Ci telefona René per combinare di andare assieme domani. Chiacchieriamo con Lucy (persona molto semplice) e Maira. Chiedo a Lucy di spiegarmi che cosa è la stanzetta chiusa con la luce sempre sempre accesa e una specie di altarino. Ma non è capace di spiegare, e dice che se uno crede in dio, gli chiede che tutto vada bene ai suoi cari e che abbia benevolenza con i famigliari morti. Maira a cui rivolgo la stessa domanda un po' più tardi, si esprime molto bene, con quel suo modo raffinato di porgersi. Mi dice che a Cuba la maggioranza fa riferimento in vari gradi e modi alla spiritualità della Santerìa, o per scaramanzia, o per avere un referente a cui rivolgere i propri moti sentimentali. Molti cattolici sono particolarmente devoti a un certo santo, o santa, e a questo è collegata una sua corrispondente figura orisha, cioè uno spirito della natura. Mentre invece solo una parte della gente è esclusivamente e strettamente di religione yoruba e non è cattolica; e poi ci sono quelli che seguono la regola di Palo Monte o conga, o altro. Poi sono invece in crescita le varie denominazioni protestanti o chiese che si chiamano genericamente di matrice cristiana, per distinguerle dalla chiesa cattolica. Queste sono rigorosamente distinte dalla Santerìa.
Quindi quasi "tutti" hanno un angolino con un altarino, e ognuno si regola, lo adatta come crede. La signora pulisce i piatti con le offerte (torte, o sigari, ...) a tiene ogni tanto una preghiera purificando le tazze e i bicchieri d'acqua con fiori per mantenere attivo lo spirito corrispondente, e queste cose le può fare, e le deve fare, soltanto lei stessa. Ha dedicato questo sgabuzzino, che una volta era un vestiario, perché tanto i closet (=armadi a muro) sono già molto grandi.
Da dopo la visita di Fidel a papa Wojtila a Roma nel '96 e poi la venuta del papa a Cuba nel '98, la gente ha preso un nuovo atteggiamento verso la propria credenza religiosa, cioè di non occultare più l'appartenenza, e da allora chi vuole ostenta senza problemi croci, o santini, medagliette, o si veste di bianco, o porta collane e collanine, o bracciali riferiti alla spiritualità yoruba.
Oggi siamo andati con Joan a prendere delle pile nuove per la macchina fotografica in un grande centro commerciale moderno che c'è più verso l'esterno della città, e siamo passati davanti al Teatro, e alla "casa verde" che era una ex bellissima ville, oramai diroccata e ora rifatta nuova sui disegni originari; poi più tardi passiamo anche di fianco alla grande non-ambasciata degli Stati Uniti, protetta come se fosse assediata, e di fronte alla cosiddetta piazza anti-imperialista con la statua di J.Martì con un bimbo in braccio e il dito puntato (contro l'ambasciata), che fu vista come un emblema all'epoca del caso del piccolo Elian Gonzalez. Faccio la coda nel negozio per le pile (prima di me c'è uno che vuole comprare un microonde ma non sa quale vuole). Poi ci fermiamo in un hotel per fare la ricarica alla card telefonica nel locale ufficio Etecsa. Costeggiamo l'hotel "Copacabana", che nel '97 fu oggetto di un attentato terroristico anticastrista in cui morì solo un italiano, Fabio di Celmo, un giovane imprenditore di 32 anni che frequentava il bar di quell'albergo. Infine ci fermiamo agli ex magazzini del porto, ora trasformati in un grande centro dell'artigianato, diviso per settori.
Poi attraversiamo il quartiere "Centro Habana", il "peggiore" quartiere dell'Avana, un vero disastro urbano, ambientale e sociale, ora in via di lentissimo ripristino igienico e infrastrutturale, opera infinita e ambiziosissima. Che squallore! e che pena...
"recinto" per giocare a calcio
un magazzino, un po' disordinato
il negozietto di una che fa le unghie
Io vado a fare un giro a piedi, poi ci diamo appuntamento davanti al convento di Santa Clara, e loro due prendono un triciclo, ovvero un bicitaxi, ma anche qui come altre volte già ci è capitato, molti non conoscono i nomi di chiese, conventi o località legate a una denominazione religiosa. Ma poi ci incontriamo, e troviamo che il convento è in corso di restauro, per cui decidiamo di tornare in Plaza Vieja per pranzare.
Mangiamo in un bel bar-trattoria ("Factoria") con musica, degli ottimi spiedini di gamberetti, appesi in verticale.
Poi mentre loro si riposano dal caldo, io vado a fare un altro giro per calles degradate e in disfacimento materiale (alcune invece in risanamento e rifacimento =calcinacci e rumori per lavori in corso), con i loro miseri negozietti fatiscenti.
Certo che mi viene da pensare che si vive meglio a Viñales o a Trinidad. Subito fuori dal confine del quartiere, c'è un negozio di generi alimentari biologici e chiacchiero col titolare che sta sulla porta. Poi entro in una scuola speciale per ragazzi difficili, disadattati socialmente. La scuola è chiusa a quest'ora di sabato, ma ci sono seduti sui gradini di ingresso dei bidelli che mi spiegano che è un istituto per ragazzi con problematiche comportamentali e psicologiche a causa di contesti famigliari con situazioni gravi, come genitori alcolizzati, violenti, o indifferenti, ecc. La scuola è bella, moderna, funzionale, e dalle etichette sugli uffici vedo che ci sono vari esperti e consulenti. E' sovvenzionata per spirito internazionalista e per gratitudine dal Vietnam (con tanto di foto di Ho Chi-Minh). Prima della rivoluzione questa era la mansion (la grande dimora signorile) di una famiglia ricca e potente. Alla fine il tipo mi chiede un contributo perché loro si sono radunati qui per festeggiare il compleanno di un collega, che viene a salutarmi, e vorrebbero farsi un brindisi. Do una banconota da 20 pesos nazionali con cui mi dice che si prenderanno una bottiglia di rhum. Auguri! Ritorno nei vicoli.
il negozietto di un barbiere, che anche vende uccellini tropicali
Girando per queste strade do dei soldi a un povero vecchio; a dei bambini mutilati; a un tizio malmesso con le stampelle che mi dice "è tuo dovere aiutarmi, devi darmi qualcosa"; e dei regalini, o delle matite, a dei bambini poveri.
Rientriamo a casa perché sta proprio per piovere e non vorremmo inzupparci come ieri (ma invece oltre a un po' di goccioloni sparsi, poi non pioverà).
L'ascensore è in riparazione, e allora chiamano il meccanico che ci sta lavorando e questo ci accompagna su appena possibile. Intanto ci intratteniamo con altre persone e vien fuori che sanno tutto dei nostri movimenti di questi giorni, sono altri inquilini del palazzo, perché i primi due piani sono divisi in quattro appartamentini l'uno (mentre l'appartamento dove stiamo noi occupa l'intero terzo piano).
Ci accolgono al solito Maira e Lucy (e la cagnetta). Maira ci racconta che lei ha una sorella che sta a Miami e allora ci racconta di episodi pazzeschi di gente che per emigrare negli usa nella speranza di una vita migliore ha perso la vita in mare, e magari l'ha fatta perdere ai bambini che si erano portati con sè (poveretti! che assurdità... le dico che da noi succede la stessa cosa, anni fa erano gli albanesi che traversavano il mare con mezzi inadeguati, e negli ultimi anni sono tunisini e libici, cosa che non sapeva).
Ora qui c'è solo lei, suo marito e il loro cane dalmata. Anche molti altri nelle nostre precedenti fermate hanno raccontato di qualche parente emigrato in vari paesi, e di certi che sono entrati illegalmente negli stati uniti, e chissà come faranno ad uscirne (mi torna in mente il film "Balseros").
Ceniamo quel che ha cucinato Maira dietro nostra richiesta: ropa vieja, un caldo de verduras, viandas hervidas, tomates pelados, arroz blanco, platanos machos fritos, e non ricordo che altro...
Intanto ci dice che ora da almeno quattro anni a questa parte tutti possono andare ovunque in Cuba (mentre soprattutto una decina di anni fa alcune zone erano riservate solo ai clienti stranieri degli hotel), ma poi in realtà possono andare nelle famose località turistiche solo quelli che hanno i soldi per farlo, o che abitano lì vicino. E che dagli usa i cubani possono venire a Cuba senza più restrizioni.
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