L'allarme lanciato dal Rapporto sullo Sviluppo Umano 2004 dell'Onu, da corriere.it
articolo di Daniele Castellani Perelli del 15 luglio 2004 :
Identità culturale
«La liberazione dalle identità rigide e il multiculturalismo sono le soluzioni possibili»
da NEW YORK - Ma il mondo ai tempi della globalizzazione sta progredendo o no, nel rispetto delle identità culturali? Il Rapporto sullo Sviluppo Umano del 2004, redatto dall’Agenzia delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp), ha lanciato l’allarme, pur individuando esempi positivi nella risoluzione di conflitti dovuti alle identità culturali. Un dato su tutti: secondo il progetto Minorities at Risk, sono circa un miliardo le persone sottoposte a una qualche forma di esclusione a causa della loro appartenenza a un certo gruppo, l’equivalente di una persona su sette nel mondo intero. Esclusione che semplificando si riduce a due tipi, la negazione del proprio modello di vita e della propria partecipazione.
UN DIRITTO UMANO FONDAMENTALE - Il rapporto, che quest’anno ha come titolo «Identità e differenze culturali in un mondo unito» e che è edito in Italia dalla Rosenberg & Sellier Editori, riconosce l’identità culturale come un diritto umano, al pari della sanità, dell’istruzione, della libertà politica e di uno standard di vita dignitoso, perché è un diritto «fondamentale per la capacità delle persone di vivere come vorrebbero». Il documento però non si ferma qui, e avanza proposte concrete, tutte all’insegna del multiculturalismo e di una politica che sappia coniugare le diversità con il liberalismo, perché il protezionismo e il nazionalismo non possono essere la risposta.
CINQUE MITI DA SFATARE - Per dimostrare che il multiculturalismo (ovvero il rifiuto dell’assimilazione delle varie identità in un unico standard culturale) può rappresentare la soluzione, il rapporto cerca di smontare cinque «miti». Il rispetto profondo delle differenze, anzitutto, non mina l’unità dello stato, perché ogni individuo può scegliere di identificarsi con molti gruppi diversi (di cittadinanza, di genere, di etnia, di lingua, politico o religioso) e perché la nuova sfida è proprio la creazione di stati eterogenei e unificati. Non è poi vero che i gruppi etnici sono propensi al conflitto violento a causa dei differenti valori, perché al contrario le cause degli scontri sono sempre economiche. È falso che la libertà culturale richieda la tutela di ogni pratica tradizionale, qualunque essa sia, e che i paesi con diversità etniche abbiano meno possibilità di sviluppo economico, come dimostrano Malaysia e Mauritius. Non è vero, infine, che alcune culture siano più fertili per la diffusione della democrazia: un’indagine condotta sui World Values indica che le persone dei paesi musulmani, ad esempio, sostengono molti valori di quanti abitano nei paesi non musulmani.
LE SOLUZIONI POLITICHE - E in concreto, cosa si dovrebbe fare? Garantire la partecipazione politica delle minoranze, magari attraverso intese federali (Spagna) o leggi elettorali proporzionali (Nuova Zelanda). Garantire la libertà religiosa, specialmente attraverso il riconoscimento delle festività (India) e delle norme sul matrimonio, sull’eredità e sulla sepoltura. Attuare politiche per il pluralismo legale e linguistico e favorire l’uguaglianza socio-economica tra i vari gruppi. Difendere gli indigeni, i saperi tradizionali e i beni culturali. Fornire sostegni adeguati per l’integrazione degli immigrati, come viene fatto in Germania, dove vengono messi a disposizione efficienti e gratuiti corsi di lingua e servizi per la ricerca di un lavoro conforme alle proprie competenze.
UN DISCORSO D’ATTUALITA’ - «Le persone si stanno nuovamente mobilitando intorno alle vecchie ingiustizie etniche, religiose, razziali e culturali – spiega il documento delle Nazioni Unite – e pretendono che le loro identità vengano riconosciute, rivalutate e accettate dalla società nel suo complesso». Agli intolleranti bisogna rispondere con la democrazia, che in Austria ha costretto la FPÖ a moderare le proprie posizioni. La democrazia formale, però, non basta, visto che in molti di questi regimi esistono «minoranze prive di un’adeguata rappresentanza politica e per le quali le vessazioni e le difficoltà nell’accedere ai servizi pubblici rappresentano il prezzo quotidiano da pagare». La globalizzazione, con la conseguente accelerazione della migrazione e delle comunicazioni internazionali, sta rendendo sempre più attuali i conflitti dovuti alle identità culturali, come dimostrano le vicende della proibizione del velo islamico nelle scuole francesi, e delle violenze quotidiane in Kosovo, il dibattito sulla rappresentanza di sciiti e curdi nel nuovo Stato iracheno, e sulla lingua spagnola negli Stati Uniti. Il rapporto, più che un documento scientifico, è un’ambiziosa proposta politica. Che sembrerà anche ingenua, ma che almeno possiede il dono della chiarezza. Le Nazioni Unite non hanno dubbi: la risposta ai conflitti identitari è nella liberazione dalle identità rigide e nel multiculturalismo. "
(15 luglio 2004)
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Per l'ultimo Rapporto, quello del 2010 (in occasione del suo 20° anniversario), vedi:
http://hdr.undp.org/en/media/hdr04_it_overview.pdf
articolo di Daniele Castellani Perelli del 15 luglio 2004 :
Identità culturale
«La liberazione dalle identità rigide e il multiculturalismo sono le soluzioni possibili»
da NEW YORK - Ma il mondo ai tempi della globalizzazione sta progredendo o no, nel rispetto delle identità culturali? Il Rapporto sullo Sviluppo Umano del 2004, redatto dall’Agenzia delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp), ha lanciato l’allarme, pur individuando esempi positivi nella risoluzione di conflitti dovuti alle identità culturali. Un dato su tutti: secondo il progetto Minorities at Risk, sono circa un miliardo le persone sottoposte a una qualche forma di esclusione a causa della loro appartenenza a un certo gruppo, l’equivalente di una persona su sette nel mondo intero. Esclusione che semplificando si riduce a due tipi, la negazione del proprio modello di vita e della propria partecipazione.
UN DIRITTO UMANO FONDAMENTALE - Il rapporto, che quest’anno ha come titolo «Identità e differenze culturali in un mondo unito» e che è edito in Italia dalla Rosenberg & Sellier Editori, riconosce l’identità culturale come un diritto umano, al pari della sanità, dell’istruzione, della libertà politica e di uno standard di vita dignitoso, perché è un diritto «fondamentale per la capacità delle persone di vivere come vorrebbero». Il documento però non si ferma qui, e avanza proposte concrete, tutte all’insegna del multiculturalismo e di una politica che sappia coniugare le diversità con il liberalismo, perché il protezionismo e il nazionalismo non possono essere la risposta.
CINQUE MITI DA SFATARE - Per dimostrare che il multiculturalismo (ovvero il rifiuto dell’assimilazione delle varie identità in un unico standard culturale) può rappresentare la soluzione, il rapporto cerca di smontare cinque «miti». Il rispetto profondo delle differenze, anzitutto, non mina l’unità dello stato, perché ogni individuo può scegliere di identificarsi con molti gruppi diversi (di cittadinanza, di genere, di etnia, di lingua, politico o religioso) e perché la nuova sfida è proprio la creazione di stati eterogenei e unificati. Non è poi vero che i gruppi etnici sono propensi al conflitto violento a causa dei differenti valori, perché al contrario le cause degli scontri sono sempre economiche. È falso che la libertà culturale richieda la tutela di ogni pratica tradizionale, qualunque essa sia, e che i paesi con diversità etniche abbiano meno possibilità di sviluppo economico, come dimostrano Malaysia e Mauritius. Non è vero, infine, che alcune culture siano più fertili per la diffusione della democrazia: un’indagine condotta sui World Values indica che le persone dei paesi musulmani, ad esempio, sostengono molti valori di quanti abitano nei paesi non musulmani.
LE SOLUZIONI POLITICHE - E in concreto, cosa si dovrebbe fare? Garantire la partecipazione politica delle minoranze, magari attraverso intese federali (Spagna) o leggi elettorali proporzionali (Nuova Zelanda). Garantire la libertà religiosa, specialmente attraverso il riconoscimento delle festività (India) e delle norme sul matrimonio, sull’eredità e sulla sepoltura. Attuare politiche per il pluralismo legale e linguistico e favorire l’uguaglianza socio-economica tra i vari gruppi. Difendere gli indigeni, i saperi tradizionali e i beni culturali. Fornire sostegni adeguati per l’integrazione degli immigrati, come viene fatto in Germania, dove vengono messi a disposizione efficienti e gratuiti corsi di lingua e servizi per la ricerca di un lavoro conforme alle proprie competenze.
UN DISCORSO D’ATTUALITA’ - «Le persone si stanno nuovamente mobilitando intorno alle vecchie ingiustizie etniche, religiose, razziali e culturali – spiega il documento delle Nazioni Unite – e pretendono che le loro identità vengano riconosciute, rivalutate e accettate dalla società nel suo complesso». Agli intolleranti bisogna rispondere con la democrazia, che in Austria ha costretto la FPÖ a moderare le proprie posizioni. La democrazia formale, però, non basta, visto che in molti di questi regimi esistono «minoranze prive di un’adeguata rappresentanza politica e per le quali le vessazioni e le difficoltà nell’accedere ai servizi pubblici rappresentano il prezzo quotidiano da pagare». La globalizzazione, con la conseguente accelerazione della migrazione e delle comunicazioni internazionali, sta rendendo sempre più attuali i conflitti dovuti alle identità culturali, come dimostrano le vicende della proibizione del velo islamico nelle scuole francesi, e delle violenze quotidiane in Kosovo, il dibattito sulla rappresentanza di sciiti e curdi nel nuovo Stato iracheno, e sulla lingua spagnola negli Stati Uniti. Il rapporto, più che un documento scientifico, è un’ambiziosa proposta politica. Che sembrerà anche ingenua, ma che almeno possiede il dono della chiarezza. Le Nazioni Unite non hanno dubbi: la risposta ai conflitti identitari è nella liberazione dalle identità rigide e nel multiculturalismo. "
(15 luglio 2004)
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Per l'ultimo Rapporto, quello del 2010 (in occasione del suo 20° anniversario), vedi:
http://hdr.undp.org/en/media/hdr04_it_overview.pdf
Leggendo questo stupendo articolo mi è venuto in mente il caso del crocefisso in aula, che penso tutti ricorderanno. Storia recentissima. E poi mi è venuto in mente il 150° anniversario dell'unità d'Italia. Storia recente. Allora mi chiedo: siamo pronti ad abbandonare la nostra identità rigida per entrare nel multiculturalismo?
RispondiEliminaserena c. scrive:
RispondiEliminapurtroppo o per fortuna (non so) quando abbiamo a che fare con "l'altro", con altre mentalità, con altre culture...la prima cosa che facciamo e' quella di paragonarla a noi (a noi intesi come identità culturale)...e credo che questo sia normale..ma ciò che e' sbagliato e che il più delle volte avviene...e' che questo paragone non lo viviamo alla pari... ma lo elaboriamo guardandolo dall'alto... come se noi (inteso come qualsiasi cultura presa in soggetto) fossimo superiori... con valori migliori e con una stabilita' da invidiare.
Sto cercando, in questi giorni, di capire cosa siamo (noi) a prescindere da ciò che ci circonda... forse attori di un palcoscenico che non e' propriamente il nostro? e che ognuno decora a suo piacimento? C'e chi ama il sipario rosso... chi vuole uscire dalle righe, e lo sceglie verde... o c'e chi magari quel sipario non ce l'ha perché per lui non calerà mai... non so...!!