Stan Laurel e Oliver Hardy nei panni di Stanlio e Ollio (doppiato in it. da A.Sordi)
Charlie Chaplin nei panni di Charlot
"Perché si ride?"
[ Il tema della conferenza e il nome della conferenziera, già nota al nostro pubblico, richiamarono domenica folto ed intellettuale pubblico nel salone dell'Istituto Giosué Carducci, che alla parola facile ed arguta della gentile dott. Fede Arietti Paronelli, s'interessò moltissimo ed applaudì ripetutamente. ( … ) L'esimia conferenziera esordì ponendosi la domanda: ]
«Perché si ride? Non si sa; perché sì, come dicono i bambini. E' una questione seria quella del riso, e di essa si occuparono molti filosofi antichi e moderni. Ma la ragione del riso non si è data ancora. Eppure nessun animale ride; l'uomo solo. Bernard Shaw si è posto il non facile problema, ma non ha trovato una risposta precisa.
E' qualcosa di primordiale e primitivo che sfugge ad ogni indagine. Piuttosto si possono studiare le cose che fanno ridere. Quali sono? l'atteggiamento, il gesto, il modo di dire, quel non-so-che che si chiama umorismo.
Vanno qui ricordati lo studio di Bergson ["Il ridere. Saggio sul significato del comico", 1900 non ancora tradotto in italiano] e quello di Pirandello ["L'umorismo", 1908].
[Ma già aveva posto la questione Victor Hugo con il suo romanzo di ambientazione inglese, "L'uomo che ride", del 1869, cui si ispirò un omonimo film francese del 1909 e poi un altro del 1928.]
[Mia nonna inoltre diceva che]
se non si può dire una ragione per cui si ride, se ne può invece trovare la causa. Spesso dipende da un contrasto; il dire per esempio cose gravi o lugubri con atteggiamenti insignificanti, o il parlare di cose semplici e di nessuna importanza, con forma grave e solenne.
Ma lo spirito varia secondo le età, e si raffina col passare degli anni e il progredire della civiltà. Lo spirito varia secondo i tempi, i costumi e i popoli. Le Commedie di Aristofane che fecero tanto ridere i Greci al suo tempo, non fanno gran ché più ridere oggi.
Ad esempio Molière che staffilò ridendo i vizi della sua età, già ha uno spirito che non ha niente a che vedere con quello del grande commediografo di Atene.
Ogni popolo ha poi un suo modo particolare di esprimere il proprio umorismo. Lo spirito gelido, freddo inglese stenta a far ridere gli italiani che amano il riso caldo, limpido, soleggiato, come il cielo latino. Noi latini troviamo molto strano che gli inglesi facciano dello spirito quasi sempre scrivendo di argomenti lugubri; si può anzi dire che la morte sia l'unica fonte del loro umorismo. Ecco, tanto per farsene un'idea: Un americano si recò un giorno da un amico inglese ammalato, e trovandolo immobile su di un fianco gliene domandò la ragione. "il medico mi ha detto che se mi volto dall'altra parte, resto stecchito"; "Oh! è impossibile" -rispose l'altro- "l'avrà fatto per impaurirti. Scommettiamo 5 dollari?". Il moribondo accettò la scommessa; ma, dopo di essere riuscito con gran fatica a voltarsi dall'altra parte, spirò. L'americano estrasse dal suo portafoglio 5 dollari, li depose sul comodino, e ritirandosi disse con aria indifferente "Ha vinto lui".
Lo spirito italiano è molto differente da quello britannico, è più spontaneo, e si serve di argomenti che meglio si confanno alla nostra anima e ai nostri gusti.
Il romagnolo Luigi Rasi, certamente fra i migliori umoristi italiani (come pure il fratello Giulio), trova dello spirito anche nelle calamità naturali: per es. sa far ridere sull'uomo -e meglio sulla signora- che scivola all'improvviso e cade; sull'oratore che nella foga del suo discorso commette qualche solenne gaffe; sul damerino che, per inchinarsi ad una gentile dama, dà un urtone a un tavolo su cui era posato un antico vaso giapponese, che casca per terra e si rompe. Luigi Rasi nei "Monologhi" insegna come il ridicolo possa saltar fuori paradossalmente persino da un invito di partecipazione ad un funerale, per esempio quando questa venga inopportunamente redatta in modo tale da sembrare una sorta di reclame!
Un disgraziato perseguitato dalla sventura, può diventar ridicolo a gli occhi del mondo.
L'elemento del ridicolo sorge dunque dal contrasto di due sentimenti.» [ e qui la conferenziera ricordò vari aneddoti, rifacendo magnificamente la scena di vari personaggi che parlano varie lingue e dialetti. Un'artista non avrebbe potuto far di meglio e sollevare maggiore ilarità ] *.
«Tra i più spontanei e garbati umoristi, troviamo quindi C.A.Trilussa.
E inoltre parlando di autori umoristici non possiamo non ricordare il Boccaccio, e anche il "Don Chisciotte". Il riso e il pianto a volte camminano sopra una lama di rasoio, ad es. nella risata di Sancho Panza vi è un grande dolore. Molte volte non esiste una netta distinzione fra le cose che fanno ridere e quelle che fanno piangere, si tratta del tragicomico. Tanto che Anatole France ebbe a dire che, leggendo il Don Chisciotte, pianse **.
Ma qui ricordiamo Giuseppe Fraccaroli (ma anche il commediografo Arnaldo Fraccaroli) ed un suo brillante articolo sull'umorismo dell'antichità (Verona, 1885) in cui si comprende come la semplicità sia l'elemento principale del riso. Si ride meglio per le cose più semplici che per quelle arzigogolate, dice Tristan Bernard, e lui stesso quando volle far dell'umorismo dovette narrare le cose semplicemente e come stavano.
E' più facile far piangere che ridere, e Rossini che per cinquant'anni ha deliziato le platee dei due mondi, merita -per ciò solo- un monumento.
Perché il riso è la luce della vita.
Aver dello spirito non è facile e poi bisogna saperlo adoperare con grazia e a tempo opportuno. Il riso è un dono di Dio all'umanità, e solo chi ha pianto molto e molto sofferto, può rider bene di qualsiasi cosa. L'adoperare lo spirito è ancor più difficile che possederlo, perché appunto l'arte dell'umorismo è quella di riuscire a rasserenare la mente, senza stancarla o annoiarla. Chi non sa ridere non sa piangere o neanche sentire. Il riso dovrebbe essere per tutti un bisogno, come mangiare, bere, amare. Dicevo che è più difficile l'arte di far ridere che quella di far piangere, e ciò serva per rasserenare coloro che temono di perdere dignità facendosi veder a ridere in pubblico…
Sia benedetta la risata che, come raggio di sole, rompe il buio della vita quotidiana. Il ridere troppo è da stolti, ma ridere qualche volta, fa bene e giova al corpo e all'anima. Il ridere con franchezza e spontaneamente, è da Dèi.»
[ La bella conferenza, ascoltata con serena gioia, fu coronata da una grande ovazione ]
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* Fede Paronelli studiò nella scuola di recitazione di Luigi Rasi a Firenze,
e in quella di Virginia Marini ;
praticò recitazione sin da ragazzina, ad es. nel "Buddha" di A. De Gubernatis,
e in molte altre recite teatrali in Svizzera, Italia, e Francia, con buon successo.
e in quella di Virginia Marini ;
praticò recitazione sin da ragazzina, ad es. nel "Buddha" di A. De Gubernatis,
e in molte altre recite teatrali in Svizzera, Italia, e Francia, con buon successo.
** F.P. aveva tenuto una conferenza su A.France nel 1924 subito dopo che era morto
P.S.: Tra l'altro anch'io tempo fa mi ero interessato a tematiche vicine a queste, per un intervento sull' "Ironia tra distanziamento e coinvolgimento", che ho tenuto al Seminario nazionale su "L'ironia tra pedagogia e formazione" (Firenze, sett. 2006) e che è stato poi pubblicato nel 2008 dall'editore Sellerio di Palermo, in un volume dal titolo "Formarsi nell'ironia: un modello postmoderno" a cura dei proff. Franco Cambi e Epifania Giambalvo.
(…ma, ora ...che ci sarà mai da ridere?…)
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