Lara mi manda questo commento, dopo la lettura del dibattito tra studentesse che vi ho inviato ieri:
Gent.mo prof. grazie per gli spunti che mi manda, che mi aiutano a trovare il tempo per fermarmi un attimo a riflettere, le ho allegato a tal proposito due righe sul tema del dibattito.
La discussione che ho letto nella mail mi ha fatto riprendere in mano “L’esistenzialismo è un umanismo” di Sartre, perché ciò che più mi ha colpito è stato il momento in cui si è parlato di “essenza” intesa come particolarità e unicità dell’individuo.
Esaurita nel tempo la visione religiosa per cui l’uomo incarnava un concetto presente nell’intelletto di Dio, per cui l’essenza precede l’esistenza, Sartre ribaltava i termini dicendo che l’uomo per prima cosa esiste, poi si definisce in seguito e sarà quale si sarà fatto.
Tutto ciò è molto affascinante ma presuppone che la volontà dell’uomo sia sufficiente a metterlo nella condizione di poter decidere e scegliere responsabilmente ed in piena autonomia di sé stesso, di ciò che deciderà di essere e di conseguenza di essere pienamente responsabile della costruzione della propria identità.
Lo strutturalismo e il post-strutturalismo ci insegnano invece quanto l’uomo sia influenzato dall’esterno, dalle strutture sociali, dai condizionamenti indotti e assimilati quasi a nostra insaputa. ( … )
Allora, quello su cui ruota più spesso la mia personale riflessione sull’identità, verte proprio su questo tema: quanto della nostra identità è solo nostro, unico e irripetibile, quanto è dato dallo scambio delle esperienze con gli altri, quanto è già segnato dalla società e dal contesto in cui nasciamo? E’ questo per me il grande insoluto al quale ognuno risponde a modo suo e come può.
Che è la stessa domanda alla quale vorremmo rispondere quando pensiamo al momento in cui finiremo il nostro viaggio nel mondo. Quanto rimarrà di noi, della nostra coscienza e quanto era invece legato a questo angolo di terra?
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