A proposito di quanto dicevo nelle scorse segnalazioni in occasione della riedizione di quel libro di Hesse in cui "L'Oriente non è solo un luogo geografico, è anzitutto la patria della giovinezza delle anime, è ovunque ed è introvabile, nell'unificazione di tutti i tempi", aggiungerei che imperdibile è il suo, ormai classico "Aus Indien", un diario di viaggio soffuso da un'atmosfera magica. Perché ve ne facciate un'idea vi riporto liberamente quel che ne è stato detto in alcune delle innumerevoli recensioni.
Da Singapore a Sumatra a Ceylon, Hermann Hesse toccò, nel 1911, i porti d'Oriente in compagnia di un amico pittore. Là aveva predicato suo nonno, missionario pietista colto e poliglotta; in India era nata sua madre; la "fuga" o il "pellegrinaggio" di Hesse seguivano una scia di memorie domestiche. Forse per questo Hesse riuscì a cogliere la "differenza" orientale come cosa anche famigliare, con il suo sguardo così chiaro e penetrante. I suoi rapidi quadretti devono tutto ad una attenta osservazione.
Per alcuni versi Hesse restò un poco anche deluso dal viaggio: solo il tempo gli darà radici e spazio nella memoria e nell'animo. Questo testo è il ritratto di un impero coloniale, un ritratto che tuttavia contiene, nelle sue pieghe, quelle Indie interiori, quel fantasma di un Oriente mitico e presente in ognuno, "casa e gioventù dell'anima".
"Certo andavamo in Asia, un'Asia che non era solo un continente, ma un certo luogo un po′ misterioso, situato in qualche parte fra l′India e la Cina. Da lì erano venuti i popoli, le dottrine, la religione; lì si trovavano le radici di tutto il genere umano e le oscure sorgenti di tutte le vite, da lì provenivano le immagini degli dei e le tavole della legge". Così scrive in "Sogno a Singapore", uno dei racconti che compongono il resoconto di quel viaggio in nave da Genova sino nelle Indie durato tre mesi, e conclusosi senza sbarcare nel subcontinente a causa di una dissenteria. Una fuga in Oriente dove, sia nel secolo scorso che nel nostro, i giovani intellettuali credettero di trovare (e in parte trovarono), un antidoto alla vita frenetica dell′Occidente. Hermann Hesse viaggia qui soffrendo il caldo, gli insetti, le presenze umane, i ritardi, ma viaggia con profonda intensità e umanità. Quel mondo, che lasciò nel suo intimo tracce indelebili, gli ispirò pagine ricche di fascino: racconti, storie, diari di viaggio, e l'affascinante indimenticabile "Siddharta".
"La mia via verso l′ India non passava per navi e ferrovie, ma attraverso magici ponti che dovetti io stesso trovare".
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