lunedì 27 febbraio 2017

Algeria nel 1977 (4a e ultima: la parte Est del deserto)

Quarta e ultima puntata:

Ripartiamo, e sempre seguendo la Nazionale n.6 verso nord, giungiamo a Tlemcen, bella città araba  (di 70 mila ab.), ricca di storia, a 800 metri di altitudine. Gli abitanti sono molto orgogliosi della loro città, e dei suoi monumenti, degni di essere paragonati a quelli del Marocco o dell'Andalusia. 
A 15 km. c'è un campeggio, vicino alla cittadina storica di Mansurah (=la vittoriosa). Il paesaggio tutto intorno è collinare, con boschetti freschi e ombreggiati.

Il centro storico è ancora tutto dentro le mura medievali. C'è una bella Kasbah cui si accede da un cancello. Notevolissima la Grande Moschea, interessante il quartiere degli andalusi, e la cittadella con il palazzo del consiglio reale Méchouar. Subito fuori dalla Porta Bab el-Djedid, c'è la fortezza (in berbero agadir).

Poi partiamo e passiamo da 'Aïn-Temouchent, in collina. Da un villaggio dei dintorni era originario Nathan André Chouraqui, che essendo di famiglia ebraica sefardita, cresciuto in un paesino arabo, e cittadino francese, era di "madrelingua"... trilingue. Per cui tradusse in modo letterale in francese la Bibbia ebraica, il Vangelo, e il Corano, e si batté per il dialogo interculturale e interreligioso. Fece il primo attraversamento del Sahara con un auto da città, una utilitaria Peugeot, nel 1951. Dopo l'espulsione delle comunità ebraiche dai Paesi arabi, dinventerà vice-sindaco di Gerusalemme-ovest.






Poi percorriamo la costa mediterranea ovest, e da lì la Cabilia e infine andiamo di nuovo nel deserto.

In sintesi il percorso fatto è questo: andiamo a Sidi-Bel-Abbès, di lì a Orano (ora Wahran) bella città di avenues e di boulevards, sul mare poi ci teniamo all'interno da Mohammadia a El-Asnam, quindi torniamo sul mare a Ténès, percorriamo tutta la costa della Corniche des Dahra, dove a Gouraya, a Cherchell, e a Tipasa ci sono campings. Poi  lasciamo per sempre il mare algerino, e evitiamo la capitale tenendoci all'interno, quindi Blida e Larba. Poi da lì attraversiamo le campagne del Tell (cioè la fascia collinare del pre-Atlante) e il nostro percorso è tutto attraverso la cosiddetta Grande Cabilia (Grande Kabylie). E infine puntiamo giù a sud, per ritornare in quei paesaggi che ci avevano tanto affascinato, in direzione del grande Erg orientale, a Bou-Saâda, da dove poi andremo nella regione di dune di sabbia del Souf.




Poi, anche questo, anni dopo il ns viaggio, è uscito in Italia uno studio interessante 

Bou-Saâda (=l'oasi della felicità), con il suo bel palmeto di 24 mila palme è stata l'oasi che per prima ha ricevuto il turismo, per dare ai viaggiatori provenienti dalla vicina Tunisia, un primo assaggio della realtà delle oasi e del deserto. Ci sono al mercato, nelle bottegucce e nelle bancarelle (o sui lenzuoli stesi a terra) venditori di ceramiche, tappeti, stoffe, opere di oreficeria, ventagli di palma, e particolari coltelli tradizionali del luogo (per questo detti couteaux bou-saadi). Vicino ci sono il lago Chott el-Hodna, e il massiccio dell'Aurès dove si trova uno straordinario cañon.

Ecco il palmeto e il villaggio che stanno dentro al canyon delle Gorges de Rhoufi :




Andiamo in direzione est, a Tazoult e alla vicina Timgad per vedere i resti romani.



lapide tombale punica del V sec. a.C.
nel Museo delle rovine di Timgad

Si dice che prima dell'impero punico qui giungessero gli influssi della cultura nubiana dell'antico regno cuscitico africano di Meroe.
Da qui giù alla città di Biskra, che è anche una "stazione climatica", con il suo grande palmeto di 200 mila palme, e migliaia di alberi da frutta.
Qui si vedono donne velate e altre vestite alla europea, il contrasto tra religiosi tradizionalisti, e laici o musulmani moderati e moderni, è forte e potrebbe determinare delle intolleranze reciproche.



E poi da Biskra rientriamo in ambiente desertico, fiancheggiamo il pantano salato dello Chott el-Melrihr (26 metri sotto il livello del mare, gli chott o shott, o sebkha sono depressioni in cui l'acqua salata evapora), entrando nel deserto dell'Erg orientale :



qualcuno ci ha visti arrivare


pozzo artesiano

Mi tornavano alla mente i reportages di Quilici dal suo viaggio di circa quindici anni fa (si vedano i tre "classici" articoli-reportage di Folco Quilici, «Viaggio nel Sahara», la parte 1."Il deserto senza sete",  pp.34-60, con foto sue e della moglie Laura Grisi, sul periodico «Epoca», A.Mondadori, Milano, agosto 1962. Poi in parte ripresi nel suo libro: I grandi deserti, Rizzoli editore, Milano, 1969 ).
E ora mi sovviene anche quello di Moravia:

Qui incominciano le grandi dune. Su indicazione di un tizio, che ci fa vedere che basta scavare la sabbia un po' qua e là in superficie, e si trovano diverse belle "rose del deserto" cioè concrezioni spontanee di agglomerati di sabbia, che si solidificano in forme quasi tipo cristalli. Ce ne portiamo a casa varie, anche per fare dei regalini.

ricoveri di canne dei nomadi beduini

In una piccola oasi troviamo un dromedarino bianco di tre mesi !.... un cucciolo!.... ripartiamo,


giungendo fino a Touggourt, nel "Souf" (certi ci dicono che significa la cresta, o la lama di sabbia delle dune):


 


Un tale ci fa segno che ci offre del thé (tchaï); ci accucciamo per terra e prende la teiera che stava sopra il fuoco di un mucchietto di legnetti di palma e di canne, e poi compie il tradizionale rito di versarlo in un bicchierino di vetro sottile senza manico, e riversarlo da un bicchierino all'altro dall'alto, in modo da filtrarlo con l'aria e raffreddarlo. Ci mostra come tenere il bicchierino che scotta con sotto il bordo il mignolo, e sopra il bordo l'indice.

(da un opuscolo)
E intanto coglie l'occasione per chiederci di mandargli qualcosa di utile dall'Italia, indumenti, scarpe, ecc., in cambio ci regala delle punte di freccia di pietra (di epoche neolitiche?) che lui trova facilmente sotto la sabbia.
A Touggourt sta iniziando uno sviluppo industriale che probabilmente stravolgerà il carattere di questo paesino. Basta guardare la cartina Michelin delle prospezioni minerarie e petrolifere del periodo francese...per immaginare facilmente il futuro che attende questi territori...


Da Touggourt andiamo all'oasi e città di El-Oued, capoluogo del Souf, con i suoi tipici tetti a cupola, o con volte a botte, anziché i soliti terrazzi, per cui è detta la città dalle mille e una cupola (ma ora con lo sviluppo delle nuove periferie standardizzate molte città sahariane stanno cambiando  aspetto). Qui vivono sia sedentari (achèche), che nomadi (m'sabba). C'è pure un museo etnografico. Le palme crescono a mazzo, a ciuffo, dentro imbuti scavati in terra che consentono loro di toccare la falda sotterranea, ma che vanno costantemente protette dalla invasione di sabbia per opera del vento.







il mercato all'alba, ancora chiuso


Sopra ai portoni delle case si trova spesso il simbolo protettivo della "manina di Fatma", o "mano di Miryam", o Khamsa (che significa cinque). E' un amuleto che protegge dal malocchio, e dai malanni, grazie al significato esoterico del numero 5. Fa parte delle credenze popolari del Maghreb sia in ambiente musulmano che tra gli ebrei "sefarditi" (cioè originari della Andalusia araba ).

Qui c'è anche un Museo, con bei minerali e cristalli, meteoriti, silice, piante fossili, fossili di vermi e conchiglie, e una sezione etnografica interessante.

Compriamo da un ambulante un bel dipinto su vetro con il cavaliere Saladino (Salah ad-Din) che uccide il mostro (Sàtana=Shaytàn).



Ripartiamo e lungo la strada troviamo dei ragazzini che in cambio di una mancia ci offrono un cucciolo di fenek (o fennec), ovvero un volpino del deserto....! è tanto carino con quelle sue orecchione sproporzionate.... ma come facciamo a portarlo fino in Italia? e poi da noi soffrirebbe... che peccato...che bellino...

Annalisa oramai già affezionata al piccolo cucciolo  fenek

foto del National Geographic

Infine da El-Oued, andiamo al confine e lasciamo l'Algeria, per entrare nel Sud tunisino, a Nefta (con una palmeraie, La Corbeille, di 350mila palme), e Tozeur, e procedendo lungo la laguna prosciugata, ovvero il pantano salato dello Chott el-Djerid (10mila kmq di sale asciutto), sostiamo a Mahboubine nella parte interna di Djerba, dove facciamo ripulire l'auto, lo chassis, e il motore; e facciamo conoscenza con Rachida Najar, che in breve dichiara che per lei Annalisa è come fosse sua sorella...!




e poi fino al mare della deliziosa isola di Djerba, dove eravamo già stati l'anno scorso, e conosciamo il campeggio. E qui ci fermiamo a riposare nelle sue magnifiche spiagge deserte. Scelgo il punto, e pianto il nostro ombrellone.


(fine del viaggio, e del diario)

Qualche anno dopo uscirà una guidina sul Sahara di Lucio Valetti, per conto di SafariLand, che ha dei programmi di viaggi organizzati intitolati "Il Raid del coraggio": Avventure nel deserto - Sahara, pubblicato come complemento a «Gente Viaggi» n.5, 1985, di un centinaio di paginette. 

PS: un viaggio in territori per certi versi molto simili a quelli qui descritti l'ho inserito su questo Blog nel 20 dicembre del 2012  riferito ad un giro da noi compiuto nell' Oltre-Atlante berbero del sud del Marocco, cui rinvio i lettori:
http://viaggiareperculture.blogspot.it/2012/12/il-paese-berbero-dicembre-12-2.html

P.S. 2: Dopo che il colonnello Boumedienne rovesciò il Presidente Ben Bella, si instaurò un regime autoritario,  e l'anno prima del nostro viaggio il paese fu dichiarato a regime socialista (1976). Ci furono molti sommovimenti sul piano politico che delinearono gravi spaccature interne alla popolazione. Come si sa, l'Algeria è stata poi travolta dopo il 1992 in una terribile e devastante guerra civile tra il FLN al governo, e il FIS il fronte islamista integralista, che in 12 anni di conflitto armato costò 150mila morti (su 22 milioni di ab.), più innumerevoli feriti, sopratutto tra i "civili". 
Un libro che rende l'atmosfera di allora, di quegli anni di lacerazioni tra la gente, divisa tra laicisti e integralisti religiosi, è l'intervista intitolata Una donna in piedi, di Khalid Maessaoudi, del 1995, trad. in italiano Mondadori, 1996, a cura di E. Schemla. Sul piano della ricostruzione storica degli eventi, si veda il libro di Caterina Roggero e Gianpaolo Calchi-Novati, del 1998. E ora si veda il libro che raccoglie gli Atti di un Convegno sulla grande scrittrice Assia Djebar (morta nel 2015), intitolato L'Algérie sous la plume, histoire d'une écrivaine, EUR edizioni universitarie Romane. 

Oggi [2018] l'accordo di pacificazione e riconciliazione siglato nel 2006 ancora regge, e i contrasti tra partiti avvengono solo a livello politico e parlamentare. A seguito delle elezioni dell'anno scorso, il governo è tuttora una coalizione tra il vecchio FLN e il raggruppamento nazionale democratico, ma il Presidente è da circa 20 anni ancora il vecchio Bouteflika (81 anni d'età), garante degli accordi di cessate il fuoco... che accadrà dopo la sua scomparsa? (già due volte, in marzo e novembre '17 era stato dato per morto...)

Il futuro politico dell'Algeria è sotto osservazione internazionale sopratutto dopo la scoperta della entità dei giacimenti petroliferi nel sud, e della vastità delle riserve sotterranee di acqua...

Certo da allora molte cose sono cambiate e il Paese si è sviluppato e ammodernato. 
Nonostante ciò, molti disoccupati si  sono nel tempo imbarcati nei porti diretti a Marsiglia (le persone di origine algerina o maghrebina a Marsiglia sono circa 300 mila su 900 mila abitanti), e cercano lavoro in Francia o poi in altri paesi d'Europa. Nel 1982 gli algerini e i maghrebini rappresentavano il 38,5% degli stranieri viventi in Francia; a Parigi vari quartieri (come per es. Barbès) e cittadine periferiche della banlieue, erano in maggioranza abitati da algerini. Tanto che i loro figli nati in Francia e chiamati "beur" hanno una loro identità a parte di tipo culturalmente misto. Mentre per i genitori esiste un "mito del ritorno", per le nuove generazioni si tratta piuttosto di un "incubo del ritorno". Ma in questi ultimi anni il flusso migratorio si è accentuato, ed è partito sopratutto dal porto di Orano. In generale i 4,5 milioni di immigrati stranieri in Francia sono soprattutto di recente immigrazione dai paesi del Maghreb (e dalle ex-colonie africane ).

Spesso oggi [2018] si tratta però di gente proveniente dall'Africa Nera più interna, sub-sahariana, anche non più solo di lingua francese (quindi anche da Nigeria, Ghana, SierraLeone, Liberia), che attraversando il deserto giunge sul litorale mediterraneo ( e poi si dirige verso le coste del Marocco, dell'Algeria o della Tunisia, da dove spera di poter poi traghettare in Spagna o in Italia).



Ma questi sono problemi che sfiorano solo tangenzialmente i turisti (e i viaggiatori indipendenti).

Dunque per concludere: oggi a chi volesse ora fare un bel giro in Algeria e sopratutto nei territori meridionali di cui vi ho parlato in queste tre puntate, indicherei la guida di viaggio di Oriana Dal Bosco, Algeria del Sud, pubblicata dalla casa editrice Polaris, a fine giugno 2017; 

e anche la guida di Jonathan Oakes in traduzione italiana pubblicata nel 2016 da Bradt sull'intera Algeria:
e quella di febbraio 2017 in francese, delle edizioni Petit Futé (www.petitfute.com) che era stata preceduta da una guida alla città di Algeri, del 2016. Libri che sono pure in formato elettronico kindle, come e-books.

Infine sugli ambienti desertici in generale c'è il bel documentario di Brando Quilici (il figlio di Folco), Deserti, sabbie roventi, DVD del dic. 2004 (156 min.)

Quindi non ci sono più altre difficoltà... consiglio di partire prima che il turismo di massa scopra quel bel paese.

domenica 26 febbraio 2017

Algeria 1977 (3a puntata: Timimoun e l'Erg-ovest )

terza puntata:

Dopo 63 km lasciamo la Nazionale, prendiamo a destra la n. 51 per Timimoun. Si attraversa la depressione di Meguiden, e se non si è stati troppe volte rallentati da insabbiamenti stradali, si arriva alla cosiddetta "oasis Rouge" (l'oasi rossa), che sta a sua volta su una sorta di terrazzamento che domina la depressione di Gourara, dove si trova la città di Tmimoun (di 40 mila abitanti).
Ma prima devo dire che il percorso fatto è stato spettacolare.  Abbiamo costeggiato i lembi estremi del Grande Erg occidentale, cioè di quella parte del Sahara che è tutta costituita da alte dune di sabbia color ocra (ma la colorazione dipende molto dall'orario e cambia durante la giornata).




Quel che più impressiona è per certi versi il fatto che queste dune si estendono a perdita d'occhio sino all'orizzonte sia davanti che ai lati, e per altri versi il fatto che con lo spirare di un po' di vento (l'aria calda tende a muoversi) la sabbia vene portata via e ricade più in là, per cui vedi le dune come muoversi, sembrano quasi onde di un oceano di sabbia. Si ha l'impressione che nonostante tutto il deserto sia vivo, vivente.  Provate a immaginare questo elemento in movimento, con certe dune di 300 metri che si spostano a volte anche velocemente tutte assieme, sono come montagne mobili... Vedi la cresta, o lama, delle dune muoversi come un serpente che proceda di lato ...
E poi è impressionante la potenza che questa sua immensità ti comunica. E sopra il sole ti dardeggia con i suoi invisibili ma tangibili raggi caldi, roventi.
Fa impressione pensare a quei mistici ebrei, cristiani e musulmani che si ritiravano nel deserto, per stare soli là nel silenzio di fronte a questa potenza "oceanica" della terra e alla potenza solare, a meditare e a pregare. Il deserto è anche sinonimo di Nulla, ed è anche l'assenza totale di fonti di sostentamento, per cui è accostabile alla Morte. Ma la sua purezza assoluta e l'assenza di ogni accidente condizionante, esercitano un forte fascino, che è appunto la misteriosa fascinazione dell' Assoluto.
Non c'è foto che possa rendere la realtà (frammista ai miraggi), a meno che uno sia un bravo fotografo con una apparecchiatura molto buona... ma non è possibile eguagliare la realtà di ciò che si percepisce essendo lì in situazione contornati dall'aria tipo foen, dalla polvere che ti entra nel naso, dal bruciore della pelle che scotta, e da un silenzio strano, e con l'emozione dello spettacolo dal vivo

[per es. ammiriamo queste, o altre, foto che oggi (2017) troviamo facilmente su Google-immagini]:




TIMIMOUN (tremila ab.)
Dunque eccoci arrivati. Ci accoglie una "Porta" della città, ma abbastanza distante dall'abitato, che è in puro stile africano sudanese-occidentale, come poi d'altronde vedremo che sarà tutto il nucleo centrale di Timimoun.
la "Porta"

le mura di argilla rossa e l'ingresso

la nostra R5

Ma vediamo che per passare con l'auto dobbiamo prendere la Porte Sudan, anch'essa fatta di argilla rossastra (argile roujeâtre).






un altro ingresso

Ecco una visione dall'alto (presa da un libro), la costruzione bianca è un tradizionale marabut, cioè la tomba di un sant'uomo:

(da un dépliant)

Infine troviamo un albergo, anch'esso in stile sudanese, e siamo così stanchi che decidiamo di concederci un poco di relax. Ecco l'Hotel Oasis Rouge, ma la unica scritta sull'ingresso dice in caratteri arabi: Fonduq el-Oaseh al-Hamra, l'hotel è di 3a categoria.



 C'è pure un ristorante, dove forse mangeremo qualche piatto locale cucinato in modo decente (di certo escludendo la carne di cammello e quella di caprone):

Ovviamente in camera ci facciamo innanzitutto una doccia per togliere la sabbia e la polvere, poi ci mettiamo una crema doposole per lenire il secco estremo della pelle. E infine andiamo in balcone a goderci la vista dell'immenso palmeto.

Ad un certo punto viene a mancare la corrente elettrica, e quindi si spengono i ventilatori....Andiamo  allora giù in piscina, ma scopriamo che non deve esser stata cambiata l'acqua, né ripulita da un bel po' di tempo. Quindi usciamo per girare la cittadina e l'oasi.

 il portone d'entrata al mercato

una bottega

Poi gironzoliamo per le stradine  interne




che in ceri tratti assomigliano più a tunnel con il massimo d'ombra e oscurità  possibile (e fa un po' impressione avventurarcisi dentro).






Intanto sentiamo parlare di un'altra "famosa" popolazione: i Touareg, "les berbères Blues", il "popolo blu". Ne abbiamo visti alcuni al mercato. Sono prevalentemente nomadi e sono loro che hanno tracciato le principali vie carovaniere tra il Niger e l'Africa nera e il mondo arabo. Sono in grado di trasportare le mercanzie più preziose (sono rispettati guerrieri)  in gran quantità con mandrie numerose di cammelli e dromedari per giorni e giorni. Portano sale, oggetti d'argento, o d'oro, tessuti, e spezie.  Viaggiano copertissimi di lana e di teli. Il sudore fa sì che la colorazione blu dei loro abiti rilasci quel colore che resta poi fissato col sole sulla loro pelle, ma in realtà questa è in parte una verità in parte una favola. I Touareg parlano una loro lingua un po' differente dalle altre parlate berbere, e hanno anche una loro antica scrittura.

Su di loro avevo letto il capitolo di Cottie Arthur Burland, Men without Machines, Aldous books, Londra, 1965, tr.it. I Popoli Primitivi, A.Mondadori, Milano, 1965. E poi uscì di R. Bosi,  Il libro dei popoli primitivi, Bompiani, Milano, 1982, §. "Gli uomini delle sabbie", e Gli uomini blu". E a c. di G. Corbellini, Atlante dei popoli del mondo, Vallardi, 1987, §. "l'Africa del Sahara e del Sahel", pp. 60-63.
A. Del Fabro, Atlante dell'Uomo - Popoli tribali, Demetra, Verona, 1999, pp. 66-70.
(E oggi c'è lo studio di Barbara Fiore, edizioni Quodlibet, 2011)

Poi c'è una bella raccolta in due volumi sui racconti tradizionali del folklore:



da un dépliant

Qualcuno ci dice che si può andare in aereo in un ora  e mezza da qui a Tamanrasset, il loro capoluogo presso il massiccio dello Hoggar all'estremo sud. Il volo con un air-bus nei giorni non di weekend è a buon prezzo (239 mila lire a/r in due). Così concepiamo l'idea di aggiungere questa mèta, in auto non ce la sentiamo di fare tutti quei chilometri in andata e ritorno. Per cui combiniamo, paghiamo il biglietto e l'indomani andiamo nel piccolo aeroporto, dove stiamo nella casupola di cemento ad attendere che arrivi il volo da Algeri che fa qui una sosta. Ma non arriva mai, è in ritardo, e nella casupola si muore di caldo. Finalmente arriva, saliamo sull'aereo! ... ma non parte  perché hanno trovato un guasto. Così dopo una lunga attesa dentro l'aereo soffocante, ci fanno scendere. Aspettiamo l'arrivo di un pezzo di ricambio... Ma non arriva mai... Finalmente arriva e ci mettono moltissimo a riparare il guasto però a un certo punto ci fanno risalire nell'aereo! Ma non si parte mai, forse il guasto non era ben sistemato.  Ci fanno scendere. Infine decidono di sopprimere il volo  perché oramai arriveremmo con il tramonto e i piloti non si fidano di atterrare eventualmente con il buio (in effetti venisse anche là a mancare la corrente...). Così ci restituiscono i soldi e la nostra escursione fallisce.... che delusione! il sogno Touareg è svanito...
A casa mi consolo rileggendo le pagine di Folco Quilici su quel popolo, nella Parte Prima  ("fuochi del deserto") del suo i mille fuochi, edizioni Leonardo da Vinci, Bari, 1965, pp. 77-103.

Ciao Tamanrasset (in berbero Tamanghaset) ti visiteremo in una prossima occasione..... Peccato, oltre ai Tuareg, ci sarebbe anche piaciuto all'estremo Sud fare una escursione sul Tassili dove ci sono le famose pitture rupestri scoperte da Henri Lhote (vedi il suo appassionante libro di Arthaud edizioni, del 1958 trad.it. da Il Saggiatore, nel '59, nella famosa collana "Uomo e Mito" a c. di Roberto Bosi).


La mattina dopo all'alba ripartiamo, scendiamo verso sud per 80 km e poi giriamo a destra verso nord-ovest prendendo in direzione di Beni-Abbès.
pompa di benzina= sosta obbligatoria


a volte ti invitano per un thé e per parlare
(da un dépliant)

KERZAZ
Ci fermiamo dopo altri 220 km a Kerzaz stanchi. Le scorse due notti le avevamo passate collezionando bottigliette vuote di bibite, riempiendole d'acqua e mettendole  a portata di braccio in modo da prenderle dal letto nel dormiveglia e svuotarcele addosso quando la calura si fa insopportabile e non si riesce a dormire... Ma non è un vero sonno riposante continuativo... Poi faremo così anche in auto viaggiando: ogni tanto ci sbattiamo in testa dell'acqua.



 da dove viene ? e dove va ?

un pozzo 

sorgente e abbeveratoio in mezzo al nulla

Mi viene in mente per associazione di idee il bel reportage di Quilici (si vedano i tre "classici" articoli di Folco Quilici, «Viaggio nel Sahara», con foto sue e della moglie Laura, sul periodico «Epoca», A.Mondadori, Milano, agosto 1962). Poi sempre suo, il già cit.: I mille fuochi, edizioni Leonardo, Bari, 1964, 1965. 
E di Roberto Bosi, Sahara, Fabbri editori, Milano.

Comunque ora eccoci al mercato di Kerzaz.

(dépliant)

Poi ripartiamo, e la strada si svolge per più di un centinaio di km come in un corridoio di grandi rocce di color bruno.




punto d'incontro


attenzione, rallentare: cammello fermo in mezzo all'asfalto

BENI-ABBES
Arriviamo poi a Beni-Abbès, ventimila abitanti, attorno ad una fortezza, ksar, una bella oasi, in cui si coltivano anche alberi da frutta. E' una località con diversi resti paleolitici, cioè di quando tutta l'area sahariana era ancora verde. Ci sono molti bei fossili, e dei minerali, e  vi è un fiorente artigianato di borse, cinture, e anche filigrane, spille, e tappeti kilim.

(da una brochure)

fibbia

kilim (o klimt) comprati


decorazione berbera tradizionale

Qui nei dintorni il missionario padre deFoucauld aveva fondato la sua prima comunità "la Fraternité"  all'inizio del Novecento. Da qui inoltre era partito un capitano francese che compì nel 1920 la prima traversata (compiuta da un europeo) del Sahara occidentale fino in Mauritania.
Sono i luoghi della Legione Straniera, con i loro fortini nel deserto...


l'oasi


pozzo con un otre (in vescica di pelle)
da un opuscolo

foto aerea dell'oasi (foto T.Stone, dall'Atlante Rizzoli)

un vecchio film sulla Legione Straniera

Incontriamo degli altri viaggiatori con un pick-up, e facciamo dei giri con loro fuori strada.








villaggio
casupole sotto ad un vecchio ksar (e nuova sede della Gendarmeria algerina)

lo spiazzo centrale della parte nuova (foto H.Kanus dall'Atlante Rizzoli)






Poi andiamo verso Igli, infine sostiamo a Tarhit, o Taghit, dove ci sono incisioni rupestri preistoriche.

affioramento di oued sotterraneo (da un opuscolo)

Passiamo da Colomb-Béchar (ora solo Béchar) che sta dietro all'Atlante marocchino, che a causa dei giacimenti di carbone sta perdendo le sue caratteristiche, ma che nel suo bosco di palme presso il oued, ha un giardino zoologico. E poi passiamo da Beni-Ounif, che è sul confine marocchino di Figuig, ed è abitata oltre che da berberi anche da harratins, che sono neri discendenti di schiavi. L'anno scorso (1976) il Marocco ha deciso di espandersi verso sud e ha annesso una parte dell'ex Sahara spagnolo, e quindi qui ci sono dei rifugiati che appartengono al partito sahrawi di liberazione (Polisario ). Le tribù berbere di quei territori sahariani sono chiamate sahraoui (=sahariani).

tende profughi con la bandiera sahraoui (da una rivista)
rifugiati giunti attraverso la Mauritania

Proseguiamo verso 'Aïn Sefra,  e siamo di nuovo in territorio sassoso, ma ancora al bordo del grande Erg sabbioso, da cui devono difendersi con filari di alberi, di erba, o con steccati di canne, o muretti.

Taghit



(continua)