lunedì 5 dicembre 2011

Moni Ovadia grande uomo di teatro:






Dopo l'intervento di De Angelis sull'identità ebraica nella letteratura, vi posto questo testo di e su Ovadia :


"A me, in quanto ebreo, hanno spesso chiesto anzi, “sono stato richiesto” di spiegare che cosa significhi essere ebreo, che cosa sia in realtà un ebreo. Durante mesi di notti insonni ho tormentato la mia mente, il mio cuore, la mia anima e ho distillato una dolente risposta che vi propongo: “Boh?!”.
Gli ebrei sono un popolo di schiavi liberati.
Formano la loro identità nello spazio-tempo del deserto, un luogo senza confini, dove il tempo si dilata fino a diventare una dimensione, uno spazio, mentre la dimensione “spazio” è difficile e non favorevole alla sedentarietà.
In "Oylem Goylem" la condizione esistenziale dell’ebreo errante è ricreata attraverso le parole e la musica fino a diventare “una metafora vertiginosa dell’uomo contemporaneo sospeso tra ricerca dell’identità e angoscia di un universale stato d’esilio”.

Il filosofo Cioran definisce l’ebreo con risultati particolarmente espressivi:
"[…] Poiché è restio alle classificazioni, quel che di preciso se ne può dire è inesatto; nessuna definizione gli si addice. […] tutto è insolito in lui: non è stato forse il primo ad aver colonizzato il cielo, ad avervi posto il suo Dio? […] questo popolo, inadatto alle dolcezze della disperazione, incurante della sua fatica millenaria, delle conclusioni che gli impone la sua sorte, vive nel delirio dell’attesa, fermamente risoluto a non trarre insegnamento dalle sue umiliazioni, né a dedurne una regola di modestia, un principio di anonimato. Prefigura la diaspora universale: il suo passato riassume il nostro avvenire…Il più tollerante e il più perseguitato dei popoli, unisce l’universalismo al più stretto particolarismo. Contraddizione di natura: inutile tentare di risolverla o spiegarla."

Chi è dunque l’ebreo?
In "Perché no?", Ovadia ritiene l’identità ebraica aleatoria, non un’identità somatica, se non relativamente con un elemento caratterizzante, quello della corrosività; inoltre la considera indistruttibile ma molto delicata.
Giacobbe fa un gesto significativo, prima di morire, non chiama per la benedizione il figlio Giuseppe ma i nipoti.
In questo modo sottolinea l’importanza del futuro, un futuro nel quale spesso l’identità ebraica è garantita da un nonno o da bisnonno.
Ovadia espone una teoria affascinante del filosofo Emile Fackenheim secondo la quale il milione di bambini ebrei sterminati furono uccisi per la fede dei loro bisnonni...
Questi se avessero abbandonato l’educazione ebraica avrebbero spezzato il filo dell’identità e quattro generazioni dopo le vittime potevano essere tra i carnefici. 
Al contrario, come si sospetta, molti capi nazisti compresi lo stesso Hitler e il gerarca Reinhardt (colui che nella conferenza di Wahnsee rese la soluzione finale un piano operativo) avevano probabilmente tra i loro bisavoli un sedicesimo ebraico che abbandonò la fede. 
In questo caso non solo i carnefici avrebbero anche potuto essere vittime, ma paradossalmente poteva non esserci la tragedia che c'è stata.

L’attore si definisce un ebreo di origine bulgara, non ortodosso, di formazione marxista, vegetariano, e soprattutto con un’ identità nomade, dove nomade è inteso nell’accezione dell’ebraico ger ossia straniero in continuo cammino.

Più precisamente, in epoca post-Olocausto, si sente “nella medesima condizione in cui si sono trovati tanti intellettuali ebrei collocati in un contesto di mezzo tra assimilazione e disagio identitario”.
Questa condizione di “orfano di una cultura” è propria di Franz Kafka, scrittore delle angosce e dei bisogni segreti dell’uomo moderno.

su Ovadia cfr. per es. i seguenti siti della Rai :
http://www.scrittoriperunanno.rai.it/scrittori.asp?currentId=108
http://www.fuoriclasse.rai.it/new/dettaglio_puntata.aspx?IDPuntata=379

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