sabato 24 ottobre 2015

La Fiera dell'Expo di Milano


Sono stato a Milano e ho fatto un salto a dare una occhiata all'Expo. Ci sono stato tutto ieri, venerdì 23 ottobre, dalle 9:30 del mattino alle 9:30 della sera. In sostanza non mi è dispiaciuto perché mi ha ricordato di quando da bambino e da ragazzo andavo a vedere la Fiera Campionaria,  perché di fatto di questo si tratta: di una gran Fiera. Quasi ogni Paese nel suo stand (o come si dice oggi: padiglione) fa la pubblicità di sé stesso, e cerca di promuovere  l'arrivo o la crescita del turismo, mostrando quanto è bello e interessante e che belle cose che fa.
Ben pochi padiglioni sono dedicati davvero ai problemi della produzione alimentare e della promozione del consumo di cibi sani e naturali, o di diete e regimi di vita che possano conservare la salute e prevenire malattie. Solo qualche padiglione tratta delle problematiche assai serie e a volte gravi del settore alimentare e agricolo attuale, o delle prospettive future per quanto riguarda la lotta contro la fame nel mondo o le questioni bioetiche, o le previsioni di carattere demografico, sociale, sanitario, dei servizi primari, eccetera. Nè per quanto si riferisce al proprio Paese, né su scala continentale o mondiale.

Sostanzialmente dunque è una fiera, una specie di gran lunapark particolare, e una kermesse di ristoranti e ristorantini e baracchini tipo bancarelle. E purtroppo c'è una massa di gente pazzesca, un flusso di migliaia e migliaia di persone che si spingono, si urtano, si scavalcano, parlano, gridano, cantano, bevono, un gran caos che va al di là di ogni immaginazione relativa al limite massimo di affollamento tollerabile.
Classi scolastiche di ogni tipo, adolescenti scatenati che vanno a far cagnara, molte decine di pullman di gitanti, grupponi di pensionati, un caos permanente. E' massacrante sia dal punto di vista acustico, della fatica di camminare e sia per lo stress psicologico dovuto allo stare permanentemente come in un autobus strapieno (tipo all'ora dell'uscita dalle scuole). Che caos!, rumori, vocii, spintoni, grida, fiumane disordinate che si intrecciano, intoppi stradali  
una biglietteria


il "decumano" cioè il grande vialone principale

Che stancata!! che mal di piedi! che stordimento C'è un casino permanente che rende tutto faticoso. "permesso!", "prego", "ohi?!", "no, io vorrei andare di là", "mah?!", ecc, quanti urti e spintoni…!
D'altronde se in sei mesi sono stati venduti oltre 21 milioni di biglietti d'ingresso, fatti i conti vuol dire che in media sono entrate almeno 120 mila persone ogni giorno, quindi ...
E poi c'è l'assurdità delle code, per entrare in certi padiglioni ci sono da fare file di quattro, cinque ore…. Anche per le file "privilegiate" cioè di chi ha problemi fisici, di bambini in carrozzina, di persone su sedie a rotelle, o di persone in là negli anni (over 65 o 70), ecc. le code possono essere di un paio d'ore... Che senso ha? Uno viene fin dalla sua città a Milano per poi passare delle ore in piedi ad aspettare il proprio turno… ma ne vale la pena? (tanto più che molte volte gli interni sono deludenti) per cui ci sono come delle "mode" a causa delle quali tutti vanno per assaltare gli stessi quattro/cinque padiglioni, e così ne vedranno in una intera giornata al massimo solo due o tre in tutto… La pena e la noia di stare in coda per ore è sproporzionata rispetto all'obiettivo. Ci sarà sicuramente qualche sociologo e qualche psicologo che saprà dare una spiegazione di questo tipo di autolesionismo dell'accorrere a stare in piedi in una lunghissima attesa.

Inoltre trovo che sia veramente incredibile che in un evento internazionale sulle gravi questioni del cibo, ci siano dei padiglioni per es. della CocaCola, o di  grosse banche, o di ditte di birra, o della Algida, di grandi giornali, della Kinder, o della Etihad  ecc. e altre simili.

§. 2
Comunque, al di là di tutto questo contesto (se mai è possibile astrarne), ci sono cose interessanti, belle architetture da ammirare, si ha occasione di avere un primo contatto con paesi del mondo che non si conoscono, e prendere informazioni e visione (attraverso foto, e video) magari al di fuori di quelle che si ricevono tramite tv o i giornali e le riviste più comuni e diffuse. Ci sono anche alcuni spettacoli  notevoli come quello serale attorno al grande Albero della Vita. 


E poi ci sono appunto padiglioni specifici sul tema "cibo", come quello chiamato numero zero dell'ONU, quello della Unione Europea, e Aree tematiche, come quella dello Slow Food, della Biodiversità, o sul Future Food, o le Aree dei cereali, del riso, del cacao, frutta e legumi, quello delle spezie, quello della associazione agronomi, quello sulle Zone Aride, quello sul Mediterraneo, o sulle Isole e il Mare, quello sui tuberi eccetera, che sono senz'altro interessanti
Come pure quelli di certi paesi, come per es. quello molto bello e originale della Gran Bretagna che è tutto incentrato sulla apicoltura
l'immenso alveare britannico

(come lo è anche quello dell'Oman), oppure il padiglione della Charitas, o quello di Save the Children, eccetera.
In tutti questi effettivamente si ritrovano quelle problematiche che l'Expo ha posto al centro del tema cibo, che sono: Fame zero; Cibo sostenibile; Vietato sprecare; Educazione e Salute; Cibo e innovazione; Mercati e contraffazioni; Cibo e Identità.
Si sono tenuti vari e importanti convegni e vertici (in tutto sono venuti qui circa cinquanta capi di stato o di governo, e circa seicento ministri), come quello cui accennavo nel precedente Post dell'8 ottobre.
Queste sono la parte, l'aspetto, indubbiamente interessante e importante dell'Expo.

Per cui nonostante quanto dicevo all'inizio, vi consiglio di andare in questa ultima settimana, è una esperienza da fare.

Qualche piccolo accorgimento:
noi abbiamo constatato che al mattino si riescono a vedere abbastanza facilmente e con i propri tempi diversi padiglioni, si può scegliere quelli senza o con brevi code, ed è una atmosfera più umana. Quindi vi consiglierei -se potete- di andare a Milano la sera prima da parenti o amici a dormire, per poi essere là all'apertura (ci vuole circa un'ora di tempo per arrivare fino alla zona dell'Expo con i mezzi pubblici o in auto). Poi dopo le due e mezza quando le scuole sono finite, e certi uffici chiudono, incomincia ad esserci la folla compatta, e infine dopo le sei quando si paga solo 5€ l'ingresso allora c'è la grande invasione e tutto cambia drasticamente. Noi siamo entrati dalle biglietterie Est di Roserio -dove c'è il parcheggio più grande e ci sono anche più taxi- avendo già i biglietti in mano (li avevamo comprati prima di partire con uno sconto alla Coop di Ferrara).



Per mangiare consiglierei di presentarsi alle 12 massimo 12:30, così si fa poca fila, mentre già dalla una è praticamente impossibile sedersi ad un tavolo. Abbiamo pranzato molto bene al ristorante iraniano, spendendo per un piatto tra i 12 e i 15 €uro. La merenda nel pomeriggio l'abbiamo presa ad un baracchino, e poi verso le sette siamo andati a prendere un t e delle bibite ad un bar. Mentre per cena non siamo riusciti a trovare niente. Da tenere presente che certi padiglioni chiudono alle otto, e che comunque diversi posti per mangiare a quell'ora hanno già finito tutto quello che avevano, o quasi.

Alcuni padiglioni tra quelli in cui sono entrato: Oman, Turkmenistan, Indonesia, Qatar, Turchia, Iran, Israele, Regno Unito, e altri più piccoli come Kirgyzistan, Bolivia, Mozambico, eccetera


Oman


 Russia e a fianco Estonia
 ingresso al padiglione della Russia

la Slovakia

il Turkmenistan


 Indonesia: burattino della dea del riso
altro personaggio del teatro delle ombre

l' Indonesia è il 1° produttore mondiale di olio di palma, con il 53,5% del totale 
(l'altro è la confinante Malaysia con il 32,1%), 
ma non si accenna alle problematiche che questa produzione sta sollevando...

orari di uno spettacolo di maschere e burattini

ingresso al padiglione del Qatar

passando si attivava automaticamente il "benvenuto!" video e audio


Qatar: l'albero della vita (alto tre piani) con giochi di luce


il padiglione "aperto" della Turchia

 Bolivia: gli antichi templi pre-incaici dedicati a Madre Natura

 maschera del folklore per una danza tradizionale (dietro: tuberi dell'altopiano)

la venerata foglia di coca

 la abuelita fatta di chicchi di caffè

 ballerina boliviana in costume tradizionale della sua regione


il padiglione dell' Azerbaijan

il padiglione di Israele dedicato alle innovazioni agronomiche, qui esempi di coltivazioni in verticale


e infine abbiamo visto anche gli stand delle regioni italiane nella parte magiereccia ...

giovedì 15 ottobre 2015

l'interazione tra le religiosità e spiritualità del mondo, 2

Vorrei citare alcuni casi, tra i "pionieri" di questa via di riconciliazione universale.
Nel settembre 1219 san Francesco d'Assisi si recò in Egitto dove ebbe a Damietta un incontro con il sultano al-Malìk al-Kàmil, nipote del Saladino. In quello storico e coraggioso colloquio si cercarono possibili spazi per l'apertura di un primo dialogo che portasse a una maggiore conoscenza e comprensione tra fedeli cristiani e mussulmani sulla base comune delle scritture bibliche e della figura di Gesù riconosciuto come mediatore e profeta.
Il grande Kabir Das (1398-1448), nato mussulmano vicino a Benares, fu aperto alla influenza sia dei Sufi che degli Yoghi, si dichiarò "un figlio sia di Allah che di Rama", raffinato poeta in lingua hindi, fece parte della corrente mistica Nirguna (=senza attributi), e perseguì un mutuo scambio tra hinduismo e islam (in un epoca in cui i primi consideravano l'islam la religione degli invasori, e i secondi ritenevano la fede hindu primitiva). Nella raccolta "I canti" di Kabir (tr.it edizioni Red, Como, 1999) scriveva: «Oh servo mio dove mi cerchi?/ guarda! ti sono vicino./ Non sto né nel tempio né in moschea./ Non sono nella Kaaba o nel Kailash,/ non mi troverai nei rituali o nelle cerimonie, /se la tua è vera ricerca, mi vedrai subito./ Dio è il respiro di tutti i respiri!». Da lui venne influenzato il grande guru Nanak (1469-1539) fondatore della religione monoteista dei Sikh, diceva che Dio non era un hindù né un mussulmano ma li abbracciava entrambi.
Nel Seicento il filosofo Spinoza pensava ad una religiosità comune come patrimonio culturale di tutti.
Nel Settecento si può menzionare Lessing con le sue riflessioni su "La religione dell'Umanità", e con la sua interpretazione della favola dei tre anelli, o "Melchisedech e il Saladino", ri-raccontata da lui nel  terzo atto del dramma "Nathan il saggio" come allegoria della tolleranza, per cui è "superbia affermare che solo il Dio della propria religione sia il vero Dio"; e infine termina dicendo che per lui "Ebreo, Cristiano, Mussulmano, e Parsi sono tutt'uno", guardando ad un futuro "tempo del compimento" in cui gli uomini faranno il bene solo perché è buona cosa, e non per altro. La probità, l'integrità morale, l'onestà, la bontà d'animo, e la generosità costituiscono quel Grund, quel fondamento basilare che è comune in tutte le religioni. 
Comandamenti perentori e minacce di punizione da parte di divinità dotate di grandi poteri, restano tuttavia importanti per coloro che non sono in grado di autocontrollarsi e non ritengono un valore in sé il tenere un comportamento corretto.


Poi va ricordato il messaggio e l'opera dei membri della fede Bahà'ì, di origini iraniane, la cui sede internazionale è ad Haifa (ho frequentato amici Bahai in vari periodi, visitando anche lo stupefacente Tempio del Fior-di-loto in periferia di Nuova Delhi)che dall'Ottocento
il fondatore Bahaullah (1817-92)
il Lotus Temple di New Delhi
 propagano un concetto di divinità (o del Divino) il più generale e unitario possibile, e rispettano come grandi profeti tutti i fondatori delle varie religioni. Nei loro 12 principi si afferma di voler perseguire tra l'altro: "1. Ricerca indipendente della verità, libera dai legami della superstizione e delle tradizioni; 2.Unità del genere umano; 3. Unità di tutte le religioni; 5.Armonia tra scienza e religione; 10. Equa distribuzione delle risorse naturali, proprietà di tutta l'umanità; 12. Conseguimento di una pace universale, fine supremo dell'umanità". 
Nei loro templi chiunque può andare a pregare o meditare secondo le proprie usanze e credenze. I bahài sono presenti in moltissimi paesi del mondo. (vedi www.bahai.it )
Nell'Ottocento c'è anche il nostro Giuseppe Mazzini, che fu uomo di profonda spiritualità, la sua fede era di stampo deista e per certi temi avvicinabile alla religiosità rousseauiana, mentre per altri versi richiama il panteismo degli Stoici. Il suo umanitarismo si caratterizza per un rifiuto di intermediari tra Dio e l'animo di ogni uomo (in questo forse influenzato dalla madre giansenista). Crede nell'apostolato popolare e nella missione dell' educatore per un movimento di rifondazione spirituale dell'Europa -al di là delle chiese-, che perciò necessita da un lato il laicismo totale dello Stato, e dall'altro la diffusione di una sorta di religiosità civile che potesse fungere come da base comune a tutti, indipendentemente dalle credenze specifiche di ciascuno. Aveva una concezione quasi spiritualista di Dio quale "Pensiero vivente, assoluto, di cui il nostro mondo è raggio e l’Universo una incarnazione" (cfr. "Fede e Avvenire",  Mursia).

La Società Teosofica, nata nel 1875, ritiene che tutte le religioni abbiano un'unica origine negli inizi della civiltà, ed elabora una dottrina sincretica che fonde elementi cristiani, orientali, filosofici, e spiritualisti, con l'obiettivo di elaborare un nucleo di fratellanza universale basato sui risultati di uno studio storico comparato delle religioni e filosofie mondiali.


Lo scrittore Edouard Schuré nel 1889 pubblicò un testo di stampo esoterico di storia romanzata delle religioni, "I Grandi Iniziati", in cui proponeva alla ammirazione dei suoi lettori la vita e l'opera dei fondatori di religioni (quali Mosé, Orfeo, Pitagora, Gesù, ecc.) collegandoli tra loro in modo da far emergere un grande affresco di una sorta di religione universale, alludendo ad una "grande verità" che nasce «nelle profondità dell'Anima, nella contemplazione da parte dell'intelletto delle Idee Madri universali, e nell'energia della Volontà», e che costituisce il nucleo vitale di tutte le religioni attuali. Conobbe un grande successo internazionale.


Ora venendo al primo Novecento, il poeta bengalese Rabindranath Tagore cercò di elaborare una piattaforma comune per l'incontro tra Oriente e Occidente che fu alla base del suo sistema scolastico realizzato a Shanti Niketan (cfr. "La religione dell'Uomo" tr.it. ediz.SE, 1998): «Le razze dell' Umanità non potranno mai più arroccarsi nell'esclusività delle loro cittadelle fortificate. Esse sono oramai a stretto contatto l'una con l'altra (…). Oggi, come mai nella nostra storia, è necessario l'aiuto di un potere spirituale universale. E io credo che sicuramente una tale risorsa verrà scoperta nelle segrete profondità del nostro essere." (…) ma sarà una religiosità "fuori mercato" rispetto alla consuetudine sociale che attacca a ogni uomo un cartellino».


Il poeta libanese Kahlil Gibran, con la sua opera "Il Profeta", del 1923, compone un testo di tipo tardo-romantico in cui presenta una sorta di sincretismo tra la Bibbia ebraica, i Vangeli, e il Corano, che ebbe subito un enorme successo di pubblico in molti paesi del mondo per la sua sensibilità, e il piglio visionario, che rimandano a Blake, agli asceti indiani, e ai mistici mussulmani.
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Passando ora a varie forme di ecumenismo contemporanee, va ricordato Padre Anthony Elenjimittam (alias Bhikshu Isabhodananda), nato nel Kerala, 

membro dell'ordine Domenicano dal 1936, morto nel 2011, formula questo concetto: “Tutte le religioni sono portatrici di vero”. Allievo di Gandhi, ritenendo d'aver ricevuto da lui il mandato di lavorare per l'intesa inter-religiosa, operò in Occidente e in Asia. Fu amico di papa Giovanni XXIII, ed ebbe poi sostegno alla sua attività ecumenica, dal patriarca di Venezia Card. Luciani, profondo conoscitore della spiritualità indiana (futuro papa Giovanni Paolo I). Padre Anthony ha pubblicato in 4 voll. i testi delle Upanishad indiane (che appartengono alla scuola vedica classica e quindi risalgono a parecchi secoli prima di Cristo), e si è prodigato per mettere in rilievo le numerose profonde affinità che ritrova fra i testi upanishadici e il primo cristianesimo. Ha tradotto testi hindu, e buddhisti, e l'interpretazione dello yoga di Patanjali, e ha scritto un libro sull'universalismo di san Francesco, ecc. Da qui è derivata poi la sua esortazione a tutti ad integrare quanto vi sia di vero nelle varie religioni,
culture e filosofie, con le acquisizioni della scienza e della tecnica, della psicologia e dell’antropologia. 
In particolare Elenjimittam ha fatto conoscere in Occidente la Svetasvatara Upanishad, che è attribuita a un saggio del quale porta il nome, e che rappresenta una delle più grandi sintesi della letteratura vedantica, e può essere letta come una sorta di "magna charta" di un ecumenismo mondiale per l'unificazione delle tradizioni religiose e filosofiche dell'umanità. Con i suoi testi La religione delle religioniSalmi di un marinaio solitario, Gnosi Vedantica, ed altri, Padre Anthony mostra come, al di là delle forme, dei rituali e dei dogmi, ciò che sta alla base di ogni religione è la medesima unica essenza, e dunque partendo da ciò vorrebbe anche ricondurre l’umanità ad una sola famiglia di parenti, superando divisioni storiche, geografiche ed ambientali. (cfr. http://www.padreanthony.org/ )
Ricorderei anche il frate trappista Thomas Merton, franco-americano (1915-68), 
che scelse di stabilire la sua residenza a Bangkok (KrungThep), da dove inviava al mondo messaggi sopratutto tramite i suoi libri (come "La montagna dalle sette balze", o "Nessun uomo è un isola", e tanti altri) di grande valore universale. Ho visitato la sua piccola bella dimora in legno sul fiume ChaoPhraya (vedi: merton.org e la rivista "Universal Vision").
Un altro personaggio importante, e autore di vari libri, è il frate benedettino inglese Bede Griffiths (1906-93), di cui ho visitato l'affascinante ashram  nel Tamil Nadu,  

a Shantivanam (il bosco della pace), che si è prodigato tutta la vita per il dialogo hindu-cristiano nel sud dell'India (cfr. www.bedegriffiths.com/    e vedi anche viaggiareperculture.blogspot.it/2011/07/diario-di-viaggio-nellindia-del-sud.html   dal la metà del §.22, poi il §23 e il §24). L'obiettivo è di fare dell'ashram un centro di incontro non solo tra hindu e cristiani, in cui entrambi, possano risiedere per un ritiro spirituale, anzi Griffiths si adoperò molto perché  anche mussulmani, buddhisti, sikh, jain, gente di tutte le religioni, o di nessuna appartenenza, potessero trovare qui un luogo sia di ritiro e raccoglimento se ricercatori spirituali, sia di studi e ricerche di tipo comparativo, sia di incontro, dialogo, discussione aperta e libera. Con l'intento di imparare dagli altri, apprendere a capire gli altri e ad apprezzare ciò che potevano apportare, in vista della individuazione di una sempre più ampia possibile base condivisa. 
Un altro interessante personaggio che si prodiga in questo campo è Dadi Janki, che è una delle prime donne indiane ad aver rivestito il ruolo di leader spirituale. Responsabile della Brahma Kumaris World Spiritual University, viaggia in tutto il mondo per insegnare i principi generali della spiritualità e ad avere fiducia in se stessi. Fa parte dei Keepers of Wisdom (Custodi della Saggezza), un eminente gruppo di leader spirituali convocato durante le riunioni su certi temi che si tengono presso le Nazioni Unite
Nata nel 1916, è stata a lungo vicepresidente del Congresso Mondiale delle Religioni.
Un ulteriore personaggio di fama mondiale è stato Sun Myung Moon (1920-2012), nato nella Corea del Nord da cui è sfuggito, che ha dedicato tutta la sua vita a contrastare gli assolutismi, i totalitarismi e gli integralismi, di varia origine, e sopratutto a promuovere la conoscenza reciproca delle viarie spiritualità.
E' stato il fondatore della chiesa per l'unificazionismo, e dell' UPF (Universal Peace Federation), che si propone: «Nel genuino desiderio di realizzare un mondo unito e pacifico fa appello ad ognuno di noi per creare una cooperazione costruttiva. La realizzazione della pace avverrà con la messa in atto del principio di "vivere per gli altri", sia nella sfera pubblica che privata della vita», «la speranza di ogni generazione è un mondo di pace e unità».
Ricordo personalmente ad es. l'insegnamento di un guru indiano che nel suo ashram  mi disse tra l'altro: "in effetti tutte le religioni del mondo dicono molte cose straordinariamente giuste e belle sulla divinità, e -ciò che è importante sottolineare- ciascuna apporta qualcosa di specifico. Per cui direi che tutte assieme ci possono aiutare, e nessuna è da ignorare. E' bene conoscerle tutte e apprezzarle una per una. Se prendi un foglio di carta di un quaderno, e lo dividi a metà in orizzontale e poi ancora in verticale, quanti rettangoli ci vedi? c'è chi dice quattro, chi cinque, chi sette o addirittura nove...Così è per le religioni, in fondo sembra che dicano cose simili, ma non è del tutto così, ciascuna di loro è uno sguardo particolare. Chi prende in considerazione il numero massimo di punti di vista, è forse quello che sa dire di tutti e di ciascun rettangolo, altrimenti si ha una visuale limitata. Sono però tutte parziali, anche perché pensano a ciò che vogliono definire, come a un oggetto esterno, altro da noi. Quante più caratteristiche del divino si contemplano, tanto più completo sarà il quadro che ne traiamo. Come in tutti i campi, maggiori le nostre conoscenze, e tanti più i punti di vista considerati, tanto più ampio sarà il nostro sapere. Bisogna conoscere, confrontare, elaborare. Tutte le visioni religiose sono espressione di ciò che l'uomo nella varietà delle culture cui ha dato vita, ha concepito e còlto del divino. L'errore di ciascuna fede esclusiva, è di dirsi l'unica vera, e di rifiutare gli altri apporti". ( cfr. ancora in viaggiareperculture.blogspot.it/2011/07/diario-di-viaggio-nellindia-del-sud.html   -nella seconda metà del §.7)


L'incontro con l'altro, col diverso, non significa solo riuscire a meglio interloquire con le popolazioni, ma anche rispettare veramente la loro identità, a mio modestissimo parere. L'incontrare l'altro per volerlo trasformare, per stravolgerne i connotati, per staccarlo dalle sue radici, tradizioni, usi, costumi, riti, fedi, elementi identitari, non mi pare un incontro veramente "in buona fede" fin in fondo. 
Più recente invece, e minoritario di fatto, è il riconoscimento di quanta parte della spiritualità presente nell'intimo di altre culture, tradizioni, e religioni, possa esserci vicina, o divenirlo, al di là di formali (o effettive) distanze dovute a modalità espressive, linguaggi, motivi storici e culturali. Pertanto si invita ora a tener conto nel dialogo interreligioso di ciò che può unire più di quanto nel passato si sia fatto, quando si enfatizzavano anzi le differenze, i motivi di distinzione e di diversità, fraintendendo e a volte travisando il senso e il significato di importanti elementi costitutivi della spiritualità presente in tradizioni, anche grandiose e plurimillenarie, di civiltà extraeuropee.
Certo è importante ricordarsi sempre che c'è pure una minoranza che ha piuttosto insistito sul dialogo come momento di vero e proprio incontro profondo, andando oltre dunque il semplice rispetto, e anche la mutua stima basata su una corretta conoscenza, per accettare, ma forse anche "amare"(?), l'altro rispettandolo per quello che egli è.
Sul piano religioso e spirituale inoltre sono stati e sono molto importanti gli intenti di carattere ecumenico sia da parte della chiesa cattolica (la comunità di Bose, lo "spirito di Assisi", gli incontri di Sant'Egidio, …), e di altre chiese cristiane (con la Federazione delle chiese evangeliche, con il Consiglio delle Chiese, gli incontri tra chiese orientali ortodosse e chiese "latine", ),



il dialogo ebraico-cristiano (a Camaldoli e in altre sedi), e gli incontri e dialoghi tra esponenti di varie religioni (come il Festival delle Religioni a Firenze), gli incontri tra leaders religiosi ad Astana (Kazakhstan), il convegno tra imam e rabbini per la pace (Siviglia),  Women of Faith for Peace, o Religions for Peace, eccetera...

Ritengo che sia di estrema importanza e urgenza rimarcare tutto ciò che unisce, più che non focalizzarsi solo su ciò che distingue e differenzia. Così come si può ricercare e individuare una spiritualità fondamentale della specie umana, o almeno una dimensione o una aspirazione spirituale presente in tutti gli esseri umani, al di là delle chiese, denominazioni, e dottrine di appartenenza. Si è parlato nel Novecento anche di una comune filosofia universale di base, chiamata da alcuni "filosofia perenne" (cfr. il famoso volume di Aldous Huxley). Così come Frithjof Schuon ha ricercato le tracce della "religione perenne", della sua unità trascendente. Anche il grande scrittore Hermann Hesse nel "Gioco delle perle di vetro" è affascinato dalla ricerca di un nucleo universale della spiritualità umana.
A.Huxley (1894-1963)
H.Hesse (1877-1962)

Un originale libero pensatore critico, che può essere considerato in questo rapido elenco è il filosofo indiano Jiddu Krishnamurti, 1895-1986 (che mia nonna, la prof.sa Fede Paronelli, quale redattrice di una rivista invitò a Milano tra il 1933 e il 1937) che rifiutò di essere esponente di qualsiasi  organizzazione 
per poter parlare a tutti liberamente di ciò che ci unisce. Molti lo avevano considerato la "risorgente stella d'oriente", il "maestro dell'umanità", l'incarnazione di Maitreya, e del Mahdi. Ma Krishnamurti nel 1929 con un atto che fece grande scalpore sciolse la sua stessa associazione internazionale che si era creata vent'anni prima e di cui era ritenuto la guida spirituale. Per iniziativa di Walpola Rahula -noto maestro zen- si tennero a Londra a fine aa. '70 cinque incontri e colloqui pubblici presso la Brockwood Park School cui parteciparono anche David Bohm, Phiroz Mehta, Irmgard Schloegl, e un sempre folto pubblico con importanti riflessi sulla stampa internazionale. Per Krishnamurti si trattava più che di un raffronto ad es. con il buddismo, di rispondere a domande come: "perché paragonare? che valore hanno paragoni di questo genere? perchè chiamare in causa una religione in una conversazione simile?" e per finire si interessò solo alle domande poste da quegli ascoltatori che ritenessero di non essere cambiati dopo quegli incontri. Instaurò dei dialoghi serrati per stimolarli a compiere una autoanalisi e meditare sui propri condizionamenti interiori, su quanto le stesse conoscenze che abbiamo siano un fattore di condizionamento, sulla interazione dinamica tra timore e desiderio, sulla distruttività potenziale che è presente nel sentimento di attaccamento, e sull'incidenza della aspettativa di un risultato. Solo dopo di ciò si può avviare un proficuo incontro. Questioni che non possono non tornare di attualità e urgenza quando si vuole impostare un dialogo aperto e di interscambio e arricchimento reciproco a partire dalle comuni basi esistenti di similitudine.
Allora la domanda fondamentale da porsi -che da senso alla ricerca di dialogo- diviene:
"può cambiare l'Umanità ?"


Il suo rifiuto di essere incasellato in una definizione, una denominazione, era motivato dal timore che dei pregiudizi e dei preconcetti inficiassero una piena disposizione all'ascolto e alla riflessione.

Consideriamo in effetti quante, troppe, volte le religioni, o meglio le istituzioni religiose, o piuttosto un malinteso concetto di religione (mal interpretato da fondamentalisti dogmatici), ha portato popoli interi a scontrarsi (e addirittura a farsi guerra).

Diversi possono essere i contenuti dei concetti di bene e di male, di giusto e sbagliato, di lodevole e riprovevole, ma non vi è cultura che non contempli e affronti queste problematiche. In qualsiasi codice morale oggi vigente, tutti ritengono che si debba perseguire ciò che si ritiene il bene e non ciò che si considera male, e inoltre tutti affermano in sostanza che non si debba recar danno agli altri ("come volete che gli uomini facciano con voi, così fate voi con loro" Levitico 9:18). (su queste problematiche cfr. il mio cap. 1: "Bene o male" del libro «Etica, formazione e mondializzazione», libreriauniversitaria edizioni Webster, Padova, 2012)
Ci sono obiettivi nel campo del comportamento e della morale, che sono i medesimi per persone delle più diverse culture e appartenenze. Per esempio, rimanendo strettamente all'aspetto fenomenologico e senza riguardo per ora dei contenuti, per una persona comune di qualunque continente, l'aver dato motivo per ricevere una buona considerazione da parte del suo contesto di vita, da parte dal suo ambiente, che è quello che frequenta e in cui si svolge la rete delle relazioni e della sua socialità, è di portata fondamentale poiché sta alla base di ogni processo di socializzazione e di integrazione sociale. Poi possono essere diversissimi i contenuti, ma da un puro punto di vista sociologico è simile l'obiettivo, che è quello -considerato positivo- di essere in grado di inserirsi nel contesto sociale ed interagire in modo armonico e positivo … quindi ciò sarà ritenuto un bene... e qualsiasi siano gli usi e costumi del gruppo (che si tratti di un contesto islamico, piuttosto che di un popolo di pigmei animisti dell'Africa, o di eschimesi) tutti lo considereranno tale. Ed è proprio da qui tra l'altro che hanno iniziato a svilupparsi gli studi di antropologia culturale, distinguendosi dalla originaria matrice sociologica, per cui all'inizio del Novecento è nata questa nuova importante disciplina nell'ambito umanistico, che studia le culture, gli usi e costumi, i comportamenti, le mentalità, ma che si riferisce anche a studi di carattere demografico, etnologico, genetico e biologico.

Alla fine del XIX sec. ci fu uno storico convegno a Chicago nel 1893, denominato Parlamento mondiale delle religioni, in cui per la prima volta si riunirono assieme in pubblico, rappresentanti delle più diverse fedi religiose, con famosi interventi, come quello del grande maestro hindu: Vivekânanda (1863-1902) che propugnava che le culture e le spiritualità umane sono da considerarsi come tra loro complementari, secondo gli insegnamenti che aveva ricevuto dal suo maestro Ramakrishna.

Ci sono state da allora molte iniziative e molti appelli alla concordia tra religioni differenti, e molti ritengono che ci possano essere importanti fini e obiettivi comuni, ma anche principi originari universali. Pensiamo a certi aspetti del dialogo ecumenico, o al pensiero di vari saggi e maestri indovedici, o di esponenti buddhisti, o jaïn, o Sikh, di maestri spirituali giapponesi, coreani, andini, o di "popoli aborigeni", eccetera. 
O a personaggi famosi come il Mahatma Gandhi, che conosceva bene più spiritualità, e scriveva:
«Il mondo, e perciò anche noi, non può fare a meno dell'insegnamento di Gesù più di quanto possa rinunciare a quello di Mohammad e delle Upanishad. Considero tali dottrine complementari tra loro, nessuna valida in modo esclusivo. Il loro significato reale, la loro interdipendenza e interrelazione devono esserci ancora completamente rivelati. Non siamo oggi altro che mediocri rappresentanti delle nostre rispettive fedi, cui contravveniamo più spesso di quanto crediamo.»

o il grande amico musulmano di Gandhi, cioè Abdul Ghaffar, detto Badshah Khan, il “più grande dei khan” (1890-1988), leader pacifista pakistano, che così si descriveva:
«Sono un servo di Dio, e poiché Dio non ha bisogno di essere servito, ma servire la sua creazione è servire lui, prometto di servire l’umanità nel nome di Dio. 
Prometto di astenermi dalla violenza e dal cercare vendetta. 
Prometto di perdonare coloro che mi opprimono o mi trattano con crudeltà. 
Prometto di astenermi dal prendere parte a litigi e risse e dal crearmi nemici. 
Prometto di trattare tutti i pathan come fratelli e amici. 
Prometto di astenermi da usi e costumi antisociali. 
Prometto di vivere una vita semplice, di praticare la virtù e di astenermi dal male. 
Prometto di avere modi gentili ed una buona condotta, e di non condurre una vita pigra. 
Prometto di dedicare almeno due ore al giorno all’impegno sociale». 

Oppure, venendo a tempi e a luoghi più vicini a noi, si consideri la grande figura di Giuseppe Lanza del Vasto (fondatore della comunità dell'Arca), il cosiddetto "gandhiano d'Occidente"(da quando nel 1937 compì il suo "Pellegrinaggio alle Sorgenti" in India, vedi editrice Il Saggiatore poi JacaBook),



o quella di Aldo Capitini (promotore della marcia Perugia-Assisi e del movimento nonviolento italiano) con la sua originale concezione di una "Religione aperta"(editori Laterza),



 e di altri anche in anni a noi più recenti, come  Hans Küng,

 o Raimon Panikkar. 


D'altronde da tempo in molti ambienti eminenti intellettuali e uomini di cultura hanno promosso importanti aperture a scambi reciproci, per esempio sul dialogo tra le tre religioni monoteiste  abramitiche mediterranee ("i popoli del Libro")

 si pensi, tanto per citare tra i tanti, a tre personaggi di matrice culturale ebraica e di lingua francese come il franco-israeliano André Chouraqui, nato in Algeria,

o Edgar Nahum Morin, con la sua ricerca di cosa sia, che cosa possa costituire l'identità umana, dell' intero genere umano (l'humanité de l'Humanité),

o Elie Wiesel, premio Nobel per la pace tra i popoli, nel 1986.

Pensiamo anche ai messaggi di papa Wojtyla per l'anno 2000, e per il 2001 nella giornata mondiale per la pace tra i popoli, in cui ha sottolineato la fondamentale unità dell'umanità tutta, ricordando la profezia di Isaia: "e in quel giorno ci sarà una strada dall'Egitto fino in Assiria, e gli egizi serviranno il Signore assieme agli assiri" (Isaia, 19:23-25), e la sua Pastorale per i migranti.
E' qui anche importante ricordare il famoso incontro tra E. Scalfari e papa Francesco in Vaticano nel 2013, questi volle dare un segnale di approfondimento dell'incontro e del dialogo tra molti degli aneliti morali, etici e anche spirituali che animano coloro che hanno una impostazione "laica" nelle loro espressioni di pensiero e filosofiche, ed i cattolici o più in generale i cristiani. Da qui scaturì poi un fitto dialogo intessuto di interventi sia di credenti che di "non-credenti", riportato in un libro uscito un paio di mesi fa, che li raccoglie (cfr. "Dialogo", Einaudi). Ma l'interscambio pubblico continua tutt'ora su quotidiani e riviste, con testi brevi ma di notevole interesse e stimolo per qualunque lettore.

Nel 1997 uscì un libro che riportava il dialogo tra un padre, l'intellettuale laicista e filosofo francese J-F. Revel, e suo figlio M. Ricard, monaco buddista e accompagnatore-interprete del Dalai Lama, in cui l'apertura universalistica era esposta da due punti di vista diversi ma per alcuni versi convergenti, in un confronto aperto e schietto tra linee di pensiero.

Ma alcuni appunto vanno al di là di un "semplice" scambio di idee interreligioso o tra religiosi e laici.
Il Dalai Lama scrisse nel 2010 un testo intitolato: Towards the true Kinship of Faiths, facendo un appello a tutte le religioni ad incamminarsi assieme verso una grande alleanza per la pace, partendo dal riconoscimento che tutte le fedi, le spiritualità, hanno tra loro una grande affinità, sono in molti aspetti congiunte, come dei parenti tra loro, tanto che il titolo di quello scritto fu tradotto in italiano: "tutte le religioni sono sorelle" (edizioni Sperling&Kupfer), per rimarcare ancor più chiaramente il concetto-base. Cercando così appunto di muoversi anche più in profondità, e oltre, la mera pratica degli incontri e delle riunioni ecumeniche tra rappresentanti di varie chiese ed organismi religiosi, o di eminenti personaggi.

In campo pratico ad esempio i Bahà'ì, o la Fondazione per un'etica mondiale di Tubinga, o il movimento Emmaus dell' abbé Pierre (in cui ho fatto volontariato), o gli amici di Auroville la città utopica e ecosostenibile ispirata da Aurobindo e Mère (dove ho visitato il Matrimandir), o Servas - Porte Aperte (di cui sono stato membro per vari anni), la Federazione Interreligiosa per la Pace nel Mondo UPF, e la Fedraz. delle famiglie per la pace mondiale e l'unificazione WFWP, o la Jewish Voice for Peace, o associazioni per la nonviolenza, o pacifiste, o varie organizzazioni non-governative, e di cooperazione internazionale, organismi di volontariato e servizio civile internazionale, eccetera ecc., che hanno da sempre dato vita a iniziative e forme di collaborazione sopratutto tra semplici cittadini, persone di culture e di paesi differenti, in progetti di carattere solidaristico tra i vari popoli del pianeta. 

Il Parlamento delle Religioni Mondiali riunito a Chicago nel settembre 1993, a cent'anni dalla prima riunione cui accennavo prima, ha stilato una "Dichiarazione per un' Etica mondiale" di 15 pagg. (cfr: www.weltethos.org)

Certo qui non si tratta di quel tipo di sincretismo che si avviò nella cultura popolare romana con Costantino, o di quello praticato nell' America "latina", bensì di una nuova via dell'intelletto e della fede per la comprensione di quella spiritualità che sta dietro e sotto ad ogni forma culturalmente e storicamente determinata. Ma anche in occidente, dato il crescente interesse per le religiosità di altre culture, molti non ritengono incompatibile col proprio sentirsi cristiani il praticare ad esempio vie orientali di ricerca spirituale. Ad es. il padre benedettino  Willigis Jäger dice che lo zen ha cambiato (e migliorato) la sua autocoscienza cristiana, e che con la pratica della meditazione si può ri-scoprire sè stessi e la propria spiritualità. Così pure per il gesuita e missionario padre Hugo Makibi Enomiya Lassalle, e Karlfried G. Dürckheim, per il rapporto con lo zen giapponese, e altri che hanno cercato in vari modi, pur assai differenti tra loro, o soluzioni in certa misura di mutuo interscambio e intreccio culturale, oppure soluzioni che comunque considerassero quale fondamento della propria spiritualità, quella base comune alle numerose religioni del mondo e della storia, che pure c'è, esiste, ma quindi cercando al di fuori delle differenti ideologie, delle varie dottrine dogmatiche, al di là delle istituzioni delle varie chiese e delle varie denominazioni. Di qui anche l'attenzione ad un dialogo interiore "intrareligioso" che ognuno dovrebbe condurre con sè stesso con assoluta sincerità e apertura.  Anche dallo stesso mondo laico e persino "laicista", con l'attenzione di discipline di impianto scientifico (come la psicologia o l'antropologia) ad aspetti della interiorità, vengono aspirazioni ad una cultura umanistica che ci fornisca la base, il fondamento generale di riferimento per l' "essere uomo" di ciascun appartenente alla specie homo sapiens.
E poi pensiamo solo a figure di studiosi e intellettuali, pur così diverse, della cultura umanistica del Novecento che menzionavo più sopra, che nell'incontro tra studio delle religioni, dei miti, delle letterature comparate, e della psicologia, e dell'antropologia culturale videro una via per una cultura nuova che desse un contributo alla causa dell'umanesimo come base di riconoscimento reciproco tra tutti i popoli nelle loro pur specifiche identità. La ricerca di una piattaforma di spiritualità condivisibile, che ci accomuni, è assai diffusa e oramai è un dato ineludibile. 
Oggi in un mondo sempre più globalizzato io credo che si dovrà ritornare a riflettere su questi messaggi a favore di un possibile e augurabile obiettivo di affratellamento spirituale universale, se non altro per una sempre più acuta consapevolezza della necessità urgente di trovare basi per assicurare una pace mondiale duratura quale punto di partenza per un futuro di reale progresso culturale dell'umanità.
O come minimo perchè si incominci ad incamminarsi verso quell'obiettivo indicato ad es. da Andrea Ricciardi (fondatore della Comunità di Sant'Egidio), cioè di una effettiva condivisione di questo affollato piccolo spazio disponibile sul nostro pianeta, se non altro per realismo, oltre che per mantenere sempre aperta la speranza. Per cui Ricciardi esprimeva l'augurio "di una civiltà fatta di tante civiltà, ovvero di tanti universi culturali, religiosi e politici, senza svendita e senza paura delle identità (perché solo) la coscienza di quanto sia necessaria la civiltà del convivere è l'inizio di una cultura condivisa." Che è in sintonia con l'appello di R. Pannikkar ad un "disarmo" culturale per addivenire a quello che definisce "l'incontro indispensabile" in vista di una pace interculturale (dai titoli di suoi noti libri). Perciò assume ancor più attualità il messaggio ricordato da Enzo Bianchi (il priore della comunità monastica di Bose) nel suo recente libro "ero straniero e mi avete ospitato". 
L'incontro tra cristiani, musulmani, ebrei, induisti o buddhisti, e altri percorsi spirituali, è possibile e auspicabile e può esser molto fruttuoso, perché c'è qualcosa, un nucleo profondo che li accomuna, e perché ciascuno può dare molto a ciascun altro.
E se l'incontro nasce dalla convivenza, da qui può venire il rispetto nel riconoscimento, e quindi anche  può venire sollecitato l'apertura reciproca, e l'amore per ciò che -del patrimonio dell'altro- sentiamo che ci può dare di arricchente, accogliendolo in noi come un dono.

Infine da tenere nella massima attenzione è anche un vasto e variegato orientamento di recupero di valori spirituali indigeni e tradizionali (vedi il "Congresso delle religioni etniche") che si sta sviluppando in molti paesi del mondo specialmente in quelli che furono oppressi da politiche di conversioni forzate, e che sono stati sbrigativamente etichettati come "animismo" primitivo.

In effetti si può giungere alla comprensione reciproca e al reciproco rispetto solo con l'esperienza concreta e con il sapere. L'esperienza è quella che si può fare nell'incontro e collaborazione con gente di altre origini e costumi, e con i viaggi di conoscenza. E il sapere è quello che si acquisisce con la curiosità di osservare altre culture, usi, costumi, mentalità, tradizioni eccetera. Solo dall'esperire, dall'osservare e dal conseguente sapere di più sugli altri, che può nascere la tolleranza, poi l'accettazione e infine la comprensione. Da qui scaturirà un sentimento di "amicizia" e quindi di fratellanza e solidarietà.
Per cui è estremamente importante e proficuo promuovere gli incontri personali tra individui di differenti culture, incontri al livello del quotidiano, per dare vita a un dialogo, a uno scambio. Così si accresce la consapevolezza che il Mondo è Uno, l'Umanità è Una. Siamo tutti figli delle stelle (cioè siamo parte del Cosmo) e di questa Terra, siamo ciascuno di noi una particolare manifestazione dell'Umano, di ciò che è "umano", dei valori umanitari dell'umanesimo, nel bene e nel male (qualunque cosa queste due parole significhino per ciascuno).

Non solo esistono differenze all'interno del genere umano, ma ciascuna cultura col tempo e con i contatti, gli incroci e le intersezioni che si creano, si modifica, si trasforma, e inoltre esistono similitudini e comunanze. Fondamentali nella storia sono le intersezioni dunque (non mi piace il termine oggi abusato -che anch'io ho a volte impiegato- di "contagio" culturale, perché viene oramai utilizzato da tutti, cioè anche dagli avversari dell'incontro e del dialogo), in definitiva preferisco parlare di interazione appunto, e pure di intersezioni o di commistioni, se non anche di intrecci. Insomma si tratta di scambi che, così come avvengono sul piano materiale nella storia del commercio, avvengono pure sul piano "im-materiale" negli scambi tra linguaggi e tra culture.  … … 
Dall'epoca dei grandi viaggi dei navigatori e degli esploratori, e delle loro scoperte che hanno ampliato la nostra percezione dell'ecumene, del mondo abitato, da Marco Polo a Cristoforo Colombo e Amerigo Vespucci, ma già prima, addirittura sin dai tempi di Omero (si pensi all'Odissea) o poi di Erodoto (le sue famose Storie), noi europei abbiamo conosciuto e anche provato simpatia per altri modi di vivere, e finanche ammirato altre culture e civiltà, ed attinto da esse spunti, idee e conoscenze e tecniche. E' così pure è stato per i viaggiatori non europei che a loro volta approdarono ai nostri lidi.
L'Unesco ha stabilito di denominare patrimonio dell'Umanità non solo testimonianze di cultura materiale, o di elementi dell'ambiente naturale, ma anche una serie di elementi immateriali (detti anche intangibili), cioè quelli della cultura e della spiritualità.

Sottolineare le comunanze è fondamentale per non dimenticarci della nostra base comune, e per capire meglio l'unità dell'insieme, ma vanno salvate e salvaguardate nel contempo anche le differenze, che sono l'essenza dei processi della trasformazione di ciascuna cultura, e dunque della vita, della vita delle culture nella storia umana, per non dimenticarci che l'insieme, il tutto, è insieme delle sue componenti. 
Da quando si studiano la storia comparata delle religioni e dei miti anche in quel campo di ricerche emergono distinzioni e similitudini (si vedano ad es. le ricostruzioni di A. Donini, o di M. Eliade o di J. Campbell, …). Così come in vari altri campi in certo modo collegati o paralleli a questi, gli studi e le riflessioni di R. Otto, di Frazer, di V. Propp, di Guenon, di René Girard, di J. Cazeneuve, o di R. Cantoni, E. De Martino, di F. Jesi, di N. Frye, di M. Riemschneider, o di Ries, … eccetera.

Tutte le culture sono socialmente e storicamente determinate, e quindi sono composite e spesso anche incoerenti… Ma la diversità non è solo quella esistente tra culture differenti, ma è anche quella presente in qualsivoglia contesto di cultura. Nell'ambito di ciascun contesto vivono individui concreti che sono differenti tra loro, ognuno dei quali in definitiva interpreta (anche inconsapevolmente) la propria cultura a modo proprio, per trovare quell'equilibrio interiore che gli da il senso della propria identità personale.

Ritornando a ciò che è patrimonio dell'Umanità, dal 2009 la giornata del 22 aprile è stata dichiarata (su proposta di Evo Morales) giornata mondiale della Terra, el Dia de Madre-Tierra, International Mother Earth Day (ovvero della Natura come manifestazione di vita, la Pacha Mama dei popoli delle Ande, e per chi crede che questo nostro Pianeta terraqueo sia vivo, brulicante di vita, la famosa "ipotesi Gaia" o Ghea, di James Lovelock), 

per avviarsi verso una Convenzione internazionale che fissasse i "diritti della Terra", e con l'obiettivo di assicurare le basi del buen vivir, del vivere bene, perché ciascuno di noi  possa avere una buona vita, soddisfacente. In definitiva ciò significa vivere con sempre maggiore consapevolezza delle necessità imprescindibili del nostro pianeta, e dunque restare informati dello stato attuale del pianeta considerato nella sua interezza e globalità, poiché ce ne assumiamo la responsabilità dato che sappiamo che di ogni nostra azione che può comprometterne gli equilibri, ne condividiamo le conseguenze.

E' urgente individuare alcuni elementi che dovrebbero essere dichiarati "beni comuni", cioè patrimonio di tutti, come l'ambiente, la salute, le informazioni, la cultura eccetera. Ci sono cose che NON devono esser trattate come merci, e rese merci, cioè che non possono venire privatizzate, ma debbono restare beni comuni. Tra queste bisogna conservare e garantire la vivificante relazione di tutti con la varietà delle forme culturali, per educare ad aprirsi alla comprensione di tutte le culture altre, e a diventare sempre più (come diceva Husserl) dei "buoni copernicani" (cfr. Carlo Sini, "Pianeta", in Festival di filosofia, Modena, 2011). Una educazione che renda le società  disponibili alla inclusione di altri contributi culturali, ad arricchimento della propria cultura d'origine. Anche per divenire infine più coscienti delle continue trasformazioni e metamorfosi culturali in atto, in modo da farsi parte consapevole e propositiva dei flussi, dei mutamenti, e della direzione che questi stanno prendendo. Per divenire più liberi da preconcetti e pregiudizi, e dunque più liberi di compiere autonomamente le nostre scelte, e saper essere anche autocritici, cioè consapevoli dei nostri stessi limiti e contraddizioni sociali e culturali.
In definitiva per arricchire e migliorare noi stessi...