A proposito del post di mercoledì 9
Una studentessa mi scrive:
Una studentessa mi scrive:
"caro professore, alla fine della lezione della prof. Longo, avevo l'impressione di aver assistito all'esempio di un processo di depersonalizzazione. non so se la mia senzazione sia estrema, anche se la risposta che ha dato al mio intervento, mi lascia supporre che lo sia. mi accontenterò, si fa per dire, del suo parere, dunque, quello a cui ho assistito, può essere il primo atto, concetto paradossale, della formazione di un'identità collettiva a discapito di quella individuale? grazie per il suo chiarimento. cordialmente, Parizia"
mia risposta:
indubbiamente sì, certo non si tratta di situazioni estreme come ce ne sono state e ce ne sono, ma entro certi limiti, il processo di "naturalizzazione", ovvero di assimilazione, è un processo di condizionamento da parte della società e dei suoi apparati ideologici di Stato (in questo caso la scuola).
indubbiamente sì, certo non si tratta di situazioni estreme come ce ne sono state e ce ne sono, ma entro certi limiti, il processo di "naturalizzazione", ovvero di assimilazione, è un processo di condizionamento da parte della società e dei suoi apparati ideologici di Stato (in questo caso la scuola).
Quel piccolo "africanino", mi faceva pena sembrava sottoposto ad un interrrogatorio da parte di una autorità investigativa, assediato da tutti...per forza che diceva "io non so nulla", era annichilito poverino....
e la "cinesina"... che non rispondeva alla domanda da che città vieni? sembrava dire: volevate che io mi staccassi dalla lingua nativa, e dalla sua cultura ecc? allora eccomi qua diventata una francesina, che me ne importa di quelle lontane città là....io non sono più una bimba cinese. che cosa mi stai chiedendo? a me ora importa solo di questa città... e faceva la parte di quella che non capisce, che non sa, soprattutto di fronte agli adulti cinesi, come dire: io sono una che sta qua, non sono come quelli, che sono gente di là...
Ne ho conosciuti diversi di bimbi adottati che hanno sùbito e spontaneamente imboccato la strada della "naturalizzazione", per immedesimarsi nella loro nuova identità, e hanno da sùbito rifiutato qualsiasi contatto con immigrati dal loro stesso paese... è comprensibilissimo in un bambino... inizia la sua nuova vita da ora in avanti per sempre... è un momento delicato in cui ha bisogno di chiarezze e di riferimenti. A quella età non è facile tenere i piedi in due scarpe, potrebbe addirittura essere destabilizzante. Per crescere ha bisogno di sentirsi accettato nella società in cui vive, e nel contempo anche di distinguersi dai grandi per chiarirsi qual'è la sua propria identità individuale. Magari il discorso potrebbe essere diverso per un giovane adulto.
Risposta della prof.sa Longo:
cara Patrizia, il prof Pancera mi ha passato la sua mail e le rispondo.
Il tempo per discutere è stato poco e allora le immagini prendono tutta la forza, credo che debba tener conto di questo quando pensa al film.
la Francia, come altri paesi democratici è piena di contraddizioni e se è vero che quei bambini che lei ha visto nel film non dispongono della possibilità di presentare la propria cultura, se è vero che saranno probabilmente destinati a percorsi scolastici secondari e corti, non è necessariamente vero che saranno schiacciati nella loro personalità o che prenderanno il modello di personalità francese media. Avranno occasione di discutere di leggere i giornali, di partecipare a movimenti politici , a manifestazioni, associazioni... insomma alla vita della democrazia. Quest'ultima non è un modello di perfezione su cui confrontare le nostre esperienze, mauna lotta continua verso l'affermazione di diritti, è disordine, ma un disordine possibile, cosa che non c'è nelle dittature . In Francia questi spazi di lotta esistono e questo è importante e serve anche a denunciare come la scuola accoglie gli stranieri. Quella maestra, alla fine di un anno di film e guardandosi nel film ha detto: "ho capito molte cose di me", affermazione molto onesta professionalmente, non le pare?
Ci sono tanti gruppi e associazioni che qui contestano la rigidità della scuola, un po' alla volta ce la faranno a migliorare. Cio' che conta e che i principi della dichiarazione dei diritti dell'uomo continuino a essere un riferimento comune.
Grazie per il suo intervento
Cordiali saluti
Teresa Longo
Risposta della prof.sa Longo:
cara Patrizia, il prof Pancera mi ha passato la sua mail e le rispondo.
Il tempo per discutere è stato poco e allora le immagini prendono tutta la forza, credo che debba tener conto di questo quando pensa al film.
la Francia, come altri paesi democratici è piena di contraddizioni e se è vero che quei bambini che lei ha visto nel film non dispongono della possibilità di presentare la propria cultura, se è vero che saranno probabilmente destinati a percorsi scolastici secondari e corti, non è necessariamente vero che saranno schiacciati nella loro personalità o che prenderanno il modello di personalità francese media. Avranno occasione di discutere di leggere i giornali, di partecipare a movimenti politici , a manifestazioni, associazioni... insomma alla vita della democrazia. Quest'ultima non è un modello di perfezione su cui confrontare le nostre esperienze, mauna lotta continua verso l'affermazione di diritti, è disordine, ma un disordine possibile, cosa che non c'è nelle dittature . In Francia questi spazi di lotta esistono e questo è importante e serve anche a denunciare come la scuola accoglie gli stranieri. Quella maestra, alla fine di un anno di film e guardandosi nel film ha detto: "ho capito molte cose di me", affermazione molto onesta professionalmente, non le pare?
Ci sono tanti gruppi e associazioni che qui contestano la rigidità della scuola, un po' alla volta ce la faranno a migliorare. Cio' che conta e che i principi della dichiarazione dei diritti dell'uomo continuino a essere un riferimento comune.
Grazie per il suo intervento
Cordiali saluti
Teresa Longo
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