sabato 28 luglio 2018

12 - Shan, Mon, Padaung in Myanmar (unione birmana) nel 2011

Ancora in questa sequenza di 12 post ripresa da testi di diari già pubblicati, riporto -per il tema di incontri di interesse etnografico- alcuni brani e foto dal lungo viaggio che feci con mio figlio nel maggio/giugno 2011 in Myanmar, cioè negli Stati della Unione Birmana, tornando così nel Sud-Est asiatico, ma in un diverso contesto culturale ed etnico, seppure sempre in Paesi e popoli di religione "buddista". Andammo subito dopo che ci fu una prima timida riapertura verso il turismo individuale fai-da-te.

Vedi il diario di viaggio che caricai al mio ritorno nel luglio 2011 in questo Blog: 
http://viaggiareperculture.blogspot.com/2011/07/diario-di-viaggio-in-birmaniamyanmar.html

Myanmar è il nome collettivo di vari Stati autonomi su base etnica che compongono una Unione  confederale attorno al nucleo del territorio birmano in senso stretto. Qui in questo Post tratterò solamente di quel che abbiamo visitato e conosciuto di 4 o 5 popoli di etnie minoritarie, (specificamente i Mon, gli Shan, gli Inthas, e i Padaung),  lasciando il racconto del territorio e della popolazione birmana (o di altre etnie importanti, come i Karen), al diario appena sopracitato.

( ... )
26 maggio
Stamattina mi alzo prestissimo e vado fuori sulla panchina nel cortiletto davanti, a guardare chi passa per strada, per primi arrivano i vari venditori ambulanti, e poi dopo un po' passano i bimbi e i ragazzi che vanno a scuola, la gente. Intanto mi godo la frescura mattutina e ascolto gli uccellini.
Lasciamo i bagagli in consegna alla signora Hla-hla, dicendole che ritorneremo l'indomani sera, e così non paghiamo questa notte di intermezzo. Subito dopo la colazione fatta al tavolo vicino al balconcino, viene Thant zin a prenderci e partiamo un po’ prima delle otto. C'è con lui  anche la moglie Thant Su, che lo accompagna e sta attenta ai sorpassi (perché l'auto ha il volante sul lato destro...).
Andiamo dunque a fare una "gita" da Yangon a Kyaikhtiyo, in campagna, dormendo su un monte a 1100 metri di altezza, dove c'è un grande masso in bilico su una sporgenza della roccia, che è da tempi immemorabili meta di pellegrinaggi. 
Ecco che usciamo in campagna. Vediamo dei bei villaggi con capanne a palafitta, con le pareti fatte di stuoie intrecciate.
Ci fermiamo per riposarci e pranzare dopo quattro ore di viaggio (per un totale di 160 km.), in un bel ristorante all'aperto. Insomma ci rilassiamo e ci distraiamo. A tavola portano tutti i piatti su una scaffalatura in vimini e poi ce li dispongono tutti assieme sul tavolo. Mangiamo bene, abbondante e a buon prezzo.

- Nello Stato autonomo del popolo Mon
Per andare a Kyaikhtiyo si arriva nei pressi con l' auto, entrando nello Stato confederato dei Mon, con tanto di confine e richiesta di passaporto (è uno dei membri dell'Unione di Myanmar, i Mon sono il 2,3% degli abitanti del Myanmar),  in birmano vengono chiamati Talang, ed il loro Stato si estende verso sud lungo la costa del golfo di Martaban (o Moktama), a est del delta dell'Irrawaddy e di Yangon, a partire proprio dalle vicinanze di Kyaikto (Kyaikhtiyo), lungo le coste sul mare delle Andamane. Ha una estensione di 12 mila kmq, e una popolazione di circa due milioni di abitanti. 
Poi da questo villaggio di confine che si chiama Kin Pun si va ad un parcheggio per l'auto, e più avanti a piedi c'è una stradina apposita in salita ripidissima che riescono (e che possono) fare solo dei camion potenti. Mettono nel cassone del camion delle assi di legno strette e ci fanno stipare il maggior 
numero possibile di persone (o un po' di più), e poi vanno a gran velocità su in prima. Noi eravamo per cosi dire seduti con tra le gambe e sotto ai piedi dei grossi sacchi di patate e altre verdure, e con davanti degli scatoloni.

Ci si doveva reggere molto ma molto molto forte per circa tre quarti d' ora (ma senza appigli) .... ma ogni tanto il sedere mi cadeva all' indietro giù dalla stretta panca (per via della pendenza della salita, e delle frenate e accellerate) e mi ritrovavo in braccio ad un tizio della fila dietro. La salita a mio avviso deve essere del 25 %, il camion va su in prima velocissimo; insomma un' avventura arrivare su fino a quel paesino in collina, in mezzo ad un paesaggio tropicale favoloso, con un sole spacca-cranio. Più a lungo di quei tre quarti d' ora, aggrappato stretto stretto al sedile davanti, con quel caldo, non so se avrei potuto farcela... Non è certo un servizio adatto per turisti schizzinosi...
Poi là c'è una salita abbastanza ripida che si può fare solo proseguendo a piedi e ci si mette circa un' oretta. Ma io ero spossato, ho preferito essere prudente e visto che c’era una apposita baracca dove ci sono una serie di portantini in divisa blu, con i prezzi fissi appesi alla parete, mi sono fatto venire a prendere da questi portatori che mi hanno fatto salire appunto su una di quelle rudimentali "portantine" che reggevano in quattro giovani sulle spalle (praticamente stando seduto su una sdraio di legno attaccata a due grandi bambù).



I portantini poveretti sudavano e sbanfavano per il caldo umido, eravamo oramai dentro una nuvola, quindi c'era soffoco e afa, come stare dentro a cotone caldo. Quindi per quanto abituati al loro mestiere quotidiano, si sono fermati per tre-quattro volte a riposare ed ho offerto loro delle bibite fresche da bere. In quella occasione si sono accorti della mia cicatrice lungo tutta la gamba e allora ho fatto vedere quella lungo tutto il petto, spiegando loro a gesti (non sapevano che 2 parole di inglese) che tre anni fa ho avuto una operazione a cuore aperto, ho mimato il fatto che ho subito un infarto in aereo durante il volo (certo non potevo specificare né le circostanze particolari né dei tre bypass e della valvola mitralica meccanica…), e loro commentavano, sono rimasti molto incuriositi e interessati, e poi un paio di volte ho visto che lo dicevano a conoscenti che incontravamo lungo la stradina. E così ho fatto come i nobili signori di una volta, e sono arrivato in cima come un pascià.... !


Bello l'hotel Mountain Top (oltretutto pensando al costo di 13 €uro a testa con colazione…!), dove c'era un solo altro cliente oltre a noi! Andiamo subito verso la Golden Rock, fermandoci al posto di blocco per pagare la tassa turistica e ricevere un cartellino verde di riconoscimento. Poi una volta là si fa una camminata leggermente in salita, ma quasi in piano, già tutti a piedi scalzi, 




e si arriva ad uno spiazzo lastricato, da dove c'è un panorama da favola, si vedono tra il verde vari monasteri, stupa, pagode, tutti coloratissimi, e si sentono salmodiare canti e preghiere buddhiste dai monasteri. Stupendo, c'è un'atmosfera molto particolare. Molti pregano, o fanno meditazione nelle sale dei monasteri, o portano scaglie d'oro alla roccia. Le nuvole intanto cominciano a dileguarsi un po’ e si riesce a vedere meglio. Siamo gli unici due stranieri occidentali.

Qui c'e' la Golden Rock, che è semplicemente un masso che sta in bilico "per miracolo" (qui dicono che se si facesse passare dalle due parti un capello, questo non si spezzerebbe), e che era meta di pellegrinaggi già prima del buddhismo, interamente dorato perché ricoperto appunto da sottili foglietti d'oro appiccicati sul masso dai fedeli nel corso del tempo.


Quindi ci fermiamo ad ammirare dalla balaustra il vasto panorama della valle boscosa sottostante. Ci raggiungono Thant zin e Su. Ci sediamo sotto un grande ombrello di cemento e ci accorgiamo che vicino c'è un insetto strano con lunghe antenne. 


Poi inizia a diluviare, aspettiamo ma non accenna a diminuire, anzi diventa una cascata. Mi tolgo la camicia e torniamo all'hotel, arrivando fradici dopo tutta la camminata, ma con la prospettiva di farci una bella doccia calda. Ci fermiamo a cenare al nostro hotel, che con il "Kyaikhtiyo hotel" (governativo) è uno dei soli due hotel vicini alla Golden Rock (al di là dei nomi promettenti di altri alberghi che  invece sono in realtà tutti lontani dal sito), e mangiamo bene per $4,20 (pari a meno di 3€ in due!).  Ad un altro tavolo ci sono anche Thant zin e sua moglie Su, che è una giovane deliziosa, e insieme erano simpatici e scherzosi, così ci siamo conosciuti meglio. Ci raccontano che erano già venuti qui insieme quando erano fidanzati, con amici e parenti. Ma allora non c’era la strada sino a Kin Pun, e dunque avevano fatto una lunga camminata per i sentieri nel bosco sino ad un punto in cui ci si poteva fermare a dormire, e poi il giorno dopo si sono fatti tutta la salita sulla montagna a piedi con un gran caldo, ed era dunque non facile avventurarsi sino alla golden rock. Anche qui dunque ci sono state trasformazioni negli ultimi anni, e si è aggiunto un po’ di turismo estero ai pellegrinaggi.
Quando si aprono le nuvole si vede in lontananza la golden rock illuminata che è proprio splendente nel buio fitto !

27 maggio
Al mattino alle sei, Michele va a fare un giro per approfittare che spunta un po' di sole. Poi io lo raggiungo e ci godiamo lo spettacolo. Dopo colazione arrivano poco prima delle otto i portantini a prendermi per il percorso di discesa fino al piazzale dei camion. All’arrivo pago sedicimila kyats (14 €uro) per l’andata e il ritorno, comprensivi per tutti e quattro i portatori.
Mentre sono giù al piazzale che aspetto Michele e la coppia Thant, ecco che mi parla e mi segue un bambino di circa nove/undici anni, è carino e dopo un po’ decido di regalargli un pallone da calcio che vedo in un negozietto. E' addirittura felice, e comincia subito a giocare con un suo amico, per farmi vedere quanto lui è bravo col pallone. 
Essendo ancora mattino presto ci sono i monacelli che vanno a chiedere una donazione per il loro monastero e si mettono in fila, ognuno con la sua pentola, il più piccolo sta in testa, e si fermano ad ogni negozio o punto ristoro, il piccolo suona un gong che tiene sospeso dinnanzi a sé, e poi aspettano che il proprietario venga e dia loro delle porzioni di riso bollito in ciascuna pentola. 



Arrivano Michele e i Thant e commento con Thant zin che mi pare assurdo che io abbia speso la stessa cifra che ho dato a loro per andata/ritorno, e con inclusa la mancia, solo per le bibite che ho offerto loro da bere, e mi spiega che quelle (cocacola, fanta) sono marche di importazione, e quindi molto care, così scopriamo la “Star Cola” e una aranciata, che sono imitazioni birmane e costano molto molto meno. D’ora in poi berremo solo quelle.
Appena arrivati loro, saliamo su un camion che ha appena posteggiato ed è ancora vuoto. Ma siccome la regola è che i camion partono solo quando sono pieni (ovvero strapieni zeppi), per questo chissà quanto tempo ci sarà da aspettare. Comunque prendiamo i posti sulla panca in fondo, dove non ci saranno pacchi, sacchi o scatoloni, che vengono sempre accumulati sul davanti. Intanto giunge un intero clan familiare da un villaggio mon (hanno gli stessi cappelli col ciuffetto rosso in cima). Ma intanto la previdente Su scende avendo avvistato un gruppo di thai. Questi in effetti, come a volte accade, hanno affittato un camion tutto per loro,  che quindi partirà subito appena tutto il gruppo è salito, allora lei chiede se pagando potremmo aggregarci anche noi, e accettano. Così partiamo e attraversiamo a ritroso la valle boscosa con il sole, e arriviamo dopo 11 kilometri a Kin Pun dove i thai scendono, e dove noi avevamo posteggiato l'auto. Ripartiamo e attraversiamo di nuovo paesini e cittadine interessanti, e dei bei panorami, come quelli lungo il fiume Sittaung. 


Dopo siamo stati in un piccolo villaggio campagnolo della etnia Mon, dove fanno tessuti a 


mano con i telai di legno, ha anche un suo fascino osservare queste ragazze che muovono questi telai di legno, azionando i pedali e lanciando a mano la spoletta, per cui muovono aggraziatamente tutto il corpo secondo un preciso ritmo; Michele dice che quelle decorazioni che vengono nel tessuto sembrano i disegni di una danza. 
Mi cambio perché sono bagnato di sudore da tanto è caldo e forte il sole, sia quando c'è sia quando è coperto. Vado in una capanna-negozio a cercare se hanno dei biscotti (per i tempi lunghi che si passano in auto)...



una madre Mon

E poi andiamo dove confezionano i famosi sigari birmani (in inglese cheroots) arrotolando foglie di thanapet (ovvero "cordia dichotoma"), che oltre a un po’ di tabacco tritato aromatizzato con tamarindo, contengono, dentro alla foglia arrotolata, erbe e paglie varie, persino midollo di piante. Sono o spuntati, o con le due punte, di cui una contiene un filtro di buccia di granturco secco arrotolata. Questi sigaroni casalinghi li fumano tradizionalmente sia gli uomini che soprattutto le donne.
ecco Michele seduto col suo sigarone in bocca

Io chiedo di poter andare in un bagno, e i mon sono noti per la loro ospitalità, quindi senza batter ciglio mi indicano il più vicino (che si rivela correttissimo e pulito). Allora intanto che ci soffermiamo, comperiamo, in particolare un longyi (ampio tubo di stoffa che si piega e allaccia con un nodo, e fa da panta-gonna agli uomini) che Michele vuole incominciare ad indossare e che poi porterà per gran parte del viaggio.
Nel 1974 dopo molte manifestazioni di protesta e azioni di guerriglia, il governo centrale accordò ai Mon la istituzione di uno Stato autonomo confederato.  Ma iniziò anche una battaglia per avere maggiori autonomie, per cui alcuni gruppi ripresero le azioni di guerriglia. Nel 1995 si pervenne ad un accordo di cessate-il-fuoco e furono promesse nuove regolamentazioni dello statuto. Ma non venendo poi attuate nella loro interezza, nel 2010 alcuni gruppi ruppero il cessate-il-fuoco. Molti Mon emigrarono in questi ultimi decenni sia nei paesi confinanti  e vicini, che in occidente.
A fronte di molti assimilati, molti parlano nella vita quotidiana la lingua originaria che appartiene al gruppo delle lingue austro-asiatiche. La scrittura è un adattamento di quella bamar stabilita nell' XI secolo.  La poligamia è abolita già dai primi del Novecento; i nuclei famigliari ora sono prevalentemente nuclei ristretti. La musica tradizionale è ancora viva e viene eseguita con particolari strumenti tipici dei mon.


- nello Stato autonomo del popolo Shan

Al mattino del 28 prendiamo un volo interno per Heho, e ci arriveremo dopo poco più di un'ora. All'aereoporto ci vengono a prendere Than e un giovane autista, anziché come ci aveva preannunciato Teo un certo Myo. Mister Than ci dice che anche lui è amico ed ex collega di Teo, di non preoccuparci, che Myo oggi è occupato ma da domani sarà con noi. E dall' aereoporto in poco più di mezz'ora si giunge in questa cittadina dove siamo ora, Nyaung Shwe, nello Stato confederato dei Shan, che è lo stato dell' Unione più grande e importante, dopo la Birmania vera e propria, gli shan sono il 6,5% della popolazione totale del Myanmar. 
Lungo il percorso però siamo dovuti passare a pagare la tassa di soggiorno per stranieri di 5$ a testa e poi dopo poco ci siamo fermati e siamo stati a visitare un antico monastero di legno dove insegnano ai bambini a diventare novizi monaci. E' un luogo stupendo! Un vero gioiellino. All'improvviso mi ricordo che la foto che da tempo avevo messo sugli scaffali della libreria nel mio studio a casa, ancor prima di pensare a fare questo viaggio, è proprio di questo posto! Ritrae dei giovani monaci affacciati ad un paio di finestre. Ci scattiamo dunque delle foto proprio affacciati a quella stessa finestra ovale...




Il piccolo monastero Shwe Yan Pyay è aperto, gironzoliamo dentro, è tutto in legno, 


Michele
e vediamo un angolo che sembra come una biblioteca in cui c'è un monaco che sembra un maestro, che sta chino, leggendo con molta attenzione e non si fa distrarre, poi arrivano dei novizi e cominciano come a fare dei compiti sdraiandosi sul parquet con i loro quaderni, vicino ad un angolo dove c’è una lavagna alla parete; la cucina è molto incasinata, in altre stanze non entriamo perché ci sembrano dei dormitori con stuoie sul pavimenti. C'è silenzio, e si resta incantati in questo ambiente in cui pare di essere sbalzati indietro nel tempo in un qualche secolo del medioevo.

Con Than andiamo poi ad una piccola trattoria-bar "Daw Nyunt Yee", di suoi amici, dove mangiamo un piatto di noodles con verdure, 


e lasciamo lì a un cinese i nostri bagagli perché la barca che ci porterà all'albergo arriverà più tardi fra tre ore almeno, per cui Than ci dice che potremmo intanto girare un po’ qui intorno. Sì è bello prendersela con calma con i tempi rilassati dell'Asia.
Quindi siamo andati in giro a piedi per Nyaung Shwe e per la campagna circostante, affittando per il pomeriggio una bicicletta (di quelle robuste) per 1 €uro ciascuna. E così quando siamo ritornati abbiamo poi fatto un bellissimo giro, prima per le strade della cittadina, vedendo monasteri e il palazzo principesco (l’ultimo principe shan -o Sawbwa- di Hsipaw, fu il primo presidente dell’Unione dopo l' indipendenza del Myanmar), e poi andando verso fuori lungo la riva del fiume, sino ad un grande monumento al Buddha che si vede emergere tra il verde. 



Poi tra le risaie, e in mezzo a vari piccoli villaggi di contadini shan, per viottoli di terra battuta. con le mucche. 




Infine ritorniamo dal cinese a ritirare i nostri bagagli, e viene un ragazzino a prenderci per portarci in barca all'albergo, e intanto ci fa notare un po' come è la vita sul lago con i pescatori.

- al Lago Inle (dove c'è una minoranza etnica, gli Inthas)




Qui ora siamo in effetti sul lago Inle (o Inlay), che è a 900 metri di altitudine (ma fa caldo, ci sono anche qui 34° gradi circa), ed è veramente grande (22 km di lunghezza e 10 di larghezza), tanto che per andare nel nostro albergo abbiamo fatto un percorso di tre quarti d' ora su una piroga,  


che è come una lancia a motore stretta e lunga che va piuttosto veloce, con un lunghissimo “albero di trasmissione” dell’elica, e abbiamo visto i pescatori che remano in piedi aiutandosi con un piede in un modo molto particolare che è tipico della etnia locale Inthas

Ora sto scrivendo da un albergo su palafitte sul lago, dove hanno la connessione internet (ma la tastiera è doppia anglo-birmana e non ha gli accenti).

domenica 29 maggio
Non ci sentiamo tanto bene di stomaco e intestini... (che sia il condimento dei noodles di ieri?) Stiamo in camera a riposare e a dormire molto,  sotto le zanzariere


Ora stiamo meglio...  Michele sale su una torre panoramica e fa foto. Diamo un'occhiata alla tv locale e a riviste birmane. A un certo punto mangiamo! (meat ball soup; cream corn soup; vegetable steamed rice; e fried banana with honey, per 5€ a testa).

lunedì 30 maggio
Facciamo colazione e impacchettiamo le nostre due borse. Tutti i camerieri e impiegati che erano stati preoccupati per la nostra salute si presentano per salutarci. Quella della reception ci fa varie raccomandazioni (tipo di non mangiare mai carne di maiale con questo caldo, né mango né papaya). 

- dai Padaung


Viene a prenderci alle 8 il ragazzo con la barca a motore dalla lunga elica, e partiamo per fare dei giri nell'intrico dei canali. . .
Arriviamo  e scendiamo in un villaggio di palafitte sul lago, Ywama


che è un villaggio dove vivono dei Padaung (o Palaung), in particolare ci sono delle donne che ci accolgono e ci fanno entrare

Salutiamo e ci presentiamo...

Poi ci fanno entrare nell'area del loro laboratorio, 
dove ci mostrano che tessono a mano senza un vero e proprio telaio, ma con la tela agganciata al muro e tenuta tirata con una cinghia sotto il sedere, e fanno sciarpe, camice e altro


per provarci che tutti i tessuti e gli abiti sono fatti a mano da loro stesse; e ci sono anche due ragazze, pure loro con il collo inanellato, delle quali ora non ricordo più il nome (una mi pare si chiamasse Kwy-kwy). 


Compriamo qualcosa...  Il popolo dei Padaung costituisce una minoranza etnica nello Stato Shan e nel vicino Stato dei Kayah. Si ripartiscono in "colli corti" (i Lahta) e "colli lunghi" a seconda se le donne portano o meno gli anelli che allungano il collo. I secondi mettono alle bambine a cominciare dai cinque-sei anni degli anelli al collo per allungarglielo, aggiungendone uno ogni quattro anni sino a nove volte. Questi anelli di bronzo luccicante, sono delle spirali e più se ne aggiungono e più il collo può allungarsi e le spalle abbassarsi (sino al massimo all'età di 45 anni). Nei casi maggiori gli anelli possono raggiungere un peso complessivo di 5 kg., e altri sono alle gambe.  (Mi tornano in mente le donne anziane N'debele che avevamo visto in Sudafrica che portavano pure loro questi anelli al collo...).

Un tempo queste donne venivano ridicolizzate e chiamate dagli inglesi spregiativamente “donne-giraffa”, e venivano anche portate in Europa ed esibite come fenomeni da baraccone. Ora invece si comprende che si tratta di una cultura ricca e interessante e l'atteggiamento è rispettoso.  
I Padaung sono cacciatori oppure contadini, e coltivatori di cotone; le donne sono abili tessitrici. Vi è una interessantissima descrizione dei loro moduli di vita nel bel diario autobiografico di Pascal Khoo Thwe, From the land of green ghosts, del 2002 (tradotto in it. nel 2008 col titolo: Il ragazzo che parlava col vento), in cui racconta anche delle sue nonne e delle sue zie con gli anelli al collo, con grande affetto e tenerezza indicandole come le uniche depositarie del patrimonio di leggende e tradizioni specifiche della loro cultura. 


ci salutiamo e sono molto espansive e gentili anche se abbiamo preso ben poche cose... e vogliono farci una foto prima che ce ne andiamo.


  - di nuovo in giro per il Lago



Poi andiamo in un'altra cittadina, Nam Pan, tutta di palafitte sull'acqua, dove visitiamo un laboratorio artigianale di fusione dei metalli, in cui fanno gioielli in argento, rame, silver-plated, e incastonano pietre dure. Molto interessante, si vede un mondo e un modo di produzione da noi oramai scomparso. Prendiamo due orecchini argentati rappresentanti due palline, di quelle tipiche birmane del gioco del chinlone, in cui ci si mette in circolo in quattro o sei e ci si lancia una sfera fatta di canne ripiegate, che non deve mai toccare terra e non può essere colpita con le mani ma solo con altre parti del corpo...

Ogni volta che si riprende la barca e si riparte si viene prima affiancati da barche che fanno il mercato galleggiante (floating market), offrendo gli stessi prodotti, o prodotti di minore qualità, ad un prezzo un pochino più basso dei negozi su palafitte. In effetti qui ci sono alcuni mercati su barche anche per i prodotti degli orti e dei giardini galleggianti, cui si aggiungono quelle con i prodotti artigianali e anche i souvenirs per turisti.
Le popolazioni del lago non hanno solo costruito case palafitte, ma hanno portato la terra dove c’è palude. La costa del lago, che non è molto ben definita essendo tutta paludosa, è piena di ingegnose coltivazioni galleggianti: la terra riportata, impasto di giacinti e fango, su cui coltivano, è stata depositata su “letti” di alghe e piante lacustri, che la tengono abbastanza ferma, e le radici ramificandosi rinforzano il sostegno di base. Queste coltivazioni in acqua vengono tenute in efficienza con continui lavori di manutenzione, togliendo scorie e spazzatura, o aggiungendo fango e erba, e canne di protezione. 
La parte coltivata con gli orti galleggianti ricopre oramai un quarto della superficie del lago. 
Gli Inthas dicono: "siamo legati al lago come un bimbo lo è a sua madre" per cui sono molto attenti ad evitare gli sviluppi ulteriori delle coltivazioni, anche se la popolazione è aumentata e il livello dello standard di vita si è accresciuto. Ultimamente usano circa un terzo di meno tra fertilizzanti chimici e anticrittogamici, ma ci non basta, anche a fronte dell'incremento del turismo che produce anch'esso i suoi rifiuti.
Le palafitte sono alte fino a tre metri sul livello dell'acqua, per evitare i periodi di alta "marea". Ma hanno il loro sostegno su pali di bamboo che durano mediamente per un paio d'anni, mentre la parte sopraelevata anch'essa in bamboo e legno, ha bisogno di venir rinnovata ogni cinque anni. 
Ci sono sempre più piroghe che utilizzano un motore, e sono in aumento le piroghe che servono per il turismo, ma tutto ciò incide sul delicato ecosistema. Oggi ci sono meno pesci e il lago si sta lentamente prosciugando, anche perchè essendoci più abitanti e più costruzioni ciò comporta un incremento della deforestazione. Ci sono associazioni e cooperative che si preoccupano di riforestare. 
A fianco ci sono i villaggi palafitticoli, che sono più di una decina; poi in tutto il bordo paludoso del lago ci sono canali grandi, canaletti secondari stretti, canaloni di grande scorrimento e traffico di barche e barconi, come in una città con le sue strade, vie e viottoli. Insomma bisogna essere dei gran conoscitori del posto. Come forse poteva essere prima delle bonifiche nelle nostre "valli" nella provincia di Ferrara, cioè nelle paludi comacchiesi del Delta. Solo gli abitanti, i pescatori e i coltivatori locali si sanno districare. Arrivando in questi centri abitati su palafitte ci pare di essere andati indietro nel tempo e poter vedere coi nostri occhi come erano all'origine Venezia o Chioggia nella laguna tra i canneti, nell'Alto Medioevo... 
Ora il cielo è variabile con nuvole, ma quando c'è il sole picchia duro in testa e stanca...

Dicono che qui l’aria sia più fresca essendo più ventilato, e –al contrario di quanto si possa pensare- nei villaggi non esiste la malaria. Poi ci sono i pescatori Inthas, essendo il lago molto pescoso, che come dicevo remano in un modo tutto particolare tenendo il remo con una gamba, per avere una mano libera. Il lago è pieno di paletti appena affioranti a cui attaccano le loro ceste-trappola e le reti.
(Ora dato che non trovo più le mie foto dei pescatori riporto alcune immagini tratte da internet.)



Andiamo in un altro villaggio di palafitte dove entriamo in un negozio di tessuti, e lì ci fanno vedere una specialità esclusiva del lago Inle. I magnifici fiori di loto, che qui si chiamano padonmar kyar, pur essendo delicati si innalzano dalla melma del fondo con un gambo che si slancia in alto sino a raggiungere la superficie e fiorire sopra al pelo dell'acqua. E' perciò anche un simbolo della aspirazione alla illuminazione nel buddhismo, ed è presente in ogni pagoda. Dato che in un testo antico, lo Zi-natta Pakar Thani si narra che al principe Siddhartha venne offerta una tunica monacale da un essere celestiale che disse di averla presa dal bocciolo di un fior di loto, allora qualcuno cercò di imitare quello straordinario dono. Durante la festa della luna piena di Thandingyut si usa rivestire le statue dei Buddha con drappi, e così una donna del Lago Inle volendo offrire qualcosa di speciale, realizzò con i filamenti sottili e bianchi che si trovano nello stelo, tessendo queste delicatissime fibre, un drappo morbido e soffice. Nacque così l'attuale tradizione del "lotus fibre weaving", che è unica al mondo. Un altro gioiello straordinario del Myanmar.

Poi ripartiamo e corriamo in velocità per vari canali e canaletti, e superiamo vari sbarramenti tipo chiuse di bamboo per regolare i dislivelli d'acqua. Bisogna centrare alla perfezione i passaggi che sono tra due paletti larghi proprio come una di queste lance a motore e fare il saltino all'insù o all'ingiù per superare i dislivelli.  E’ un po’ una cosa tipo un proto-luna park...
[nota posteriore: oggi martedì 18 dicembre '18 ho visto in tv un bel documentario francese sugli Inthas, di Philippe Simay, della serie "Dimmi dove vivi" trasmessa su Sky per "Red" dal Canale Effe della Feltrinelli ogni matedì]

-al mercato contadino di Indein


Ad un certo punto c'è un porticciolo in un villaggio sulla terra ferma, credo Indein (degli Inthas?), dove scendiamo, e di qui camminando per un sentiero di terra si giunge ad uno spiazzo e si entra nel mercato contadino (detto zei), di questa zona. 

Anche qui, come già a Kyaikhtiyo, a Bago (Pegu), e oggi dai Padaung, siamo sempre gli unici stranieri...






Questi mercati paesani che si spostano con un ciclo di rotazione di cinque giorni sono anche più interessanti di quelli sull'acqua. Molto bello e variopinto, ordinato e abbastanza pulito (sempre relativamente al contesto) e colorato.
Assistiamo anche, in due tende, allo svolgimento di giochi d'azzardo, forse non legali dato che qualcuno si avvicina a Michele dicendogli che non può fare foto. Sul terreno ci sono dei disegni colorati e in fondo ci sono due paletti che fermano una stanga storta tenuta con un cordino che trattiene dal cadere tre grossi dadoni colorati con quei disegni sui lati al posto dei numeri: un elefante, una tigre, un pavone, un granchio, una aragosta, e un pesce, tirando il cordino solo un dadone per volta può cadere e loro puntano sull'uscita di queste triplette in combinazione. 




Oppure in un altro tendone anch'esso circondato da un gran affollamento di persone accalcate per vedere, si punta su certi numeri o lettere, e viene per questo fatta girare una trottolina con su attaccato un dado (tipo il dreidel yiddish), e si punta gettando i soldi su un tappeto nero con i vari simboli in bianco. La gente è silenziosa e tesa, ed alcuni puntano molte banconote. Il più delle volte sono biglietti sporchi e consunti, di quelli vecchi di piccolo taglio, comunque si tratta sempre di rischiare dei soldi. Alla fine c’è soddisfazione e delusione, ma non traspare molto, sono piuttosto trattenuti dall’esternare emozioni.




Dal mercato, che è così ricco di cose da vedere e di gente con costumi diversi (ci sono oltre agli Shan, anche Pa-o e Wan e Padaung e altri),





ci dirigiamo a piedi in direzione di un tempio di legno che vorremmo visitare. Qui non c'è praticamente nessuno. Dopo aver regalato delle caramelle di tamarindo e degli shampoo a un gruppetto di bambini e bambine, io mi attardo lungo il percorso sotto un bell’ alberone perché fa moltissimo caldo. 



l'interno buio del tempio


Ci addentriamo nel fitto della foresta, preceduta da un bosco di bamboo. 




Ma poi da lì giriamo lungo un sentierino verso una zona piena zeppa di centinaia di antichi piccoli stupa abbandonati e in rovina nella jungla. Si tratta della collina di Kekku, e dei templi di Shwe Indein. E' emozionante girare essendo soli alla scoperta di questi resti ricchi di fregi e bassorilievi a volte bellissimi, e ci si perde un po'. Siamo soli e nel silenzio, e tutto è stato conglobato dal regno vegetale. (forse saremo tra gli ultimi a vedere certe bellezze, prima che tutto crolli e si disfi).

In lontananza scorgiamo un tempio famoso e meta di pellegrinaggi e lo raggiungiamo da un lato:


Anche qui non c'è nessuno. Poi al ritorno invece di rifare lo stesso sentiero a ritroso, scendiamo invece per il percorso dei pellegrini con scalinate, coperto da un colonnato con tetto (di 369 pilastri), che è pieno di bancarelle, ma siamo gli unici che lo percorrono. In queste bancarelle ci sono libri antichi manoscritti (su foglie di palma, simboli di conoscenza), vecchie statuette, vecchi burattini, vecchi soprammobili, eccetera, insomma qui come altrove svendono la loro cultura materiale, e non solo, nemmeno se ne rendono conto: hanno bisogno di soldi, e quella è tutta roba vecchia di cui possono disfarsi (d’altronde è già successo così da noi a suo tempo). Compero una raccolta di raccontini del folklore birmano, del 1948.

Compro anche un bel reggi-tazze, pieghevole, ricavato da un unico pezzo di legno, e intagliato in modo che i quattro sostegni si intreccino tra loro

Infine torniamo a malincuore alla barca perché è già l'ora dell'appuntamento che il barcaiolo ci ha dato sul sentiero lungo il fiume. 

Anche se mi sarei soffermato ancora, riprendiamo la barca ed andiamo in un altro villaggio dove visitiamo un antico monastero tutto in legno, pieno di gatti, famosi per gli spettacoli di salti che i monaci li hanno addestrati a fare da una ventina d'anni, ma che ora non si svolgono perché il monaco sta dormendo sulla sua sdraio di vimini, e i gatti pure. Il monastero è molto bello e ricco di scorci, angoli, chiaroscuri e giochi di luce, in cui in silenzio vari monaci passano. Il monastero si chiama Nga Hpe Kyaung cioè monastero dei gatti saltatori (jumping cats), gatti addestrati a saltare passando dentro ad un cerchio.

Torniamo a Nyaung Shwe all'imbarcadero principale e andiamo al solito ristorantino-bar cinese da dove partiamo con Myo in macchina verso l'altopiano Shan, che era una volta dominato da vari prìncipi feudali locali, i Sawbwa.
un camion senza gli sportelli laterali e senza cofano

Arriviamo dopo un paio d'ore a Kalaw (pronuncia Kalò) in montagna, a 1330 metri. Andiamo a sistemarci nel bel "Dream Villa" - Motel, tutto con interni rivestiti in legno, con belle decorazioni, molto pulito e ordinato, prendiamo una bella stanza in alto con finestre d'angolo panoramiche e un bagno impeccabile con le solite pedule da bagno a disposizione, venti dollari (=14 €uro) per la camera doppia con prima colazione inclusa. 
Giriamo per il borgo guardando negozietti, e il mercato comunale, c'è pure uno stupa, o sedi come lo chiamano qua, ricoperto di ceramiche e piastrelle lucide. Il mercato fisso è ordinato e pulito, con bancarelle e bottegucce (dove compriamo biscotti, un cake, e acqua), mentre il mercato contadino esterno è periodico, e si svolge prevalentemente per terra. 

Qui gli Shan di montagna si chiamano tai-yai, cioè "alti", poiché vivono sulle alture (mentre gli Shan che c'erano nella regione del lago Inle si dicono tai-nòi, cioè "bassi".


Si vedono comunque varie etnie con i loro costumi, ma è più caotico e anche più sporco di quello in riva al lago. In vari "punti-ristoro" fanno delle frittelline, e dei pancakes ripieni di verdure e/o carne trita, o a pezzettini con cipolle e aglio, ma l’olio di palma della frittura, più volte rifritto, lascia un po' a desiderare e dunque non assaggiamo gli you-tiao pur apparentemente attraenti. 





Alla sera in albergo sentiamo il sonoro di un film e poi una interminabile conferenza/lezione con l'altoparlante a tutto volume che proviene dal vicino monastero dove c'è una cerimonia molto affollata. Sentiremo poi che erano convenute migliaia di persone, oltre a monaci e monache (ad averlo  saputo prima…).




L’impero della coca e dell’oppio che sino a pochi anni fa dominava la scena su questi monti, ora pare che sia stato in gran parte debellato…(?). Su questo punto e anche più in generale una analisi approfondita della questione e del suo contesto socio-culturale ed economico-politico v. in: http://www.shanyoma.org/yoma/The%20Golden%20Triangle%20Opium%20TradeAn%20Overview.pdf

Il popolo Shan vive in aree anche oltre i confini del Myanmar, cioè in Thailandia, in Laos e in alcuni villaggi al di là del confine cinese. Una notevole parte degli Shan in Myanmar sono di ascendenza mista con birmani, quindi shan-bamar. Anch'essi pur essendo formalmente di fede buddista, conservano molto forti credenze ancestrali di tipo animistico relative agli spiriti. Sul piano economico sono principalmente coltivatori (di riso), artigiani e mercanti. Sul piano politico molti gruppi ancora mirano all'indipendenza totale dello Stato Shan, e continuano ad esserci qua e là scontri armati o attentati nelle regioni montane. Gli Shan hanno una loro propria scrittura che è un adattamento ripreso in parte dall'alfabeto mon e da quello birmano. Tuttavia la metà almeno dei contadini sono ancora analfabeti, o comunque vivendo in un contesto di cultura orale in cui non è diffuso l'uso della lettura e ancor meno della scrittura, divengono rapidamente analfabeti di ritorno. La lingua shan è di tipo tonale, a seconda dei dialetti locali, consta di 4 o di 5 differenti toni. 


Qui finisce questa puntata sugli incontri con i Mon, gli Shan, i Padaung, gli Inthas pescatori del lago Inle (e anche abbiamo incrociato ai mercati i Pa-o, e i Wan, ...)

per leggere il diario del resto di questo bellissimo e interessantissimo viaggio in vari luoghi stupendi, vedi il post caricato nel luglio 2011, per le altre parti del Paese, cioè quelle abitate da birmani, bamar (in inglese burma):

http://viaggiareperculture.blogspot.com/2011/07/diario-di-viaggio-in-birmaniamyanmar.html