pensano questi piccoli bruni con gli occhi un po' a mandorla, che fanno piccoli risolini quando sono imbarazzati. Non è facile mettere assieme il loro aspetto mansueto, il loro tacere di fronte a palesi violazioni dei loro diritti, con storie di alcune sporadiche ribellioni violentissime ... Sono disposti a sopportare molto, finché improvvisamente la misura diviene colma e hanno uno scatto di rivolta, anche se non riesco a percepire dal loro muoversi, parlare, dai loro sguardi, la determinazione rivoluzionaria. C'è qui in Messico una storia passata di rivoluzioni che incide sul piano culturale. Invece nelle banana republics sembrano non capire il peso del giogo che portano. Tercer mundo, tercera guerra mundial? come dice una scritta murale? speriamo di no."

Ma forse qui scoppierà qualcosa, già basta guardare il Nicaragua, e El Salvador, per rendersene conto. Anche in Guatemala avevamo visto delle scritte filo-sandiniste da quando la famiglia Somoza non è più padrona del Nicaragua. E non dimentichiamo che è qui che Fidel e i barbudos castristi hanno comprato il vecchio yacht yanqui, "Granma" (=nonnina), e con quello hanno attraversato i duecento km che separano Puerto Juarez (Cancùn) dalla penisola a est di Cuba, solo tredici anni fa.


 E qui, come già altre volte, si apre il problema di quanto si possa raccogliere di questi segnali, facendo i viaggiatori, o semplicemente i turisti. Ancor più oggi con la crescita esponenziale del turismo a livello internazionale, questo fa da schermo, da vernice che copre e nasconde tutto, camuffa con una apparenza vacanziera la realtà della vita dei paesi arretrati. Ci si rende conto di quanto bisognerebbe studiare, di quanto bisognerebbe immergersi nella storia e nella vita di un Paese, per capire minimamente quali siano le strutture che guidano questo frangente della storia contemporanea, e questa cultura, che noi solo stiamo contemplando dall'esterno.

Comunque è bello e divertente gironzolare per i mercati e mercatini. Assaggiamo le pollas, una bibita all'uovo, proviamo belle guayaberas, camicie tipiche. Compriamo una tequila amarilla per 40 pesos, 1500 lire, dei bei sandali di pelle robusti, per 4800 lire, e alla Poblana due stupende hamacas , una n.7 a 9600 lire e una n.17 a 11600 lire, e una grande mosquitiera extra luxe a 3500 lire, poi due bracciali di tartaruga e altri due più bellini da regalare a casa, un anellino di tartaruga, tre belle borsettine di Oaxaca a 1850 lire, e due creme di olio di tartaruga per 830 lire.

Come dicevo anche le strade dello Yucatàn tagliano la foresta vergine per congiungere tra loro le città latine, e invece i villaggi indigeni di tronchi di palma o di assi di legno, stanno al margine. Ogni tanto dal nostro camion vediamo animali, uccelli, ragni enormi, serpenti, toponi, tarantole, maiali, ... I francesi ci dicono di avere visto anche gli avvoltoi.
Gli indigeni sono vestiti leggeri, dato il caldo, le donne con quella tunica bianca a fiori che dicevo, da cui sporge il pizzo di una sottoveste. Ma è così fresca e bella questa tunica che anche molte messicane di città la vestono.
La Casa de huespedes (=casa per ospiti, cioè locanda) di Mérida era una vecchia pensione stile Liberty, ancora arredata con quadri e con arredamento fin-de-siècle, le camere danno tutte su un balcone continuo che gira intorno a un patio, c'è una atmosfera divertente. Scrivo a mio padre il 18.08: "Siamo in un vecchio albergo d'epoca, un po' demodé, tutto vecchio, ma molto suggestivo in questa città caldissima e piovosissima. L'albergo è tutto rivolto all'interno, come le nostre case milanesi con ballatoi." A Merida abbiamo salutato i tre amici vicentini, dopo 17 giorni di convivenza; ci rivedremo una volta tornati a casa?
Mangiamo uno dei piatti più comuni, cioè huevos revueltos, uova strapazzate, con pomodori, cipolle, aglio e chile, che possono anche essere insaporite con chorizo (salsiccia speziata, dal sapore forte), o con frijoles (fagioloni), e questo è estilo mexicano, alla messicana.

§. alla isola delle donne ISLA DE LAS MUJERES

Finora abbiamo sempre cercato la calma, luoghi tranquilli e silenziosi, e ci siamo trovati in spiagge splendide dove eravamo soli o quasi. A Tulum per es. passeggiamo lungamente in riva al mare, e solo dopo molto camminare incontriamo 3 persone, poi molto più in là una da sola (ma eravamo a qualche km fuori dal paese). Mentre ora ci diciamo disposti a stare in mezzo a qualche altro turista, almeno quel tanto che serve per creare un po' di ambiente, qualcuno con cui scambiare due chiacchiere o almeno due parole.

Andiamo poco a nord di Puerto Juarez, alla Isla de las mujeres (l'isola delle donne) che ci era stata tanto raccomandata, un isola lunga 8 km e stretta un solo km, (che si chiama così perché  Francisco Hernandez de Còrdoba, che menzionavo prima, il quale l'ha scoperta nel 1517, aveva trovato che nei tempietti dell'isola c'erano solo statuette femminili, forse erano della dea della fertilità dei maya, Ixchel). 

Vediamo bambini che giocano con le trottole proprio come descrive Arguedas in "Fiumi profondi". Le trottole sono circa come quelle color bordeaux che avevamo da piccoli. Arrotolano uno spaghino dalla punta fino alla metà panciuta, poi lanciano la trottola per terra tenendo il capo del filo, e quella cade sul suolo girando, e gira, gira ...
Alla Isla de las mujeres reincontriamo Alain  Riethmuller, l'alsaziano di Mulhouse, dopo un mese che non lo vedevamo ... qui ci sono davvero molti francesi, sono forse di più dei nordamericani.


Rimaniamo però sconcertati al primo momento, appena scesi dal ferry-boat dopo una traversata di un'oretta da Puerto Juarez, perché questo è un paesino proprio turistico, cioè per i turisti. E ci stupisce il fatto di ritrovarci assieme a tanti stranieri. Presto ce ne andiamo, ci diciamo. Ma se siamo venuti via da Tulum perché cercavamo gente?!...
Siamo oramai un po' "viziati" dall'abitudine ad una natura ancora poco sfruttata dall'uomo, e dalla sensazione di essere tra i pochi nel mondo che hanno visitato un certo posto... A volte avevamo (non solo qui ma anche in viaggi precedenti) la sensazione, anche se magari illusoria, di essere quasi degli esploratori, talmente poca gente incontriamo sul nostro cammino, e comunque si trattava sempre nella quasi totalità di gente locale, del posto.

Ma qui in questa bellissima isola caraibica è diverso, però in compenso subito vediamo un mare incantevole e calmissimo, che ci conquista con i suoi colori e la sua limpida trasparenza cristallina, è azzurra, blu, verde, l'acqua è tiepida o calda, e calma, e anche qui ci sono pesci stupendi che ti girano attorno. Il sole è fortissimo, ma ormai siamo abituati. Palme da cocco fin sulla riva del mare, sabbia bianca finissima,  La sera c'è un tramonto favoloso che ci inchioda sulla spiaggia mentre il cielo passa dai toni dorati, al rossastro, poi al turchese, ai blu profondi e ai grigi.
E' tutto talmente bello, che mi pare che siamo già disposti ad accettare attorno la presenza di tanti altri stranieri. E poi non è mica che siano così tanti..., certo danno il tono al paesino, pueblo Dolores, che è un paesino di vacanza, è oramai un ex villaggio di pescatori. 


Andiamo a cercare un posto un po' meno turisticizzato e dunque un po' più fuori mano. Troviamo "Las hamacas" che è semplicemente un insieme di pareti, o meglio paratìe, di latta ondulata che determinano delle "stanze" dove appunto si può dormire nella propria amaca pagando pochissimo. Nelle "stanze", o cabine, non c'è nulla, la nuda terra e le paratìe tenute da pali con i ganci. E' proprio bruttino, ma si vive sempre all'aria aperta e si va al riparo solo per l'ombra o per dormire.





E' veramente spartano al massimo, ma penso che staremo qui una settimana, anche se a volte capita che le baracche siano attraversate da topini bianchi, da granchi e da un gattino che purtroppo gioca sempre con la nostra zanzariera.
Ma qui siamo appartati dall'ambiente turistico, e ci facciamo gli affari nostri. E fa amicizia con noi una piccola scimmietta.
E poi sopratutto ... il posto è assolutamente incantevole ... irresistibilmente incantevole







Mangiamo gamberi, astice, frutta, e c'è sempre qualcuno con cui scambiare due chiacchiere. Da quella prima sera andiamo tutti in spiaggia al tramonto, come se ci fosse un appuntamento da non mancare, come se si andasse a teatro.

e l'acqua è come una lente... ed è piena di pesci e pescetti..




Qui i mexicani fanno il bagno tutti vestiti con calzoni bermuda e maglietta, o si arrotolano la maglietta per scoprire la pancia, e le donne ancor più coperte, alcune si vede che tengono le mutande sotto il costume da bagno, mentre contemporaneamente ci sono turisti/e con costumini minimi, o con i tan-throw (che significa: abbronza attraverso) finissimi con trasparenze, e che si cambiano sulla spiaggia, e le turiste francesi stanno a seno scoperto. I messicani però non rompono.

E' una spiaggia turistica e internazionale, dato che più in là c'è un gran albergone, fortunatamente è isolato e basta stargli alla larga, e dunque insomma nella spiaggia davanti a quella struttura, c'è una casetta in muratura che è il bagno, moderno, pulito, ma i water sono due!... uno di fronte all'altro! ;
anche in altri posti poi vedremo la stessa cosa (sopratutto in località poco turistiche o a buon prezzo), le tazze dei cessi o le turche affiancate senza separazione... oppure se ci sono paratie sono senza le porte davanti ..., egualmente nei gabinetti per uomini anche gli orinatoi (e non solo) sono uno vicino-vicino all'altro, attaccati ....

Quindi loro sono più coperti sulla spiaggia ma poi stanno in bagno senza pudori, noi stiamo più facilmente scoperti in spiaggia, ma poi in bagno esigiamo un minimo di privacy!
Qual'è la razionalità che sottende certi comportamenti, certi modi di agire? Bisognerebbe studiare bene com'era la logica pre-corteziana, per capire la messicanicità.


E infine c'è una bella tartaruga di mare che viene qui forse perché sa che può rimediare qualcosina da mangiare ...




Qui si fanno sempre chiacchierate in italiano-francese-spagnolo-inglese e altro, sia in spiaggia (ce ne sono varie belle) sia nei bar, è un'isola dove si può incontrare gente simpatica, o interessante. Parlando con un milanese che è un terziario francescano, ed è qui con sua moglie, ci rendiamo conto come ci siano forti differenze tra noi e lui nel modo di affrontare tematiche morali e religiose e filosofiche, ma anche ci rendiamo conto di quanto col tempo siano cambiati gli stessi nostri atteggiamenti (e anche quelli di molti cattolici). Non è detto che siano solo le "mode" culturali ad aver inciso in questi cambiamenti ...
La colombiana Zilia ha un viso molto particolare, che ci ricorda di un indio che avevamo conosciuto a Creta. E' di temperamento, come da noi si usa dire, "sudamericano", cioè entusiasta, ricca nelle espressioni verbali e non verbali, e con un accento affascinante. Ci parla del tema della violencia in Colombia, come di un dato strutturale di quella società, e ne esce un quadro quasi da Far West. Smeraldi, droga, politicanti, corruzione, criminalità spicciola, delimitano il quadro vastissimo - e sembrerebbe quasi onnicomprensivo - della violenza.Ma dai racconti degli altri viaggiatori sentiamo che viceversa tutti hanno apprezzato molto lo spirito gentile, anzi cordiale e accogliente, della gente colombiana. Se è così, poverini, saranno sconvolti da quel che sta accadendo... che contraddizioni, ...o antinomie....

hasta la vista amigo ! (= ci vediamo amico!)

Ma il Messico ci rincuora con la sua onnipresente musica e la sua mentalità, o attitudine, sempre accomodante. Se uno è nervoso gli dicono: que pasa contigo? amigo, no te preocupes! tranquilo! no hay problema... (che cosa ti succede? amico non preoccuparti, stai calmo, non è un problema). I messicani in generale sono anche facilmente pronti a commuoversi.

Alcuni proverbi mostrano "l'indole" di un popolo:

"No hay mal que dure cien años", nessun male dura cent'anni
"No le pidas peras al olmo",  non chiedere pere all' olmo
"Que bonito es lo bonito, lastima que sea poquito",  che buono ciò che è buono, peccato che sia pochino
"Quien va lento va lejos", chi va piano va lontano
"Más vale prevenir que lamentar",  è meglio prevenire che lamentarsi
“Mucho bla bla bla, y poco tru cu tru"    . . . molto bla bla bla, e poco tru cu tru...


§. isole nella corrente... 
vita naturale e giri in barca a cayo CONTOY

Ci sono i pompelmi rosati, ne compriamo alcuni da tenere di scorta per merendine. Facciamo amicizia con altri giramondo, e gironzoliamo per l'isola in compagnia.

Decidiamo di fare una gita di due giorni pieni in barca, a nord della nostra isola, a nord della Laguna e di isla Blanca, in un luogo deserto, assieme con Giuseppe Blanco, Manfred Brämer il falegname, le due tedeschine di Worms, Connie Edenhofner e Marion Hasbargen, la coppia di romani Rosaria Pavone ed Enrico Placidi, e in più c'è Ricardo il marinaio e la spagnolita Angelina che gli sta un poco insieme. Prenotiamo già da ora per la sera del rientro all'ostello "Poc-na", e di corsa traslochiamo freneticamente le nostre cose cioè i nostri zaini, che possiamo depositare lì, lasciando "Las hamacas" dove abbiamo dormito sospesi per dieci giorni.
Arriviamo già stanchissimi e sudati sulla barca, e subito dopo essere partiti entrambi stiamo male per tantissimo tempo con nausea e mal di mare.
Ci riprendiamo immediatamente non appena giungiamo alla isleta Contoy e scendendo dalla barca mettiamo i piedi in una fresca acqua stupenda e trasparentissima. Siamo subito superfelici di essere in quell'isoletta completamente deserta, della sua vegetazione rigogliosa, del suo mare e dei suoi scogli. Ricardo àncora al largo del piccolo golfetto, e subito va in cerca di sterpaglie, legnetti secchi, rovi, e accende il fuoco, così potremo cucinare alla griglia i pesci che lui ha pescato durante il percorso, e mangiare all'aperto .... Magnifico!



Siamo qui da soli. Facciamo un bel bagno nudi; in acqua vediamo un pesciotto tondo, brutto e grasso, e poi una specie di  "piccola" manta. Restiamo tutti e dieci sempre nudi giorno e notte.





Ricardo pesca, ci fa raccogliere legnetti secchi, fa il fuoco, la brace, e ci prepara il pranzo







Troviamo lungo la spiaggia uno scheletro di pescecane, e Giuseppe prende le vertebre e dice che ne farà una collana. Poi  corriamo sulla minicollinetta a vedere il panorama, siamo gli unici nel silenzio assoluto, nel vento, oltre a noi sull'isola solo qualche animale e gli uccelli. Ci sono tanti uccelli che vivono qui, che Ricardo chiama genericamente pajaros.

Camminando incontriamo dei lucertoloni, o sono piccoli iguana?

La sera dopo aver mangiato attorno al fuoco, camminiamo un po' tra il verde. Gli uccelli sbattono giù dall'alto, mirando proprio dove ci sono delle pietre affioranti, i caracoles, cioè le conchiglie a chiocciola, perché così si rompono e scendono subito in picchiata a mangiarsi il mollusco.





Mai stato due giorni interi su una barca (appunto soffro un po' il mal di mare), nè ho mai passato una notte in mare... Ricardo mette su delle musicassette sue, un po' mediocri, e ci offre un po' di mota in una pipetta di carta stagnola. Balliamo sul ponte della barca, e poi guardiamo le stelle e la luna. Restiamo zitti e ascoltiamo i tonfi dei pesci che fanno i salti, e le grida degli uccelli. Di notte c'è dinnanzi a noi l'isoletta disabitata e incontaminata, nera e buia. Sembra davvero di essere all'epoca in cui venivano qui i pirati. Silenzio sotto un cielo stellato strepitoso, con gli astri brillanti, e... chi prima, chi dopo... (perché siamo eccitati) ci addormentiamo.


L'indomani ci svegliamo ovviamente a causa dei primi chiarori dell'alba, che tutti volevamo vedere. Si svegliano pure uccelli di tutti i tipi, pellicani, gabbiani, tiocatos, cormorani, e altri pajaros, uccellini vari, e ci sono pure dei trampolieri. E i pesci che saltano fuori e corrono per un tratto a coda in giù sopra il livello del mare.

     

Girovaghiamo a vela. Le spiagge e spiaggette, le isole e isolette che vediamo sono tutte piene piene di uccelli. Anche sugli scogli. Ricardo va a fare pesca subacquea, affidandoci la barca, perché non aveva ancora tirato su nulla con la lenza, forse per colpa degli uccelli che seguivano troppo l'esca. Bei pescioni sul fondale vicino alla barriera corallina. Angelina sta sempre con la sua pelosetta al vento, si ripara dal forte sole solo con una canottiera corta e larga.
 l'acqua è del tutto trasparente

Rintronatissimi per quel gran sole, dormiamo sottocoperta nell'ora della canicola e della pennichella. Poi mangiamo dell'ottimo pescado en ceviche, cioé pesce freschissimo crudo (appena preso direttamente dal mare da Ricardo), macerato nel limone (o anzi lime). Squisito!




Oltre ai golfetti magnifici, tra cui vari hanno belle spiagge che sono  però occupate da altri esseri viventi, ce ne sono anche di libere dove fare sosta e un giretto.








Che giornate !!! indimenticabili.
Questa è "libertà" nel senso assoluto del termine....

La sera siamo di ritorno al hostal "Poc-na" (costruito e aperto da poco).
Immagini e sensazioni indelebili ci rimangono negli occhi e nella mente, e siamo un po' incantati per diverse ore e anche durante la notte, da questi colori, questa luce, quel cielo, l'acqua, i pesci, gli uccelli... che viaggio.



Per gli ultimi giorni staremo in questo ostello che è a tre+tre cuadras dal molo del ferry, ed è fornito di docce e bar. Ovviamente costa un pochino di più. E' un posto nuovo, quindi ancora ben messo, pieno solo di giovani, e ci sono letti ...dritti...! (e basta con le amache...!!) e si può fare la prima colazione. Nella terrazzina di legno fuori dalla camera c'è comunque posto per le amache. C'è anche un piccolo giardinetto vicino al bar con altri agganci per le amache sotto un riparo dove ci si può dondolare, stare a leggere e fare la siesta. Siamo quasi sempre lì.




§. all'isola di COZUMEL

Ne abbiamo avuto a sufficienza di isla mujeres e del Poc-na, partiamo verso l'isola di Cozumel (dal nome maya Cuzamil), passando per playa del Carmen per fare il cambio di traghetto (due ore da Playa del Carmen). L'isola è stata scoperta da Juan de Grijalva (il conquistador del Guatemala), già nel 1518.
Andiamo alla "Pensiòn Letty" che ci avevano consigliato.
A Cozumel ci fermiamo un paio di giorni, gironzolando con un trabiccolo a pedali, tipo triciclo a due posti, affittato nel negozio di ciclista di Rubén a San Miguel, perché i microbus interni sono cari.

La laguna di Chankanaab, dove arriviamo stremati dal caldo (9 km) in mezzo a un temporale, è un vero e proprio acquario naturale; 

a 150 metri c'è il mare, stupendo con acqua cristallina trasparentissima, fondali ricchi che destano curiosità. Per forza che a Cozumel ci sono tanti sub.


Ma è sufficiente una maschera (io preferisco tenere semplicemente gli occhi aperti) per potere avere grandi soddisfazioni.

Troviamo alcuni acquisti da fare e prendiamo una collana di corallo nero a 7400 lire, spese un po' folli, ma visto che siamo quasi al termine... tanto vale finirli  'sti soldi...

Un esempio dell'uso spropositato, o abuso, che qui fanno dei diminutivi:
Aquì en frentita, arribita, hay una tiendita chiquita, es cerquita, un poquito adelantito. Qui di fronte un po' più in su, c'è un negozietto piccolino, è molto vicino, un pochino più avanti ...
Per dire moltissimo si dice muy mucho.

Quando ce ne andiamo da Cozumel, un gruppo di delfini ci ha voluto regalare una gradita emozione, saltando accanto al traghetto per quasi tutto il tempo proprio vicino a noi.

§. considerazioni riassuntive
A playa del Carmen facciamo una sosta di una notte. Nelle spiagge a sud del paesone ci sono panorami stupendi di sabbia, palme e acqua. Facciamo nudismo sullo spiaggione infinito e deserto (siamo già in settembre e le presenze turistiche sono di molto diminuite).


Ci sono gli huevos motuleños, cioè uova fritte sopra a una tortilla con fagioli refritos, prosciutto a dadini, chìcharos e formaggio bianco, con piselli e salsa di pomodoro. Il piatto viene contornato con banane maschie fritte, plàtano macho frito (è anche questa una ricetta della zona di Motùl).
La sera girelliamo per le strade, c'è una scimmietta -ma meno triste di quella che vedevamo alla isla mujeres- che si mangia tranquilla un sacchetto di cacahuetes.
Qualche india yucateca con abiti bianchi corti, con huipil fioriti.

Questo viaggio è stato anche il viaggio delle storie di fantasia, delle vite degli altri, inventate da noi, suggerite dall'aspetto e dai gesti dei tizi. Abbiamo immaginato possibili o impossibili spiegazioni per i vari fatti curiosi o apparentemente non spiegabili secondo la nostra logica. Storie di persone, di genti, di paesini, di imprese, ...
Al ristorantino  in cui siamo stati, c'era un quadro, il fondo si era staccato in parte e l'illustrazione era caduta; ma il vetro e il fondo, precariamente appiccicato sono rimasti là, nulla è stato fatto evidentemente oltre a raccogliere l'illustrazione caduta, ora piuttosto impolverata su uno scaffale.
Il tipo che mangia di fronte a noi si è portato con sè un piccolo registratore e un paio di musicassette, e così mentre cena si ascolta le sue canzoni preferite.
Annalisa annota:
Nello Yucatan sbirciando nelle case dalle porte molto spesso lasciate aperte o solo un po' socchiuse, si possono osservare scene di vita, si coglie la struttura dell'abitazione, l'arredamento, e cerchiamo di immaginare come viene da loro vissuta la casa. Spesso ci sono spazi aperti. Generalmente sono composte da un paio di stanze, piccole, quasi sprovviste di mobili, ma con spesso un grandissimo altare in un angolo con lucine, candele, fiori di plastica, figurine, immaginette, ecc. Alle pareti solitamente dipinte in colori sgradevoli, c'è qualche sciocchezza, o gruppi di foto di famiglia, uno specchio davanti a cui si pettina i suoi capelli lisci un uomo dalla pelle ambrata con gli zigomi alti, piuttosto ben piazzato. Il dato costante caratteristico è sempre l'amaca, di cotone intrecciato, grande, che non pende quasi mai vuota, ma in cui qualcuno si dondola lentamente, forse rimandando a dopo il far qualcosa.
Molte volte ci è sembrato che a certe persone non importi guadagnare più di una certa cifra per non essere troppo disturbati e indaffarati. Ecco che dunque l'amaca domestica è non un giaciglio, ma un modo di essere di un popolo, quello yucateco, che si difende dal clima e dalla frenesia dondolandosi.
 In effetti tra gli alberi da frutto tropicali e la pescosità eccezionale del mare, perché dannarsi tanto dopo che ti sei procurato il necessario?

L'incontro con le diversissime terre e popoli di questo Centramerica ci ha dato non poco materiale su cui meditare. A parte riflessioni sulla realtà socio-culturale, l'incontro con questo territorio poliedrico ci ha colpito anche per il generale ritmo lento e rilassato della vita (fuori dalle grandi città) e la concezione del lavoro come qualcosa non di fine a sè stesso. Dal mondo indio, affascinante per la sua melanconica decadenza, soprattutto ho ritenuto l'irrefrenabile gusto per i colori, con gli accostamenti più impensati e con il fascino dei disegni anche i più semplici. Dal mondo dei neri caraibici il gusto del ritmo, del ballo, la capacità di allegria pur in un contesto di gravi difficoltà economiche, il piacere di abbigliarsi nei modi più pazzi e divertenti senza sembrare per questo più folli di ogni altro.
Dal mondo maya classico, oramai sbiadito, il culto del tempo e la sacralità del suo scorrere. La sacralità di questo ineffabile ma insormontabile contesto condizionante tutta la nostra esistenza individuale e collettiva. Misterioso perché non si mostra mai visibilmente in quanto tale, ma solo manifesta la propria esistenza attraverso il moto dei corpi nello spazio, terribile nella sua inesorabilità, potente nella sua corsa indomita in avanti, in cui trascina con sè ogni cosa, essendo dunque portatore di morte, come condizione di vita, ma anche fascinante perché è ciò che tutti ameremmo possedere e trattenere con noi, e che imploriamo speranzosi che ci porti quanto desideriamo, unico elemento e mezzo possibile di trasformazione ma anche di conservazione. Divino quindi, e dunque profondamente sacro.

CHICHENITZA'
Queste le impressioni lasciatemi dalla famosa città maya di Chi-chén Itzà (=imboccatura del pozzo degli Itzà, etnia locale detta anche cupul), della cui visita ora mi rendo conto di non aver sin'ora riferito ... ed è un vero peccato...... perché è una grande città con magnifici palazzi e templi. Ogni costruzione monumentale è piuttosto distanziata delle altre, per cui ci sono grandi piazzali, e le costruzioni spiccano in questa vastità (300 ettari). E' il risultato originale di una fusione tra elementi toltechi e maya (anche se Tula la capitale tolteca si trova a più di 1200 km da qui). In una prima fase fu una città-stato ma in seguito solo un centro cerimoniale e di studi astronomici, e fiorì per la terza volta tra X e XII sec. La grande spianata centrale di 120 metri per 75, è strabiliante, con i templi e i palazzi tutt'attorno. I primi spagnoli che la videro annotarono che "Siviglia non ci sarebbe sembrata più considerevole, né migliore".
(ovviamente ora qui ci sono non pochi turisti) Ricordavo le foto di Sandro Prato di questi luoghi magici, viste sulla rivista "Epoca" nella serie "Le meraviglie del Mondo", puntata: "Le città del mistero", cioè le città Maya dello Yucatàn.


il castillo


C'è il cosiddetto castillo, a cui si riferiva lo spagnolo Diego de Landa come al tempio di Kukulkan, il mitico re fondatore della città, che è la costruzione più bella, una piramide con una base quadrata di 55 m per lato, e una altezza di 39 m, a cui si arriva con i quattro scaloni di 91 gradini (=364). Gli archeologi hanno poi scoperto che all'interno c'è la precedente piramide, con alla sommità un trono in pietra e la scultura di un giaguaro rosso ringhiante, con occhi di giada e zanne fatte con rare conchiglie. Sul lato est c'è il Tempio dei guerrieri toltechi, ove si notano ai lati un paio di sculture del serpente piumato con la testa appoggiata a terra, che fissano chi entra, e un cortile con decine di fitti pilastri istoriati con immagini di guerrieri dai pettorali a farfalla e con simboli dell'aquila, e dietro sopraelevata la famosa statua di Chac-mool sdraiato con la testa girata di lato, 




il messaggero degli dèi, dio della pioggia e della vegetazione, figura che si trova riproposta anche in altre sculture "minori", per es. nel vialetto retrostante al castillo.


 Inoltre meritano lo Sferisterio, il tempio dei giaguari, il caracol (torretta a chiocciola) dell'edificio dell'Osservatorio per gli studi delle stelle, orientato verso la luminosa stella del mattino, per noi Venere, che aveva grande importanza come riferimento astronomico e per i calcoli.
il palazzo dell'osservatorio astronomico di Chichen-Itzà

Scaliamo, saliamo, curiosiamo dappertutto. Piove, ma a dirotto, anzi diluvia.....



ma poi smette.
Poi c'è la grande spianata per il gioco rituale della pelota, che è spiegato nel libro sacro Popol Vuh, come commemorazione della lotta tra dèi terrestri e solari, e forze dell'intramondo. Da un lato c'è il tempio del Sole e dall'altro quello della Luna. Si disputavano due squadre di sette giocatori, le cui immagini sono scolpite sui rilievi dei muri, chi vinceva poteva essere sacrificato. I giocatori erano addobbati con opiume di quetzal, orecchini, collana, una grosso cinturone, grembiule di pelle di giaguaro, lungo guanto di pelle per proteggere il braccio destro, ginocchiere di pelle (così è rappresentato al centro del disco di pietra Chinkultic del 590 d.C. (esposto al Museo di Antroplogia di Città del Messico).

Poi c'è l'edificio detto Kabah, una grande costruzione con la facciata decorata da 260 maschere del dio Chaac; poi la casa delle "monache", eccetera ecc.


disegni a parete




i grandi edifici


...come pure mi rendo conto che non ho ancora fatto cenno della visita a un chén o cen-ote, cioè un pozzo naturale di acqua dolce, molto ampio (circa 60 metri) e profondo, caratteristico dello Yucatan, che per i maya era luogo sacro ove si gettavano in tempi di siccità i prigionieri nemici in sacrificio, purificati e vestiti a festa. A Chicenitza c'è il cenote sagrado Xtoloc per sacrifici rituali, cui si giunge dalla città camminando su un marciapiedi su un terrapieno rialzato, lungo 275 m., e poi ce n'è un altro per i rifornimenti idrici. Sono luoghi molto belli dal punto di vista paesaggistico. Si attraversa un territorio di esuberante giungla tropicale e all'improvviso vedi questo immenso bucone:





E' uno dei siti maya più famosi al mondo, e quindi non mancano i visitatori (è a sole due ore da Cancùn), ma nonostante ciò vale assolutamente la pena, è imperdibile.


Ora mi accorgo che non ho scritto nemmeno delle città ladine di Mérida e di Valladolid... ma non si può scrivere tutto tutto ....

Mi piace molto per es. la sopa de lima, mangiata in un comedor a Mérida, che sarebbe un brodo di pollo con dentro pezzetti di pollo, e con una abbondante spruzzata di succo di lime (il limoncello verde), quindi perciò si chiama zuppa di lime, servita con a lato un toast.

E poi dal fatto che si vedono tutte queste componenti etniche e tutte queste varie culture e tradizioni, l'una a fianco dell'altra, e dal fatto che percorrendo brevi distanze si può cambiare mondo, ho colto quanto difficile è il confronto e l'incontro, quante incompensioni e fraintendimenti, malintesi, può generare. Queste varie componenti pur convivendo hanno dietro di sè una storia di scontri, e conflitti, che ancora pesa. Quanto è importante dunque il sentimento di identità, e quanto è sempre esposto al rischio di  trasformarsi in qualcosa di notevolmente diverso, e anche di scomparire.
Anche qui ad es. ha un suo rilievo il fatto che c'è un recupero delle tradizioni yucateche, e quindi di una propria identità culturale, con la rivisitzione di piatti maya: come il poc-chuc, che sono delle stracciate di carne di maiale marinate in sugo d'arancia acida e poi al forno, servite con cipolle a pezzettini; o le papadzules, stuzzichini di uova sode a pezzetti, ricoperti di pepita, una salsa di semi di zucca; o il pollo pibil, pezzi di pollo (o se di maiale, si chiamano cochinitas pibil) marinati nel sugo di arancia acida (e nell'estratto da un mollusco, l' achiote), aglio, cumino, sale, pepe, avvolti in una foglia di banano e messi in forno.

Comunque:
Una delle cose più belle di questo viaggio è poi stato il vedere gli animali, alcuni dei quali non avevamo mai visto, come gli iguana a Contoy, o molti tipi di uccelli, grandi e piccoli, e i pesci. E soprattutto è stato bello l'agio di stare a osservare anche a lungo nel loro ambiente naturale animali noti e sconosciuti, sentendo il fascino di un mondo complesso e ricco da cui la nostra civiltà industriale ci ha completamente separati. Le due lucertolone che sulle pietre di Tikal si accoppiavano, e una staccatasi per la paura della nostra vicinanza ha mostrato sotto il corpo verde un piccolo membro rosso triangolare. A Caye Caulker quei grossi uccellotti, forse una specie di cormorani, che si tuffavano con precisione gonfiando la membrana sotto il becco quando inghiottivano dei pesci. Il granchio che ci sveglia di notte col suo rumore contro il legno a "Las hamacas" sull'isla mujeres. Quello che, disturbato da un oggetto che tenevo in mano, si è avventato contro il mio piede, oppure quell'altro grossissimo tra l'erba di cui ha lo stesso colore, visto a Cozumel. Le scimmiette (sopratutto la nostra amichetta che stava sul collo di annalisa), i pesci stupendi che non fuggono nonostante la presenza di gente e di barche. I molti pappagalli, specialmente in Guatemala, che gridano nervosi, o fanno amicizia con chi vogliono loro, sgambettano, fanno come prove di volo con le ali. Tartarughe, dai 40 cm al metro abbondante, che nuotano nel lago di Chankanaab, e mangiano i pezzetti di pesce che gettiamo loro, cercando di rubarselo di bocca l'un l'altra, lente in tutto, nel mangiare, nello spostarsi, nel litigare. Viene in mente quel gruppo di uccellini a strisce bianche e nere che zampetta sulla spiaggia mangiando per tutta la mattina tra le alghe secche, curando di tenere sempre una certa distanza di sicurezza da noi. E il fennicottero grigino che cammina lungo il bordo del mare con le ginocchia che si piegano all'indietro, poi, giunto a alcuni metri da noi, ci pensa un po' su, e poi vola oltre. E tutti i gatti, e i cani che se ci riconoscono ci salutano e ci fanno festa ... Per non parlare dei molti modi di saltare fuori dall'acqua di alcuni pesci, o il branco quasi immobile di migliaia di fratelli, per cui non sappiamo come passare oltre. E lo scorpione lento e stupido. I gridi delle scimmie urlatrici sugli alberi, e le farfallotte, e i mille insetti visti, o gli scoiattolini ...

Ma abbiamo visto anche dei bei tessuti, stupendi ricami, oggetti di artigianato, e gioielli, di squisita fattura e raffinata bellezza (come diceva un nostro amico giramondo).

Infine da Mérida prenderemo l'aereo per tornare a casa via Ciudad de México - Houston.
FINE (sigh!)

(ma in Messico poi ritorneremo 26 anni dopo, nel 2005, vedi in questo blog quel diario, inserito  in settembre 2011: 
http://viaggiareperculture.blogspot.it/2011/09/diario-di-viaggio-nel-messico-centrale.html  )

carlo_pancera@libero.it

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