mercoledì 21 dicembre 2011

la meraviglia della nascita


oggi è nata la piccola Lucia, è la figlioletta della nostra amica Silvia. E' sempre un evento straordinario che desta una gran meraviglia.... benvenuta piccolissima Lucia e buona fortuna!

ma quando è incominciato tutto ciò...? una giovane si accoppia con un giovane e poi partorisce un terzo individuo...la piccola neonata viene partorita da quella giovane che ora è diventata una madre, e lei a sua volta quando era nata era stata partorita da sua madre, eccetera eccetera a ritroso... quindi l'origine sta nei suoi quattro nonni, che a loro volta derivano, ciascuno di loro quattro, dai loro quattro nonni, e così via sinché a furia di arretrare questo diviene un numero grandissimo, tale da comprendere tutta l'umanità esistita in un lontano passato, e dunque siamo tutti parenti...
ma quanto è lontano questo passato? non poi moltissimo, dato che più risaliamo all'indietro e meno erano gli abitanti di questa terra, sino a che giungiamo in un'epoca in cui gli esseri umani di specie sapiens-sapiens erano veramente pochissimi, un gruppetto sparuto in costante rischio di estinzione. E loro a loro volta hanno origini lontane nel corso della evoluzione della specie, sinché guardando all'indietro si giunge alla prima coppia di mammiferi....
come è possibile? è difficile da concepire tutto ciò. più si va all'indietro è più grande è il numero dei trisavoli, quadrisavoli, e degli antenati più lontani, e invece minore è il numero di esseri umani... se consideriamo tutte le numerosissime stirpi famigliari che nei secoli passati a causa di malattie e morti violente, o comunque precoci, si erano estinte, non hanno avuto seguito con loro successori in modo da poter giungere sino alla nostra epoca...
e allora? considerati tutti i rami secchi delle ultime decine di millenni, siamo discendenti di pochissimi avi... Confesso che faccio fatica ad abbracciare questa x per capire che ad un certo punto (quale? quando?)  tutti coloro che ora sono vivi si possono dichiarare discendenti da un unica coppia... 
E' il mistero della origine della vita in questo pianeta, che si è realizzata a costo di moltissime specie che col tempo si sono estinte nelle epoche passate per lasciare il posto alle antenate delle forme viventi attuali. Siamo tutti collegati dato che tutto si svolge su questa "piccola" pallina rotante nel cosmo. Una maniera abbastanza facilitante per considerare tutto ciò, forse è vedere le cose attraverso l'idea della metemsomatosi, o "reincarnazione" del genoma (intendo una idea non ingenua, ma una metavisione complessiva, "astratta" dalle specifiche personalità e individualità singole il cui passaggio si consuma in un batter di ciglia). così si potrebbe intendere il "fissarsi" delle esperienze compiute dai vari individui della specie umana, a livello di codice genetico, ed il progredire verso una ottimizzazione del rapporto tra potenzialità e capacità effettive, e produrre un perfezionamento non solo a livello performativo e cognitivo, ma anche spirituale. 
Se vita in generale è movimento (e riproduzione), il primo movimento si è determinato già sin con i cristalli. 
Ma naturalmente oltre all'abisso dell'inizio, si può pensare all'abisso del futuro più lontano che ci sia possibile immaginare, oltre la fantascienza...
Fino a che numero di esseri umani sapiens-sapiens questo nostro pianetino può sopportare? e poi? Quando i bisnipoti degli attuali sette miliardi di individui avranno raggiunto la quantità massima possibile?? fra non molti decenni, o fra molte  molte generazioni future?  .....e comunque dopo?
e...a parte gli umani attuali (o la specie a noi successiva nell'evoluzione), allargando la visione, quante delle specie attuali potranno sopravvivere nel lontano futuro, e quanti individui viventi di tutte quante le forme di vita, potranno starci?
.....e poi? 
sono domande oziose, dato che non conoscendo il futuro (ed è una gran fortuna non vi pare?) non possiamo calcolarlo e quindi non potremo mai conoscere le risposte.

Ma ora restando nella nostra piccola nicchia spazio-temporale, che meraviglioso evento è la nascita di un nuovo individuo!..... rincantucciamoci in questa nostra cuccia calda del qui ora adesso, e godiamoci lo spettacolo che in questo batter di ciglia, per noi lungo una vita, ci è riservato goderci... scordiamoci tutte le oziose considerazioni appena fatte, e anzi scusatemi per avervi comunicato queste assurde fantasticherie.

benvenuta piccolissima Lucia, hai tutta la vita dinnanzi a te, e buona fortuna!

sabato 17 dicembre 2011

i sentimenti di appartenenza

Wole Soyinka, poeta e scrittore nigeriano, premio Nobel 1986, che vive in Inghilterra, così dice in occasione della presentazione del suo libro "Sul far del giorno" (traduzione it. Frassinelli editore):

"Nel suo libro Lei mostra la convivenza tra due identità, quella Yoruba e quella occidentale; come è riuscito a integrarle?"
"Mi considero di cultura yoruba perché sono nato in Africa. Altri nigeriani invece nati in Inghilterra sono diversissimi da me, non hanno respirato la stessa atmosfera.
 Della mia cultura apprezzo soprattutto la pluralità di Dèi, che riflettono vari aspetti dell'animo umano, e che corrispondono di più a una democrazia, mentre mi sono convinto che i monoteismi riflettono gli assolutismi.
Poi mi piace il senso di famiglia allargata, rispetto alla concezione molecolare europea.
Ma preferisco di gran lunga il vino italiano a quello di palma...."

martedì 13 dicembre 2011

il tema del "doppio"

domenica 11 era uscita sul "Corriere della sera" questa recensione di Franco Cordelli dell'opera "Il nipote di Ramaeau" scritta da Denis Diderot tra il 1762 e il '73, trasposta per Teatro da Silvio Orlando, e che ha molto a che fare con le problematiche dell'identità:


Diderot contro il suo doppio

Con "Il nipote di Rameau" di Denis Diderot, adattato per la scena da Edoardo Erba e Silvio Orlando, che ne è interprete e regista, ci troviamo di fronte a tre personaggi in uno: l' autore, l' interprete e l' intermediario. Quest' ultimo nel testo viene designato come Lui ed è il realmente esistito Jean-François, nipote di Jean-Philippe, entrambi musicisti. Ma se Jean-Philippe è Rameau, Jean-François (benché compositore di una Raméide che ebbe una qualche diffusione) non è che il personaggio di Diderot, colui che nel Nipote si autodesigna come Io. Questo Io-Lui è subito di grande interesse: non già termini neutri, pura nomenclatura, ma anticipazione d' un tema del doppio che avrà grande fortuna nell' Ottocento e nel quale Freud vide una traccia dei due «desideri delittuosi» originari nell' uomo. Del racconto di Diderot, cominciato nel 1761 e portato a termine vent' anni dopo, la prima edizione è in lingua tedesca, tradotta nientemeno che da Goethe nel 1805: la copia gliel' aveva data Schiller, che a sua volta l' ebbe da Caterina II (Diderot aveva all' amica inviato il manoscritto). Un altro gigante tedesco che s' interessò del Nipote fu Hegel: egli lesse nelle parole del musicista fallito, nella sua spavalderia, nella sua deliberata volontà di inganno del prossimo «l' impudenza di enunciare questo inganno e dunque la verità suprema», ossia il nocciolo di quella che sarà la sua filosofia, la «negazione della negazione». Ma tutto questo bendidio culturale, che lo stesso Hegel avrebbe definito «fatuità della cultura», in che modo, o in chi, trova espressione? Diderot ci parla della sua abitudine, alle cinque del pomeriggio, di passeggiare verso il Palais Royal e, in caso di pioggia, di rifugiarsi nel caffè della Régence. Mentre guarda la gente giocare a scacchi incontra Jean-François, un avventuriero, un parassita, un cialtrone. I due intraprendono un dialogo. Il filosofo-scrittore ci appare piuttosto controllato, pieno di buon senso. Almeno in confronto al suo interlocutore: il quale è una furia, ne ha per tutto e per tutti, compreso sé stesso. Il «nipote» si dichiara uomo mediocre e discetta sulla questione verità-menzogna, e poi su quella che più gli sta a cuore, che differenza c' è tra il genio e la normalità: ma davvero sarebbe meglio essere uomo di specchiata virtù piuttosto che, come Racine, aver scritto Andromaca ed essere chiacchierato nel tempo suo e in quello venuto dopo? Se tutto fosse eccellente, risponde il saggio filosofo, nulla lo sarebbe. Ma per Jean-François ciò che importa è smascherare la pretesa di eccellenza, di onestà, di modestia: quanto orgoglio ci sia dietro ogni modestia! Egli odia tutti coloro che nascondono ciò che dicono, odia gli ipocriti. Ma amo Molière, aggiunge, perché m' insegna, se fossi un ipocrita, a parlare da ipocrita; e se fossi avaro, non mi nasconderei dietro qualche insignificante gesto di carità. Insomma il nipote di Rameau è il primo demistificatore della storia letteraria, un personaggio che sa distinguere tra la malvagità e il tono con cui essa viene raccontata. Per Diderot è una variante della sua idea fissa: che cos' è il «mostro»? Che cos' è un sordomuto? Che cosa l' eccezione rispetto alla regola? Questo, per venire all' interprete, penso sia ciò che ha attratto Silvio Orlando: una figura che gli offriva l' opportunità di operare variazioni «serie» sul tema della sregolatezza, della buffoneria, dello smisurato: quasi che ciò che aveva accennato nei suoi tanti personaggi potesse venire alla luce, rivelare una parte di sé, un suo vero, occulto sentimento. 
RIPRODUZIONE RISERVATA "Il nipote di Rameau" di Diderot/Orlando,  di Cordelli Franco

domenica 11 dicembre 2011

quel che siamo

Siamo quel che siamo diventati. Speriamo che sia vicino a quella identità che più e meglio ci consente di realizzare le nostre potenzialità, la nostre propensioni,  e le nostre migliori attitudini...

Non è forse vero -diversamente da quel che molte istituzioni religiose consolidate vorrebbero farci credere- che cristiani si diventa, e non semplicemente "si nasce"? (ovvero che in realtà non si è veramente cristiani solo in virtù del battesimo che ci fecero dare quando eravamo neonati...); e così pure buddhisti si diventa non si nasce; ebrei si diventa, non si nasce; mussulmani si diventa, e non si nasce; eccetera, eccetera. Oggi già c'è anche da noi una maggiore varietà di credenze, e non vale più tanto l'equazione, nato in Italia= quindi cattolico..., nato in Inghilterra =anglicano, nato in Olanda =protestante, ecc. ...
Il generale D'Azeglio, quando si realizzò l'unificazione della penisola sotto la corona dei Savoia, disse che l'Italia era stata fatta, ma che ora si dovevano fare gli italiani. E quindi anche italiani si diventa, magari tramite la scuola, la stampa, la radio, il cinema, la televisione, i mass-media eccetera.
Così perlomeno ci dicono molti "nuovi italiani" nati qui, magari anche di seconda o terza generazione di immigrazione, che si sentono del tutto o in parte italiani, forse più che della "cultura originaria". E ugualmente è accaduto ai nostri emigrati di un tempo in Venezuela, in Canada, in Australia, in Francia, in Inghilterra, in Germania, in Svizzera, negli Stati Uniti, in Brasile, in Argentina, in Belgio, eccetera, e soprattutto ai loro figli.
.... ma.... allora è il nascere in un certo contesto culturale che determina la nostra identità???....
fino a che punto l'identità è data dai condizionamenti che subiamo, e fino a che punto è frutto di una nostra costruzione? ha senso fare un appello a prendersi in carico la propria autoformazione? a prendersi cura di sè? 

mercoledì 7 dicembre 2011

dopo la lezione di Richard Salazar




Interculturalidad


PUNTOS DE PARTIDA

La interculturalidad va mucho más allá de la coexistencia o el diálogo de culturas; es una relación sostenida entre ellas. Es una búsqueda expresa de superación de prejuicios, del racismo, de las desigualdades y las asimetrías que caracterizan al país, bajo condiciones de respeto, igualdad y desarrollo de espacios comunes.

Una sociedad intercultural es aquella en donde se da un proceso dinámico, sostenido y permanente de relación, comunicación y aprendizaje mutuo. Allí se da un esfuerzo colectivo y consciente por desarrollar las potencialidades de personas y grupos que tienen diferencias culturales, sobre una base de respeto y creatividad, más allá de actitudes individuales y colectivas que mantienen el desprecio, el etnocentrismo, la explotación económica y la desigualdad social.
La interculturalidad no es tolerarse mutuamente, sino construir puentes de relación e instituciones que garanticen la diversidad, pero también la interrelación creativa. No es solo reconocer al "otro" sino, también, entender que la relación enriquece a todo el conglomerado social, creando un espacio no solo de contacto sino de generación de una nueva realidad común.

 Desde la ética y los valores sociales, la identidad e interculturalidad se las promueve como el reconocimiento y respeto de la diversidad social, con acciones sobre la dignidad y derechos de las personas y colectivos sociales, para que éstos se constituyan en factores sustanciales de sociedades integradas, democráticas y estables.

* Desde las prácticas e interacción cotidiana, la identidad e interculturalidad, posibilitan actitudes para el entendimiento y relaciones entre “los distintos” para beneficio mutuo y colectivo.
* Como un horizonte de vida, la interculturalidad representa la apertura a nuevos escenarios, conocimientos y prácticas sin contradecir la estima, identidad y capacidades propias de las personas y colectividades.

El reconocimiento de la identidad y la interculturalidad requiere de un diálogo con buena intención, que hay que impulsarlo con lo mejor que tienen las comunidades e individuos, con los aspectos más atractivos de sus culturas, favoreciendo la eliminación progresiva de prejuicios y resistencia mutuos. un diálogo con buena intención, que hay que impulsarlo con lo mejor que tienen las comunidades e individuos, con los aspectos más atractivos de sus culturas, favoreciendo la eliminación progresiva de prejuicios y resistencia mutuos.

ECUADOR INTERCULTURAL

No es suficiente constatar la heterogeneidad del Ecuador, sino realizar los cambios que permitan una relación más simétrica entre los grupos que lo componen.
Pero nuestro país tiene mucho camino que recorrer para consolidarse como un país intercultural. Para ello debe no solo renovar sus leyes sino sus instituciones y su tejido social interno. Todo eso supone el impulso de nuevas prácticas culturales. Y para ello el sistema educativo es crucial. Tendremos un avance de la interculturalidad si la ponemos en la base de la reforma educativa global.

Ya hemos mencionado que los llamamientos a la construcción de la interculturalidad han venido desde los pueblos indígenas. Por ello, gracias a su lucha, Ecuador tiene el mérito de haber creado un sistema especial de educación indígena "bilingüe intercultural". Este es un paso serio que debemos apreciar. Pero ese ámbito de la educación tiene que ser de veras intercultural más allá de los enunciados, evitando ese etnocentrismo que cree que avanza la educación indígena como una estructura aislada del conjunto de nuestra educación nacional.

lunedì 5 dicembre 2011

Moni Ovadia grande uomo di teatro:






Dopo l'intervento di De Angelis sull'identità ebraica nella letteratura, vi posto questo testo di e su Ovadia :


"A me, in quanto ebreo, hanno spesso chiesto anzi, “sono stato richiesto” di spiegare che cosa significhi essere ebreo, che cosa sia in realtà un ebreo. Durante mesi di notti insonni ho tormentato la mia mente, il mio cuore, la mia anima e ho distillato una dolente risposta che vi propongo: “Boh?!”.
Gli ebrei sono un popolo di schiavi liberati.
Formano la loro identità nello spazio-tempo del deserto, un luogo senza confini, dove il tempo si dilata fino a diventare una dimensione, uno spazio, mentre la dimensione “spazio” è difficile e non favorevole alla sedentarietà.
In "Oylem Goylem" la condizione esistenziale dell’ebreo errante è ricreata attraverso le parole e la musica fino a diventare “una metafora vertiginosa dell’uomo contemporaneo sospeso tra ricerca dell’identità e angoscia di un universale stato d’esilio”.

Il filosofo Cioran definisce l’ebreo con risultati particolarmente espressivi:
"[…] Poiché è restio alle classificazioni, quel che di preciso se ne può dire è inesatto; nessuna definizione gli si addice. […] tutto è insolito in lui: non è stato forse il primo ad aver colonizzato il cielo, ad avervi posto il suo Dio? […] questo popolo, inadatto alle dolcezze della disperazione, incurante della sua fatica millenaria, delle conclusioni che gli impone la sua sorte, vive nel delirio dell’attesa, fermamente risoluto a non trarre insegnamento dalle sue umiliazioni, né a dedurne una regola di modestia, un principio di anonimato. Prefigura la diaspora universale: il suo passato riassume il nostro avvenire…Il più tollerante e il più perseguitato dei popoli, unisce l’universalismo al più stretto particolarismo. Contraddizione di natura: inutile tentare di risolverla o spiegarla."

Chi è dunque l’ebreo?
In "Perché no?", Ovadia ritiene l’identità ebraica aleatoria, non un’identità somatica, se non relativamente con un elemento caratterizzante, quello della corrosività; inoltre la considera indistruttibile ma molto delicata.
Giacobbe fa un gesto significativo, prima di morire, non chiama per la benedizione il figlio Giuseppe ma i nipoti.
In questo modo sottolinea l’importanza del futuro, un futuro nel quale spesso l’identità ebraica è garantita da un nonno o da bisnonno.
Ovadia espone una teoria affascinante del filosofo Emile Fackenheim secondo la quale il milione di bambini ebrei sterminati furono uccisi per la fede dei loro bisnonni...
Questi se avessero abbandonato l’educazione ebraica avrebbero spezzato il filo dell’identità e quattro generazioni dopo le vittime potevano essere tra i carnefici. 
Al contrario, come si sospetta, molti capi nazisti compresi lo stesso Hitler e il gerarca Reinhardt (colui che nella conferenza di Wahnsee rese la soluzione finale un piano operativo) avevano probabilmente tra i loro bisavoli un sedicesimo ebraico che abbandonò la fede. 
In questo caso non solo i carnefici avrebbero anche potuto essere vittime, ma paradossalmente poteva non esserci la tragedia che c'è stata.

L’attore si definisce un ebreo di origine bulgara, non ortodosso, di formazione marxista, vegetariano, e soprattutto con un’ identità nomade, dove nomade è inteso nell’accezione dell’ebraico ger ossia straniero in continuo cammino.

Più precisamente, in epoca post-Olocausto, si sente “nella medesima condizione in cui si sono trovati tanti intellettuali ebrei collocati in un contesto di mezzo tra assimilazione e disagio identitario”.
Questa condizione di “orfano di una cultura” è propria di Franz Kafka, scrittore delle angosce e dei bisogni segreti dell’uomo moderno.

su Ovadia cfr. per es. i seguenti siti della Rai :
http://www.scrittoriperunanno.rai.it/scrittori.asp?currentId=108
http://www.fuoriclasse.rai.it/new/dettaglio_puntata.aspx?IDPuntata=379

la scrittrice Clara Sereni

Riporto la nota editoriale di un romanzo autobiografico di Clara Sereni:




Nel "Gioco dei regni", edito da Giunti, 1993, 
ricompare in primo piano la famiglia della scrittrice, sia del ramo paterno, Sereni, che materno, Silberberg, con mamma e nonna russe. 
Alternando i capitoli tra storia degli uni e degli altri, si compongono le vicende pubbliche e private di una famiglia ebraica protagonista della storia del Novecento.




I grandi temi politici e culturali del secolo davvero non mancano. C’è il socialismo rivoluzionario dei nonni materni, Leone e Xenia, l’ebraismo laico ed assimilato del nonno paterno, il medico Samuele, il sionismo militante dello zio Enzo, ucciso dai nazisti, l’ebraismo ortodosso prima, il comunismo poi, del padre Emilio, membro del Partito negli anni terribili, incarcerato dal fascismo ed esule in Francia.
Il titolo si riferisce al tempo in cui i piccoli Sereni, Enzo, Emilio ed Enrico, giocavano a fare "se fossi il re", spartendosi i ruoli pubblici e redigendo perfino un giornalino, inconsapevole apprendistato della loro vita adulta.
Clara, figlia di Emilio e Marina-Xeniuska Silberberg, ci restituisce le loro storie attraverso ricordi, carteggi, fondi di archivi privati raccolti sia in Italia che in Israele, dove vive un ramo della famiglia Sereni ed è sepolta la nonna materna dopo aver vissuto a lungo in un kibbutz collettivista.
Se la protagonista di questo romanzo è la grande Storia, non lo sono meno gli affetti, lacerati dalla politica o da dolori terribili e “privati”.

Vedi nel sito di Rai Educational : 

http://www.scrittoriperunanno.rai.it/scrittori.asp?videoId=1071&currentId=126



giovedì 1 dicembre 2011

morale / amorale / immorale .... ?

Qualcuno mi ha scritto chiedendo se alla fin dei conti esista davvero un qualcosa che potremmo chiamare una morale (a livello individuale)...


allora innanzitutto ti debbo dire che io non sono un esperto di "filosofia morale" o altre discipline collegate... e soprattutto non sono un tipo che sa dare risposte ma semmai uno che si lascia intrigare e coinvolgere (e soprattutto appassionare) molto di più da certe domande. 
quindi me lo chiedo anch'io, ma esiste una morale?, non intesa in quanto morale sociale (eccome che esiste!) ma intesa come morale personale. non lo so ma credo proprio di sì. c'è qualcosa che noi ci costruiamo (consc. o inconsc.) attraversando ed essendo attraversati dalla educazione, dalla società, dalle regole, dalle leggi, e ce la costruiamo in certa parte anche nonostante queste, contro queste, rifiutando, opponendoci, contrastando, o semplicemente criticando tutte queste forze che sembrano un insieme di forti correnti, onde, e rapide di un fiume che stiamo percorrendo su una barchetta. 
E la vedo come fatta di un groviglio di contraddizioni che però in noi convivono perché abbiamo imparato a conviverci e farle convivere (a volte con alcuni inconvenienti), ma sono la nostra morale, ovvero l'insieme di riferimenti che abbiamo preso e fatto nostri, o che ci siamo inventati e costruiti. 
Per cui ad es. uno in certi contesti potrebbe non provare pudore per le nudità e in altri ritenere invece conveniente coprirsi, anche se per es. sta in una spiaggia deserta, oppure nel suo letto ... 
E viceversa può restare tranquillamente seminudo/a anche in numerosa e affiatata compagnia, ad es a far chiacchiere stando sulla sdraio nel "Bagno" al mare (magari riducendo semplicemente le coperture al minimo indispensabile o anche un po' di meno, pur che il contesto, la compagnia, la situazione, il momento magico, o l'atmosfera delle sensibilità, o la stagione e il luogo lo consenta)...
Uno potrebbe vergognarsi di non dare dei soldini a certi che ti chiedono di dare loro un aiutino, e sai che ne hanno bisogno, mentre al contempo ad es a altri (che forse non ne avevano poi così tanto necessità come i precedenti), però dei soldi alla fine glieli dai, magari perché vedi che si vergognano loro a chiederteli, oppure perché tra voi c'è una amicizia particolare, o per delle "giuste" cause.
Oppure sei disposto a dare dei soldi a uno che non ne ha bisogno, ma che in quel contesto riconosci che ha delle buone ragioni o che ne ha il diritto di volerli da te.... C'è chi è disposto a pagare uno che organizza un gioco d'azzardo (solo così perché in quella serata è andato per curiosità al casinò), eppure si sa che quello è un farabutto; oppure è disposto a pagare una prostituta, o uno spacciatore ..., pur ritenendo immorali quelle persone, quei mestieri, e magari anche chiunque partecipi a quel giro... (in cui magari senza averlo voluto ti trovi per caso tu stesso in quel frangente). C'è chi sarebbe disposta p. es. a fare sesso col fratello di suo marito, pur non intendendo minimamente mettere in forse il proprio matrimonio che ritiene debba durare per tutta la propria vita... Chi è contrario all'alcol e però in quella occasione si vuole proprio ubriacare... chi è contro il mentire e però in quel certo caso ritiene più giusta una pietosa menzogna, chi è onestissimo ma quella volta ha fatto semplicemente come fanno tutti "gli altri". Chi non farebbe mai del male a nessuno, ma che in quel momento a quel tizio gli ha proprio mollato un gran bel pugno sulla bocca...
Ognuno si regola un po' come si sente. Non so se ci possano essere dettami assoluti validi in ogni contesto e frangente per chiunque a prescindere da tutto. La coscienza individuale con cui ognuno deve fare i conti, è qualcosa di difficilissimo da definire.
Mi ricollego al concetto di mito individuale, o mito personale. Ognuno ha il suo, ognuno ha le sue mitologie, le sue leggende sul suo proprio vissuto, le sue mète magari utopistiche, e anche quelle che pure sa essere del tutto irrealistiche ....

viaggio in Nepal, 1978 (2bis)

vi riporto il diario che un ragazzo (io) scrisse 35 anni fa su un avventuroso viaggio via terra dall’India del nord su al Regno himalayano del Nepal. Sono avventure d’altri tempi oramai, ma credo che possano dare un po’ un quadro di cos'era viaggiare in paesi allora cosiddetti  ”esotici” dell’Oriente “misterioso”, e perciò affascinante, di quegli anni Settanta, una sorta di documento storico.
Il viaggio inizia con Karachi-Lahore e prosegue in India... per poi dirigersi verso il Nepal:

UP TO FABULOUS NEPAL


Dopo alcuni giorni a Benares (ora Varanasi) mentre stiamo pranzando decidiamo di andare come prossima tappa a Kathmadu in Nepal.  Mangiare già rappresenta un certo impegno per noi, perché con questo caldo afoso si suda, e noi siamo per natura dei grandi sudatori, e il cibo è così tanto speziato e piccante che farebbe sudare già di suo. Ci sono le solite attenzioni che bisogna prestare alla verifica della pulizia e dell'igiene: la scelta dei cibi (niente di crudo o poco cotto, quindi anche niente verdure che potrebbero non essere state ben lavate), ma anche un occhio alle posate, al piatto, al bicchiere, al tovagliolo, ecc..., e poi dopo comincia la fase digestiva che di solito nelle ore più torride impedisce qualsiasi attività. Per non parlare poi della fase successiva... quanta gente abbiamo visto dai treni o dai pullman mentre evacuava, semplicemente in quanto si mettono con il sedere rivolto verso la ferrovia... e quanti comunque abbiamo capito che stavano facendo pipi accucciati in strada anche in città (sempre uomini, probabilmente senza mutande). E così è anche con questo primo treno su cui saliamo. . .
Comunque conta anche il fatto che sin dall'inizio abbiamo sballato completamente con i nostri soliti orari abituali, e non solo per colpa dello sbalzo di fuso orario. 
C'è sempre qualche rumore, oppure il ventilatore è troppo forte e diretto, e non è facile stare, e poi dormire, sulle cuccette di legno della seconda classe, con la confusione, e le fermate continue alle stazioncine, con i gridi incessanti tipo chaychay! (cioè ciai, ovvero thé nero molto forte e concentrato) o coffee coffee coffee... (molto diluito), e altre offerte di venditori ambulanti che salgono sui treni. E dunque già sappiamo cosa ci aspetterà perché da quando siamo in India non abbiamo ancora dormito di fila una sola intera notte. Comunque dovremo pur anche mangiare durante il viaggio. Sul mangiare, sul dormire, e sull'evacuare e sul bere, non solo ci sono dei bei cambiamenti, ma ci accorgiamo che queste cose hanno assunto una importanza molto maggiore del solito, e che tutti i viaggiatori con cui ci incontriamo ne parlano, e insomma queste cose occupano una porzione imprevista di tempo e di attenzioni. A casa penso al mangiare solo nel senso di preparare quel che si ha voglia di mangiare, mentre qui lo prendo nel senso del necessario nutrimento (ogni cibo non mi fa voglia essendo troppo piccante ed avendo odori inusuali) e nell'attenzione a pulizia e igiene; mangiare non è dunque una soddisfazione e un piacere, ma è molto importante. Inoltre mi accorgo che se sudo molto poi bevo molto e faccio meno pipi, se invece piove e fa un po' più fresco, bevo meno e faccio molta più pipi.
Insomma per anticipare il racconto, il viaggio per andare da Benares a Kathmandu durerà due giorni e mezzo, proprio così: 2 gg. e 1/2 !! Si tratta di attraversare da sud a nord (quindi una direzione inusuale) gli stati di Uttar Pradesh, e poi di Bihar con un percorso tortuoso.
Se l'odore del Pakistan era un misto di buccia d'arancia marcescente e dolciastro, misto con altro, anche merda, ... l 'odore del nord dell'India è: una prevalenza di stalla, ma a volte anche "tipo-pakistan", oppure a Benares misto a bastoncini odorosi, oppure dopo piovuto con il sole forte prevale un odore intenso di fiori marci.
L'odore del treno, il fumo, il carbone, le locomotrici a vapore, nere e sibilanti. Il treno lentissimo, le porte aperte, la gente che salta giù in corsa, i venditori ambulanti e i mendicanti che saltano su in corsa, i gradini piatti e larghi, i panconi di legno, i bagagli iperbolici degli indiani, i finestrini con le sbarre di ferro, le scorte di sicurezza ...
Ad un certo punto ci dicono (a noi stranieri) che questo tratto è ultimamente diventato pericolosissimo, per colpa di gruppi rivoltosi sovversivi, e quindi si crea una certa tensione, che ci induce a cercarci e contattarci, riferendo quel che i funzionari hanno detto, e a consultarci. Così questa situazione ci accomuna e ci fa fare gruppo, più del previsto.
A partire dall'alba dell' indomani veniamo scortati in treno dalla polizia (!). Sono loro che salgono sul treno e ci svegliano alle cinque, per avvisarci di stare all'erta (?). Pare che ci siano stati non solo molti furti, ma poi aggressioni agli stranieri (ma che cavolo dicono?), e infine in questi ultimi tempi persino assalti al treno... Ci sono tribù aborigene in rivolta contro il governo indiano. La polizia ci romperà le scatole con la sua burocrazia, facendoci compilare e firmare libroni, in cui attestiamo che la Compagnia tal-dei-tali ci ha protetti scortandoci da qui fino a lì...
Siamo costretti a cambiare treni più volte, a Sonpur, e a Sagauli e scendere a Raxaul: è questa l'indimenticabile, l'epica tradotta Benares-Nepal.


Il gruppo dei viaggiatori stranieri si fa compatto, e non siamo pochi. Cambiando treno cerchiamo di stare assieme, ma i vagoni sono letteralmente sovraffollati. 
Ora ci ha presi in carico l'esercito (!?), e ora sono loro che vogliono che stiamo tutti assieme per potere controllarci meglio. Così là dove saliamo fa sgomberare tutto il vagone addirittura. E tanta povera gente che da tempo si era sistemata viene sloggiata anche se gran parte potevano starci lo stesso. Così ci odieranno un pochino di più... 
più oltre, per evitare che qualcuno salga durante le soste frequenti in piena campagna (le porte o non si chiudono, o non ci sono proprio), 
   

mettono un cartello: vagone riservato ai turisti. Cacciano via tutti quelli che si avvicinano, magari erano solo curiosi. I soldati sono tutti armati. . .
Comunque, a parte tutto ciò e i conseguenti disagi immaginabili, il treno è lentissimo, ma lo spettacolo in questa zona è bellissimo: giungla, risaie, bei villaggi, animali, uccelli stupendi. Questa però è anche zona malarica. 





Dopo Motihari, a Sonpur in un cambio all'alba, l'ultimo prima della frontiera, la scorta ci lascia. Il prossimo treno passerà tra tantissime ore... non ricordo quando. Bivacchiamo in questo spiazzo, che un europeo che venisse catapultato qui, non riconoscerebbe come "stazione ferroviaria". 

E qui ci sbandiamo per stanchezza, non riusciamo più ad organizzarci tutti assieme. Certi dicono: "Noi andiamo a vedere se c'è un paese là in fondo" ... o: "Magari prendiamo tempo andando a mangiare" ... "Noi andiamo a vedere se c'è un qualche pullman per la frontiera" ... Noi.... E così c'è chi effettivamente trova un bus che vede passare per caso da un posto diverso da quello dove certi altri lo stavano aspettando, e sale sul tetto dove ci sono alcuni "spazi" liberi. 
  

Chi piglia altri mezzi, o scompare. E chi come noi aspetta in posti assurdi, oramai instupidito e stupìto dal caos o/e dalla stanchezza o/e dal caldo. In effetti allora tentiamo anche noi qualche soluzione alternativa alla attesa di ore e ore, ma sbagliamo tutte le mosse.  Quindi infine pigliamo il treno che effettivamente passa verso sera, e così arriviamo vicini alla frontiera che già sta per fare scuro. Credo che questa sia la vecchia linea ferroviaria di epoca britannica da Raxaul a Amlekh Ganj. Non ce n'è un'altra.
Un gruppetto di noi passiamo il confine indiano, a poco più di 3 km da qui, andandoci con dei tonga (carretto tirato da un cavallino, o calesse), che ci costa 4 rupie a testa, al buio completo, e fra poco sarà l'orario di chiusura del posto di frontiera nepalese... 


Noi e due catalane siamo gli  ultimi, e arriviamo sempre tardi per poter chiedere agli altri come si sono regolati alla dogana o alla frontiera per visti e per il cambio monete, ecc... E così ci ritroviamo sempre a rincorrere gli altri tonga, perché tutti i vari passaggi che si devono fare per i vari uffici, sono baracchini distanziati nello spazio e nel buio della notte, essendo fuori dal villaggio, isolati in campagna. Niente: il glorioso gruppo della tradotta militare si era oramai del tutto sfasciato ... ne re-incontreremo solo qualcuno. 
 Alla frontiera indiana c'era quel tizio yugoslavo conosciuto ieri, che ci dice che non ha il visto e non ha i soldi per poterlo pagare e farlo alla frontiera. Cioè come yugo ha il vantaggio che potrà farsi dare il visto direttamente in frontiera nepalese (fa parte del gruppo dei Paesi Non-Allineati amici), ma dovrà pagare in rupie nepalesi, e là non c'è né un ufficio cambio, né una banca, e in Nepal non accettano rupie indiane (che invece qua accettano tutti al paese di confine qualche km più indietro). Potrebbe ritornare sui suoi passi, ma non solo fra poco chiudono, ma è severamente proibito alla dogana importare in Nepal valuta nepalese dall'estero. In conclusione l'ufficiale di frontiera gli suggerisce sottovoce -quando non c'è presente nessuno che sappia l'inglese- di andare a fare il cambio nero dai lavoratori frontalieri, ma senza farsi notare troppo (!!?). Dovrà naturalmente cambiare solo ed esclusivamente quanto basta per pagare il prezzo del visto (=1.800 lire), in modo che poi entrando non stia importando moneta nazionale...  In effetti se avesse con sè della valuta eccedente (ad es. le monetine del resto) dovrebbe spiegare alla polizia dove l'ha presa!... chiaro no? tutto logico (eventuali connivenze incluse...). Ufficialmente un dollaro è pari a dieci rupie nepalesi, ma in realtà (in nero) per un dollaro ti danno 14 rupie nepalesi.
Ma queste cose non sono nulla in confronto a quel che ci è "costato" in termini di fatica questa vera e propria conquista del Nepal, perché alle fine ce lo saremo conquistato e meritato...  Comunque per ora il viaggio verso Kathmandu non è ancora completato...

Così si passa "di là" giusto in tempo! E poi lo stesso tonga indiano ci porta tutti e quattro fin nel paesino che c'è subito dopo il confine, a Bir Ganj, cittadina di quasi 40 mila ab. che con una strada costruita nel 1957 collega la capitale alla frontiera sud. 
 un tonga

Là potremo domani prendere un bus per Kathmandu, dunque ci aspetta ancora del viaggio da fare. Cerchiamo esausti un qualsiasi posto per dormire. Ci aveva avvisato quel ragazzo svizzero: "Beware! Bir Ganj is a hole" (=attenti! BG è un buco). E lo è, è un buco schifoso, sporchissimo, oltre che fradicio, di poveri cristi. C'è una gran quantità di carretti, cavalli, merde, una fontana che produce melma, casini, gente, venditori affamati. Andiamo al Nepal Tourist Lodge, nel quartiere Narayani, vicino al Bus Stand. Dormiamo in una stessa stanza (l'unica rimasta è una quadrupla) per 20 rupie in tutto, assieme alle due ragazze di Barcellona: Lolita Queralt Gimeno e la sua amica Sylvia.  

Le brande sono completamente avvolte dalla zanzariera, e ce n'è buon motivo, solo che sono pesanti, e sudicie come tutto il resto. Per fortuna abbiamo con noi le nostre fèdere per i cuscini. Ma prima vogliamo andare a smangiucchiare qualcosina come "cena", per poter poi infine crollare nel meritato sonno ristoratore...
Il menu di quel posto è indimenticabile, fa schifo solo a toccarlo.  O meglio non lo si riconosce proprio, sono tre fogli di carta-velina battuti a macchina (!) ma vecchissimi, unti e bis-unti, fradici di umidità, talmente zuppi che se ne stanno tutti appiccicati sul tavolo a mo' di ammasso informe di straccetti usati. Sto per sbattere per terra, quando qualche viaggiatore mi dice: "ma guarda che quello è il menù...". Lo apro e lo stendo con meno dita possibili e leggo quella inutile lista, tanto quando poi chiediamo non c'è nulla di tutto ciò... Ci sono sono due o tre cose che quando il "cameriere" si deciderà a dirlo sono quelle tra cui si potrà scegliere. Dunque ordiniamo tutte e tre quelle cose. Ma è tutto da farsi... cioè , come abbiamo oramai già constatato in più occasioni, per non avere sprechi non tengono niente di pronto o mezzo-pronto. Così accade spesso anche per i soldi, non hanno mai da darti il resto, perché ogni volta che un cliente paga, qualcuno di loro corre subito a casa a mettere via i soldi al sicuro, e poi -come ogni giorno- al mattino appena apre la banca locale vanno a depositare tutto. Così si aspetterà più di un'ora (!) per un riso bollito. Il fatto è che quando ad un certo punto andiamo di là per vedere che cosa stanno facendo, là non c'è una cucina, non c'è un'altra stanza... e loro sono lì, poveretti, all'aperto mentre piove, a fare un fuoco per terra e a tentare di scaldare ciotoloni con l'acqua in cui far bollire il riso. 
Da bere intanto ci sono delle gazzose di quelle con la pallina dentro la bottiglia che fa da tappo, proprio come era da noi quando eravamo bambini piccoli, sono divertenti... ma poi l'indomani ci capiterà di vedere una specie di "fabbrichetta" famigliare di gazzose per dedurne che è meglio non berle mai più. 
In Nepal c'è la cocacola, al contrario che in India, e quindi quella dovrebbe essere sicura. Zanzare e sporcizia in giro, mangiamo con notevole titubanza, ma abbiamo fame.
Ci laviamo un po' come possiamo prima di andare tutti e quattro a letto, almeno i piedi inzozzatissimi, al rubinettino comune che sta nell'angolo in corridoio.
Bir Ganj è costituito praticamente da un piazzale dove ci sono i bus, con intorno alloggi e posti per mangiare. C'è anche un bell'albergo nuovo dove cambio dei soldi. Il piazzale delle corriere è talmente fangoso che non si sa proprio dove mettere i piedi. Gli infradito fanno cic-ciac e essendo di gomma restano appiccicati per terra e, o li perdi, o ti schizzano poi da dietro (proprio come ci era accaduto alla piazza della stazione di Karachi in Pakistan). 
Andiamo là da dove partono i bus per la capitale, alla bus stand
tripadvisor.com
Il bus che doveva partire alle 6, parte alle 7 e mezza (!), ma lo perdiamo per un soffio, e alle 8 e mezza parte quello che avrebbe dovuto partire alle 9  (!!). Subito tutto ci appare, se è mai possibile, più scassato e fangoso e approssimativo che in India. Il viaggio dovrebbe durare una dozzina di ore, e costa 20 rupie in IIa, cioè nei sedili di dietro.
Le facce mongoliche e schiacciate dei piccoli montanari nepalesi prevalgono già quaggiù nella pianura e nella vallata del Teraï, e aumenteranno salendo. Sembrano più timidi, gentili, e meno commercianti, ma chissà... 
Mi arrampico sul bus per assicurarmi di sistemare bene i nostri sacchi e quelli delle ragazze catalane.
Bus scassatissimo che si ferma già dopo appena 500 metri per aggiustare il vecchio motore e mettere acqua fangosa nel radiatore, e poi dopo altri 500 metri per aggiungere un altro secchio d'acqua. Così scendiamo un momento per seguire le operazioni, e ci accorgiamo che ha i pneumatici liscissimi e in via di decomposizione. Il guidatore è un indiano sikh con il turbante giallo, i sikh sono noti e abili camionisti e autisti. Tre posti a sedere in uno spazio per due culi europei, e molta più gente del dovuto.

Salgono anche altri viaggiatori occidentali. Silvia, la ragazza catalana che sta dietro è sommersa da bei bambini nepalesi, poveretta; e poi quando faremo cambio di posto e verrà lei davanti, si troverà a doversi sorbire un bimbo in braccio per tutto il viaggio. Bimbi belli, ma seri, e mai rognosi. Dieci ore filate di pullman, prima nella giungla tropicale del Teraï e poi su su per le montagne. 
Paesaggio molto bello, come ieri. 
Ci fermiamo per mangiare in una capanna con dentro capre, dove una giovane donna sempre accucciata prepara qualcosa su un forno di terra cotta. 

Uno dei suoi bambini su una branda di legno è intento a truccare il volto del fratellino più piccolo. Un altro bambino lava i bicchieri con acqua sporca piovana che cola da un sasso sulla strada. Per fortuna noi abbiamo la nostra ciotola... Comunque per fame mangio un uovo sodo un po' sporco. Ogni volta che la corriera si ferma, la gente scende e piscia e caga in ordine sparso, in vista (ma le donne hanno ampi saree).
Le condizioni del bus ci procurano una certa ansia dato che non vorremmo proprio pernottare per strada. Invece va tutto bene, si fa per dire, ma insomma percorriamo i 180 km in salita che ci separano da Kathmandu nelle previste 12 ore. Spesso col cuore in gola quando la corriera sfiora letteralmente il precipizio (non ci sono guardrails o paracarri), o si guadano torrenti, e la strada tende a franare, o i veicoli dall'altra direzione sembrano non passare, o si superano pontili in legno, o sentiamo che il cambio gratta in modo inaudito, e intanto il nostro pensiero va ai copertoni delle ruote. 

VERSO LA VALLE DI KATHMANDU
Ma nonostante i continui timori, siamo tutti contenti e con gli occhi spalancati e curiosi. Superata la pianura, il Nepal ci appare subito più "arretrato" dell'India, ma ora forse più decoroso. Piccoli villaggi poco abitati, con capanne di fango secco e tetti di paglia, altri villaggi di frasche. Di solito le case grandi sono o quadrate o rettangolari, ma ve ne sono non poche tonde, alcune sono su basse palafitte di mattoni rossi che le tengono sopraelevate, con il tetto doppio e due balconate attorno molto belle e decorate.

L'allagamento per la pioggia monsonica in certi posti è veramente notevole. I paesaggi che vediamo durante il percorso sono in linea di massima più belli di quelli che di solito predominano in India del nord, forse. La giungla lussureggiante prima, dove le palme producono bananine piccolissime. Le banane crescono all'insù, con un grande e bel fiore rosso che pende sotto il casco. Attraversiamo tutta la regione del Terai.
Saliamo, saliamo. I grandi terrazzamenti, di tipo mai visto sin'ora, coltivati a riso, e le montagne che si rispecchiano nella superficie dell'acqua delle risaie, con le piantine già alte, oppure con il granturco. A volte le terrazze sono costruite su declivi così scoscesi che su ognuna ci sta solo un filare di piantine... Altre volte il pendìo scende dolcemente e le terrazze sono lunghissime e larghissime.
nepalstudycenter.unm.edu
Salendo a una certa altitudine incontriamo nebbia. Poi piove molto e l'acqua entra dentro al bus. Fa freddo e noi abbiamo un abbigliamento leggerissimo, mentre gli abiti come i jeans o il golfino sono negli zaini che sono sopra al tetto. Si arriverà sino a un passo di 3500 m.
Man mano la gente scende dal bus e altri salgono. Guardiamo le facce della gente, i primi cappellini colorati, l'abbigliamento delle donne: diminuiscono i saree per lasciare posto sempre più a gonne lunghe, magliette  e lunghi panni arrotolati in vita. 
C'è uno in bus che continua a vomitare. Anche noi vedo che siamo un po' pallidini, specie Daniela e gli altri che stanno in fondo al pullman. Ci si ferma ad un villaggetto su un passo montano, il "colle" di Daman (2500m.), qui campeggia una scritta su un cartello: "first Everest see view", ma purtroppo non si vede un accidenti di niente, è tutto coperto di nuvole...

 C'è un ruscello dietro la casupola e vado a fare due passi là dietro, poi scopro che la casupola è una lavanderia e cesso assieme; l'acqua è fresca ma sporca. Lo dico alle catalane che ne approfittano subito per andare al gabinetto (non avevano voluto nelle precedenti soste farla come le altre all'aperto fuori dal pullman). La flora qui è mistissima, sia di alta montagna che tropicale, tutto assieme con strani e begli effetti di colore.

Finalmente scendiamo e arriviamo nella valle di Kathmandu (1355 m. s.l.m.). Eccoci ora pienamente nel Regno himalayano del Nepal (o come certi dicono Nepàl) ... Un tipo ben messo, sorridente e gentilissimo sale e ci offre di andare al suo "New Corner Lodge", i prezzi sono molto buoni, ed è nuovo. Siamo letteralmente sfiniti e non abbiamo nessuna voglia appena arrivati di metterci a cercare e a contrattare, accettiamo. Ci porta lui.

ARRIVATI !
Eccoci dunque infine a KATHMANDU !!, città in grande e rapida espansione, nel 1978 ha già 320 mila abitanti (ma quattro-cinque anni fa dicevano più o meno 200mila, e solo quindici anni prima ne contava 120 mila). E si trova a 1.400 metri di altitudine.
Il nome ufficiale del Regno è Nepal AdhiRajya, il sovrano è il maharagià Birendra Bir Bikram Shah Deva, succeduto sei anni fa al padre Mahandra Bir Bikram. Il re governa assistito dai consigli dei notabili ( i pancha yat ) che amministrano il paese sia a livello statale che locale, e si designano l'un l'altro a piramide; è la cosiddetta "democrazia senza partiti" istituzionalizzata da suo padre quindici anni fa, che fa considerare a livello internazionale il Paese come una monarchia "costituzionale" ... In realtà è una "democrazia guidata", il governo ora è in mano al partito Nepali Congress che è una emanazione del partito che governa a Nuova Delhi. Ma c'è una forte opposizione da parte della Unione marxista-leninista clandestina. Il Nepal ha circa 11 milioni e mezzo di ab. (secondo altre fonti 13,4) ma ci sono circa quasi 4 milioni di nepalesi all'estero (India, Sikkim). Già un secolo fa le truppe nepalesi Gurka di Sua Maestà britannica divennero famose, i militari del clan dei Gurka costituiscono un gruppo a sè, una lobby molto influente. C'è poi un complicatissimo sistema di caste (formalmente abolite da una legge, priva di effetti, nel 1963) che si intreccia con la varietà delle etnie. . . (a questo punto si capisce che ci siano gruppi rivoluzionari intenzionati a cambiare le cose...).






Al "New Corner Lodge" in Jaisi Deval, prendiamo una camera ampia a tre letti, con camerino con la doccia e i rubinetti, e (a parte) lo stanzino col cesso, pulito, decoroso, per 30 rupie nepalesi. Letti di legno durissimi senza materasso ma con una specie di compatto pagliericcio intelaiato, senza lenzuola, le brande sono sollevate da terra stando su dei mattoni al posto delle gambe del letto. Niente ventilatore né zanzariera, ma non ce n'è bisogno a questa altitudine. 

Insomma un buon posto, dove puoi anche chiedere che ti portino la colazione in camera (se sei disposto ad aspettare un'ora e mezza abbondante - come ci è capitato...). In questo alloggio dunque si paga l'equivalente di quasi 2.500 lire in due a notte con breakfast incluso. C'è in cima anche una bella terrazza molto alta, da cui si vede tutta la città e tutta la vallata, uno spettacolo bellissimo. Ci resteremo tutto il tempo di permanenza a Kathmandu (il visto vale 14 giorni).

La strada, o meglio il percorso, per andare in centro è di melma mista a fogna, perché gli scarichi o le tubature non esistono. Varie carogne di topi. Vediamo un bambino che prende a sassate una mucca per farla spostare (forse non è di famiglia hinduista??). 





Andiamo alla Rashtra Bank, (Nepali State Bank) all' Exchange counter, in Judha Sadak, a cambiare dei soldi.
C'è sempre musica nepalese specie al pomeriggio e alla sera, molto bella, e la gente canta e suona. in India era raro sentire cantare, e la musica che trasmettevano in certi locali, era bruttina, specialmente se di tipo "occidentale". Qui nei caffé o nei bar e nei ristoranti c'è sempre musica occidentale ben scelta.
Guardando bancarelle e negozietti, non abbiamo comprato: pelliccia di cincillà grigio, prima offerta per 540milalire trattabili; cappotto di antilope foderato di lince, 215milalire trattabili; giacca di antilope con bordi in lince, 150milalire trattabili, ... Volendo ci si potrebbero fare dei bei guadagni a rivendere poi questa roba in Europa... (come cominciano effettivamente a fare in molti).

Ricette: uova sode all'indiana (cioè superbollite scure e dure) con insalata "russa", cioè fettine fresche di pomodoro, di cetriolo, di banana, mela, mango, tutto mescolato assieme. 
Crema nepalese: yogurth con rosso d'uovo, zucchero, zibibbe, mandorle, cannella. 
Cotolette vegetariane: fatte con un misto di verdure, patate, prezzemolo, cipolle, una strana salsina gialla, mandorle, zibibbe; e qualche spezia piccante.



La città ha una atmosfera rilassante rispetto alle città indiane, e un buon clima. Ci sono ben poche auto (quelle private sono proprio autentici status symbols), pochi i rickshaws, molte biciclette (che non scampanellano!). 
Certi sembrano stravolti a vedere che mi soffio il naso in un pezzo di tela che poi mi metto in tasca con tutta la mia schifezza; loro si soffiano liberamente verso l'esterno in modo che tutto vada per terra. Quando chiediamo una informazione alcuni poi sono loro a ringraziarci, chiediamo come mai e dicono che abbiamo consentito loro di fare una buona azione, e quindi di migliorare il loro karma personale. Una donna se ne sta accovacciata sull'orlo di un alto gradone di un tempio voltando le spalle al vuoto, perché ha portato lì le sue capre a brucare, e le sorveglia. L'hinduismo è la religione ufficiale del regno, ma si vedono in giro diversi monaci buddhisti, i buddhisti infatti sono il 18% dei nepalesi, lo stesso Buddha Siddhartha Gautama era nato nell'attuale sud del Nepal (a Lumbini, nella pianura del Terai) nel clan dei Sakya, da cui l'epiteto di Sakyamuni.
Numerose donne, specie le vecchie, portano molte coppie di orecchini sul bordo del padiglione delle orecchie, che è tutto sforacchiato appositamente. Ci sono qui ora delle donne che si lavano alla fontana stradale a seno scoperto. 




Nella piazza centrale, Durbar square, "luogo delle adunanze", e nelle vie adiacenti, insomma nella zona storica più monumentale della città, c'è una certa frequenza di turisti. L'altr'anno hanno raggiunto la cifra di centomila visitatori stranieri nell'arco di un anno (arrivano direttamente in aereo e vanno in gruppi negli hotel nuovi internazionali), e ci sono diverse agenzie di trekking e di alpinismo. Ma ora qui ci sono anche di capre, polli, mucche, e topi... Gli studenti delle scuole, anche quelli ormai grandi, hanno delle divise che contraddistinguono ciascun istituto.
Diamo della roba da lavare, e quando il tizio ce la riporta è sporca più o meno come prima; gli faccio vedere che ci sono delle macchie ma non ne è per nulla turbato. Forse è perché abbiamo detto di lavarla, non abbiamo detto di pulirla... Il concetto che abbiamo noi è che dai la biancheria perché venga pulita; probabilmente qua è che venga semplicemente sciacquata. Sarà per quello che gli indiani hanno gli abiti sempre sporchi anche quando li hanno appena messi (ma i nepalesi mi sembra molto meno)... 
Nel cortile del nostro Lodge ci sono donne che stanno lavando i panni in una catinella piccola piccola, sbattono con forza la roba contro il gradino, non avendo l'asse come si usava da noi, ma poi mettono ad asciugare la biancheria per terra, anziché stenderla sollevata, per forza che si sporca di nuovo...
Quando si chiede un thé, o la prima colazione, c'è da aspettare un'ora, un'ora e mezza, va bene che qui a differenza che negli alloggi indiani, ti danno anche delle fette tostate (sanno che gli inglesi, tedeschi, olandesi, americani, le vogliono). 
Forse da poco è entrata la nozione cronologica del tempo; c'è il mito dell'orologio da polso. Ti prendono il braccio per poterlo guardare, lo vorrebbero comprare. Quanto l'hai pagato? chiedono. Spiego che è un orologio molto vecchio, l'aveva regalato mio nonno a mio padre quando si era laureato... Ah sì? e quanto l'hai pagato?
Probabilmente puzziamo, due ragazzi spagnoli avevano ancora con sè una boccetta di acqua di colonia, ed è stata la gioia di tutti i viaggiatori che c'erano lì attorno quando l'hanno tirata fuori. Ma forse sono gli abiti, oppure il tipo di sudore che si produce con questa alimentazione ricca di curry, pepe, peperoncino, spezie varie, salsine ... A casa ogni giorno Annalisa usa un profumo, mentre qua ci laviamo se va bene con il sapone tipo "marsiglia" da bucato che ci eravamo portati dietro, e poi i vestiti in effetti oramai non vengono più ben puliti ma nemmeno ben arieggiati e asciugati. E in treno ci si riempie di fuliggine, essendo macchine a vapore, mentre in pullman di polvere. E poi anche camminando ci si sporca proprio, ci si schizza di fango, o altro  (ora ad es. una bufala sta pisciando abbondantemente proprio nella piazza principale del centrocittà, Durbar square, litri di liquido malodorante...).
Qui in Nepal ci sono meno uccelli, non c'è più quell'accompagnamento continuo dei corvi e delle cornacchie che c'era in India, o il canto di tanti uccelli di varie razze. E anche meno scimmie e scimmiette.

Kathmandu, fondata nel 723 sul fiume Baghmati, la parola significa città di legno, o meglio: tempio di legno (è infatti una storpiatura di Kasta Mandir =wooden Temple), 


e in effetti i templi qui sono molti, e tutti hanno almeno le infrastrutture in legno, le porte e i portoni, e le cornici delle finestre, e le colonne, le travi e architravi, e i tetti. E il legno è tutto istoriato da bassorilievi, tutto decorato con fregi, intagli. Il suo splendore lo raggiunse tra XIII e XIV secolo, dato che questa, come le altre cittadine della valle di Kathmandu (tutte abitate dalla etnia Newar) si trovano sul percorso tra la tibetana Lhasa e il bacino del fiume Gange. 
Ora mi dicono che certi rubano i cornicioni, o comunque che vendono porte, finestre ecc.... per rivenderli a stranieri; che tragedia!, sperperare così un patrimonio storico e artistico che è la attrattiva di queste città ed è patrimonio di tutta l'umanità...
Proprio in centro c'è una enorme statua della dea Anumanti (di fronte al palazzo reale che porta il suo nome), terribile, molto temuta e adorata, le portano spesso doni e offerte in riso per rabbonirla e ingraziarsela. 

il palazzo reale


lettore indovino

A volte lì davanti c'è uno che legge la mano, ma non possiamo provare perché non sa l'inglese, parla solo in nepali (?). Alcuni qui parlano lingue tibetane, o anche il bihari, e poi vari dialetti locali; in totale ci sono circa una dozzina di etnie diverse (tra queste da noi è conosciuta quella degli Sher-pa, essendo noti scalatori, guide e portatori), e ben 34 tra lingue e dialetti differenti, e ognuna ha anche le sue tradizioni e credenze. Anche K. ha un altro nome in un altra lingua: Kantipur. 



Ci sono diverse statue di deità minacciose, come la dea Kali, o la scimmia Hanuman, che si trovano nelle piazze, o nei cortili, oltre che nei templi e in nicchie o tempietti: 
Hanuman
un cortile

le statue spesso hanno su dei mantelli che oramai sono divenuti stracci consunti e sbiaditi, e appiccicati alla statua. Oppure sono state colorate con tinture, o con carta colorata. I fedeli passando danno un colpo alla campanella, oppure lasciano delle offerte su un piatto d'ottone che poi verranno a riprendersi. Questa iconografia sacra presente ovunque, è diversa da quella indiana, è molto più di stile orientale, un po' tibetana, birmana, abitata di mostri, demoni, sepenti, e varie immagini paurose. 


le finestre del Palazzo della Kumari in Durbar square

Passiamo lungo il palazzo della Kumari, cioè una bambina che alla nascita viene identificata con l'aspetto puro della dea Kali, la Kumari Devi, che qui vive segregata ma trattata come una principessa, e poi alla pubertà viene rinviata al suo paesello. ... Ci pare di intravedere una ragazzina che sbircia da una finestra... chissà se forse è lei!? Poverina, poi nessuno la vorrà sposare perché la leggenda dice che il suo marito morirà presto (qui nelle campagne la speranza di vita  comunque nei villaggi è in media di 37 anni...!).


la Kumari di allora (da una cartolina)


il magnifico ingresso, del 1760 (cartolina postale)

Templi a K. ce ne sono tantissimi, e tutti molto affascinanti. A pagoda per lo più. Con spesso le tegole laminate d'ottone. Il più bello è il Narayanà Mandir dedicato a Vishnu dormiente. Con davanti una bellissima statua di Garuda, del 1690. 



Si dice che i primi architetti anche in Tibet  fossero dei Newar, e anche in Cina si diceva fossero per lo meno degli himalayani, ...mah... Più in là c'è un grande monastero, il Kastha mandapa. Da un lato il "tempio delle 330 milioni di divinità"...






Il grande spettacolo da qui sarebbe l' Himalaya, che significa "la dimora degli dèi" o forse viene da Himahalaya "grande (maha) dimora divina", ma è difficile da stabilire. 
Ma purtroppo il cielo è molto nuvoloso...




E poi  una volta viste tutte queste cose si gironzola, ... in cerca di non si sa cosa, si osserva, si spia e si studia le gente, quel che fanno, come si muovono, come si relazionano, come parlano, di che si occupano .... e ci si fantastica sopra.


contadini in città
 molti camminano scalzi






Alla sera non ci sono che pochissime lampade ed è buio anche in città, quindi bisogna affrettarsi.

Mangiamo quello che è il piatto nazionale dei nepalesi: Bhat Tarkari, cioè lenticchie e rape col ginger. Le lenticchie si preparano  col curry, e a fianco del riso basmati bollito (il bhat), si aggiunge del coriandolo o del cumino.

Accettiamo l'invito ad andare ospiti a casa del tizio del negozietto nel centro di Kathmandu, nella via del palazzo Hanuman Dhoka,  dove Annalisa ha fatto confezionare il suo cappotto di yak, si chiama Sambhu Bhandari ( o Bhandri).
Andiamo, questo è il nostro viaggio-avventura in Nepal.
Dobbiamo prendere il bus verso Pokhara, fino al Birguti Mandir e scendere al Police Office sul primo passo montano.
La corriera sale fino al Passo di Khanikhola (sono 26 km in salita in montagna), e poi a lì dovremo andare a piedi su per i campi e le risaie per circa mezz'ora o poco più di cammino (in Nepal ci sono solo poche centinaia di km di strade carrozzabili). 
Il viaggio in corriera è scomodo, lento e tutto curve.

Come ci aveva detto Sambhu, appena arrivati su al Passo (sarà questo?), andiamo a cercare un suo parente, Bidur, che ha là un punto di ristoro (Sambhu ci ha fatto un disegno sul nostro quaderno). Arriviamo che sta riaggiustando la capanna di legno; quindi ci mettiamo ad aspettare. Poi ci dice che ci farà accompagnare da un bambino, perché praticamente non c'è un sentiero, e poi bisogna conoscere il loro villaggio per distinguerlo da altri vicini, dato che non c'è nessuna insegna. Aspettiamo. Un bambinetto tipo il "Monello di Charlot" ci conduce rapido su camminando sui bordi dei terrazzamenti delle risaie (!), ed è proprio un casino... la terra è tipo creta, scorre l'acqua sui bordi, e si scivola. Poi andiamo su nel greto di un ruscelletto. Ma  sarà davvero il percorso giusto?
Loro sono a piedi nudi, mentre noi, dato che saremmo venuti su in montagna, ci eravamo messi le scarpe e i jeans (!!), fa caldo umido, il cielo è coperto, e c'è molta oppressione atmosferica, salendo e scivolando goccioliamo di sudore. Qualcuno ci guarda, salutiamo, ma nessuno sa una sola parola di inglese.











eccolo!

Finalmente arriviamo al villaggio del nostro Sambhu. Praticamente appena arriviamo si precipita giù di corsa verso il Passo di Khanikhola e sta via per un'ora (?). Ci ha indicato la stanza della sua casa che ha riservato per noi, e ci ha detto di fare come a casa nostra e di riposarci, e se ne è andato...
Noi subito ci addormentiamo per la stanchezza, io sulla branda di legno, e annalisa lì a fianco sul pavimento. Siamo oggetto di curiosità discreta da parte degli adulti (parenti e vicini), più pressante, ma non esagerata, da parte dei bambini, che ci stanno continuativamente lì di fronte. L'unico che si arrischia a toccarci è il figlioletto più "grandicello" di 4 anni e mezzo, il quale essendo a casa propria si sente più sicuro e padrone. 
In casa c'è un bramino che è arrivato lì di passaggio proprio oggi, ed è stato accolto con onore, ed ha fatto dei segni sulla fronte a tutti. Essendo di casta superiore, e oltretutto casta sacerdotale, ha diritto a ricevere asilo da loro, anche se non era atteso. Poi scopriamo che Sambhu è andato per questo a prendere del thé e del riso per il bhat.


Questa casa e un’altra quasi uguale di loro parenti, sono su un terrazzamento. Ci sono il piano terra e il piano rialzato, e poi la stalla, che è fatta di una semplice tettoia su un lato. Davanti c’è come una specie di veranda sotto una tettoia di latta ondulata. 






Piano Terra: un unico grande ambiente che sulla sinistra è diviso in due parti da un basso muretto di 30/40 centimetri che termina con una colonna. Nella parte verso l’esterno, accanto ad una finestra ci sono stuoie e anche alcune sedie di legno costruite da lui, dove si ricevono gli ospiti. Nella parte interna c’è per terra la zona per il fuoco. Incavi nel muro per appoggiare le cose, ed uno con immagine sacra e campanellino. Attrezzi sono appoggiati sopra la trave centrale di sostegno del soffitto. Il focolare non ha nessuno sfogo verso l’esterno, per cui quando si cucina, la casa si riempie completamente di fumo. Sulla parte destra c’è in fondo una scala di legno che porta ad un buco nel soffitto per l’accesso al piano rialzato. Il resto dello spazio è utilizzato come posto per gli animali che vengono riparati all’interno di sera. Si tratta di due capre, alcune galline e pulcini. Il piccolissimo cane va in giro dappertutto. Il pavimento e le pareti sono di terra pressata. La casa dunque è sostenzialmente una grande capanna rettangolare di fango, terra, legno e frasche.
Piano Rialzato:  sopra il pavimento è di legno ricoperto di fango secco, e le pareti divisorie sono di legno, mentre il tetto è di legno e frasche. Nella stanza per la notte hanno due letti a castello, e nessun altro mobile. Dormono forse i due genitori sui letti e gli altri per terra su stuoie. Poi c’è una specie di solaio. Sui soffitti sono appese pannocchie di mais in grande quantità. La stanza per la notte ci viene riservata in quanto ospiti. Sotto ai letti è pieno di pannocchie sbucciate. Alle due finestre ci sono le ante in legno. 
Non ci sono porte all’interno della casa tra le stanze. Alcuni buchi nelle pareti fanno da prese d’aria dall’esterno, anche se i muri sono larghissimi. Non c’è acqua in casa, nè gas, nè luce, nè gabinetto. 
L’agglomerato del paesino, che si può vedere dal terrazzo, è composto da una quindicina di case tutte dello stesso tipo.

La sua casa se l’è costruita lui stesso da solo pian piano: in due mesi la struttura, in un mese gli infissi e le suppellettili.

Siamo molto contenti di trovarci in questa capanna-casa tropicale di montagna, e vedere come ci si vive veramente la vita quotidiana. Oggi in verità quasi tutto ciò che fanno è in funzione nostra, e la gentilezza e le cortesia sono persino imbarazzanti. Noi abbiamo portato delle sciocchezze in regalo, e ora la cosa ci dispiace. 
Di sera molta gente del villaggio, specialmente uomini, viene a vederci. Si siedono intorno a noi in casa e conversano tra loro. In effetti solo il nostro ospite sa un po’ qualche parola in inglese. Dentro casa dopo il tramonto è molto buio. Un lume a petrolio, un lumino col grasso di burro di yak, e il fuoco a legna, rischiarano a macchie, illuminando debolmente i volti e creando una atmosfera raccolta e piacevole. Hanno atteggiamenti molto affettuosi verso i bambini, anche da parte dei padri, che se ne occupano lungamente. I bambini verranno rimproverati raramente e d’altronde nessuno di questi bimbi fa mai capricci.
Mangiamo ciò che avevamo richiesto, dietro loro insistenza, creando però alcuni problemi. Cioè: riso in bianco, frittata, thé (che ci viene servito con abbondante latte di bufala), e poi verdurine miste e dhal, c’è inoltre del latte da mescolare col riso. Sambhu non mangia se non dopo molti nostri ripetuti inviti. Stiamo accucciati su una stuoia, e mangiamo molto inabilmente con le mani...
Dopo cena veniamo condotti nella stanzetta di sopra, e il nostro ospite ci spiega a lungo il sistema delle caste, con il quale lui, pur dicendo di essere di una casta elevata, non concorda. A Katmandù fa quello che vuole, ma nel suo villaggio segue la volontà del padre. Caste diverse mangiano cibi diversi; possono o non possono ospitarsi reciprocamente; i matrimoni possono essere combinati solo all’interno della medesima casta. I matrimoni sono esclusivamente unioni combinate, e ci dice che anche questo è un aspetto che lui non condivide, e che crea problemi (lui ha dovuto sposare sua moglie perché era una della stessa casta, ma ora entrambi vorrebbero divorziare, anche se sono amici). A Katmandù la vita è del tutto differente, l’appartenenza alle caste importa meno, e i giovani con un lavoro venuti da fuori cominciano a scegliersi e a sposarsi autonomamente. Comunque in certe etnie si può trovare ancora l'usanza della poliandria, per cui una donna è moglie di vari fratelli e i figli sono della famiglia, qui la donna è praticamente considerata come una inserviente. Le donne in genere portano lunghe gonne pieghettate nere, o rosse, o con entrambi i colori, oppure più di recente anche con disegni fantasia di cotone; attorno alla vita arrotolano una lunghissima pezza di stoffa, con cui legano anche i bimbi piccoli dietro la schiena. Portano collane colorate e spille a volte d'oro tramandate in famiglia. Sulla testa uno scialle per il freddo. Ogni etnia comunque si distingue dall'abito tradizionale, così come ognuna è specializzata in un mestiere, o ha una propria caratteristica nei prodotti dell'artigianato. 
Dunque quel viandante bramino (o brahmano) di passaggio che gli ha chiesto ospitalità, Sambhu deve ospitarlo per forza anche se è un po' dispiaciuto di dovere badare a lui, proprio il giorno in cui aspettava ospiti europei... Essendo di una casta elevata, credo la seconda per importanza dopo i bramini, Sambhu può e deve cucinargli del riso (solo questo). Le altre caste sono troppo impure per i bramini che quindi non possono accettare da mangiare nulla che sia cucinato dalle loro mani... Proprio per questo molti cuochi nei ristoranti sono dei bramini, così ci possono venire tutti. Dunque il bramino ha chiesto in paese chi era di casta alta ed è venuto a rivolgersi a lui (e solo Sambhu poteva cucinare, non una donna). Infine ci racconta che il sistema castale nepalese è complicatissimo, le caste sono tante, e corrispondono in parte a distinzioni tribali antiche, o di corporazioni di mestiere, o di tipo geografico. Non hanno gran che a che vedere con le classi sociali (anche se certo un paria molto difficilmente sarà benestante), per cui membri delle varie caste si trovano un po' in tutte le condizioni sociali ed economiche.


La lampada a petrolio richiama un gran quantità di moscerini. Quando l’ha accesa, all’imbrunire, Sambhu Bandari, il nostro ospite, ci ha subito augurato la “Buona sera!”. L’accensione della luce è un atto molto importante.
Durante il pomeriggio ha fatto un po’ di scuola al figlio "più grandicello". Un ripasso dell’alfabeto e poi alcune parole intere ripetute molte volte cantilenando. Attorno ci sono altri bimbi, e alla fine Sambhu si rivolge anche a questi, e quando tocca il suo turno, ogni bimbo appare tesissimo. C’è solo questa opportunità di approfittare quando lui è qui, poichè al villaggio non c’è scuola, e nessuno va a scuola da altre parti (cioè in un paese a poco più di mezz’ora a piedi dal villaggio). Sambhu dice che poi porterà il figlio con sè a Kathmandù, perchè quella scoletta vicina a suo giudizio è del tutto insoddisfacente. Sambhu gode della simpatia e del rispetto di tutti. E’ stato stupendo vedere con quanta premura e dolcezza ha fatto lezione di lettura, con il volto e il sillabario illuminato dalla luce della finestra. Pareva un quadretto. Il tutto sarà durato quasi un’ora.

Per la notte chiudono il portone con la sbarra. Prima di andare a dormire mi rendo conto che avevo notato che non c’è una latrina, e quindi poi a un certo punto della notte devo andare a svegliare il padre di Sambhu, che mi apre il portone e mi aspetta mentre vado fuori e cerco nel buio totale dove andar di corpo vicino al granturco... Torno su scusandomi (e senza potermi lavare le mani). 
Di notte inizialmente non volevamo stare sui loro letti e ci eravamo stesi sulle stuoie sul pavimento, e siamo quasi crollati per le fatiche del viaggio, quando poco dopo annalisa sente, in una borsa accanto a lei, due grossi topastri... Saliamo sulle brande di corda intrecciata, e mettiamo in alto le nostre borse e abiti. Cerchiamo di chiudere gli occhi, ma il timore che i topi salissero, e comunque le zanzare tormentose, cui si aggiunge il ringhiare del cagnino di sotto, che da appunto la caccia a dei topi, non ci fanno dormire bene...


Al mattino loro si alzano quando albeggia, ma a quel punto noi siamo crollati in un sonno profondo. Verso le sette e mezza - otto però ci svegliano perchè la nostra colazione è pronta. Ma si capisce che ci avevano aspettato per prenderla assieme a noi. Poi si fanno le foto ricordo, e si capisce bene che quello era lo scopo di tutto. Hanno messo fuori una panca con su un drappo. Loro vanno a cambiarsi per indossare l’abito bello e si mettono anche degli occhiali da sole, con cui stanno malissimo. Sono tutti a piedi nudi. Poi foto al nonno... 

il nonno

noi col bimbo







Salutiamo e ci fanno accompagnare per un percorso diverso da quello per cui eravamo saliti verso Khanikhola (più lungo ma più confortevole), da uno che porta la roba di annalisa. Il padre di Sambhu ci rincorre per un ultimo saluto. Così ci mostra che ci sono come delle piccole risaie apposta per i bambini come una sorta di scuola per imparare a coltivare. 
Giunti sulla stradona, prendiamo un passaggio (a pagamento) su un camion, che fa il viaggio a 15 km all’ora, guidato da un omettino piccolissimo (come spesso sono i nepalesi).

Siamo di nuovo in viaggio attraverso paesini della provincia.  Qui in pratica il 90% vive in campagna e sono contadini, o coltivatori, ortocultori, oppure in altitudine allevatori di quel bovino selvatico peloso che si chiama yak, da cui traggono carne, lana, pelle, latte e burro. Sono tutti super poverissimi (tranne qualcuno in città).
I bambini piccoli indossano solo una camiciola corta e sotto niente per evitare problemi di pulizia. Una bambina di circa dieci anni porta in giro il fratellino piccolino e già denutrito, con gli occhi e il viso da fame. Il piccolo piange e lei gli mette in bocca il proprio dito indice incredibilmente sporco di terra, da succhiare.
    


Quando contano, utilizzano anche le falangi delle dita. Portano l’ombrello appeso al colletto di dietro per l’evenienza che piova. Il loro parapioggia tradizionale invece è una specie di barchetta di paglia intrecciata che si appoggiano sulla testa. Il bastone per camminare, quando non lo usano lo mettono dietro la schiena nella cintola. Portano spesso alcuni petali di fiori in cima alla testa e del riso colorato incollato sulla fronte. Portano le cose pesanti su bilanceri, e i sacchi -o anche le “cartelle” per la scuola- appese alla fronte con una fettuccia o cinghia, e penzoloni dietro il collo o appoggiata dietro alle spalle.
Nei locali pubblici in città c’è sovente sui muri, ma anche sui menù, la scritta in inglese: please don’t smoke hash or grass. Ma non gliene frega proprio nulla a nessuno.... E' pur vero che cinque anni fa fu emanata una legge che vieta la coltivazione e la vendita di hashish, e canapa-cannabis indiana (=marijuana), chiamata anche ganja, ma non ne vieta né limita il consumo, quindi (dice la nostra guidina di Controcultura) "potete tranquillamente arrotolarvi un joint in un ristorante e fumarvelo offrendone anche ai vicini" (p.44).
Si vedono anche nepalesi che stanno a svuotare accuratamente il tabacco da una sigaretta col filtro, e poi riempiono la carta mescolando quel tabacco ad altro, e arrotolano.

Certi salutano brevemente a mani giunte le vacche quando le passano vicino.


BHADGAON
L'indomani prendiamo il trolley bus (=filobus) vicino allo Stadio, per andare in un altro centro cittadino della Valle (sono tutti centri di grande importanza storica e religiosa) cioè a Bhadgaon  che significa il "luogo del riso", o anche Bhaktapur (o Khwopa), cioè "città dei devoti", centro antico, di circa 40 mila ab., a 14 km a Est da K. lungo il fiume Hanumanti, un affluente del Bagnati. E' a 1.341 metri di altitudine.

Ci si mette e toglie le infradito per fare quel pezzo di strada melmoso che è veramente incredibile da quanto fa schifo; ci si abitua a tutto, ma non tanto. I rickshaws hanno un ombrellino attaccato alla bici per fare ombra al poveretto che pedala.
Attraversiamo il fiume su un ponte, e proseguiamo per Bholache Tole. 



Arriviamo in un quartiere periferico della città vecchia, dove veniamo portati da un gruppetto di monelli a vedere qualcosa, 


e assistiamo a una festa di bambini, che portano in giro per le strade con gran grida e allegria dei pupazzi di paglia col faccione disegnato e con un grosso organo sessuale eretto e due gran palle, costruito con loro dai loro padri. 

Poi vanno tutti in corteo con i classici tamburi martellanti, portando anche delle fascìne di grano, che bruceranno. 



C'erano delle cordicelle tese attraverso la strada, e in questo modo i bambini chiedevano un pedaggio ai passanti, ma senza troppa insistenza. (Alla sera erano poi venuti anche nel cortile del nostro Lodge a farsi buttare monetine dalle finestre, forse servivano per pagare le fascìne...). Forse era proprio in vista di questa festa che in quella capanna-ristoro quel bambino truccava il viso del suo fratellino.... Insomma una vera e propria festa del cazzo, per bambini, scanzonata e divertente.





C'è un gran silenzio qui, due o tre le auto viste in tutta la giornata, e nessun altro mezzo, né rickshaws, né moto, né altro, pochissime anche le biciclette. Tutti vanno a piedi. Quasi tutti sono scalzi e alcuni con gli infradito di plastica. E' una città, ma sembra piuttosto un grande paesone di campagna. 
ragazzine
spidocchiamento reciproco in piazza



Andiamo verso il centro storico, la "città santa", attraversando tutta la periferia ovest.




Eccoci nel centro storico, ancora alcune capanne, dei portatori con le loro gerle, i peperoni a essiccare al sole sul marciapiedi, una giovane donna che fila la lana in strada.




Ci sono dei templi veramente favolosi, la Grande Pagoda si eleva su cinque livelli. E' questa la cittadina più buddhista. Ma soprattutto ci colpisce rispetto alla capitale questo salto indietro nel tempo... (ci si può fare un'idea di che cosa era la cittadina allora, guardando su youtube un filmino girato all'epoca: http://www.youtube.com/watch?v=k2b271JAVr0 ). 
Faccio parecchie foto, perché Bhadgaon ci piace moltissimo.

  
Badgaon: Darbar square, XVII s.

Anche qui c'è la Durbar square, e la Porta Golden Gate. Il palazzo reale, di cui la parte più antica (del Quattrocento) è detta "palazzo dalle 55 finestre". Vediamo il Bhairavnath Temple, completato e restaurato nel 1718 (ma per me queste architetture non sono riconoscibili nei loro connotati storici caratteristici, perché per me non è questo il Settecento, ma un altro, per cui qui non riesco a distinguere il moderno e l'antico... anzi forse non distinguo tanto nemmeno gli stili...), il Dattatreya Temple del 1458, il Changu Narayan del 1682, poi ammiriamo il medaglione con altorilievo della Porta d'Oro,
Golden Gate, 1650 circa


un sovraportàle

 e la Grande Pagoda Nyatapola, alta cinque piani; poi il monumento Ugrachandi; e il monastero Casa dei Pavoni.


Nyatapola temple, del 1708

 Tutte opere di alto valore artistico, ed è bello ammirarle.
la Nyatapola con pecore e capre alla base

il tempio "rettangolare" con erba e muffa sui tetti


il palazzo reale con la Galleria Nazionale d'Arte



Mangiamo: Alu Tama (fatta con i germogli di bambù), e Masu, che è della carne al sugo e con spezie.

Gironzoliamo ancora un po' prima di ripartire
una manifattura artigianale di ceramiche


l'ingresso al Palazzo Reale

la piazza del Dattatraya Temple con il Garuda alato d'oro

tra i due guardiani della soglia




PATAN
Andiamo in autobus a Patan (o anche Lalitpur, "città di bellezza", o della grazia), di 48 mila ab., che praticamente è appena al di là del fiume Bagmati, a Sud, come una città-satellite dell' hinterland, entriamo dalla grande Patan Gate, e poi lì un ragazzino ci si appiccica e ci viene dietro. Favoloso il tempio d'oro, il Golden Temple, diamo una sbirciatina al monastero buddhista Hiranya Varna Mahavihar, dove però ci sono dei toponi sull' "altare" che si mangiano tranquilli tutte le offerte dei fedeli. 
Durbar square



Patan all'ora di uscita dalle scuole

Anche in strada vediamo che proprio subito dopo che qualcuno ha portato a un crocicchio con una "cappelletta" una offerta in una foglia, con un piccolo cero acceso, qualche cane randagio butta tutto all'aria e mangia. 
Camminando un po' verso ovest si giunge ad un monastero buddhista del XII sec. Uno dei primi visitatori occidentali, il grande studioso di psicologia sociale Gustave le Bon, rimase strabiliato e affascinato da Patan. Io sono ammaliato in particolare dalla statua dorata di Garuda, che sta su una colonnina, davanti al tempio Krsna Mandir (del 1637). 




Dentro al Golden temple:



Andiamo anche al Manghal bazar. Vediamo il palazzo reale, il Mahabouddha Temple, del XIV secolo, che è un alto shikara (torre decorata) con mille immagini del Buddha, ed è un vero capolavoro di terracotta,
 nel cortile la fonte dell' Illuminazione, con le "stazioni" o fasi del suo "risveglio"

 è pure la famosa statua del re Siddhi Narashim in adorazione, protetto da un cobra, che sta anche lui in cima ad una colonna (Garuda e il re sono rivolti verso parti opposte). E nel cortile del palazzo, la statua di Ganga, dea dei fiumi, in rame, del 1600.

la Dèa delle acque, qual'è?

qui si può notare che sta appoggiata su una tartaruga

Vediamo certi tipi umani di alta montagna, scesi in città per il mercato, piccolini, secchi, color bronzo, con tante rughe, dentature mostruose, nere e carenti, quasi sempre a piedi scalzi, a volte con le dita tutte storte , gli alluci divaricati, e vediamo una vecchina con dei piedi incredibili, in parte si vedono gli effetti dei geloni o proprio parti annichilite e annerite per essersi congelate per il ghiacchi delle altitudini ... insomma dei piedi indimenticabili...!

BODHNATH
Torniamo a Kathmandu e andiamo fuori città verso nord-est con un bus, al Bodhnath Stupa (detto anche Bodhi Nath, in cui nath significa collina e Bodhi, Signore dell'Illuminazione) senza troppa convinzione dal momento che di stupa ne avevamo oramai già visti diversi... Ma questo del V sec. poi ristrutturato nel XIV sec. è indimenticabile. E' il maggiore tempio buddhista tibetano fuori dal Tibet. Sta a 8 km dal centro città. E' alto 36 metri, ed è uno dei primi stupa costruiti dopo la morte del corpo di Siddharta Gautama (il quale era nato a Lumbini nell'attuale Nepal). Nel monastero di fronte ci sta il vicario del Dalai-Lama. Quest'anno è stato riconosciuto dall'Unesco come uno dei Patrimoni dell'Umanità.

 Enorme con una base larghissima con "stupini", e tutte le case e i negozietti e i monasteri posti in cerchio tutt'attorno. Le banderuole con stampate su a pressione le preghierine e vari disegni, che stanno a scolorirsi al sole di montagna; quando poi saranno scolorite del tutto, vorrà dire che le preghiere saranno salite in cielo, e un giorno saranno così tante che non ci sarà più posto per il male...
Ci sono monacelli di dieci anni tutti rapati e vestiti con teli color arancio e viola. 
Qui ci sono veramente parecchi tibetani profughi, le donne si riconoscono dal loro tipico costume tradizionale (ci si può fare un'idea di che cosa fosse l'area di Bodhnath allora, guardando su YouTube un altro filmino girato all'epoca:  http://www.youtube.com/watch?v=XFwVeB4ElQc ).
Il grande stupa rappresenta il sacro momte Meru, considerato come l'ombelico del Mondo, ed è consacrato al bodhisattva Avalokiteshvara, il cui famosissimo mantra: Om Mani Padme Hum (=salve o gioiello nel fiordiloto, oppure il gioiello brilla nel cuore del loto), è inciso nelle ruote di preghiera che ci sono alla base lungo il perimetro; i tredici cerchi dalla base al pinnacolo simboleggiano il sentiero dell'Illuminazione, o BodhiAvalokiteshvara significa "colui che da ascolto ai lamenti del mondo" ed è venerato nel buddhismo Mahayana come simbolo della compassione sin dal 400. In generale i bodhisattva sono come dei "santi" in quanto sarebbero coloro che pur avendo raggiunto l'illuminazione suprema (e quindi potendo uscire dal circolo delle reincarnazioni essendo del tutto puri) decidono di restare e mischiarsi nel mondo per cercare di aiutare chi più facilmente si lascia trascinare in basso e peggiora il proprio karma.
Infatti prima che ci fosse contatto con i britannici, non esisteva la consuetudine per cui chi riceve un favore dica grazie, perché tradizionalmente è chi fa un favore che ringrazia l'altro, il beneficiato, dato che chi gli ha fornito l'occasione di fare una cosa buona gli permette di migliorare il proprio karma... Ora invece (almeno con gli stranieri) i nepalesi hanno incominciato anche qui a dire grazie quando ricevono un favore, o ad es. un pagamento ...


Questo lo apprendiamo dalla pratica ma anche da un librino che compriamo qui sugli usi e costumi vigenti in Nepal, di Kesar Lall, pubblicato da Ratna Pustak Bandar, 1976.


Comperiamo delle belle stampe con riproduzioni di antichi disegni, impresse su carta di riso, tra cui quella con il simpatico dio hindu Ganesh (il simbolo dell'allievo) la abbiamo poi appesa in camera nostra. 

C'è un sole fortissimo e clima torrido, e non pochi hanno l'ombrello (o parasole).Il sole è proprio sulla verticale, e le ombre sono piccole sotto ai piedi. Tutti sono affranti.
Di fronte al Bodhinath Stupa, in un punto di ristoro seduti a un tavolino su una terrazza in legno al piano rialzato dove andiamo a bere qualcosa di fresco, chiedo un nimbu pani, una spremuta di lime (limoncello verde), e poi, purtroppo, essendo molto assetato tracanno subito il mio bicchierone in cui però c'era del ghiaccio (evidentemente sporco o di acqua non potabile). Errore mai compiuto né prima né mai da allora in avanti, e ne subirò le gravi conseguenze... La stessa nostra guidina di "Controcultura", diceva: «A Katmandù state in campana a non prendervi l'epatite o la dissenteria» (p. 44)... e aggiungeva: «cercate di bere solo acqua bollita o ché», oppure come noi sappiamo benissimo, bibite industriali in bottiglia sigillata, o caffé nero. Mah è proprio vero che a volte sapere le cose non basta... !


PASHUPATHINATH
Ritornando da Bodhnath andiamo un poco a sud e ci fermiamo a Pashupati nathScendiamo, e ci pare che sul fiume Bagmati stiano preparando il falò per la cremazione di un cadavere... (sembra di essere ritornati a Benares... ci sono anche dei ghats, delle gradinate per scendere a portare le ceneri nelle acque). Il più importante tempio Hinduista del Nepal. E' un santuario del brahmanesimo shivaita, dedicato a Shiva in quanto "sacrificatore". Ma è venerato anche quale Signore degli animali, per cui è importante il culto alla grande statua al toro Nandi. 

E in effetti Pashupati è letteralmente "il Signore degli esseri animati" a cui in Nepal si rese uno speciale culto sin dal IV secolo. E questo è appunto il tempio shivaita più importante del Nepal. Ma nel tempio non tutte le parti sono accessibili ai visitatori non-hindu.
Qualcuno ci regala una foglia secca di albero di bodhi (l'albero che è sacro per i buddisti dato che all'ombra di esso il Buddha raggiunse l'illuminazione), è una fogliolina benaugurale, di buon auspicio, ed è simbolo di pace. E' sottilissima e fragilissima, la custodiremo con cura negli anni a venire, fino a che non si sbriciolerà.




SWAYAMBHUNATH
Dal nostro Lodge poi andremo alla sera a Swayambu nath a piedi, sono 4 km dal centro, verso Ovest, andando al di là dell'affluente Vishnamar river, e si fanno in poco più di mezz'ora di cammino in campagna, fin sotto alla collina, per poi salirci in cima. E' un importante luogo dedicato al Buddha "primordiale" o "Buddha eterno". Lo stupa si dice che sia molto antico, addirittura dell'epoca di poco successiva alla morte del Buddha Gautama (quindi di 2500 aa fa). E' qui che il Creatore alle origini fece il cielo, la terra, e sopra di essa la collina di Swayambhu (che significa luce autogenerata). I famosi occhi (due più il terzo occhio spirituale) che si vedono dipinti sulle quattro pareti esterne della torretta che c'è in cima, si stanno aprendo e stanno a simboleggiare lo sguardo interiore del Buddha, ma si richiamano anche alla leggenda del santo (Bodhisattva) Manju-shri che giunto qui vide un fiordiloto dal cui centro emanava luce e si pensò che fosse la Fiamma dell'Essere Primordiale su cui meditava il Buddha quando raggiunse il paranirvana e lasciò il corpo.E' di tradizione Vajrayana, ma è aperto a fedeli di ogni tradizione buddhista.



Andiamo a visitare anche il tempio delle scimmie, Monkey Temple, e tutto il complesso, che non per nulla è appunto pieno di scimmiette ovunque che scorrazzano in piena libertà e senza timore per la gente. I luoghi sacri hindu e buddhisti si intrecciano, come pure i devoti, e questa è in generale una caratteristica del Nepal (mentre in India ci sono pochi buddhisti e sono concentrati in certe località, come il Ladhak).



Ci sono diverse stanze o anche case che è possibile affittare per poco. Qui vicino c'è un quartiere dove sono venuti ad abitare tanti hippies e freaks da vari paesi dell'occidente, e vivono con quello che i parenti mandano loro per posta, il cambio è talmente favorevole, e il costo della vita talmente basso, che con poco riescono a campare discretamente. Ci sono varie "comuni" dove vivono in gruppetti. L'attività prevalente è dedicarsi "to roll a joint" a farsi una canna, ma anche magari si mettono a fabbricare chilums artigianali, oppure monili, gioiellini, da rivendere ai mercatini o girando per strada, o a barattare cose in cambio di cibo o erba, e a chiacchierare e ascoltare musicassette, o a filosofeggiare.
Ma con rigido regime di apartheid, di separazione e discriminazione netta, tra quelli che si bucano, e quelli che sfumacchiano solo spinelli, di ganja, o erba, o prendono poco più, qualche pipatina, o si fanno un po' di hash, a cui ora si sono però aggiunti quelli che si impasticcano di roba psichedelica.

Ma Kathmandù sta visibilmente cambiando, asfaltano delle strade, costruiscono nuovi hotel, è prevista una circonvallazione, cresce tutta una nuova zona moderna, .... che succederà? come sarà questa città in avvenire? certamente questo non è l'Eden... però ...
Già da tempo quelli che vengono in cerca di qualcos'altro che non il turismo, si sono anche fermati e si sono stabiliti come dicevo, a Swayambu, a Bodhnath, a Pashupati, ecc... Ma adesso con un certo seppur piccolo aumento del turismo di agenzia, si comincia già ad "emigrare" più a ovest, a Pokhara, sotto l' Annapurna ...

Abbiamo mangiato la Takhala (una zuppa con carne), era abbastanza accettabile.

Infine al mattino dopo, il 6 agosto, andremo in aereoporto dove scopriremo che il volo delle Indian Airlines che avevamo prenotato a Kathmandu è stato annullato!, forse c'eravamo solo noi... Quindi ci spostano su un volo per Calcutta con un aereoplanino delle linee aeree reali, che costa 740 rupie nepalesi. Volo molto traballante. Passeremo sopra alle superbe montagne e poi vedremo la giungla giù nella calda pianura.



Le ultime immagini del Nepal che abbiamo negli occhi sono quelle degli aquiloni che volteggiano nel cielo limpido di Kathmandu, e un gelataio ambulante con il suo trabiccolo a pedali, con vari buchi nel cassone di latta, e i suoi "ghiaccioli" con i bastoncini sporchi e tutti storti.

(1978)

Le guide sul Nepal allora esistenti erano soltanto:
le pagine sul Nepal in: Fosco Maraini, Segreto Tibet, del 1951... (esaurito);
oppure c'era l'opuscoletto della collanina "Controcultura", di StampaAlternativa, edito da Savelli, Andare in India, 1974 (in cui ci sono però solo due=2 scarne paginette sul Nepal...); o anche -ed esce giusto in luglio '78- il ciclostilato del centro di documentazione di "Avventure nel Mondo" di via Vitellia a Roma, "Quaderno di viaggio KK, Raid Kabul-Kathmandu" (che noi però non possiamo utilizzare per il nostro viaggio, essendo partiti poco prima della sua pubblicazione). Poi c'era di  M.Amante, L.Buffarini-Guidi, Viaggio all'Eden, Olympia Press, Milano, del 1972 (viaggio lungo lo Hippy Trail da Istanbul, Kabul, India, fino in Nepal), che pure non abbiamo utilizzato dato che anch'esso era già esaurito.

o se no c'era in francese:
E. de Rouvre, Nepal, Ed. Robur, Paris, 1975;
D. Odier, Nepal, Petite Planète, Paris, 1976;
P. de Panthou, Au Nepal, Librairie Hachette, Paris, 1976;
I primi due alla Librairie française di Milano non li avevano, ma il terzo riusciamo a farcelo procurare.
E abbiamo la guide bleu sull'India, che ci aveva regalato mia madre per il viaggio, dove c'è un capitoletto sul Nepal.

A Kathmandu comprerò una buona carta di tutta la Valle al Kathmandu Book Centre (di cui qui ho riprodotto delle parti).
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lettere ai miei genitori:
Ecco come era un aerogramma delle reali poste nepalesi, cioè un foglietto di carta velina pieghevole per inviare una lettera per via aerea (sul francobollo prestampato, il mitico uccello divino Garuda):


a mia madre,
domenica 30 luglio 1978:
"Sopportando due giorni e mezzo di viaggio ininterrotto e piuttosto disagevole, siamo riusciti finalmente a raggiungere il lontano Nepal, e ora siamo felicemente sistemati a Kathmandù, la capitale di questo Regno himalayano.
Lo sbalzo di altitudine e di clima è stato notevole, dalle paludose pianure assolate e con giungla vergine, fino su qui in montagna, ma ora ci siamo ambientati, e direi che come clima qui si sta molto bene.
Siamo veramente molto contenti e molto soddisfatti perché il Nepal è un paese stupendo per i paesaggi, e per la gente, e interessantissimo per la storia, l'arte, le religioni, e Kathmandù una città favolosa, dove è come essere trasportati indietro nel tempo a secoli fa.
I nepalesi (che sono solo metà della popolazione del Paese), sono una specie di tibetani, molto gentili, cortesi e riservati.
Le nostre aspettative erano molto grosse, e se possibile sono state ingigantite dallo stress del viaggio, ma devo dire che sono ampiamente ricompensate le fatiche, e le attese largamente soddisfatte.
Siamo talmente contenti che credo che ci fermeremo qui per un bel pezzo, almeno una decina di giorni senza cambiare alloggio; tra l'altro qui si spende pochissimo...
Abbiamo già fatto un sacco di acquisti pur con il nostro smilzo gruzzoletto, allettati dalle meraviglie disponibili e dai prezzi veramente irrisori, e purtroppo dovremo comunque smettere di comprare cose, perché non ci sta più niente altro nei nostri zaini. Tante cose che da subito si capiva che erano troppo fragili o troppo voluminose, le abbiamo scartate a priori pur con le lacrime agli occhi.
Siamo sempre in compagnia, restiamo soli quando lo vogliamo e stiamo con altri senza difficoltà. Gli altri occidentali sono talmente pochi e talmente identificabili sin da lontano, che non c'è problema ad aggregarsi durante i viaggi per aiutarsi a vicenda. Poi se qualcuno è simpatico si sta insieme ancora un po' anche nelle città e nelle visite, o si fa un minimo di programma in comune, altrimenti, venuta meno la necessità ci si lascia (e poi magari ci si reincontrerà...! pur in questa immensità del subcontinente indiano).
A parte gli occidentali, non siamo mai soli, mai. Per es. anche adesso, per il solo fatto che sto scrivendo, c'è qui gente a 20/30 cm che guarda quel che faccio; quando poi scrive Annalisa lo stupore è enorme (le statistiche ufficiali dicono che l' 80% dei nepalesi sono analfabeti, e 96% tra le donne).
Spero che tu abbia ricevuto le altre due lettere: riuscire a spedire una lettera da Benares (non essendo in un grand Hotel dove consegni semplicemente alla Ricezione anche senza francobolli) è stato davvero molto difficile, lungo e penoso, quindi spero proprio che tu le riceva (dicono che certi rubano i francobolli che poi rivendono). Ora qui dovrebbe essere più semplice spedire in Europa, essendoci in città un aereoporto internazionale.
Come va lì? la salute è migliorata? ciao, bacioni. Ho solo questo piccolo foglio, e quindi qui chiudo. Ora vedrò se riusciremo alla Posta Centrale a trovare degli aerogrammi (essendo in una capitale...)."

a mio padre,
3 agosto 1978:
"Dopo faticoso viaggio da Benares, abbiamo raggiunto Kathmandu. Il tempo è nuvoloso e purtroppo non si vede l'Himalaya, comunque i luoghi sono stupendi e compensano largamente la fatica fatta. Il clima qui è più piacevole e anche l'ambiente è più riposante, più calmo, meno rumoroso e affollato. Kathmandu è una città veramente meravigliosa, utta piena di templi hindù e di pagode buddiste; le cittadine vicine poi sono come sprofondate indietro nel tempo. Già a K. il traffico è limitatissimo, due o tre macchine ogni tanto, pochi rickshaws, più che altro biciclette; nelle cittadine intorno poi un gran silenzio, nessun mezzo circolante, tutti a piedi come una volta. Nelle campagne ci sono villaggi con capanne fatte di terra e frasche; siamo stati ospiti un giorno e una botte da un tizio in una casetta/capanna, una esperienza indimenticabile, a un'ora e mezza di pullmann da K. poi mezz'ora a piedi verso la montagna. Ci sono le risaie a terrazze come in certe foto della Cina; le facce mongoliche e abbronzate, tipo sherpa, gente piccola, gentile, riservata, rispettosa. Il Nepal ci piace moltissimo.
Spendiamo 1250 lire a testa in un alberghetto migliore che in India, più pulito e con water, doccia e lavandino in camera. Circa 600 lire per un buon pasto abbondante in una discreta trattoria. Di conseguenza abbiamo fatto alcuni acquisti, purtroppo le dimensioni degli zaini ci impediscono di comprare troppo o cose voluminose o cose fragili, peccato; le tentazioni sono molte, la roba nepalese o tibetana è stupenda e a prezzi ridicoli. Ecco come fanno certi hippies a stare qua anche degli anni: comprano qualcosa e la spediscono in Europa dove un amico la vende ad almeno 10 volte tanto, e poi rispedisce loro una parte dei soldi, e qui ne bastano pochi. Tornare a Natale-Capodanno per vedere l'Himalaya deve essere stupendo. C'è purtroppo il fatto che K., nonostante sia la capitale e l'unica vera città "moderna" (320 mila abitanti), è molto sporca, è veramente piena di merda. Dove piena di merda non significa solo molto trascurata, fatiscente, sporca, senza spazzini comunali, senza un servizio di nettezza urbana e di smaltimento del pattume e dei rifiuti, senza un sistema di fognature, eccetera, ma significa proprio piena di merda, merda di vacche sacre, merda di bufali, merda di capre, di montoni, di polli, di cani, di porci selvatici, di uccelli, di uomini, eccetera. Essendo molte strade di terra (=fango) sono impregnate di merda e dagli scoli vari; quando piove il tutto si mescola e forma un gran pantano schifoso. Per fortuna lo sapevamo e ci siamo portati degli scarponcini. Ci eravamo portati anche la pila per camminare alla sera, ma per l'estrema umidità dell'India, si è marcita, e qui non ce ne sono altre di quella misura. Le puzze e i miasmi vari, sono a volte, come dire, aggressivi, ti saltano addosso e non ti mollano più. Ma ora basta, altrimenti si crea una immagine tutta negativa. In realtà mi pare che il re stia ammodernando la città in conseguenza dell'aumento del turismo, e forse fra poco non sarà più così disastroso."

a mia madre,
domenica 6 Agosto 1978:
"Purtroppo non abbiamo potuto sin'ora vedere la catena dell' Himalaya perché era sempre nuvoloso, però questo Nepal ci ha veramente affascinato.
Le pagode, i templi buddhisti, i templi hindù, anche quelli dei seguaci del Tantrismo, e poi ci sono anche alcuni musulmani, e anche i cosiddetti Kirat Veda, o Mundhum, che seguono antichi culti sciamanici. La gran parte della popolazione discende dagli originari ceppi birmano-tibetani, che sono di matrice buddhista; mentre la tribù dei Gurka, che hanno conquistato il Paese a metà del Settecento, erano hinduisti, e hanno imposto una dinastia di primi ministri ereditari, i Ranas, per cui il più anziano del clan della famiglia Rana faceva il primo ministro, interrotta solo nel 1951... (certi chiamavano quel regime autoritario "la Ranarchia") sotto le pressioni del Nepali Congress (una organizzazione filoindiana). Da allora è anche stata abolita la servitù della gleba.
Insomma qui tutto è mescolato, e messo lì in un posto qualsiasi, come se non ci fosse problema alcuno.  All'improvviso percorri una strada di terra schifosa e sporca, e ti trovi di fronte ad un tempio magnifico, che ti lascia imbambolato per un paio d'ore a contemplare la sua bellezza.
Abbiamo fatto un po' di gite intorno, qui nella regione della valle di Kathmandù dove ci sono cittadine medievali che ti fanno sprofondare in altri tempi lontani.
Spesso non c'è nessun mezzo meccanico, rare persino le biciclette, tutti si muovono a piedi in un gran silanzio, ci sono solo i rumori degli artigiani al lavoro, o degli animali che girano da vagabondi per le strade (tipo mucche, persino maiali, asinelli, cani, galline, gatti, eccetera, per non dire altro).
Siccome siamo qui da nove giorni, ora andremo a Calcutta." (...)


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ultimi acquisti fatti: cappotto di lana di Yak (12 mila lire); giacca double-face imbottita (4.800 Lire); gilet di lana di yak (3300 L.); portaprofumo intarsiato di osso di yak (1500 L.); pantaloni e camicia in cotone confezionati a mano per me (3900 L.); lucchetto a forma di drago (480 L.); camicia di cotone per me (1500 L.); tuta di cotone per AL (2800 L.); belle stampe tradizionali su carta di riso (60 L. l'una); camicia di cotone per AL (1800 L.).
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carlo_pancera@libero.it
questo diario di viaggio è presente anche su  http://viaggiculturali.wordpress.com/



per una lettura completa delle otto puntate complessive su questo viaggio del 1978, vedi su questo Blog:



Pakistan (postato il 9.sett. 2012); poi Amritsar - Old Delhi (5.nov.12); poi Rajahstan - Agra - Benares (6.nov.12); quindi il presente testo sul Nepal (1.dic.11); poi Calcutta-Madras (24.ott.12); a Goa (25.ott.12); e il testo su Bombay ed  Elephanta, con il rientro via Karachi ( 26. ott. '12); e infine le considerazioni post-viaggio ( 29 ott. '12).

Tra le molte guide di viaggio uscite posteriormente, segnalo quella di Roberto Cattani, India e la valle di Kathmandu, della editrice Livingston&Co, di Milano, uscita nel '98, ma poi aggiornata nella edizione del 2018.