L’enigma archeologico degli antichissimi graffiti sulle "pietre di Ica" (o di Ocucaje) in Perù
Nell’aprile 2004 andammo io e il mio amico Beniamino a fare un
viaggio in Perù (vedi diario postato il 26 luglio 2011), dove lui era stato un paio di anni prima, ed aveva avuto
occasione di vedere la collezione di antiche pietre incise, raccolte dal dottor
Cabrera nel suo museo privato nella cittadina di Ica, nel sud del paese, tra la
penisola di Paracas e il pianoro di Nazca famoso per i misteriosi e antichi disegni
giganteschi raschiati sul terreno. Giungemmo a Nazca scendendo dalle Ande, e un
paio di giorni dopo, attraversando il
deserto di Ocucaje, con la fuoristrada Toyota 4x4 Runner - Full equipe che avevamo affittato, arrivammo a Ica. I dettagli del nostro itinerario li
potete leggere sul mio diario di viaggio (che ho messo su questo blog nel
luglio 2011, alcune foto sono anche su FaceBook).
Una volta iniziata la discesa dopo la riserva nazionale di Pampa Galeras,
il paesaggio è arido e sterminato, solo rarissimi cactus, e poi un susseguirsi
di colline di terra e sabbia. La piana di Nazca non è altro che un immenso
tavoliere secco, poi inizia un deserto di sabbia e polvere grigia, con
pochissimi piccoli agglomerati di misere casupole di povera gente. Per cui la
città di Ica appare come una sorta di oasi a sé stante. La città fu fondata dal
conquistador spagnolo Don Jeronimo Cabrera, un avo del sopracitato dottor
Javier Cabrera lungo il corso del rio Ica, che consente l’approvvigionamento
idrico indispensabile in questo territorio desolato.
Ma non voglio parlarvi del mio viaggio, bensì di
pietre con strani disegni incisi, che sarebbero forse resti di una civiltà
molto più antica non solo della civiltà degli Incas (XIII-XVI sec. d.C.), ma
più antica anche della civiltà di Nazca, e di quella di Paracas (800-100 a.C.),
sorte tempo prima in zone vicine all’attuale Ica, e anche di quelle a loro
precedenti (Chavìn, Moche, Chimù, ecc. sorte tra 1200-300 a.C.), poi conquistate dagli
Incas, …ma che sia risalente addirittura alle primissime società e culture umane del
Sudamerica.
Di questi reperti si parla assai poco, e in
traduzione italiana esiste solo il volume di duecento pagine di C.Petratu e
B.Roidinger, del 1994, pubblicato dalle edizioni Mediterranee nel marzo 1996,
da cui traggo i dati relativi.
E’ dimostrato che in un periodo che va
approssimativamente tra i 50 mila anni fa e i 12 mila circa, l’attuale stretto
di Bering che separa di 80 Km. la Siberia orientale dall’Alaska, era percorribile essendovi una superficie ghiacciata. Generalmente si sostiene che i più antichi esseri umani delle Americhe sarebbero coevi ai resti ritrovati a Pedra Furada, in Brasile, e a Monte Verde in Cile, e datati rispettivamente 33 mila e 40 mila anni orsono, ovvero si suppone che essi fossero discendenti di cacciatori siberiani che passarono attraverso
quel "ponte" inseguendo mandrie di mammuth, bisonti e renne. Lo documentano le straordinarie pitture rupestri nelle grotte brasiliane del Parco archeologico di Serra da Capivara, nel Nord-Est, di circa 25 mila anni fa.
Ma alcuni rinvenimenti degli ultimi decenni, sembra che possano mettere in dubbio queste affermazioni da tempo
consolidate (e forse anche altre). Come è noto alcuni studiosi delle grandi
sculture monolitiche dell’isola di Pasqua (Rapa-Nui), avanzano l’ipotesi che vi
fossero anticamente dei contatti tra la costa del Sudamerica e le isole del
Pacifico. Il famoso avventuroso viaggio compiuto nel 1947 e poi nel 1955 dal
navigatore norvegese Heyerdhal con una imbarcazione da lui chiamata Kon-tiki, costruita con i materiali e le
tecniche delle popolazioni aborigene del lago Titicaca sulle Ande, era teso
appunto a dimostrare che ciò era possibile. Quindi o i primi abitanti degli arcipelaghi del Pacifico provenivano dal continente sudamericano, oppure i primi abitanti del
Sudamerica potrebbero essere giunti dal mare ben prima dei tempi sino ad allora
supposti per l’inizio di culture locali, e forse anche prima della apertura di un
passaggio sullo stretto di Bering.
Ma alcuni altri studiosi
aggiungono addirittura che i primi uomini del continente americano potrebbero
essere invece frutto di una evoluzione autoctona, non solo precedente dunque i venti o quaranta mila anni fa, sin’ora contemplati. Il che aprirebbe la porta per considerare
diversamente la storia della evoluzione della nostra specie e delle sue
ramificazioni, o almeno per valutare la possibilità di uno sviluppo di civiltà del
tutto autoctone, che presero anche contatti con altre civiltà lontane, ma che
nacquero localmente in modo indipendente in periodi più lontani nel tempo di
quanto si fosse sin’ora contemplato.
Le prime pietre incise con strani e originali
disegni, furono ritrovate nell’area del deserto di Ocucaje a seguito di una
esondazione del rio Ica nel 1961, e alcuni anni dopo il dottor Cabrera, un
medico chirurgo, docente di biologia alla locale università, cominciò ad
interessarsene e inviò nel 1967 alcune di queste pietre alla società di
ingenieria mineraria perché le esaminasse. L’analisi riguardò il sottile strato
di ossidazione che ricopriva i graffiti. I risultati furono molto curiosi tanto
che le pietre furono inviate in Germania alla università di Bonn per un
riesame. Ne emerse che le incisioni dovessero avere almeno 12 mila anni, e non
si poteva escludere che fossero anche più antiche, ma gli stumenti e i metodi
di analisi disponibili non potevano a quel tempo accertarlo con esattezza.
Ancora oggi il prof. Clarbruno Vedruccio, dell'università di Urbino, che ha esaminato queste pietre dice che con i nostri attuali mezzi tecnici non si riesce se non con grosse difficoltà e malamente a tagliare o incidere queste pietre e che quindi è sorprendente che vi siano incisioni e disegni così precisi tanto più che esse sono state ritrovate in strati appartenenti a varie decine di millenni orsono.
Il museo regionale di Ica ne custodì alcune, ed
alcune furono inviate ad un archivio del Centro dell’Aereonautica a Lima la
capitale. Sembrò ad una prima occhiata che certi disegni riguardanti animali
potessero assomigliare a quelli dei tracciati di Nazca. Ma poi ad un esame più
attento, risultò che non solo possedevano un stile del tutto originale, ma che
alcuni degli animali raffigurati avevano molte somiglianze con specie estinte
dall’epoca dei dinosauri…
Quando andammo, io e il mio amico, lungo la costa
nella zona della penisola di Paracas, e poi anche a nord verso Pisco, avevamo
visto che emergevano dalla sabbia, a causa del vento che sollevava sabbia e
polvere, alcune ossa e parti di scheletri bianchissimi, che ci dissero essere
appartenenti a delfini e pescecani. Quando ci fermammo per pranzare, potemmo
constatare più da vicino e con più calma che certi erano di grandi dimensioni,
e in effetti alcuni ci dicevano che erano scheletri di balene, che compiono il
loro viaggio dall’Alaska alla punta sud del Sudamerica. Ma alcuni erano
particolari e ci dissero che quelli forse erano di antichi mastodonti; anche
gli scheletri di pescecani che emergevano dal terreno erano veramente molto
grandi, e forse appartenevano a specie simili ma precedenti i pescecani
attuali… Pare che siano di animali vissuti circa quindici milioni di anni fa.
Altri sarebbero del Cenozoico. Si possono facilmente trovare anche resti di
fossili.
All’inizio del Novecento l’archeologo e paleontologo
argentino F. Ameghino ritrovò dei resti ossei e di scheletri di uomini
precursori degli aborigeni della Patagonia (allora in parte ancora presenti sul
territorio), e ciò che più fu sorprendente è che fu ritrovato un pezzo di
cranio umano in strati del terreno relativi al periodo del Miocene … e lì
vennero trovati anche alcuni utensili, e altri oggetti. Si pensò ad un errore
di valutazione, ma comunque andava data una spiegazione che rimase in sospeso.
A 800 km da Buenos Aires sulla costa atlantica fu trovato il femore di un
toxodonte (un erbivoro, che sembra un paleo-ippopotamo, anch’esso del Miocene) con infilata una punta di lancia
in quarzite.
Ovviamente non possiamo sapere se i resti umani
fossero lì da allora, oppure se questi umani avessero scavato molto in
profondità per lasciare questi oggetti o i loro defunti accanto a quei grandi
resti di antichi animali. Se gli uomini preistorici riconobbero in certi
scheletri i resti di animali a loro sconosciuti, allora potrebbero averli
considerati come venerabili e sacri, e potrebbero aver approfondito la loro
conoscenza osservandone vari esemplari.
Tutto ciò, oltre a far supporre che vi fossero gruppi
umani nativi, precedenti alle immigrazioni dal Pacifico, o dal nord (Bering),
può suggerire che in Sudamerica l’evoluzione portò ad un processo di ominazione
in tempi più antichi di quanto avvenne in Africa del sud-est. Si potrebbe anche
pensare a collegamenti tra quei due continenti (che un tempo erano tra loro molto più
vicini di oggi).
Si dice che dagli antropidi primordiali deriverebbero
gli antropidi attuali (e non solo gli ominidi) quali il gibbone, l’ orangutan,
il gorilla e lo scimpanzé, ma queste specie non esistono in Sudamerica, né sono
stati trovati fossili di antropidi. Tuttavia alcuni decenni fa una spedizione
che si era addentrata in profondità nella foresta vergine del Venezuela
incontrò una coppia di grandi antropidi, il maschio riuscì a sfuggire, mentre la
femmina rimase uccisa. Di altezza superiore al metro e mezzo, fu posta in
posizione seduta, sostenendola con un bastone, e fu fotografata. Apparteneva ad
una specie senza coda, a noi sino ad allora sconosciuta, ed è un tipo di
scimmia la più somigliante ad un ominide.
Un paio di cosiddetti Dryopiteci e di Ramapiteci (antropidi
primordiali) furono rinvenuti sia in India che in Africa. Forse i primi
antropidi e i primi ominidi sono comparsi molto prima di quanto si suppone
sulla base della quasi totalità dei resti rinvenuti, e forse appartenevano
all’antico grande continente afro-sudamericano, o a quando le due parti erano
ancora abbastanza vicine…
Anche in Colombia, nella provincia di Tolima, fu
trovato nel 1971 dall’antropologo Henao Martin della università del Quindio, un
cranio di uomo preistorico assieme allo scheletro fossilizzato di un Purusauro,
i resti del ritrovamento sono conservati negli archivi della sua università. La
paleontologa Mary Leakey trovò nel 1974 presso l’alveo disseccato del fiume
Laetolli, vicino ad Oldoway in Tanganyka (Tanzania) denti e ossa che ritenne
non essere di australopitechi, e che sarebbero in quel caso i più antichi resti
di ominidi sin’ora conosciuti. Ma essendo la loro datazione considerata troppo
lontana nel tempo, la scoperta resta per ora di valore dubbio.
Questi ed altri elementi fanno sì che alcuni pensino
ad una revisione delle attuali cronologie, e prendano in considerazione
l’ipotesi che in Sudamerica si sia avuto un percorso evolutivo autonomo, che
portò alla formazione di esseri umani “cugini” di quelli attualmente esistenti,
detti homo sapiens sapiens “moderno”, proprio come avvenne con gli estinti
appartenenti alla specie dell’uomo detto di Neanderthal, e con il caso del
cosiddetto “uomo di Mouillans” (di 12 mila anni fa), ritrovato sulle coste del
Nordafrica, e in parte somigliante alle figure umane presenti nei graffiti
delle pietre di Ica.
Si potrebbe dunque immaginare che le incisioni di
quelle pietre emerse nel deserto di Ocucaje, fossero un artefatto artistico-religioso, di una specie Homo estinta che diede vita in Sudamerica alla più
antica cultura di cui si abbia notizia.
La piccola popolazione degli Uros (di cui gli ultimi
individui ancora vivevano sulle isolette del lago Titicaca fino agli anni Cinquanta), conservavano nella loro lingua e nella loro
mitologia alcune tracce che forse sono collegabili alla storia di una antichissima civiltà autoctona, ed eventualmente di una specie aborigena da tempo estinta.
Amerigo Vespucci riferisce che nei suoi viaggi incontrò popolazioni di uomini molto alti, e anche questi ci sono ignoti forse perché poco dopo la conquista spagnola si estinsero...
Quindi per quanto riguarda il tentativo di spiegare
la presenza di sauri nei disegni sulle pietre di Ica, anziché supporre una
compresenza reale (come nel caso del reperto colombiano di Tolima), si può
supporre una conoscenza (e uno studio) di scheletri fossili di grandi animali
del passato che entrarono poi a far parte della elaborazione di mitologemi in
un processo mitopoietico di lunga durata (e d’altronde si pensi a certi antichi
miti non solo mediterranei e mesopotamici, o alle leggende del nord-est europeo
sui draghi). E forse si può pensare alla sepoltura rituale di sacerdoti o
sciamani, o grandi capi, nelle profondità infere accanto a questi potenti
esemplari, da cui derivarono leggende su un loro confronto o rapporto reale.
Oppure si potrebbe all’estremo supporre –non già la nascita di una specie umana
in un’epoca così antecedente (!) – piuttosto all’inverso la sopravvivenza e
persistenza in alcuni ecosistemi di nicchia, di alcuni ultimissimi esemplari
residui di specie di fatto oramai da lungo tempo estinte nel resto del pianeta…
Resta il fatto che comunque dobbiamo cercare di dare
una spiegazione a questo insieme di elementi (anche più complesso e articolato
di quanto io abbia qui sintetizzato), e non solo di scartarli o di rifiutarsi
di riconoscerne non solo l’importanza, o la validità, ma addirittura
l’esistenza… come si è generalmente fatto sin’ora. Anche se ciò dovesse mettere
in forse gli schemi consolidati.
Altri elementi in effetti concorrerebbero a far
ipotizzare una storia di civiltà antichissime e primordiali in Sudamerica,
dalla rete di gallerie e corridoi sotterranei artificiali nella regione andina,
alle grandi rocce scolpite di Marcahuasi, della civiltà Wanca, alla origine e al sorgere della civiltà di
Tiahuanaco, ai misteri ancora insoluti del primo insediamento di Machu Picchu, alla antica città sacra di Caral (nella valle di Supe 200 km. a nord di Lima, di 5 mila anni fa), ai resti di un grande centro spirituale arcaico a Rosaspata, o ñustispana, presso Vilcabamba (da me e da Beniamino visitato e
fotografato nel nostro viaggio il 19 aprile -cfr. diario nel Post del 26 luglio 2011),
così come ai resti archeologici sottomarini
presso la costa pacifica, alle scoperte di Tello, di Ruzo, di Ameghino, alla
lingua sacra degli Amawtas, alla comunicazione tramite quipus, alla civiltà
degli Wari, o a quella di Piquillakta, o all'origine di Pachacamac, alla città di argilla di Chan-chan, al grande canale e acquedotto di Kumpi Mayu (canale d'acqua in quechua, lungo 5 miglia) con incisioni rupestri, presso Cajamarca, di 3500 anni fa; o allo straordinario e misterioso grande candelabro di Paracas (vedi foto nel mio citato diario), e alle loro tecniche di imbalsamazione, e di
tessitura dei loro mantelli, alle antiche conoscenze astronomiche, matematiche,
architettoniche e ingenieristiche, o mediche e chirurgiche, eccetera eccetera.
Resta un immenso ed entusiasmante lavoro ancora da compiere per archeologi,
antropologi e paleoantropologi … nonostante le distruzioni volontarie o di
fatto di questi documenti miracolosamente rimasti ancora sino ad oggi.
Altrimenti resteremmo ancora ai tempi bui di quando
nel 1583 il concilio di Lima decretò di bruciare sul rogo della Santa
Inquisizione tutti i quipùs rinvenibili, e tutti i “libri illustrati” delle
culture amerindie… nonché lo sterminio di tutti i sapienti e sacerdoti … ma la
mentalità chiusa e ristretta non ha mai aiutato il progredire della cultura, e
delle conoscenze, anzi il dogmatismo è sempre andato ad ostacolare il progresso
della ricerca scientifica e della creatività in ogni campo dell’umano sapere.
Sarebbe un atteggiamento che alla lunga porterebbe a esiti comparabili a quelle
grandi catastrofi naturali, come i terremoti, le alluvioni, le siccità e
desertificazioni, le epidemie, le ecatombi per fame, eccetera, che tanto spesso
nella storia hanno portato alla estinzione non solo di culture e civiltà, e
lingue e ricchezze artistiche, ma addirittura fisicamente di intere popolazioni
e stirpi che sono definitivamente scomparse dalla faccia della Terra con tutto
il bagaglio delle loro acquisizioni.
PS: sulle pietre di Ica si vedano anche le annotazioni nel diario di viaggio in Perù (postato nel luglio 2011), relative alla seconda metà della giornata di domenica 25/04/2004