Proseguo nel riportarvi quanto venne detto l'altro giorno alla libreria IBS in occasione della presentazione del libro.
Buonasera e grazie per essere venuti. Anch'io non vi parlerò degli aspetti di carattere pedagogico e didattico, che non penso si addicano alla situazione. In effetti io suppongo che vi possano essere piuttosto altri motivi per cui la maggior parte di voi è venuta qua stasera. Secondo me i motivi sono essenzialmente due (e se poi vorrete smentirmi sarà interessante chiacchierarne) il primo motivo è il titolo, che è stata una trovata straordinaria di Ghila, ed è -come si diceva- preso dal titolo di uno dei suoi racconti qui inclusi. In effetti è attraente e accattivante un titolo come "il viandante e lo sciamano" perché coniuga la dimensione del viaggio, che in questo modo, con il termine "viandante", già subito diventa qualcosa che non è semplicemente relativa a compiere un viaggio o ad andare a visitare un altro Paese, perché il viandante è colui che, lentamente quanto è necessario, è lì per cercare di cogliere qualcosa, per osservare, è lì per fare una sua esperienza, è lì per trovare qualcosa che sta cercando, non è lì solo per vacanza o turismo … e poi lo sciamano... e questo termine agganciato a viandante, ci da subito quella dimensione dell' alterità, dell'esotico, della lontananza, ci da subito la percezione di una distanza e differenza culturale, e allora forse a qualcuno è sorta la curiosità di voler sapere qualcosa su questo sciamano o ha pensato che forse questo libro ci dice qualcosa su chi sono gli sciamani ….
E l'altro motivo forse può essere che tra voi ci sono persone appassionate di conoscenze su culture diverse, oppure appassionate appunto di viaggi, e che vorrebbero sentire raccontare di paesi e popoli lontani, e sono rimaste attratte anche dal sottotitolo "diario di viaggio e formazione tra le Ande dell'Ecuador", e in effetti io vorrei qui parlarvi piuttosto di queste cose. Anche se -come giustamente ricordava l'editore Riccardo Roversi aprendo la serata- tutto è partito da una proposta da parte di Anita Gramigna che mi sollecitò a cercare di riflettere su quanto un testo narrativo, inteso in senso ampio, possa essere utilizzato in un corso universitario di pedagogia, riferendosi nello specifico a questo mio racconto di viaggio.
Però appunto non vorrei ora soffermarmi su queste questioni, perché credo che non sia questa la sede né il pubblico, in quanto stasera credo che le persone siano venute qui più che altro per quei motivi che accennavo all'inizio.
Però poi in realtà tutto si lega, altrimenti cosa c'entrerebbe il viandante, cioè uno che lascia il luogo in cui si trova, in cui vive, lascia il contesto che gli è consueto, in cui a fatica, crescendo, ha imparato a muoversi, a capire il senso delle cose, su cui ha imparato a riflettere…. Poiché il viandante è questo, è uno che lascia il suo mondo, appositamente per andare a cercare qualche cosa che sia fuori dai consueti schemi; e poi che cosa c'entrerebbe appunto lo sciamano se non proprio alludendo al fatto che (e questo è anche un primo dato che mi sento di dare per rispondere all'interrogativo di prima: che cosa si intende qui con sciamano?) è un personaggio che vive la totalità, cioè che è profondamente coinvolto in una visione in cui tutto è legato, una cosmovisione. Anche se poi forse si potrebbe dire che aver scelto questa denominazione per riferirsi ad una varietà di personaggi locali diversi tra loro con cui siamo entrati in relazione e dialogo, è un po' arbitrario, anche se si trattava di personaggi straordinari (ma che non sempre gradirebbero essere etichettati in questo modo…) che sicuramente però condividono questo elemento del concepire il Tutto come composto da strette reti di relazioni e in costante reciproca interconnessione.
Pumaquero
Ora veniamo al tema del viaggio, perché sicuramente qui si tratta specificamente del tema del viaggiare! Questo che è qui raccontato, è un viaggio che si è ovviamente svolto in un luogo, in un Paese lontano, ma che è stato sopratutto un viaggio in una cultura, compiuto per cercare di entrarci dentro. E comunque ovviamente si è svolto anche andando a vedere e visitare quel che là c'è da visitare, e a guardare i paesaggi straordinari che ci sono da guardare, ma soprattutto era inteso per cercare di introdursi dentro ad un mondo, ad una cultura, che in questo caso
(e questo era uno degli interrogativi prima di partire, quando ancora si trattava di scegliere dove andare: che cosa andiamo a fare laggiù? perché andare proprio là? cosa vogliamo fare, cosa vorremmo cercare?), in questo caso erano gli
indios andini. Loro non gradiscono in realtà essere ancora chiamati così, ed anche questo è un primo punto, una prima informazione, o scoperta… piuttosto preferiscono essere chiamati indigeni, o aborigeni, o indoamericani, in particolare indigeni delle Ande. E dunque siamo partiti nella supposizione-speranza che ancora si potesse trovare viva la cultura andina autoctona. Era una scommessa. In altri paesi in cui abbiamo viaggiato, e girato, in vari continenti, il processo di… chiamiamola "modernizzazione" in atto, o comunque di omologazione sul piano culturale, che sta avanzando con gran forza, prospetta un futuro non lontano, un po' troppo poco differenziato a livello planetario, un po' troppo "omogeneizzato" rispetto al modello occidentale che funge da grande livellatore delle differenze esteriori. E invece in questo caso si è rivelato un viaggio veramente fruttuoso, perché abbiamo potuto incontrare delle persone, e visitare i posti che queste persone ritenevano essere quelli più significativi per comprendere quella cultura specificamente andina che ancora sopravvive, e quindi posso dire che "il viandante" ha trovato il suo percorso. Con Anita già abbiamo curato assieme la pubblicazione, tra le altre, di un testo,
"Ermeneutica dell'educazione" (Unicopli editrice), in cui nel mio contributo, mi rifaccio a quella famosa poesia di Machado in cui si dice che "il cammino si fa nell'andare", cioè che un percorso significativo per la nostra maturazione interiore è un qualcosa che si vien facendo nel momento in cui ci si mette in cammino, e che si costruisce man mano che si procede.
Ecco, allora in questo caso, così appunto è successo Per cui che cosa contiene questo libro? contiene un diario, dei racconti e suggerimenti o suggestioni per facilitare una operazione ermeneutica. Un diario di viaggio, sì è certamente scritto in modo non saggistico, però la sua modalità non è propriamente narrativa in senso pieno, intesa come il romanzesco, come fiction, e non è neanche narrativa nel senso in cui lo sono veramente i tre racconti di Ghila, che appunto sono dei racconti nel senso più pieno della parola, per cui lei ha preso stimolo, ha preso spunto per svolgere liberamente una sua narrazione. Mentre un diario di viaggio è anche una cronaca in cui, come in questo caso, si racconta quello che effettivamente è successo, quello in cui ci si è imbattuti, quel che si è incontrato, e quel che ci si è realmente detti con le persone con cui si sono scambiati alcuni elementi profondi, di valore, di significanza culturale, che meritano di essere riportati e ricordati.
Allora avevo un pochino il timore che un diario come quello che ho scritto in quel viaggio potesse essere un qualcosa di un po' troppo specifico, e fosse di interesse quasi esclusivamente per viaggiatori, mentre invece Anita mi ha incoraggiato dicendomi che non era solamente così… e che poteva benissimo essere compreso come un viaggio di conoscenza e di formazione. Aveva apprezzato il fatto che è denso di informazioni fornite in modo discorsivo e scorrevole, che con questo approccio, introducono ad una maggiore conoscenza di quella cultura, e denso di riflessioni su quella spiritualità che riteneva profonde e stimolanti.
Dunque in effetti, se a qualcuno ora può esser sorta la curiosità di leggerlo, ebbene le "chiavi di lettura" cui appunto accennava anche Anita prima, sono per me principalmente i simboli e la metafora. Un po' tutto quello che lì racconto, non solo è effettivamente accaduto, ed è rispondente a quello che abbiamo fatto e detto, ma prende maggior senso se letto in quanto metafora di qualcosa di più ampio e profondo,
la Tawa Chakana, o croce scalinata andina
perché? perché il viandante (che non ero solo io, ma in realtà eravamo in tre: io, Annalisa e Ghila, era un "viandante trino"…) sta facendo un percorso tutto suo. Cioè quello è non solo il diario di cose viste e fatte, ma in realtà lo è di ciò che accadeva man mano che vedevo, vedevamo, e facevo determinate cose e incontravo certe persone, che dice quel che ciò suscitava in me, in noi, allora è anche un po' una auto-analisi in un ceto senso. Cosa sono andato lì a fare? di cosa sono andato in cerca? sono sufficientemente aperto e disponibile a lasciarmi cambiare da tutto ciò? è sufficiente che io voglia, che io parta con questo intento (e dico proprio intento anziché solo intenzione) di compiere un percorso che alla fine mi abbia fatto diventare un po' diverso, un po' altro, più comprensivo rispetto a quando sono partito. E' sufficiente? oppure come si fa? come si fa a farsi implicare, a farsi coinvolgere? E mi sono rifatto alla interpretazione che Josef Campbell da del "viaggio dell'eroe".
E allora in questo senso mi sembra che questo libro possa anche avere interesse in campo formativo, essendo stato questo un percorso di formazione, proprio come è detto nel sottotitolo. Di formazione perché? che cos'è la formazione? è qualcosa che si innesca nella misura in cui ci si mette alla prova di fronte a ciò che è imprevisto o che comunque è altro rispetto al consueto. E quindi lo specchiarsi in un'altra cultura, l'andare a cercare (se posso esprimermi in questo modo) il massimo della differenza, ha senso proprio per il confrontarsi con quella. Ed è difficile. Poi si mettono dentro nel nostro mondo interiore dei semi che magari germoglieranno molto lentamente col tempo. E per quanto si faccia un viaggio lento, comunque non è detto che si comprenda veramente quel che sta smuovendosi dentro man mano che le cose accadono, spesso ce ne si rende conto dopo il ritorno, con lo sguardo del poi, con gli occhi del dopo…
al mercato degli animali e del bestiame fuori Otavalo
Ma, come dicevo, è anche leggibile semplicemente come un diario di viaggio convenzionale, nel senso che se voi vi siete incuriositi di voler sapere qualcosa su che cos'è la cultura india delle Ande, qua trovate degli spunti, degli stimoli. E allora torno però di nuovo alla problematica pedagogica: che cosa incide di più in un lettore, un fruitore, un auditore, se vogliamo comunicare per esempio, appunto, come "è fatta" una cultura "altra"? un'opera saggistica, che in seguito a una grande riflessione, ad una analisi, ad un tentativo di sistematizzazione di dati, condensa e dice subito e a chiare lettere qual'è la valutazione che l'autore è arrivato a formulare su quella data ricerca da lui compiuta? oppure -per essere meno autoritaristici- un racconto, un racconto di un percorso, riferito in modo discorsivo? perché appunto qui io più che altro racconto di discorsi che abbiamo fatto con queste varie persone. E poi si lascia a ciascuno valutare, si mostrano determinate situazioni che si possono ritenere paradigmatiche o comunque significative, che possano costituire degli inputs, possano costituire degli stimoli, possano sorprendere magari, possano "stranire" in un certo senso, e si lascia a chi ne sta fruendo la libertà di rielaborare ciò che vuole raccogliere, e dunque -non solo rispettando il suo percorso, che è sempre individuale, così come è individuale il mio- rispettando il percorso di ciascuno, fornire gli strumenti perché si possa compiere la propria rielaborazione, che è quella che per noi dota di senso il discorso complessivo.
(continua)