Domenica 3
Andiamo a vedere il museo nazionale georgiano all'inizio del lungo viale Rustaveli, ma purtroppo è in restauro e ammodernamento/ampliamento, e non trovando l'entrata, in seguito ad una vaga indicazione di una tizia, entriamo a sbirciare in una galleria d'arte dedicata allo scultore Tsereteli (artista georgiano Zurab Zereteli, ora ultra ottantenne).
Insomma del M.Naz. è accessibile solo la parte dell'edificio vecchio che contiene il cosiddetto "Tesoro della Georgia", che comprende ori e argenti dell'antico regno della Colchide e di quello della Iveria, che va da circa 3,2 millenni fa sino a tutto il medio-evo georgiano (la maggior parte dei reperti vanno per la parte delle antichità dal terzo sec. a.C. al quarto d.C., e poi c'è una parte medievale).
l'entrata al "Tesoro"
Compriamo il biglietto (dieci Lari in due =4€) e ci avviamo.
Le addette della biglietteria ci fermano, ma non sanno come farci capire che non è previsto che si entri senza una guida, e si prodigano in spiegazioni in lingue che non conosciamo (russo, armeno, greco...), perdendo con noi un sacco del loro tempo perché si dicono innamorate dell'Italia, e dunque hanno molta simpatia per noi. Aspettiamo un bel po' sinché, quando già ci si era esaurita la pazienza, e avevamo deciso di dire che perdevamo i 4 euro pur di impiegare la mattina, ecco che finalmente scende dagli uffici amministrativi che sono al piano di sopra, l' impiegata che sa l'inglese.
Tutta la visita è stata molto bella e interessante. Si era già parlato dei contatti tra i popoli minoico-micenei tra il XIV e il XII secolo a.C. e i popoli tra il Ponto Eusino e il Caucaso, in occasione della mostra del 2012 a Roma di molti degli antichi reperti che abbiamo visto oggi (cfr. "Il vello d'oro, antichi tesori della Georgia" a cura di Tiziana D'Acchille, Palombi editore).
Reperti che danno una base di realtà al mito degli Argonauti, in quanto nella Cochide effettivamente l'estrazione e la lavorazione dell'oro inizia addirittura nel IV millennio a.C. rendendo fiorente quella antica civiltà.
poi compriamo un dvd (che è l'unica cosa disponibile in vendita al momento)
Nel museo vero e proprio c'è pure una sezione dedicata ai decenni del regime sovietico e dell'occupazione militare russa.
All'uscita l'impiegata molto gentile cui diciamo che vorremmo ora vedere il Museo etnografico, ci spiega come prendere una mashrutka (o minibus) che è l'unica che porta fin là. E' la n.190, che ha il capolinea lontanissimo, fino ai giardini del Parco Etnografico che sta fuori città, in campagna. Facciamo la traversata di Tbilisi e infine scendiamo al capolinea, ma l'area museale è su sulla collina. Per fortuna un tizio ci vede un po' sconcertati e disperati e ci da gentilmente un passaggio con la sua auto facendoci salire in cima.
E' infatti un museo all'aria aperta, del 1996, costituito da varie case e casette tradizionali sparse nei prati, provenienti da 14 differenti regioni e culture. Sono state accuratamente smantellate e qui ricostruite con tutti i loro mobili e arredi interni, per preservarle. L'area si estende su ben 52 ettari.
Visitiamo una abitazione in legno di una grande famiglia contadina di una volta, con un lungo lettone-divano dove se ne stavano le donne a filare, cucire, ecc. e anche poi a dormire, tutti quanti assieme. A sinistra gli uomini, al centro i bambini, e a destra le donne. Dei grandi tappeti coprivano sia le pareti, che anche le panche e i letti.
In mezzo ad un altro ambiente c'è un focolare in terra con attorno sgabelli a tre gambe, e una sedia-trono del Capofamiglia. Qui cucinavano e mangiavano. Fuori c'era una capanna per le coppie che volessero stare in intimità.
In mezzo ad un altro ambiente c'è un focolare in terra con attorno sgabelli a tre gambe, e una sedia-trono del Capofamiglia. Qui cucinavano e mangiavano. Fuori c'era una capanna per le coppie che volessero stare in intimità.
Poi ci riposiamo dal fortissimo solleone in un bar di legno all'aperto, dove però hanno soltanto bottigliette d'acqua, e due bibite. Non c'è nulla da mangiare. Chiedo con insistenza se hanno una qualsiasi cosa commestibile da mettere sotto i denti, e allora mi apre un pacchettino di biscotti e mi chiede quanti ne voglio... gliene chiedo cinque. Ma almeno stiamo all'ombra, ci sediamo dato che siamo un po' stanchini, e sgranocchiamo i biscotti mentre prendiamo un po' di arietta. Cerco e trovo a fatica una cabina-toilet, che mi indicava vagamente la barista.
Proseguiamo la visita (tutta in salita al sole) andando a visitare una casa di una grande famiglia di livello medio di un paese o cittadina. E' tutta costruita con legni diversi a seconda della destinazione, castagno per le pareti, noce per i mobili, ... ed è tutto ad incastro senza chiodi. Solo il pavimento in parquet ha dei chiodi di legno e anche qualcuno in ferro.
Si vede anche una bella culla per neonati in cui c'è un divisorio per tenere le gambine del bimbo aperte e c'è una specie di pipa che porta ad un tubetto in modo che la pipì finiva sotto in una zucca.
Il fratello dell'erede, si era innamorato della figlia di un commerciante-imprenditore italiano, e la voleva sposare. Per convincerla a venire aveva arredato la sua porzione della casa con mobili all'ul- tima moda ed aveva anche fatto arrivare apposta dalla Germania una lampada ad olio di moderna concezione. Ma la famiglia non ha voluto che lui sposasse una cattolica, e allora ha fatto voto di celibato e si è ritirato in un eremo. E' ritornato a casa solo dopo tre anni di vita isolata, e si è collocato in solaio, dove non ci si sta in piedi, e per continuare il suo regime monastico calava un cestino con una corda, e suo fratello ci metteva un pane per lui e un contenitore d'acqua. Il fratello ora è molto vecchio ma è tutt'ora vivo in una pensione, ed ha acconsentito che la casa venisse trasportata in questo museo con tutto quell'arredamento "moderno" (che non era certamente comune e tipico ).
La "cucina" è in un'altra casetta apposita in legno, sul retro della casa, e con adiacente la stalla. D'estate quando le mucche erano al pascolo, si toglieva la parete di separazione e la cucina-sala da pranzo in tal modo si ampliava. C'era il focolare in mezzo con attorno degli sgabelli, con l'affumicatoio, e anche lì gli uomini sedevano sugli sgabelli mentre le donne stavano dietro di loro su delle panche.
Poi visitiamo il Centro Sudi e Ricerche Etnografiche che è collocato in una vecchia casa molto grande. C'è pure un centro educativo per ricevere le scolaresche.
E poi su, su in cima alla collina c'è un ristorantino rustico. Dove non hanno quasi niente, e sopratutto le cameriere/i non sanno una parola di inglese, oltre il georgiano sanno solo il russo. Annalisa prende un piattone enorme di patate novelle arrosto con erbe aromatiche, porzione immensa per noi due, io invece prendo uno spiedino di carne tipico georgiano: mtsvadi (che in russo si dice shashlik), cioè carne di manzo alla griglia, o alla brace.
Dal terrazzo con una bella arietta,
si vede tutta Tbilisi fino dall'altra parte, al castello medievale di Anauri.
Dalla terrazza si vedono i molti vigneti. In Georgia hanno un vero culto per la vite e il vino, sostengono di esser stato il primo popolo a coltivare vigneti e produrre vino (in georgiano ghvino) in Colchide e nel regno di Iveria,
come è accennato già nell'Odissea, e i Georgiani vanno molto fieri di questo primato.
Scendiamo facendo l'autostop, ci porta giù un giovane molto gentile. Riprendiamo la mashrutka (altra parola in russo) e poi facciamo un pezzetto a piedi e quindi andiamo in camera a riposare.
A cena scegliamo di entrare in un ristorante spagnolo che sta un po' in su, e ha una grande vetrata che da sulla solita piazza Meidani. La proprietaria parla bene lo spagnolo avendo vissuto sette anni a Barcellona, dove si è anche sposata, e dato che il marito venendo in viaggio di nozze a Tbilisi è rimasto innamorato della città e della Georgia, hanno aperto questo ristorante, che serve anche alcuni piatti italiani in quanto lei aveva lavorato per tre anni in un ristorante toscano a Barcellona.
Si mangia molto bene e ci sono due bravissimi che intanto suonano la chitarra classica spagnola. Facciamo i complimenti per la musica, e allora ci racconta che già ai tempi di Stalin (che era georgiano) per far in modo che non ci si occupasse di politica, avevano promosso la cultura, le arti e le scienze, e molto la musica, per cui in molte case hanno ancora il "mandolino" georgiano, o un flauto, o una fisarmonica, o anche un piano verticale, eccetera. Così in tutte le famiglie c'è qualcuno che sa fare musica. Il che è importante nei weekend quando ci si riunisce in molti a far festa.
lunedì 4 luglio
Andiamo al quartiere di Avlabari, che è di là dal fiume.
Passato il ponte di Metekhi, si attraversa la grande piazza Europa, si supera la stazione di partenza della cable-way, della funicolare, e si sale per la gvino ascent (salita del vino),
salita che porta ad un grande piazzale dove sta la stazione del metro Avlabari, e quindi si continua a salire attraversando un "pittoresco" mercato (al mattino)
Dunque andiamo direttamente nel livello del basamento, del piano interrato, anche perché sentiamo che sta svolgendosi una funzione. Assistiamo da una balconata alla messa che si svolge ad un poco più sotto, ed è interessante vedere come è la loro liturgia, con la paratia di separazione.
Poi risaliamo le scale fino al livello del piano terra, ma tutto è così nuovo che ci pare un po' kitsch.
Siamo veramente indispettiti per le numerose barriere architettoniche, e la totale mancanza di punti di appoggio o corrimano (in fondo l'hanno appena edificata...), e dunque Annalisa che oggi ha dei problemi al ginocchio fatica troppo, dunque esce, e mi aspetta fuori. Avevamo chiesto se c'era un altro accesso senza scalini, o una ascensore, ma abbiamo ricevuto solo sguardi stupiti e sdegnosi come se avessimo chiesto una buffonata. Questa assoluta indifferenza verso chi è bisognoso, malato, o semplicemente anziano o vecchio, ci disturba molto.
Giriamo per un altro mercatino (bazar) di frutta e verdura ed altro.
Poi capitiamo nella vicina vecchia chiesa di rito apostolico armeno di Echmiadzin, dedicata a San Giorgio. Qui a Tbilisi hanno da sempre vissuto anche molti armeni, e ancora oggi la comunità è numerosa. Addirittura si dice che nel Settecento gli armeni costituissero la metà della popolazione della città, mentre attualmente si sono quasi tutti trasferiti in Armenia (ne rimane comunque una numerosa parte nella regione confinante Javakheti). Oggi gli armeni a Tbilisi sarebbero ridotti al 4%.
Sino a cent'anni fa la città era una delle più cosmopolite del medio-oriente, con i georgiani convivevano armeni, ebrei, azeri, russi, turchi, greci ... La cosiddetta "rivoluzione delle rose" del 2003 aveva come programma una politica più liberale verso le minoranze. Tra le due popolazioni oggi permane ancora una certa "rivalità", benché entrambe queste nazioni seguano le rispettive chiese ortodosse, apparentemente molto affini l'una all'altra (se viste da fuori da un estraneo).
Siamo entrati durante una funzione, affollata da donne. C'erano due monaci barbuti (i sacerdoti che officiano) e in tutta la chiesa tra i fedeli soltanto donne che ricevono la messa, e che intonano dei bei cori femminili.
Poi dopo che è stato tirato il sipario tra celebranti e fedeli, vediamo le donne che si stanno inginocchiando e prostrando durante il canto di un inno, ben cantato da una voce maschile di tenore e con una bella armonia musicale. Devo uscire perché questa estrema e passionale devozione mi fa tenerezza e mi commuovo pensando alle gravi traversie e pene passate dagli armeni durante tutta la storia moderna.
Mi dedico a ammirare statue e lapidi che sono all'esterno lungo la parete, mentre Annalisa rimane dentro. Uno o due uomini col passar del tempo entrano brevemente e escono subito camminando all'indietro.
Quindi arriviamo alla bella e antica chiesa di Metekhi del 1278, con davanti la grande statua equestre del re Vakhtang Gorgasali, il fondatore della città, che guarda verso il monumento alla madre Patria dall'altra riva del fiume. Qui tra gli altri si ricorda con una icona, sant' Abo che all'epoca del dominio islamico fu un arabo che si convertì al cristianesimo, e fu condannato a morte. La sua storia venne raccontata con grande successo nell' VIII secolo, e Abo divenne simbolo sia del sentimento nazionale georgiano che della fede cristiana ortodossa, che da allora si identificarono l'uno nell'altra nella opposizione agli invasori e dominatori stranieri.
Poi discendiamo giù fino a Riko Park. Ci fermiamo per pranzare in un punto con vista sul fiume ad "Assa Hall" di fianco al ponte. Prendiamo un grande kachapuri, ovvero una focacciona al formaggio (il cibo più tipico e diffuso in Georgia),
e un pessimo pollo lesso in una brodaglia al coriandolo (aroma che a me non piace). Totale in due, con tre bottiglie d'acqua (c'è un sole battente e cocente) e del pane: 13€uro.
Torniamo verso l'albergo. Due vecchiette ci chiedono la carità. Parliamo un poco con loro, sono due ebree, una è nata a Kiev in Ukraina ma da bambina era venuta a vivere qui per allontanarsi da un ambiente molto antisemita, mentre l'altra è nativa georgiana.
Poi ritorniamo e entriamo a visitare l'antica chiesa che sta proprio di fianco all'albergo (tra via Gerusalemme e via Leselidze o Abkhazi) e che avevamo sempre "saltato", anche lì incuriositi dal fatto che si stava svolgendo una funzione. C'era una atmosfera veramente particolare e suggestiva.
Facciamo un riposino in camera mentre il tempo atmosferico cambia, con gran nuvoloni che si addensano.
Nel pome passeggiamo attraverso il quartiere vecchio di Kala, e infine arriviamo in piazza Libertà, quella con il san Giorgio dorato che libera dal drago, posto in cima ad una colonna alta 30 metri, del 2006, che è dello scultore Tsereteli (nel vecchio regime sovietico qui c'era una statua di Lenin).
Qui attorno ci sono anche bei negozi per es. di artigianato con opere di pregio, e riproduzioni. Come questa che vediamo in una vetrina e che è una opera a sbalzo e cesello su lastra di rame argentata di un bellissimo san Giorgio (il capo delle guardie del corpo imperiali) che uccide l'imperatore.
La sera andiamo nella seconda stradina Erekle (ce ne sono due parallele con lo stesso nome). E infine in un quartiere pedonalizzato tra le vie Bambis (=cotone), Rigi, e Chardin, a lato di Kote Abkhazi;
vediamo che tutti i posti-ristoro hanno i tavoli in mezzo alla strada, che poi all'imbrunire e alla sera si animano di gente e di musica fino a notte tarda.
Ci fermiamo per cena al "Friend's house" e prendiamo dei khinkali ripieni con carne aromatica, oramai abbiamo imparato che la porzione normale è di almeno 5 grossi ravioli a testa. Io prendo poi anche degli spinaci al formaggio con crostini. Il buon pane tradizionale puri è simile ad un pan da pizza ripiegato a metà. Totale 12 €uro in due.
C'è uno che suona bene musica jazz con un piccolo sax.
Ma a Tbilisi non ci sono solo vecchie case, ci sono anche molti recenti edifici di architettura di nuova concezione e originali (tipo il già visto ponte della pace).
Questo rinnovamento di architetture moderne era già incominciato agli inizi dell'indipendenza, durante la presidenza di Eduard Shevarnadze (l'ex ministro degli esteri sovietico con Gorbaciov), e ebbe una accelerazione con il successore, il presidente Saakashvili, appassionato di architettura contemporanea.
Gironzoliamo e poi rientriamo in albergo a preparare le valige. Domattina partiremo.
Nakhvamdis Tbilisi! arrivederci Tbilisi, ci rivedremo al nostro ritorno dal giro (vedi la puntata n.11 alla fine di questo diario, la terza su Tbilisi, cioè corrispondente al 5° e al 6° giorno nella capitale, che ho caricata il 3 di febbraio 2018).
(continua)
Il fratello dell'erede, si era innamorato della figlia di un commerciante-imprenditore italiano, e la voleva sposare. Per convincerla a venire aveva arredato la sua porzione della casa con mobili all'ul- tima moda ed aveva anche fatto arrivare apposta dalla Germania una lampada ad olio di moderna concezione. Ma la famiglia non ha voluto che lui sposasse una cattolica, e allora ha fatto voto di celibato e si è ritirato in un eremo. E' ritornato a casa solo dopo tre anni di vita isolata, e si è collocato in solaio, dove non ci si sta in piedi, e per continuare il suo regime monastico calava un cestino con una corda, e suo fratello ci metteva un pane per lui e un contenitore d'acqua. Il fratello ora è molto vecchio ma è tutt'ora vivo in una pensione, ed ha acconsentito che la casa venisse trasportata in questo museo con tutto quell'arredamento "moderno" (che non era certamente comune e tipico ).
La "cucina" è in un'altra casetta apposita in legno, sul retro della casa, e con adiacente la stalla. D'estate quando le mucche erano al pascolo, si toglieva la parete di separazione e la cucina-sala da pranzo in tal modo si ampliava. C'era il focolare in mezzo con attorno degli sgabelli, con l'affumicatoio, e anche lì gli uomini sedevano sugli sgabelli mentre le donne stavano dietro di loro su delle panche.
Poi visitiamo il Centro Sudi e Ricerche Etnografiche che è collocato in una vecchia casa molto grande. C'è pure un centro educativo per ricevere le scolaresche.
E poi su, su in cima alla collina c'è un ristorantino rustico. Dove non hanno quasi niente, e sopratutto le cameriere/i non sanno una parola di inglese, oltre il georgiano sanno solo il russo. Annalisa prende un piattone enorme di patate novelle arrosto con erbe aromatiche, porzione immensa per noi due, io invece prendo uno spiedino di carne tipico georgiano: mtsvadi (che in russo si dice shashlik), cioè carne di manzo alla griglia, o alla brace.
Dal terrazzo con una bella arietta,
si vede tutta Tbilisi fino dall'altra parte, al castello medievale di Anauri.
Dalla terrazza si vedono i molti vigneti. In Georgia hanno un vero culto per la vite e il vino, sostengono di esser stato il primo popolo a coltivare vigneti e produrre vino (in georgiano ghvino) in Colchide e nel regno di Iveria,
«Nel demanio di san Giorgio / è cresciuta una splendida pianta,/ che sostiene grappoli/ già pronti per la gente da gustare» versi di poesia popolare
Scendiamo facendo l'autostop, ci porta giù un giovane molto gentile. Riprendiamo la mashrutka (altra parola in russo) e poi facciamo un pezzetto a piedi e quindi andiamo in camera a riposare.
A cena scegliamo di entrare in un ristorante spagnolo che sta un po' in su, e ha una grande vetrata che da sulla solita piazza Meidani. La proprietaria parla bene lo spagnolo avendo vissuto sette anni a Barcellona, dove si è anche sposata, e dato che il marito venendo in viaggio di nozze a Tbilisi è rimasto innamorato della città e della Georgia, hanno aperto questo ristorante, che serve anche alcuni piatti italiani in quanto lei aveva lavorato per tre anni in un ristorante toscano a Barcellona.
Si mangia molto bene e ci sono due bravissimi che intanto suonano la chitarra classica spagnola. Facciamo i complimenti per la musica, e allora ci racconta che già ai tempi di Stalin (che era georgiano) per far in modo che non ci si occupasse di politica, avevano promosso la cultura, le arti e le scienze, e molto la musica, per cui in molte case hanno ancora il "mandolino" georgiano, o un flauto, o una fisarmonica, o anche un piano verticale, eccetera. Così in tutte le famiglie c'è qualcuno che sa fare musica. Il che è importante nei weekend quando ci si riunisce in molti a far festa.
lunedì 4 luglio
Andiamo al quartiere di Avlabari, che è di là dal fiume.
Passato il ponte di Metekhi, si attraversa la grande piazza Europa, si supera la stazione di partenza della cable-way, della funicolare, e si sale per la gvino ascent (salita del vino),
salita che porta ad un grande piazzale dove sta la stazione del metro Avlabari, e quindi si continua a salire attraversando un "pittoresco" mercato (al mattino)
case vecchie
chiromante-cartomante
fino ad arrivare per via Gonashvili in cima alla collina dove hanno costruito la nuova grande cattedrale centrale di tutta la chiesa ortodossa georgiana (che è autocefala). E' quella che tutti guardano dall'altra riva e che, come la vedono spuntare da sopra le case e gli edifici, si fanno tre volte il segno della croce. Domina tutta la città, vecchia e nuova.
pellegrino
Entriamo dunque tramite una larga lunga scalinata (senza mancorrenti quindi impraticabile da handicappati o anziani) nella non-bella mastodontica Tsaminda Sameba, cioè chiesa della santa Trinità. E' la più alta chiesa ortodossa orientale, consacrata nel '96 ed è stata terminata nel 2004.Dunque andiamo direttamente nel livello del basamento, del piano interrato, anche perché sentiamo che sta svolgendosi una funzione. Assistiamo da una balconata alla messa che si svolge ad un poco più sotto, ed è interessante vedere come è la loro liturgia, con la paratia di separazione.
Poi risaliamo le scale fino al livello del piano terra, ma tutto è così nuovo che ci pare un po' kitsch.
Siamo veramente indispettiti per le numerose barriere architettoniche, e la totale mancanza di punti di appoggio o corrimano (in fondo l'hanno appena edificata...), e dunque Annalisa che oggi ha dei problemi al ginocchio fatica troppo, dunque esce, e mi aspetta fuori. Avevamo chiesto se c'era un altro accesso senza scalini, o una ascensore, ma abbiamo ricevuto solo sguardi stupiti e sdegnosi come se avessimo chiesto una buffonata. Questa assoluta indifferenza verso chi è bisognoso, malato, o semplicemente anziano o vecchio, ci disturba molto.
Giriamo per un altro mercatino (bazar) di frutta e verdura ed altro.
gioco del tric-trac
pallottoliere in un tavolo da bar
Poi capitiamo nella vicina vecchia chiesa di rito apostolico armeno di Echmiadzin, dedicata a San Giorgio. Qui a Tbilisi hanno da sempre vissuto anche molti armeni, e ancora oggi la comunità è numerosa. Addirittura si dice che nel Settecento gli armeni costituissero la metà della popolazione della città, mentre attualmente si sono quasi tutti trasferiti in Armenia (ne rimane comunque una numerosa parte nella regione confinante Javakheti). Oggi gli armeni a Tbilisi sarebbero ridotti al 4%.
Sino a cent'anni fa la città era una delle più cosmopolite del medio-oriente, con i georgiani convivevano armeni, ebrei, azeri, russi, turchi, greci ... La cosiddetta "rivoluzione delle rose" del 2003 aveva come programma una politica più liberale verso le minoranze. Tra le due popolazioni oggi permane ancora una certa "rivalità", benché entrambe queste nazioni seguano le rispettive chiese ortodosse, apparentemente molto affini l'una all'altra (se viste da fuori da un estraneo).
Siamo entrati durante una funzione, affollata da donne. C'erano due monaci barbuti (i sacerdoti che officiano) e in tutta la chiesa tra i fedeli soltanto donne che ricevono la messa, e che intonano dei bei cori femminili.
Poi dopo che è stato tirato il sipario tra celebranti e fedeli, vediamo le donne che si stanno inginocchiando e prostrando durante il canto di un inno, ben cantato da una voce maschile di tenore e con una bella armonia musicale. Devo uscire perché questa estrema e passionale devozione mi fa tenerezza e mi commuovo pensando alle gravi traversie e pene passate dagli armeni durante tutta la storia moderna.
Mi dedico a ammirare statue e lapidi che sono all'esterno lungo la parete, mentre Annalisa rimane dentro. Uno o due uomini col passar del tempo entrano brevemente e escono subito camminando all'indietro.
re David (Davit) con la cetra
Poi attraversiamo il grande piazzale e discendiamo per un quartiere povero, e una zona tutta in restauro-rifacimento, ed entriamo in una chiesetta con una balconata che da sul fiume più in basso.
ciliegie gialle
ribes rosso
gozinaki =noci caramellate e miele in lunghi insaccati con fruttosio d'uva
restauri
venditore con i suoi prodotti in terra
Quindi arriviamo alla bella e antica chiesa di Metekhi del 1278, con davanti la grande statua equestre del re Vakhtang Gorgasali, il fondatore della città, che guarda verso il monumento alla madre Patria dall'altra riva del fiume. Qui tra gli altri si ricorda con una icona, sant' Abo che all'epoca del dominio islamico fu un arabo che si convertì al cristianesimo, e fu condannato a morte. La sua storia venne raccontata con grande successo nell' VIII secolo, e Abo divenne simbolo sia del sentimento nazionale georgiano che della fede cristiana ortodossa, che da allora si identificarono l'uno nell'altra nella opposizione agli invasori e dominatori stranieri.
Poi discendiamo giù fino a Riko Park. Ci fermiamo per pranzare in un punto con vista sul fiume ad "Assa Hall" di fianco al ponte. Prendiamo un grande kachapuri, ovvero una focacciona al formaggio (il cibo più tipico e diffuso in Georgia),
Torniamo verso l'albergo. Due vecchiette ci chiedono la carità. Parliamo un poco con loro, sono due ebree, una è nata a Kiev in Ukraina ma da bambina era venuta a vivere qui per allontanarsi da un ambiente molto antisemita, mentre l'altra è nativa georgiana.
Poi ritorniamo e entriamo a visitare l'antica chiesa che sta proprio di fianco all'albergo (tra via Gerusalemme e via Leselidze o Abkhazi) e che avevamo sempre "saltato", anche lì incuriositi dal fatto che si stava svolgendo una funzione. C'era una atmosfera veramente particolare e suggestiva.
Facciamo un riposino in camera mentre il tempo atmosferico cambia, con gran nuvoloni che si addensano.
Nel pome passeggiamo attraverso il quartiere vecchio di Kala, e infine arriviamo in piazza Libertà, quella con il san Giorgio dorato che libera dal drago, posto in cima ad una colonna alta 30 metri, del 2006, che è dello scultore Tsereteli (nel vecchio regime sovietico qui c'era una statua di Lenin).
la statua-simbolo dell'antica e nuova nazione indipendente
Qui attorno ci sono anche bei negozi per es. di artigianato con opere di pregio, e riproduzioni. Come questa che vediamo in una vetrina e che è una opera a sbalzo e cesello su lastra di rame argentata di un bellissimo san Giorgio (il capo delle guardie del corpo imperiali) che uccide l'imperatore.
La sera andiamo nella seconda stradina Erekle (ce ne sono due parallele con lo stesso nome). E infine in un quartiere pedonalizzato tra le vie Bambis (=cotone), Rigi, e Chardin, a lato di Kote Abkhazi;
vediamo che tutti i posti-ristoro hanno i tavoli in mezzo alla strada, che poi all'imbrunire e alla sera si animano di gente e di musica fino a notte tarda.
Ci fermiamo per cena al "Friend's house" e prendiamo dei khinkali ripieni con carne aromatica, oramai abbiamo imparato che la porzione normale è di almeno 5 grossi ravioli a testa. Io prendo poi anche degli spinaci al formaggio con crostini. Il buon pane tradizionale puri è simile ad un pan da pizza ripiegato a metà. Totale 12 €uro in due.
C'è uno che suona bene musica jazz con un piccolo sax.
Ma a Tbilisi non ci sono solo vecchie case, ci sono anche molti recenti edifici di architettura di nuova concezione e originali (tipo il già visto ponte della pace).
il Palazzo di Giustizia
Questo rinnovamento di architetture moderne era già incominciato agli inizi dell'indipendenza, durante la presidenza di Eduard Shevarnadze (l'ex ministro degli esteri sovietico con Gorbaciov), e ebbe una accelerazione con il successore, il presidente Saakashvili, appassionato di architettura contemporanea.
Gironzoliamo e poi rientriamo in albergo a preparare le valige. Domattina partiremo.
Nakhvamdis Tbilisi! arrivederci Tbilisi, ci rivedremo al nostro ritorno dal giro (vedi la puntata n.11 alla fine di questo diario, la terza su Tbilisi, cioè corrispondente al 5° e al 6° giorno nella capitale, che ho caricata il 3 di febbraio 2018).
(continua)
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