Formazione e mitologia in
Joseph Campbell (1904 - 1987)
J.Campbell non è ancora abbastanza conosciuto e
riconosciuto in Italia, o non almeno quanto
meriterebbe. Ho ripreso a leggerlo e ho approfondito lo studio delle sue opere,
in particolare mentre preparavo i miei ultimi corsi universitari prima del
pensionamento, e stavo scrivendo il mio libro “Le maschere e gli specchi”, sui
processi di formazione delle identità (a livello individuale e collettivo), per
cui avevo ripreso a riflettere sui miti. E ora in occasione del vicino 30°
anniversario della sua morte, che sarà a fine ottobre '17, ho pubblicato un libro
su di lui, per l’editore Moretti&Vitali, col titolo
“La Forza del Mito - l'eroico viaggio di Joseph Campbell attraverso la
mitologia comparata” (vedi Post precedente, qui più sotto).
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Lo statunitense Joseph Campbell fu uno studioso di mitologie comparate, che analizzò le funzioni dei miti compiendo raffronti non solo tra contesti culturali geograficamente lontani tra loro, ma anche e sopratutto in contesti storici differenti. Uno studioso che andò controcorrente occupandosi più delle similitudini che non delle diversità.
Il contributo di JC è consistito innanzitutto nel promuovere una acquisizione di consapevolezza delle funzioni svolte appunto dalle narrazioni mitologiche nella strutturazione delle culture, cioè nel processo (se lo riconosciamo) di evoluzione culturale della umanità. In questa luce ho voluto rileggerlo proprio in quanto sono storico della pedagogia, per focalizzare il contributo egli ha dato -e può ancora dare- ad una analisi su quali siano stati i processi formativi ed educativi che si sono avuti nel lungo periodo, e quindi anche per compiere uno studio storico-comparativo dei vari percorsi formativi che hanno segnato le differenti civiltà. Il suo modo di intendere gli studi comparativi incrociati tra varie culture (cioè i Cross-Cultural Studies) era molto vicino a certe attuali concezioni dell' intercultura.
Il contributo di JC è consistito innanzitutto nel promuovere una acquisizione di consapevolezza delle funzioni svolte appunto dalle narrazioni mitologiche nella strutturazione delle culture, cioè nel processo (se lo riconosciamo) di evoluzione culturale della umanità. In questa luce ho voluto rileggerlo proprio in quanto sono storico della pedagogia, per focalizzare il contributo egli ha dato -e può ancora dare- ad una analisi su quali siano stati i processi formativi ed educativi che si sono avuti nel lungo periodo, e quindi anche per compiere uno studio storico-comparativo dei vari percorsi formativi che hanno segnato le differenti civiltà. Il suo modo di intendere gli studi comparativi incrociati tra varie culture (cioè i Cross-Cultural Studies) era molto vicino a certe attuali concezioni dell' intercultura.
Campbell già sin dall’inizio delle sue riflessioni e dei suoi studi è andato oltre l’ambito delle mitologie classiche. Quando si parlava sessanta-settant’anni fa di mitologia, immediatamente si pensava esclusivamente alle mitologie greche e romane. Campbell è andato oltre i classici e anche oltre l’ambito delle leggende medievali, di storie sacre e profane, cui dedicò i suoi studi per il dottorato a Parigi e a Monaco. Ha prestato attenzione in primis alla struttura e ai contenuti dei miti dei popoli originari nordamericani, operando un confronto incrociato. E poi occupandosi a fondo delle antiche civiltà dell’India in qualità di curatore delle opere incompiute di H.Zimmer.
Ha messo in evidenza la perennità di numerose narrazioni mitiche ed ha evidenziato certi motivi ricorrenti che sono tradizionalmente passati attraverso cerimonie, canti, e poesie. Ma in seguito, dopo questa indagine storico antropologica, ha sùbito sottolineato come non si tratti solamente di studiare i miti come prodotti culturali del passato, bensì come in effetti continui ad esserci la presenza vitale di miti anche nelle culture dell’Età Moderna, fino alla nascita della forma del romanzo e al suo formidabile sviluppo. E ha allargato i suoi studi anche individuando i miti di questa nostra epoca contemporanea, nella quale la produzione e la proposizione di miti è ben presente e diffusa non solo tramite i media di comunicazione audio-visuali (basti pensare alla importanza della funzione formativa di narrazioni diffuse tramite il teatro, l’opera lirica, le canzoni, e poi radio-cinema-televisione, e le immagini pubblicitarie).
Dunque si assiste ad un continuum nell’elaborare incessantemente nuove narrazioni di stampo mitologico o leggendario, con nuovi (o riciclati) personaggi di racconti popolari o per es. in opere letterarie come erano -nella sua gioventù- quelle di J.Joyce, Th.Mann, H.Hesse, eccetera, e infine nell’ambito dell’industria cinematografica. In certi casi alcuni miti sono ancora presenti (come p.es. il mito di Ercole, di Ulisse, di Prometeo, o il ciclo di re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda, o il mito del Cid, o le agiografie dei santi, ecc.). Ma quel che è più interessante è che la produzione e proposizione di modelli di riferimento emblematici continua ancora in questi stessi nostri ultimissimi anni, in questa fase di travolgente sviluppo tecnologico e informatico, a cui abbiamo accesso tramite la grande diffusione dei personal computers, e di internet. L’atto creativo mitopietico dunque per Campbell è inarrestabile, proprio in quanto è connaturato ai processi cognitivi dell’essere umano (e dunque continuerà attraversando i cambiamenti sociali).
Dunque si assiste ad un continuum nell’elaborare incessantemente nuove narrazioni di stampo mitologico o leggendario, con nuovi (o riciclati) personaggi di racconti popolari o per es. in opere letterarie come erano -nella sua gioventù- quelle di J.Joyce, Th.Mann, H.Hesse, eccetera, e infine nell’ambito dell’industria cinematografica. In certi casi alcuni miti sono ancora presenti (come p.es. il mito di Ercole, di Ulisse, di Prometeo, o il ciclo di re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda, o il mito del Cid, o le agiografie dei santi, ecc.). Ma quel che è più interessante è che la produzione e proposizione di modelli di riferimento emblematici continua ancora in questi stessi nostri ultimissimi anni, in questa fase di travolgente sviluppo tecnologico e informatico, a cui abbiamo accesso tramite la grande diffusione dei personal computers, e di internet. L’atto creativo mitopietico dunque per Campbell è inarrestabile, proprio in quanto è connaturato ai processi cognitivi dell’essere umano (e dunque continuerà attraversando i cambiamenti sociali).
Campbell fu uomo dagli interessi e conoscenze
vastissime, ed anche perciò è impossibile qui riferire in breve i contenuti
delle sue opere (più di una trentina di volumi). Qui accennerò solo ad uno
degli argomenti problematici e complessi di cui si è occupato.
Dopo la
pubblicazione del suo primo libro sul tema mitologico dell’Eroe, intitolato “L’eroe dai mille volti” (ultimato
nell'autunno del 1944 ma uscito nel 1949), in cui indicava i parallelismi e le
similitudini tra i filoni narrativi di certi miti che trattano quel tema, nel
corso dei tempi e anche in contesti culturali (apparentemente) senza contatti e
scambi tra loro. Come disse Stanislav Grof: Campbell si chiese che cosa ha reso
certi paradigmi universali? E in particolare perché per es. il tema del viaggio
eroico attrae le più differenti culture?
La proiezione di sè stessi in un protagonista
emblematico con cui ci identifichiamo, e che trovandosi in difficoltà affronta
delle avventure, trova soluzione per un problema nuovo, e conquista dei risultati, è una trama costantemente
presente. Queste fantasticherie vengono socializzate con narrazioni che han
sempre costituito il tramite per comunicare, per mezzo di simboli, alcuni
valori di riferimento collettivi, e proporre insegnamenti e filosofie pratiche
di vita.
Campbell ha ribadito che i racconti mitici, come anche le storie sacre e profane, non descrivono poeticamente solo persone ed eventi ispirati a quelli reali, ma sono sopratutto narrazioni di tipo metaforico che comunicano attraverso la loro ricchezza simbolica. Sono dunque sì intriganti racconti di cui si interesserà lo studioso di letteratura, ma Campbell ha saputo cogliere che non sono solo storie inventate, immaginarie, e dotate di grande fascino e attrattiva, né vanno letti come fossero reportages storici, ma ha precisato che la lettura che ne compie la psicologia risulta una interpretazione particolarmente rivelativa di significati e messaggi sotto traccia. In particolare lo è l'esegesi del mito in chiave psicoanalitica, anche perché secondo lui i contenuti dei miti sono comparabili ai contenuti delle grandi -e a volte forse folli- visioni. Come potevano essere quelle di Ezechiele, di Giobbe, di Daniele, o di Zarathustra, o in età moderna quelle di William Blake, di Füssli o di John Milton (ma ai nostri tempi si pensi ad es. a quelle di personaggi da Lejzer Zamenhof a Gurdjeff e alla Blavatsky; si pensi alle visioni de "il Profeta" di Kahlil Gibran; e inoltre alle grandiose visioni di Gandhi, oppure di Chaplin nel discorso alla fine del film "Il grande dittatore"; o anche si pensi a scrittori -oltre a quelli già citati- come Tolkien o Philip Dick; o ai grandi artisti in pittura, si pensi a Bosch o Brueghel o Dalì o Escher, ma anche scultori, musicisti, coreografi eccetera, e a certi famosi cineasti; o alle visioni di grandi inventori, da Edison a Lumière, da Turing a Steve Jobs ). E anche i grandi miti sono a suo parare comparabili alle sequenze oniriche, in particolare ai sogni più significativi che coivolgono intere comunità sopratutto in periodi di forti mutamenti sociali (si pensi al grande sogno del re Nabucodonosor, o a quello del dio hindu Vishnu, o ai vividi grandi sogni di Alce Nero, o di Martin Luther King con il suo "I have a dream!", ...). Infine consideriamo oggi i personaggi eroi del cinema come l'agente 007 o Bowman, Luke Skywalker, o Indiana Jones, Fitzcarraldo, o Ethan o Doc o Neo... che hanno impressionato, affascinato e fatto sognare il pubblico del mondo intero.
L'àmbito dei sogni e delle grandi visioni,
presenta immagini che sgorgano dal nostro mondo interiore, e Campbell è un
assertore della unità psichica del genere umano. Ma se pensiamo alla cronaca
quotidiana ci chiediamo come si possa parlare anche solo -ad es.- di una unitaria
civiltà del Mediterraneo? (come fece Braudel). E’ invece plausibile in quanto –oltre
alle antiche radici (Ulisse, gli eroi greci, Enea, o l'arabo Sinbad il
marinaio, o le leggende sul Cid)– se solo consideriamo il fatto che lungo le sue
coste, sia gli ortodossi che i cattolici e i protestanti, e anche i musulmani,
hanno per sacro un medesimo testo con dunque i medesimi racconti mitici, che
sono i libri dell’antico testamento ebraico. Per es. da quella unica matrice, o
fonte, sono scaturite leggende e storie “sacre”, e narrazioni, che hanno molti
parallelismi tra loro (penso agli innumerevoli spunti presi dalle storie
di Noé, Giacobbe, Giuseppe, Davide, Giona, Mosé,…). E allargando poi la
visuale ai cinque continenti, Campbell ha sostenuto la tesi della fondamentale
unità del genere umano –che sta a monte delle distinzioni tra popoli
bianchi, neri, gialli, rossi o marroni o mulatti– non solo sotto il profilo biologico,
che ora è studiato per es. dai ricercatori nel campo delle neuroscienze, ma
concependo una unità umana anche per quanto riguarda la componente psichica
(cfr. la sua opera Le Maschere di Dio in 4 vols, e Mythogenesis).
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKOKhItj3BceQ0S1SW2sdXIufP_zMKVx7FiReIDC2GOuATBSdXhWgp9yoLqtp2SXCgFP4uzzcoVonclZqNwcpHur87UVAPwihUbB1wPM23BnEz14aa1VyFEMP8_nGwY_cK92QbjESI0jM/s400/mythos1-4vhs.jpg)
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Considerando
che non solo il DNA mitocondriale, o le funzioni cerebrali, o l’apparato fonatorio,
ecc. sono gli stessi a tutte le latitudini e in tutte le epoche, ma anche che i
meccanismi psichici sono i medesimi in tutti gli esemplari della nostra specie
Homo Sapiens-sapiens. Inoltre anche moltissime idee, pensieri, capacità, ecc., erano
similari già in epoche arcaiche nei prodotti delle facoltà immaginative, se
solo si pensa che p.es. certi disegni complessi incisi nelle rocce, e che
risalgono a 32 mila anni av.C., e le sculture delle cosiddette “Veneri
preistoriche” che risalgono a circa 24 millenni av.C. mostrano di attingere ad un
"deposito" di figurazioni e di simboli molto simili tra loro. Perciò
Campbell ha studiato quelle narrazioni risalenti alla "notte dei tempi",
che si tramandavano da innumerevoli generazioni in popolazioni che ancora a fine
Ottocento e all’inizio del Novecento vivevano secondo la cultura materiale e le
modalità sociali del Neolitico, ad es. in territori artici o nelle fitte
foreste pluviali equatoriali, o in pianori aperti, o a grandi altitudini
montane, e che solo da pochissimo avevano avuto i primi sporadici contatti con
individui giunti dall’ esterno. (cfr. tra gli altri i rapporti
di Frazer, Rasmussen, Bastian, Frobenius, e Malinowski, Kroeber, Ròheim, Devereaux
…eccetera, e si pensi ai primi studi etnografici su popoli aborigeni allora poco
noti dei cinque continenti ... di solo un secolo fa...).
E questo suo riconoscere motivi ricorrenti di
lunghissima durata, è dovuto al fatto che i temi e le problematiche delle
narrazioni mitologiche scaturiscono appunto dagli strati più profondi della
psiche umana, dove sono depositate una miriade di immagini e di
rappresentazioni. Esse ci parlano dunque di noi stessi, ovvero sono in effetti
narrazioni che emergono dall’interiorità più profonda e in ombra e che si
affacciano alla nostra mente affiorando fino al livello della nostra coscienza,
ed in cui poi noi stessi ci rispecchiamo.
I temi e le problematiche che intessono queste
grandi narrazioni ci parlano spesso con una grammatica particolare ed una loro
proto-logica di tipo non-consequenziale ma che procede per associazioni,
esprimendosi spesso in modo enigmatico sotto forma di simboli e di metafore. E
non sono tematiche che riguardino solo dilemmi contingenti o individuali, ma ….
sono generati da emozioni di base e sono perenni nella successione delle
generazioni, anche se vengono comunicate sotto forme variate con diverse
espressioni e personaggi. Certamente i primi appartenenti al genere Homo
erectus, e anche i predecessori ominidi, sognavano durante il sonno ed
elaboravano un loro immaginario che ne avrebbe influenzato i pensieri e i
comportamenti (ma p.es. pensiamo anche al concetto della
cosiddetta vicarianza di Berthoz).
Dunque perché i miti primordiali sarebbero così
importanti? e come incidono certi simboli sul subconscio e l’inconscio di un neonato
e poi di un bambino ? (per non dire degli adulti).
Campbell
già in un saggio del 1951 (Bios e Mythos) conferisce enorme importanza
al fatto che nel genere umano, a differenza da altri mammiferi, si partorisca
in una fase in cui il feto non è ancora del tutto completato sul piano
fisico-organico, per cui poi anche lo sviluppo sul piano psichico comincia già
quando ancora lo sviluppo neonatale non è maturo (si tratta della neotenìa
studiata dall’olandese L.Bolk nel ’26, e poi da N.Tinbergen, e dallo svizzero A.Portmann
negli anni ’40). Almeno rispetto ai cuccioli di altre specie di mammiferi, in
cui la primissima condizione alla nascita, si completa nell’arco di poche
settimane o di qualche mese producendo rapidi cambiamenti. Questa cosiddetta
nostra venuta al mondo “troppo” immatura, in cui si perfeziona e completa la
fisionomia del feto al di fuori del ventre materno (il che determina poi una
condizione infantile prolungata, e questo è il significato del termine
neotenìa), fa sì che nella nostra specie sia molto forte il fenomeno di un
imprinting socio-culturale estremamente precoce, e perciò profondo.
Pertanto si può dire da un lato che questo
presenta lo svantaggio di non essere
noi umani sufficientemente dotati di
meccanismi stimolo/risposta innati o “chiusi” (=gli “istinti”, o meccanismi
attivatori ereditari) per cui il nostro nuovo nato è assolutamente inabile per
tutto il primo anno di vita, e non è in grado per nulla di provvedere a sè
stesso per almeno due anni e mezzo / tre (la sua stessa alimentazione, la sua
autonomia nel riconoscere pericoli, ecc); ma d’altro lato è un vantaggio
il fatto che la “natura” umana sia perciò in gran parte anche di tipo
culturale, cioè composta -oltre che di istinti e impulsi- anche di impressioni
apprese, utili per la sopravvivenza e per l’integrazione nella rete sociale di
riferimento, cioè gli imputs ambientali e sociali (su
questo v. anche L.L.Cavalli-Sforza) e le emozioni che li accompagnano, sono
determinanti nel stabilire connessioni neuronali, e nell’ imprimere un segno,
una traccia, indelebile nella psiche neonatale dell’individuo in formazione.
La
struttura di ogni individuo umano dunque rappresenta un amalgama indissolubile
di fattori biologici ereditari e di fattori culturali tradizionali dovuti ad
imprinting, ed essi sono inconcepibili gli uni senza gli altri.
Ricapitolando, nel genere dei primati
ominidi e poi nella specie umana, si è sviluppata in modo “abnorme” la
dimensione del cranio, rendendo molto difficoltoso e rischioso, o impossibile
il parto nei tempi necessari per la maturazione del feto, che ha quindi portato
ad una soluzione precoce della gestazione. Da qui l’entità dell’influenza
socioculturale, il che può dar luogo a maggiori imprinting più profondi che non in altre specie. Quindi
non abbiamo così tante reazioni stereotipate a chiave/serratura, il che rende più
aperta la struttura stimolo/risposta, e rende i meccanismi meno rigidamente
strutturati. Per cui si può dire che la “natura” psico-somatica dell’essere
umano sia appunto anche di origine socio-culturale, oltre che organica. Di
conseguenza le prime “impressioni” e i primi apprendimenti si “fissano” nella
mente e a livello emotivo, con maggior forza. Ma nel contempo siamo meno
rigidamente "predeterminati" e “conservatori” degli altri animali. La
maturazione all’ esterno del grembo materno, rendendo possibile e stimolando, l’evoluzione
del cervello, è forse ciò che ha portato allo sviluppo dei lobi frontali e
della neo-corteccia, che ci consente di cercare di tenere maggiormente sotto
controllo i nostri impulsi o almeno di procrastinare la soddisfazione dei
nostri obiettivi. Perciò queste problematiche sono state studiate con
attenzione anche dagli psicologi dell’età evolutiva e dagli studiosi di scienze
della formazione. Ora sappiamo che molti cuccioli di mammiferi superano in
qualità di sviluppo e di capacità di apprendimento qualsiasi infante umano,
perlomeno fino a che il nostro sviluppo mentale non risulta completato; mentre
poi a partire dai due anni e mezzo / tre il nostro cucciolo inizia a
distanziarli tutti, nettamente, anche i primati superiori a noi più simili, e
diviene presto per loro irraggiungibile. E ciò anche perché, come si dice,
l'Uomo è incompiuto, e si forma e modella e perfeziona, in parte, "da sè
medesimo", secondo moduli di auto-organizzazione.
E' notevole che Campbell abbia
còlto l'importanza degli studi di Bolk, poiché a suo tempo l'anatomista
olandese (morto nel 1930) era rimasto poco notato non solo
negli ambienti umanistici (interessati
ai risvolti implicati dalla sua concezione), ma anche negli stessi ambienti scientifici, e tardò
molto la sua rivalutazione. Per cui l'attenzione data da Campbell risultava,
per il 1944/49 (quando ne scrisse nel
Prologo all'Eroe dai mille volti, pp.
13-14), e poi in
questo saggio del 1951, molto avanzata, ed è stata dovuta alla conoscenza
dell'etnologo e psicoanalista Géza Ròheim (Origin and Function of Culture, 1943/45) e poi del biologo Portmann (avendo letto un suo intervento al convegno Eranos
del 1947, Das Ursprungsproblem), il quale pure tardò a ricevere
il dovuto riconoscimento.
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgXB0n_xsMhCujIb3GP7RW-l3FPBmx7l0q850AwrUsfC5cQoVBPw1_t_LpxndPa9cVrV7vIw-NCDe23Zw_gVMhYXJycEg76_6_tzOLWdOHSDJUovHf9rPFQYoKOS7BYjQd7mvlOw0pv90Y/s400/Power+of+Myth_DVD.jpg)
In particolare dunque, ciò che qui ora più ci interessa è che i sistemi mito-rito, sistemi ricorsivi, cioè costituiti da impulsi ricorrenti standardizzati, stimolano una reazione da parte del sistema nervoso, che sollecita un processo formativo più aperto e complesso rispetto ai meccanismi reattivi predisposti. Quindi la interazione precoce con i segnali provenienti dall’ambiente (naturale e sociale), si rivela fondamentale. Il ritrovarsi immersi in una foresta di simboli (espressione di V.Turner), esercita le capacità di decodificazione, e stimola retroazioni (ovvero i feedbacks) che disegnano sempre più complesse mappe cognitive.
Per cui da un lato il fenomeno della
maturazione rallentata come caratteristica specifica umana, promuove
l’evoluzione culturale (come anche l’evoluzione dei vari tipi di intelligenza
prettamente umani). D’altro lato in questo quadro si rendono di
importanza capitale le comunicazioni di tipo metaforico e simbolico
caratteristiche dei riti e dei miti, che forniscono modelli di riferimento, e
rendono capaci di saper affrontare problematiche, proponendo modelli attraverso
le narrazioni di percorsi e processi standardizzati e convalidati
dall’esperienza. A questo propositosi veda p. es. appunto la simbolica del
Grande VIaggio dell’Eroe con i suoi stadi e il suo attraversamento di continue
messe alla prova, quindi la narrazione del mito come tentativo di
"spiegare" il mondo. Ma oltre a questo aspetto "adattativo"
e "conformistico" del processo di integrazione sociale (come già
aveva intuito Durkheim), per Campbell c'è anche lo sviluppo della capacità di
ricombinare le tessere o “mattoni” costituenti i vari mosaici figurativi, per
saper poi affrontare anche problematiche nuove e inattese. Campbell ritiene importante la distinzione tra
immagini che agiscono sulle strutture del sistema nervoso come attivatori di
energie, e quelle che servono invece a trasmettere idee e pensieri. “La poesia
–scriveva il filologo A.E. Housman– non sta in ciò che si dice, ma nel modo in
cui lo si dice”, e più oltre: “l’intelletto non è la fonte della poesia, anzi
esso può in realtà ostacolarne la produzione”. «Con ciò –scrive Campbell– [Housman]
non fa che riaffermare e formulare con lucidità il primo assioma delle arti
creative (si tratti di poesia, musica, danza, architettura, pittura, scultura,
canto, o teatro) secondo cui l’arte non è un sistema logico di riferimenti, ma
una liberazione da essi e una espressione di esperienze immediate, ovvero la
presentazione di forme, immagini, e ideazioni in modo che esse comunichino in
primo luogo non un pensiero ma un’impressione». ( ... )
Per questo
Campbell rende omaggio agli antichi poeti, ai cantori, ai veggenti, ai vati, ai
profeti, ai contastorie, e a tutti coloro -uomini e donne- che tramandarono nel
tempo il sapere, la competenza nel fare, e la saggezza dei padri e degli
antenati, cercando di formare nuovi eroi preparati a nuove sfide inedite del
destino.
Quali sono
gli elementi-base che ci hanno forgiato nel lento e faticoso procedere della
evoluzione umana? Quali gli imprinting e quali le nostre potenzialità di
sviluppo? Quali dunque le prime e indelebili impressioni? Chi, che cosa, ci ha
formato tutti noi esseri umani nelle nostre esperienze, e educato a servirci
degli stumenti di cui disponiamo?
A.Portmann
in un suo intervento ad un convegno Eranos del 1953, su “La Terra in quanto
dimora della vita”, ha sottolineato quel che Campbell definisce una
osservazione semplice quanto importante: che una forza, una energia, che non è
mai assente dall’esperienza umana, è la forza di gravità. E' questa una delle grandi potenze incontrastabili
della Natura del nostro mondo. («La quale non solo
agisce continuamente su ogni aspetto delle attività umane, ma che ha
determinato fondamentalmente la stessa forma del corpo, e di tutti i suoi
organi».
Portmann, Die
Tiergestalt, La forma degli animali, del 1948)
Campbell
scrive che una seconda potente forza
ordinatrice, è «l’avvicendarsi quotidiano di luce e di
oscurità, [che] costituisce un fattore ineluttabile di esperienza, al quale
aggiunge certo un considerevole valore drammatico il fatto che di notte il
mondo dorme, è in agguato il pericolo, e la mente si immerge nel regno dei
sogni, la cui logica differisce da quella del mondo della luce. (…) Senza dubbi
il sogno ha impregnato di sè il mondo del mito (…)».
E prosegue dicendo
che «l’alba e il risveglio da questo mondo di sogni, devono
essere sempre stati collegati al Sole
e al suo sorgere. Le paure e gli incantesimi sono scacciati dalla luce, che
l’uomo ha sempre visto provenire dall’alto, e offrire guida e orientamento.
Quindi
l’oscurità, e il peso, l’attrazione della gravità, e il buio all’interno della
terra, della giungla, o del mare profondo, e con essi certe paure –e piaceri–
intensissimi, [scriveva Campbell] devono aver costituito per millenni una
sindrome stabile dell’esperienza umana (…) Di qui nasce una polarità, di luce e
ombra, alto e basso, direzione e perdita d’orientamento, fiducia e paura, (…). Anche
la Luna e lo spettacolo del cielo
notturno, le stelle, e la Via Lattea, debbono certo esser stati fin dagli inizi
una fonte di meraviglia e di impressioni profonde. Ed inoltre esiste una influenza
fisica effettiva della Luna sulla Terra e sulle sue creature, sulle maree e
sulle nostre “maree” interiori, che da tempo è riconosciuta sul piano
cosciente, e sperimentata a livello inconscio. La coincidenza del ciclo
mestruale con quello lunare è una realtà fisica che influenza la struttura
della vita umana (…). Il mistero della morte
e resurrezione, anche della luna, e la sua influenza su cani, lupi, volpi,
sciacalli, e coyotes, che la salutano con il loro canto notturno: questo disco
d’argento immortale e meraviglioso, che passa tra le stelle e attraversa le
nubi più alte, trasformando così la vita reale in una sorta di sogno, è stato
nella formazione della mitologia una forza e una presenza (…). Il contrasto di forma fisica e di sfere di
competenza tra maschio e femmina è
certamente un altro universale, e non solo dell’esperienza umana (…). Quanta
parte di quello che tutti conoscono a questo proposito, è frutto di imprinting,
e quanta parte è dovuta ad immagini ereditarie ?»
Un altro
insieme di esperienze formative fondamentali che incide con suoi imprintings
sul nostro atteggiamento verso la vita è dato per Campbell dalle fasi del ciclo di vita.
Gli stadi di
crescita e di progressione dei periodi biologici segnano in profondità la
nostra psicologia. Il tempo di vita è scandito in almeno tre periodi: «il primo
dal fascino ingenuo, il secondo con la sua maturità e competenza, e il terzo
con la sua debolezza fisica ma anche con la sua saggezza». Vi sono delle
esigenze inevitabili e quindi universali che troviamo segnalate dai riti di passaggio
da una fase all’altra, con i loro miti, presenti in ogni luogo, popolo e
cultura (cfr. van Gennep, Eisenstadt, Erikson, ...).
A questi elementi
potremmo aggiungere le osservazioni che ogni essere umano ha compiuto a
riguardo dei vari tipi psicologici con
cui si è confrontato (che sono state variamente indicate da sempre, ma per le
quali Campbell trova che le migliori caratterizzazioni siano quelle indicate in
epoca antica dalle interpretazioni indiane dello Yoga classico, e in età moderna
da Jung). Campbell inoltre sviluppa una sintesi storica delle varie epoche preistoriche
e protostoriche che caratterizzano le prime culture umane: raccogliotori,
cacciatori e pescatori, orticoltori, allevatori, e coltivatori, nelle diverse aree naturali e climatiche. Questi
contesti ambientali (naturali e social) contribuiscono a determinare
imprintings locali molto forti incidendo sulla contestualizzazione della
simbolica presente nei miti.
Inoltre pensiamo
a quanti miti, leggende, storie, in ogni epoca e latitudine sono state
raccontate partendo da queste fondamentali impronte delle esperienze formative?
non è possibile contarle, tanto più se volessimo mettere in conto anche quelle
che si sono perdute, svanite nel tempo.......... : sono incommensurabili.
Questi
elementi portano alla conclusione che il neonato d’uomo sin dalla sua nascita
precoce è “esposto” al mondo, e, nello specifico che qui interessa, alle
influenze e impressioni esercitate dai suoni, dalla voce, dai ritmi, dalla
musica, dalla danza, dai canti, dai segnali del linguaggio corporeo e
espressivo, e anche dai racconti dei miti e delle fiabe. Di cui coglie il
pathos. Poi, cresciuto fisicamente abbastanza da potersi comportare come un
cucciolo della nostra specie, questi elementi divengono presto parte
costitutiva del suo sentimento di identità personale (inizialmente tramite la
sua identificazione col nome che gli viene attribuito) e di gruppo (con l' identificazione
delle singole figure di riferimento), e le impronte che essi lasciano sono
praticamente indelebili.
Inevitabilmente
attraverso la rappresentazione che tali elementi forniscono del mondo, viene
reso possibile al singolo individuo (e al singolo gruppo o comunità)
interpretare il mondo. Non appena il piccolo è in grado di decodificare
messaggi verbali complessi come quelli del nucleo semplice di una fiaba o di un
mito, essi servono anche per affrontare gli eventi, e i nuovi problemi che si
presentano, per i quali essi indicano alcune modalità per superarli. A volte
essi portano più tardi anche alla ricerca di formule espressive nuove in cui
incanalare la creatività e la immaginazione di segni e di simboli inediti o che
dotano di nuovi significati, e di nuove narrazioni. Così la mitologia si
rinnova. Comunque alla base ci sono quegli imprintings sopracitati, impressi
nella psiche e nella mente dalle esperienze compiute più significative.
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(su questi temi si veda l’intervento di
Campbell ad un colloquio Eranos del 1959 ad Ascona sul lago Maggiore, sui miti
dei popoli cacciatori e dei primi orticoltori e coltivatori; e "La Mitologia primitiva", primo
volume de “Le Maschere di Dio”, anch’esso dello stesso anno 1959, in
particolare nei primi due capitoli della Parte Prima).
Perciò si può ben capire come mai Campbell amasse
sovente citare quel brano di Schopenhauer in cui nel 1851 scriveva che: «(...) le esperienze e le folgorazioni della infanzia e della
prima gioventù divengono nel proseguire della vita, una sorta di standards
e di modelli per tutta la successiva conoscenza ed esperienza, e pertanto delle
categorie in base alle quali le cose vengono classificate. Non sempre
coscientemente, tuttavia. Ed è così che negli anni della nostra infanzia
vengono posate le fondamenta della nostra susseguente visione del mondo, e
anche della sua superficialità o profondità: il che più tardi negli anni verrà
svolto, e sviluppato, ma non cambiato nella sua essenza.» (in Parerga und
Paralipomena, kleine philosophische schriften)
In definitiva Campbell con tutto ciò
che riassumevo più sopra, riafferma il concetto della unità della nostra specie, che viene confermata non solo dalla
storia biologica ma anche da quella delle concezioni spirituali. Tematiche come
il furto del fuoco, il grande diluvio, l’immaginario su un mondo dei morti, la
protezione da parte di spiriti potenti, il ricordo di un eroe salvatore, si
ritrovano nei miti di ogni tempo e di tutto il mondo, anche alla luce delle
scoperte più recenti.
Aggiungerei che più in generale, nei
contesti tradizionali, specialmente dove vige la predominanza di una cultura di
tipo orale, vi sono elementi culturali di base di forte impatto formativo,
quali l’intreccio tra gestualità e linguaggio nella comunicazione, l’uso
costante del linguaggio corporale e mimetico, le tonalità della voce, l’imitazione
dei richiami animali, le veglie serali con le loro narrazioni, l’immaginario
collettivo, il folklore (cerimonie, rituali, usi e costumi, …), le consuetudini
di apprendistato del saper vivere, del saper fare e delle tecniche dei
mestieri, la stagionalità, la conoscenza del contesto ecologico (materiali,
legni, pietre, terre, acque, frutti, fiori ed erbario, sapienza culinaria,
pratiche di cura, ecc…) ed etologico (conoscenza dei comportamenti delle varie
altre specie con cui gli esseri umani condividono i territori), eccetera...
Come sappiamo, già per Vygotskij è
basilare per il processo formativo il contesto culturale, che fornisce gli
strumenti linguistici, e le fondamenta per lo sviluppo della logica, concezioni
che poi Jerome Bruner riprese a ampliò riconnettendole alla concezione di
Piaget sulla base biologico-naturale. E per Bruner gli strumenti primari per
accedere ad una cultura sono appunto le narrazioni.
Tra il 1972 e il '73 Campbell tiene
delle conferenze in cui nuovamente sottolinea che una delle funzioni
fondamentali della mitologia è quella «pedagogica, che dà all’individuo un modo
per connettere il mondo interno psicologico, al mondo esterno fenomenico. Come
ho tentato [altre volte] di suggerire, la pedagogia delle tradizioni da noi
ereditate, oggi però non funziona più per tutti; pertanto, dobbiamo elaborare
la nostra specifica pedagogia » [parallelamente a una nostra nuova mitologia] (Campbell
in Percorsi di felicità, p.121).
Per terminare questo mio intervento su intercultura e educazione, si consideri che Campbell oltre che
ricercatore fu anche un importante e attivissimo promotore di una educazione
aperta e sperimentale basata sul dialogo, nei quasi 4 decenni in cui fu
insegnante al “Sarah Lawrence College”
femminile (dove aveva studentesse protestanti, cattoliche, ebree, e anche
alcune di altre provenienze religiose, nonché non poche studentesse
recentemente immigrate da vari paesi), e tenne corsi per adulti al Forum di
cultura popolare “Cooper” a New York, e all’Istituto di formazione permanente “Esalen” in California, entrambi
frequentati da persone di ogni origine e livello socio-culturale.
Campbell inoltre fu anche un attivo assertore
della importanza capitale di una impostazione educativa multidisciplinare e di
metodologie di tipo interdisciplinare, che praticò con entusiasmo incessante
per tutta la durata della sua vita.
Uno dei suoi messaggi principali dunque è quello
di diffondere attraverso l’insegnamento e attraverso varie attività di comunicazione
rivolte agli adulti, più la conoscenza delle similitudini o dei parallelismi tra
culture diverse, che non quella delle loro divergenze. E di quanto possa essere
fruttuosa e stimolante in generale una operazione di comparazione incrociata
tra motivi culturali diversificati nelle loro trame e forme (e da lì cercare di
prendere coscienza anche dei simboli e delle metafore della umanità
contemporanea). Perciò utilizza i racconti mitici e leggendari (e le fiabe del
folklore) come testi narrativi di base da cui prendere le mosse.
Le poche sue opere che ho più sopra menzionato,
sono tutti testi avvincenti e anche piacevoli da leggere, e intendo questa mia
presentazione anche come invito per chi non li conoscesse a dare loro uno
sguardo, anche perché sono ricche di illustrazioni che le corredano come parte
integrante ed essenziale dei testi scritti, il che era inusuale per l’epoca in
cui i volumi erano usciti (in particolare "Le figure del mito", e i 5 tomi dell' "Atlante storico della mitologia mondiale,
l'ultima sua opera rimasta incompiuta, e mai tradotta ).
Quindi per Joseph Campbell sopratutto è importante fornire una -anche sommaria- ricognizione delle varie spiritualità delle religioni del mondo, delle filosofie, delle letterature, che va il più possibile sviluppata nelle scuole, nelle università, e nei media di comunicazione di massa, abituando il pubblico e le nuove generazioni a scorgere ciò che ci unisce o che ci fa sentire simili, e a imparare a compiere comparazioni su una base imparziale, e a lasciarsi stimolare dalla bellezza che è insita nella ricchezza delle varie espressioni dell’animo umano. Quindi accennare alle varie culture, spiritualità, e vicende storiche, alle diverse forme artistiche, e sopratutto raccontare le storie, leggende, e miti, di altre civiltà, magari quelle per noi più accessibili e facilmente comprensibili, facendo notare simboli e metafore e sottolineando gli elementi di similitudine e parallelismo pur senza tralasciare di far notare come messaggi di fondo comparabili possano venir espressi sotto forme e con modalità per noi inedite e inusuali, dotate tuttavia di una loro bellezza e fascino nella loro originalità.
Il suo messaggio di fondo pertanto, per quanto
riguarda l’interrelazione tra intercultura ed educazione, insiste su come sia
della massima importanza comunicare e trasmettere attraverso l’educazione (sia
primaria che ricorrente), una visione di ciò che è comune ad es. nella
struttura delle narrazioni delle varie culture, piuttosto che focalizzare (come
accade troppo spesso e troppo superficialmente) sull’analisi delle grandi differenze
e delle specificità che distinguono -e possono contrapporre- ciascuna
tradizione rispetto alle altre. Messaggio questo di grandissima attualità in
questi nostri anni di globalizzazione e di processi di mondializzazione in
atto, che portano facilmente con sè addirittura anche esiti di contrasti e di scontri
e conflitti tra civiltà, spesso in gran parte fondati sulla non-conoscenza e
quindi non-comprensione reciproca.
Bisognerebbe dunque riprendere a parlare
dell’unità del genere umano che sta alla base della nostra primaria
identità (cfr. E.Morin, L'umanità dell'Umanità, del 2001), e più che parlare
di nazionalità, parlare di culture e di civiltà, quindi sopratutto di discipline
scientifiche e umanistiche e spirituali, parlare dell'umanità . A questo
proposito penso che forse sarebbe oramai tempo che, dopo la Società delle
Nazioni e poi l'Organizzazione delle Nazioni Unite, costituite da rappresentanti
politici dei vari governi, si creasse (magari come sviluppo della Unesco) un
organismo multietnico e interreligioso per l'incontro dei popoli e delle
civiltà di tutta la Terra nel dialogo interculturale reciproco.
Sarebbe importante, e anche bello, mostrare che
le migliaia di storie che sono sbocciate e che fioriscono tutt’ora, come la
grande abbondanza di simboli nelle culture umane, possono esser viste in parallelo con la
meravigliosa ed esuberante ricchezza di forme che si ha in ambito biologico, e
che dunque le molteplici varietà vanno preservate come patrimonio naturale e
patrimonio culturale, materiale e immateriale, di questa nostra madre Terra, patrimonio
del quale non si può fare assolutamente a meno.
…………………………………
P.S. annnotazione aggiunta:
Nei miei più che quarant’anni
di insegnamento universitario, avendo operato in una facoltà di lettere e
filosofia, mi sono potuto rendere conto di quanto i giovani di oggi in generale
non siano minimamente al corrente della storia e della cultura degli altri
popoli e paesi (e della geografia), per non parlare appunto delle letterature o
delle filosofie persino di culture europee a noi vicine (come la filosofia e la
spiritualità ebraica, o la spiritualità delle chiese ortodosse dell'Est, o di
quelle protestanti del Nord, filosofie e letteratura russa, eccetera, oppure, per spingerci più lontano, delle
filosofie e spiritualità e letterature arabe, o indiane o della Cina o del
Giappone, o della cultura autoctona andina o delle culture africane, …). Comunque nella stragrande maggioranza delle università italiane questi campi non sono neppure presenti con un insegnamento di livello introduttivo e generale. Il che
sembra quasi inconcepibile in un contesto di integrazione continentale europea,
e di mondializzazione, qual'è quello attualmente in corso.
ABSTRACT
This paper is a survey of some ideas by Joseph
Campbell, and his works about comparative mythology. Advocating for the concept
of the unity of humankind not only on a biological basis, but also as it concerns
our psyche. It mantains that mythical stories and folk fairy-tales could help
to see similarities and parallelisms and can bring people to a better knowledge
of different expressions of human culture.
Sommario
Vengono
accennate alcune idee di J.Campbell tratte da sue opere di mitologia comparata.
Egli era un sostenitore del concetto di unità del genere umano, non solo sul
piano biologico, ma anche su quello psichico. Inoltre accolse la teoria della
neotenia umana per cui i primi imprintigs culturali sul neonato e sull’infante,
lasciano una traccia indelebile. JC sostiene che le narrazioni dei miti, come
le fiabe del folklore, possono aiutarci a vedere le similarietà e i parallelismi
tra diverse culture, in vista di una maggiore comprensione reciproca, e ci
permettono di conoscere meglio le varie espressioni dell’ «umano», della
cultura umana di base. Il raccontare miti di varia provenienza e epoca, può
essere utile nello sviluppare un intervento educativo interculturale, che ci
aiuti a formare una mente il più possibile aperta e duttile.
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