venerdì 30 novembre 2012

il Sud del Marocco

Mercoledì sera saremo a Marrakech, poi da lì partiremo per un viaggio nel Sud, nel Paese berbero. Già eravamo stati in Marocco 12 anni fa, eravamo andati giù con la nostra macchina, traghettando da Alghesiras, e avevamo fatto una visita del nord e del centro del paese girando per un mesetto. Ma questa volta vogliamo vedere il Sud... Ho grandi aspettative ....
Dunque oggi volevo mettere un post introduttivo e ho pensato a scrittori, e soprattutto scrittori freschi, semplici, cioè dei ragazzi. Anche noi eravamo andati là con i nostri ragazzi e ricordo che il viaggio li aveva molto colpiti e affascinati; e anche che diversa gente aveva molto apprezzato che fossimo una famigliola che girava da sola, lo prendevano come un segno di fiducia nei loro confronti...

Ecco dunque come ha pensato di poter scrivere del Marocco un grande scrittore:

Se il Marocco fosse un libro dovrebbe saper raccontare il volto sfuggente di un paese che, con la sua luce abbagliante, si offre all'osservatore sempre di sbieco. Dovrebbe essere un libro nelle cui pagine accomodarsi come nelle stanze più intime di una casa.
Dovrebbe essere un'opera inesauribile, capace di mischiare i generi fino a stordire il lettore, il visitatore, il viaggiatore attento.
Questo è il diario di un delicato viaggio sentimentale.

Tahar Ben Jelloun, Marocco, romanzo, trad. it. Einaudi, Torino, 2010
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sulla fascinazione di cui il Marocco sa essere stimolo, vorrei citare un brano da una mail di qualche giorno fa, di Michele Spiriticchio (il fondatore della community Vaggiare Liberi):


"Ho fatto tanti viaggi,
e tanti ne vorrei ancora fare...
visitare il mondo...tutto.
Io penso che i primi viaggi possano essere quelli più belli 
perchè fatti con occhi ancora puliti, il cuore giovane...
 Penso al Marocco del mio primo viaggio da solo, 
un paese che mi ha "condannato" a viaggiare per sempre..."

e nel suo Blog scrive:

"Amo il Marocco... è grazie a questo paese che non finisco di sognare...
Un viaggio in Marocco equivale a una visita curativa, un luogo "magico" che ti cattura per sempre."

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così ne parla uno scrittore "in erba" con parole poetiche ed estremamente efficaci:


"Marocco, terra di magia e antiche suggestioni"

Ebbra di sole la luce del Marocco ferisce gli occhi, riflessa dalle nude pietraie del sud sui muri rossi delle sue case.
( ... ) Passando di villaggio in villaggio, di valle in valle, di Casbah in Casbah, il romanzo si rivela inesauribile, vi si affollano e sovrappongono poemi e racconti, e qualsiasi aspetto di razionalità diviene apparenza illusoria. È come se la mente girasse a vuoto, su se stessa, nella speranza di trovare un punto fermo, fino a stancarsi e ad abbandonare la pretesa di comprendere e spiegare ogni cosa. Qui in questa terra si racconta l’eternità, qui il tempo si dilata e si fa carico di rimettere le cose nella giusta prospettiva. La terra marocchina ribolle sopra un fuoco eternamente acceso. È un terra di forti passioni e non di semplici contrasti, è un susseguirsi di stati d’animo e non una pura e semplice magia.
(Pubblicato da hippy70) in Concorso scrittori in erba - "L'emozione del viaggio" (22.06.2010):
http://www.sparkasseitalia.it/concorso/marocco-terra-di-magia-e-antiche-suggestioni/
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...ed ecco come ne ha scritto una ragazza che ha potuto in varie forme e modi conoscerlo grazie ad un viaggio.
Dal premio "Piovene" per ragazzi 2010:
"La poesia, la grazia e la bellezza nei mille volti del Marocco"
Il Marocco è un grande tappeto berbero di pelo di cammello. Rosso papavero, nero henné, giallo zafferano, blu indaco. Ma anche kaki, come le divise dell'esercito, che diventa qui presenza rassicurante, rimasuglio di un ordine costituito che sembra quasi innaturale in questo paese di mucche scarne e boschi di cedro. È cannella, cumino, paprika, coriandolo, chiodi di garofano e harissa.
È mosaico, che nelle case di lusso ha un sapore di domus romana, come quelle di Volubilis, paese di rovine e affreschi. È gente a piedi, gente sugli asini, uomini sdraiati a vendere miele ai lati delle strade. Macchine scalcinate, dai finestrini che non si chiudono, adibite a taxi. Bilinguismo. È biscottini coloratissimi, ciambelloni zuccherosi sui quali si posano indisturbati mosche e moscerini. ( ... )
L'insieme dei paesaggi, della gente, è tentacolare, dedalico, inebriante. Un continuo giro di vite. Si deve vivere ogni passo, assaporarlo. Ogni metro, ogni quartiere costituisce un unicum. 
Non il Marocco, ma "i Marocchi". ( ... )
Le genti del Marocco appaiono fiabesche. Non perché false o ipocrite, ma perché irreali, tanto da assumere a volte le tonalità del sogno. Entusiastico, insistente è il modo in cui Fatima, una donna anziana dal chador arancione cangiante, ci invita, ospitale e solenne, ad andare a pranzo da lei. Il Marocco è un paese freddo in cui il sole è caldo; in cui il tramonto è accompagnato da una brezza pungente, che trascina con sé un profumo di Sahara e di Mediterraneo. In cui il vento trasporta via i rifiuti delle discariche, svolazzanti sacchetti bianchi e azzurri tra gli alberi, come aironi impazziti. In cui in grandi bacinelle ricolme d'acqua galleggiano petali di rosa, che una mano paziente di donna rimesta ora dopo ora. È concerie, martelli che battono incessanti su pezze di pelli multicolori, è scarti gettati per terra, in giro per vicoli bui, quelli poco frequentati dai turisti.
Il caos marocchino è un caos pieno di grazia, che non gli deriva né dall'elegante e posata Francia, né dalle ambientazioni da Le Mille e Una Notte.( ... ) 
Mutano i colori, mutano le persone, muta il paesaggio. Resta la poesia, resta la grazia, resta la bellezza.
(Cecilia Beretta, 16 anni) in:
http://www.ilgiornaledivicenza.it/stories/1419_i_premiati/191117_prima_classificata_cecilia_beretta_la_poesia_la_grazia_e_la_bellezza_nei_mille_volti_del_marocco/
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Poi per il diario al ritorno del viaggio si vedano i prossimi due post, del mese di dicembre. cioè il primo su Marrakech e il secondo sul giro di una settimana tra le oasi del paese berbero al di là della catena dell'Atlante:
http://viaggiareperculture.blogspot.it/2012/12/marrakech-dicembre-1.html
http://viaggiareperculture.blogspot.it/2012/12/il-paese-berbero-dicembre-12-2.html


martedì 27 novembre 2012

plenilunio d'autunno!

"Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie" (Ungaretti), non per nulla in inglese americano la stagione autunnale è chiamata Fall.
Domani ci sarà l'ultimo plenilunio autunnale, aprendo così alla parte finale della stagione, quella che fa da ponte con l'arrivo (da questo appunto annunciato) dell'inverno.
E' la cosiddetta "luna della brina"...  da qui nel calendario laico-repubblicano inizia il periodo chiamato  Frimaio, che è il mese più freddo dell'autunno.
Signoreggia la pioggia e si fa già avanti la nebbia.



Già altre volte ho preso occasione per introdurvi la "Rosa dei Varchi", elaborata nel 1998 da Jivan Arshad (direttore della Osho Circle School a Tagliata di Maiolo -RN). L'attuale periodo di passaggio simboleggia l'ampliamento dei confini interiori per includere nella nostra sfera energetica e psichica sia l'alto che il basso, sia l'esterno che l'interno. Questa transizione che può suscitare una atmosfera di mestizia (come quasi sempre accade nel transitare da una fase ad un'altra, nell'abbandonare il consueto per l'inconsueto), ci permette di tornare a momenti di raccoglimento e riflettere sulla nostra dimensione più intima, per giungere a capire che una certa leggerezza può aiutarci nell'affrontare l'incontro col mistero del mondo di emozioni e sentimenti che abita in noi.
Volgere lo sguardo dentro, cominciare a prendere più confidenza con ciò che sta "sotto" (o "dietro") alla lucidità razionale, ci aiuta ad aprirci a questa pratica attraverso varie forme più o meno spontanee di meditazione. E abituarsi ad una maggiore frequentazione del mistero ci può far capire come non temerlo ma anzi farselo amico per capirlo meglio. 
La trasformazione, la metamorfosi sono dimensioni dell'umano, del vivente, e della natura tutta. Siamo fortunati a vivere in un paese della fascia climatica temperata, che si articola in quattro stagioni principali, almeno per il cambiamento climatico che comportano, sicché più frequentemente nel corso dell'anno abbiamo modo di famigliarizzarci con i fenomeni della impermanenza e della ciclicità.
L'autunno essendo una stagione per eccellenza di cambiamenti, ha sempre stimolato i poeti a cercare di esprimere i sentimenti che suscita soprattutto nelle persone più sensibili, ma in definitiva in tutti quanti.
Questa prossima notte di luna piena sarà una opportunità per tornare a riflettere sul tema dei passaggi, dei varchi, del lasciare qualcosa per acquisire qualcos'altro, della fine come inizio, della necessità della trasformazione incessante. Da questo fare esperienza di soglie, di varchi, che ci introducono in nuove dimensioni dell'esserci, scaturisce il desiderio di sapere come curiosità positiva verso ciò che per ora ci può essere ignoto.
Vediamo come provare a varcare questa soglia nel migliore e più positivo e proficuo dei modi, ricercando cioè nelle rinnovate condizioni, un nuovo equilibrio, una nuova forma e modalità di armonia sia interiore, che tra noi e il mondo ...

il portale di Apollo a Giardini Naxos, vicino a Taormina

(sono tematiche di cui -se ricordate- già vi parlai  all'inizio dell'autunno, in due post di settembre; ma anche varie altre volte, tra l'altro in modo anche più esteso e approfondito, sia quest'anno che l'anno scorso)

domenica 25 novembre 2012

Note sul viaggio e il viaggiare

La parola italiana "viaggio" deriva dal provenzale viatge, che a sua volta proviene dal latino viaticum, un derivato di via. Viaticum in latino era la provvista necessaria per mettersi in viaggio, e passò più tardi a significare il viaggio stesso.
Nel suo significato più generale il viaggio è l’azione di muoversi per andare da un luogo a un altro.  L’uso attuale più frequente di viaggio è quello che indica un giro in paesi diversi dal proprio, che dura un periodo variabile ma comunque limitato.
(http://www.educational.rai.it/lemma/testi/viaggiare/viaggio.htm)

La parola "viaggio", ad ascoltarla, dà subito una duplice sensazione che genera due aspetti contrastanti del tema stesso: uno di curiosità, fascino, ricerca; l'altro di timore, ansietà, paura dell'ignoto. Queste due, sovente inconsce, sensazioni si ritrovano anche nelle parole, nei vocaboli che al viaggio si riferiscono e che appunto lo presentano come evento che insieme unisce desiderio, curiosità, attesa dell'ignoto,fascino del nuovo, timore, sacrificio, rinuncia, impegno ed ineluttabile fatalità.



La parola viaggio deriva dal latino viaticum, il corredo cioè da portare da chi, accingendosi a partire, deve avere con sé le provviste necessarie al lungo cammino, la bisaccia, il bastone, la lettera di presentazione. ( ... )
Il viaggio ha, dunque, questo duplice aspetto di attrazione, preoccupazione, ricerca, fatalità. Si può dire che il viaggio non è mai stato studiato a livello antropologico quale disciplina particolare delle scienze umane o quale elemento fondamentale ed importante dello sviluppo ed evoluzione della civilizzazione umana.
(http://www.cigv.it/ilviaggio/ilviaggio.html )

Ognuno di noi dà al viaggio un significato diverso a seconda delle proprie esperienze, del proprio carattere, della propria sensibilità. Può essere interessante, quindi, e stimolante, confrontare i propri pensieri con quelli espressi da altri, che siano viaggiatori esperti oppure no.
(http://allaricercadeltempoperduto.forumcommunity.net/ )


Lanza del Vasto, autore del "Pellegrinaggio alle Sorgenti"

"Sia la strada al tuo fianco, il vento sempre alle tue spalle, che il sole splenda caldo sul tuo viso, e la pioggia cada dolce nei campi attorno e, finché non ci incontreremo di nuovo, Iddio ti protegga nel palmo della sua mano." (Benedizione del Viaggiatore, S.Patrizio)

Probabilmente leggendo queste poche righe si potrebbe pensare ad una frase rivolta ad un amico appena partito oppure ad un'amata. La particolarità di questo intervento riguarda proprio il viaggio intrapreso non solo come il passivo movimento verso la meta, ma inteso come esperienza di ricerca e d'incontro con la bellezza. Il viaggiatore quindi non è solo e disperso bensì guidato ed assistito dal misterioso amore di una Potenza più grande.
pubblicato da "Plutone" (http://viaggiasticando.blogspot.it/ )


Viaggiare per me significa vivere, significa perdersi, significa anche imparare perchè non si finisce mai di conoscere, significa crescere, significa migliorarsi e "vedere", sentire che siamo fatti per "scappare"....
Viaggiare significa abbandonarsi e dimenticare, smettere di pensare e perdersi....
Io viaggio perchè lo devo fare per prima cosa.
Non amo viaggiare per raccontarlo, non amo viaggiare per raccogliere solamente esperienze, amo viaggiare perchè continuamente vengo a conoscermi, arrivo in un luogo diverso dal mio e mi vedo allontanarmi e abbandonarmi in silenzio, carico come non mai, assorbendo ogni cosa che mi faccia capire chi sono, e come devo continuare a vivere !
( Michele Spiriticchio su www.viaggiareliberi.it )



Solo facendo quel viaggio, si capirà perché lo si doveva fare, e si darà voce ad una parte di sé che chiede di venir fuori. E se qualche volta è difficile partire, le abitudini, il dovere, gli impegni, la mancanza di tempo, il dubbio, le aspettative della altre persone… sembrano ostacoli insormontabili, non dimentichiamo che
"C’è solo una cosa peggiore del viaggiare, ed è il non viaggiare affatto." (Oscar Wilde ) 
(http://www.ilsensodelviaggio.com/ )




"Dobbiamo andare, e non fermarci finché non saremo arrivati", "ma dove andiamo?", "non so, ma dobbiamo andare", J.Kerouac, On The Road.





"On the Road", Sulla Strada



Nel mio saggio sul viaggiare, nel libro "Ermeneutica dell'educazione" prendevo spunto da un verso del poeta spagnolo Antonio Machado, in cui esprime il seguente concetto: "il cammino si fa nell'andare"...
(vedi post del luglio 2011 su questo mio Blog: "Il senso di ogni viaggio è rivelato dal farlo")

e, sempre in quel saggio, citavo il poeta greco-moderno Kavafis:

"Non perdere di vista Itaca,
poiché giungervi è il tuo destino. 
Ma non affrettare i tuoi passi;
è meglio che il viaggio duri molti anni
e la tua nave getti l'ancora sull'isola
quando ti sarai arricchito di ciò che hai conosciuto nel cammino.
Non aspettarti che Itaca ti dia altre ricchezze. 
Itaca ti ha già dato un bel viaggio;
senza Itaca, tu non saresti mai partito.
Essa ti ha già dato tutto, e null'altro può darti"



K.Kavafis

venerdì 23 novembre 2012

la Notte, poesia di Fede Paronelli

Mentre l'autunno sta avviandosi verso la sua conclusione e risoluzione nell'inverno, e dunque le notti iniziano più presto e sono più lunghe, e il cielo notturno -quando è senza nuvole- è più terso e limpido, ecco a questo proposito un testo poetico scritto da mia nonna materna Fede Paronelli (astronoma, allieva di Flammarion) nel suo ultimo libro pubblicato poco prima della sua morte.

da: Le maraviglie del cielo, casa editrice G.Principato,  collana "Iniziazioni", Milano, 1944, cap. I, pp .3 - 4 :

La notte stellata


O Notte, o silenziosa, divina Notte stellata, 
tu porti scritte in lettere infuocate, là, nei sentieri del cielo, 
le parole del grande enigma dell'Universo! 
Che magnificenze, che insospettate ricchezze 
serbi tu all'anima che sa abbandonarsi rapita 
alla contemplazione dei tuoi taciti splendori! 
Chi può rimanere indifferente dinanzi a te, 
silenziosa e sublime rivelatrice, 
a te che, facendo sparire il manto che la luce diurna stende, 
azzurro e abbagliante, al disopra di noi, 
rendi al cielo la sua trasparenza e riveli 
la prodigiosa realtà dell'Universo, 
lo scrigno scintillante di gioielli celesti, 
le innumerevoli stelle che si succedono senza fine 
negli illimitati abissi degli spazi siderei ?

Senza te, Notte divina, lo spirito umano non avrebbe potuto, 
attraverso la contemplazione del cielo, 
giungere a comprendere l'ineffabile armonia 
che guida, misteriosa e possente, 
gli eterei moti degli astri, 
la fuga delle folli comete dalla chioma d'argento, 
la danza concorde dei pianeti attorno al Sole, 
tutta la vita incessante, ardente, vibrante, 
che ferve instancabile ed eterna per le vie dei cieli.

Senza te, noi vivremmo come miseri 
parassiti su questo ciottolo celeste, 
né avremmo potuto elevare l'anima nostra 
all'estasi di una profonda contemplazione 
del Pensiero Divino operante, armonioso e misterioso, 
nell'infinito degli spazi popolati di stelle! (...)


In tutte le culture e civiltà antiche la notte era personificata rappresentando un simbolismo complesso, e dunque presente in tutte le forme di spiritualità sin "dalla notte dei Tempi" della preistoria umana. Nella concezione egizia la dea Nut (o Nyt) venne in essere quando in origine il dio supremo Ra separò la terra dal cielo, e anch'essa ritirandosi partorì il dì, il periodo diurno, e fu dea di rinascita e quindi a lei anche si deve la genesi della sapienza. La comparsa sopra la terra del suo manto stellato generò da sempre la più grande meraviglia, per  lo spettacolo degli astri brillanti nel buio. Per i greci la dea Nyx era succeduta al Kaos primigenio, come sorella di Erebo, rappresentante le tenebre sotterranee. Da lei si è generato il giorno, Heméra, ma anche la sorte, Moros, il sonno, Ipnos, e Apate, l'inganno, e le Moire, e Nemesi, ed altre figure divine. La annunciano le sue figlie le Esperidi, divinità serotine.

mercoledì 21 novembre 2012

il poema lirico di Gibran

Chi ha seguito mie lezioni mi ha già ascoltato leggere alcune poesie di Gibran tratte dalla sua prima raccolta, "il folle" del 1918 (forse ricorderete: "le mie maschere", che ho riportato anche nel mio libro dell'anno scorso "le maschere e gli specchi"), e dalla sua raccolta: "il vagabondo". 


Qui vi propongo ora di leggere l'inizio del suo capolavoro poetico "il Profeta", che fu composto in inglese.
Jibran Kahlil Jibran ( o Gibràn Khalil Gibràn) fu un poeta e pittore libanese (1883-1931), nacque da famiglia cristiana-maronita, è vissuto viaggiando tra il Libano, l'Europa e gli Stati Uniti: lasciò il Libano da ragazzo, ed è vissuto a Boston, poi è tornato a Beirut per completare gli studi, e ritornato a Boston, poi visse a Parigi, dove fu allievo di Auguste Rodin, infine ritornato in America andò a New York (e quindi conosceva bene lo strazio del partire e del  cambiare città o Paese), dove poi morì. Grande estimatore e conoscitore delle spiritualità orientali, tra cui il misticismo Sufi, le filosofie hindu, e le correnti idealiste e romantiche europee (tra cui le liriche del visionario W. Blake). Divenne ammiratore di Abdul Bahà e si avvicinò alla fede "Bahai". Sebbene alcune fonti ci parlino di una certa comunanza proprio tra il personaggio protagonista de "il Profeta" e la figura di Abdul-Bahà, Il Profeta "non può essere considerato un testo legato ad alcuna religione specifica, ma piuttosto un'opera libera da condizionamenti di sorta, nata dalla capacità di Gibran di mettere in comunicazione il meglio della spiritualità di varie culture". 


Questo poema fu pubblicato a New York nel 1923, e venne in breve tempo tradotto in ben venti lingue; fu ed è considerato una "ineguagliabile sintesi tra pensiero orientale e occidentale". Ancora in epoche recenti è stato molto amato, ad es. nel movimento New Age.
Da alcuni quel poema è stato anche definito un "breviario per laici".
In italiano lo trovate su internet, o -tra le altre- nelle edizioni Guanda, SE, Newton&Compton, Piemme, o nelle Bis edizioni, nella Bur, e da Mondadori, Tea, UE Feltrinelli, Rusconi, eccetera....ecc.



Conoscevo già da tempo il poema, e son certo che lo conoscesse anche mia nonna materna, Fede Paronelli, dato che fu tradotto in italiano già nel 1936:


pubblicato da G.Carabba editore, a Lanciano in provincia di Chieti, con Prefazione di Augusto Mancini, e tradotto da E. Niosi Risos. Questo fu il primo suo libro pubblicato in Italia.


Ecco l'incipit:
Almustafa, the chosen and the beloved, 
who was a dawn unto his own day, 
had waited twelve years in the city of Orphalese for his ship
that was to return and bear him back to the isle of his birth.

L'arrivo della Nave




"Almustafa, l’eletto e l'amato, che come un'alba verso il suo giorno, aveva aspettato per dodici anni nella città di Orphalese il ritorno della nave che avrebbe dovuto ricondurlo alla sua isola natale.
E nel dodicesimo anno, il settimo giorno di Ielool, il mese del raccolto, salì sulla collina fuori le mura della città e guardando il mare vide la nave venire nella nebbia.
Gli si aprirono le porte del cuore, e la sua gioia volò lontano sul mare. Chiuse gli occhi e pregò nei silenzi dell'anima.

 

Ma mentre discendeva la collina, fu invaso dalla tristezza, e pensò nel suo cuore:

 

Come andarmene in pace e senza pena? Ahimè, non senza una ferita nello spirito lascerò questa città.
Lunghi furono i giorni di dolore vissuti dentro le sue mura, e lunghe furono le notti in solitudine; e chi può lasciare il suo dolore e la sua solitudine senza rimpianto?
Troppi frammenti del mio spirito ho seminato in queste vie, e troppi figli della mia brama camminano nudi fra queste colline, e io non posso staccarmene senza un peso e un dolore.
Non è un vestito che mi tolgo, quest'oggi, ma una pelle che strappo con le mie proprie mani.
Né è un pensiero che lascio dietro di me, ma un cuore addolcito dalla fame e dalla sete.

 

E tuttavia non posso trattenermi più a lungo.
Il mare che chiama a sé tutte le cose mi chiama, e io devo imbarcarmi.
Perché restare, sebbene brucino le ore della notte, è gelare e diventare cristallo, ed essere fissati in uno stampo.
Vorrei prendere con me tutto quello che è qui. Ma come potrò farlo?
Una voce non può trascinare la lingua e le labbra che le diedero le ali. Da sola, deve cercare l'etere. E sola e senza il nido dovrà volare l'aquila nel sole.

 

Così, quando ebbe raggiunto i piedi del colle, si volse ancora verso il mare, e vide la sua nave approssimarsi al porto, e a prua i marinai, uomini della sua patria.



 

E la sua anima gridò loro e disse:

Figli della mia antica madre, oh voi cavalieri dei flutti,
Quanto spesso veleggiaste nei miei sogni. E ora arrivate al mio risveglio, che è il mio sogno più profondo.
Sono pronto a partire, e la mia impazienza aspetta il vento con le vele spiegate.
Solo un'ultima volta respirerò in quest'aria immobile, un solo sguardo d'amore volgerò ancora alle mie spalle.
E poi sarò tra voi, un navigante fra i naviganti.
E tu, mare immenso, madre insonne,
Che sola sei pace e libertà per il fiume e il ruscello,
Solo un'ultima curva avrà questo ruscello, solo un altro mormorio questa radura,
E poi verrò da te, goccia senza confini all'infinito oceano.

 

E mentre andava, vide da lontano uomini e donne che lasciavano i campi e le vigne e si affrettavano verso le porte della città.
E udì le loro voci dire il suo nome, e gridare di campo in campo annunciando uno all'altro l'arrivo della nave.
Almustafa disse a se stesso:

 

Il giorno della separazione sarà il giorno del raduno?
E si dirà che la mia sera fu in realtà la mia alba?
E che cosa darò a chi ha lasciato l'aratro in mezzo al solco, o ha fermato la ruota del torchio?
Diventerà il mio cuore un albero carico di frutti che io possa cogliere e donare?
E i miei desideri scorreranno come una fontana per riempire le loro tazze?
Sono io un'arpa che la mano del maestro può pizzicare, o un flauto che il suo fiato può attraversare?
Io sono un cercatore di silenzi; e quali tesori ho trovato nei silenzi che possa dispensare con fiducia?
Se questo è il giorno del mio raccolto, in quali campi ho seminato, e in quali stagioni dimenticate?
( ... ... )

 

Queste cose egli disse con parole. Ma nel suo cuore molto restò inespresso."  ...


(ecc.)
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Oltre alle edizioni it. già prima citate, ora lo si trova anche con una nuova traduzione di Paola Giovetti, pubblicata nel 2011 da Verdechiaro edizioni, anche in audiolibro, letto dall'attore Enzo DeCaro (il che può forse facilitare la sua fruizione, dato che si tratta di un linguaggio espressivo e di un contesto culturale che potrebbe apparire lontano e faticoso o difficile per i più giovani).


In ogni edizione di Gibran troverete una introduzione e dei commenti, ve ne sono varie e pregevoli, di letterati, linguisti, anglisti, orientalisti, poeti, e scrittori (come Paulo Coelho), qui vi consiglio tra i tanti il commento di Rajneesh Osho, "The Messiah", 1987, trad. it. col titolo "I silenzi dell'anima", 1997; cui fanno seguito "I sentieri dell'anima", e "Gli abissi dell'anima", sempre delle Edizioni del cigno. Il terzo è appena stato ristampato in novembre '12, e lo sto appunto ora leggendo, per cui mi ha di nuovo smosso corde interiori che mi han spinto a scrivere questo Post.



(Vi proporrò altri motivi di meditazione del testo di Gibran nella prossima festa dell'Epifania, il 6 gennaio del  '13). 






mercoledì 14 novembre 2012

il nostro selvaggio nuovo mondo moderno

Già nei diari di viaggio in Perù, e in Ecuador, vi avevo parlato del problema grave dell'opera di de-forestazione, con i suoi vari effetti "collaterali" tragici. E vi avevo accennato alle popolazioni che, vivendo in luoghi isolati e soprattutto nelle grandi foreste tropicali pluviali, ancora non hanno avuto mai alcun contatto con la "nostra civiltà", alcune delle quali sono note solo per via di foto aeree o satellitari.  Avevo fatto riferimento a tribù di “no contactados” cioè di indigeni che non conoscono gli uomini “civilizados”, e dove le carte geografiche non dicono nulla e le foto aeree a volte dicono poco. (vedi  http://viaggiareperculture.blogspot.it/ 2011/07/diario-di-viaggio-in-peru-aprile-2004.html ). 

E probabilmente non solo in SudAmerica, ma anche in altre aree del mondo ne esistono ancora pur essendo al momento a noi ignote. 
Ma lo facevo anche per segnalare che purtroppo i contatti spesso poi avvengono in modo traumatico.


§. gli effetti della deforestazione massiccia e indiscriminata su larga scala (illegale e legale):

Nel diario sull'Ecuador vi dicevo che negli ultimi anni di grande sviluppo, con la febbre dell'oro nero, del petrolio, c'è una forte migrazione di lavoratori verso la provincia di Oriente e l'Amazzonia, che viene massicciamente deforestata. Da qui l'urgenza e la necessità di curare e mantenere un equilibrio a livello ecologico e ambientale, in modo da operare in maniera e misura per cui lo sviluppo sia sostenibile e per cui l'ottimizzazione del settore primario (agricoltura sempre più meccanizzata) e di quello industriale dell'economia non avvenga a discapito dell'equilibrio complessivo. Quindi molte persone erano e sono preoccupate, e si danno da fare per rendere la popolazione e i governanti consapevoli della necessità di tenere sotto controllo l'erosione dei suoli, non praticare in modo indiscriminato la desertificazione dei territori per brama di legni pregiati, o lo sviluppo abnorme delle infrastrutture industriali e urbane, ecc


A Quito il noto entomologo italiano Giovanni Onore ci parlava a lungo dei problemi gravi prodotti dalla deforestazione, dei suoi effetti sul clima e sull'ecositema, che hanno causato già l'estinzione di numerose specie.
L'argomento del disboscamento indiscriminato e selvaggio, potrebbe essere affrontato sotto vari aspetti, ma è comunque una grave minaccia che l'uomo ha messo in atto contro l'ambiente e dunque in definitiva contro anche sè stesso...! L'Ecuador, per es. pur essendo in Sudamerica un piccolo paese (è esteso poco meno dell'Italia) ha sempre rappresentato un esempio di straordinaria varietà e ricchezza di specie animali e vegetali. Oggi molte di esse sono minacciate di estinzione (e molte si sono già estinte) a causa del modello di sviluppo SELVAGGIO praticato dalla nostra "civiltà" attuale, dovuto alla eccessiva ingordigia di guadagni, e all'ignoranza, nonostante non manchi l'informazione e non manchino le ricerche, gli studi, gli allarmi lanciati dagli scienziati.
La presenza e diffusione ad es. di funghi perniciosi per certe specie, o di virus sino a poco fa inesistenti nelle aree forestali, in Ecuador è aumentata vertiginosamente, anche a causa della variazione delle condizioni climatiche e del mutamento o scomparsa di particolari habitat nelle zone deforestate che quindi sta portando a un depauperamento della varietà e ricchezza di specie viventi animali e vegetali.
L'Amazzonia è giunta a rischio collasso, così dice ad es. una rassegna pubblicata su "Nature" di gennaio.

§. la tragedia delle popolazioni 
che abitano nelle foreste (ora in corso di sfruttamento intensivo)

Tempo dopo il nostro ritorno dal Perù e poi dall'Ecuador, apprendo che la associazione "Survival" di Milano (www.survival.it e info@survival.it) tramite la sua pubblicazione periodica "Azione", già da qualche anno ha lanciato una campagna di soccorsi e aiuti agli indios di tribù isolate (in particolare del Perù amazzonico) che


foto dall'elicottero di un gruppo di no-contactados

hanno subito perdite gravi, traumi, e ferite, menomazioni e lutti, da parte delle squadre di tagliaboschi che stanno intraprendendo una operazione su vasta scala di de-forestazione. In questa opera, che è mirata a sfruttare soprattutto una delle ultime grandi riserve di mogano al mondo, e di altro legname pregiato ( o anche a fini di prospezioni petrolifere o dei cercatori di gomma naturale, o cercatori d'oro, o costruttori di strade), i taglialegna si imbattono in radure e territori con nuclei di no-contactados, e il primo incontro, o impatto, è spesso tragico e violento, e sfocia in soprusi, e atti gravi che restano del tutto impuniti. Già solo il contagio con nuovi virus per i quali queste popolazioni aborigene non hanno sviluppato alcuna difesa organica, li espone a contrarre malattie che non curate portano alla morte, e in effetti un gran numero dei "neocontattati" è poi morto a causa di queste epidemie. 



Quasi tutti i sopravvissuti sono fuggiti e "emigrati" nelle zone dei bianchi in cerca di aiuto, e nell'esodo molti sono i morti o feriti, poi spesso, giunti nelle aree dei bianchi, non hanno ricevuto soccorso, e non trovando lavoro (non conoscendo la lingua, né sapendo come sopravvivere in condizioni di vita a loro sconosciute) sono morti di fame e stenti. Gli "ex-nocontactados" sono cacciatori-raccoglitori nomadi, che si spostano continuamente in vaste aree forestali, raccogliendo le uova di tartaruga, frutta e legumi, pescando, e cacciando animali selvatici come i tapiri e i pekari. Tra le tribù che conosciamo, vi sono i Nanti, Machigueña, Mashco-Piro, i Mastanahua e i Murunahua, e gli Yora. 
Queste decimazioni di popolazioni ristrette, e di ecosistemi delicati e fragili, sono tra le azioni che molti Stati direttamente intraprendono oppure che lasciano di fatto accadere, e sono da iscriversi tra le azioni sociali di negazione o almeno misconoscimento delle identità altrui, che vengono addirittura annichilite con soluzioni finali che pongono termine a ogni problema in modo drastico. Per destare scandalo e generale indignazione sarebbe comunque già bastato, per quanto riguarda le terre in cui vivono, il "solo" non riconoscimento del fatto che sono territori "loro", e della affermazione che si tratta invece di proprietà dello Stato o dei nuovi proprietari che hanno acquistato dallo Stato alcuni grandi appezzamenti, e quindi l'affermazione che il potere dell'ordine pubblico sarebbe legittimato a sgomberare occupanti abusivi, mentre si tratta del diritto inalienabile a vedersi riconosciuto il diritto a restare a vivere nelle proprie abitazioni, nel proprio paese, nei propri territori, da parte delle popolazioni aborigene, originarie dei nativi... E' dunque un esempio paradigmatico della negazione assoluta della identità degli altri, e dei più elementari diritti umani.
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A metà anni '90 quando la compagnia petrolifera Mobil iniziò una serie di prospezioni nella foresta vergine, "Survival" riuscì ad ottenere dal governo che la Mobil si ritirasse da certe aree, che vennero dichiarate zone protette, 

ma ora la lotta è più difficile di prima, per l'opposizione dei sindacati corporativi dei taglialegna che difendono la propria categoria (si tratta di un lavoro pesantissimo in condizioni disagiate che fanno solo persone in disperata necessità di lavoro). Ed ecco che con la questione dei leñadores, o leñeros, ci troviamo di fronte alla complessità della questione se esaminata nella sua interezza analizzandone ogni aspetto e componente. Non ci sono solo le potenze multinazionali...sono implicate tante problematiche...



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foto greenpeace
recupero del cadavere di un indigeno

Ad esempio in un contesto come quello attuale di Paesi come il Perù o l'Ecuador, in via di travolgente e caotico sviluppo economico, troviamo sempre maggiori proteste, per cui anche sui giornali ecuadoriani si scrive che "la desforestaciòn es rampante y catastrofica", in Perù qualcuno l'ha definita "depredaciòn ecològica", ma tuttavia non si riesce a fare gran ché per impedirla, o limitarla, o almeno regolamentarla. Ad es. si è compiuta una inchiesta sulle condizioni di lavoro terribili dei taglialegna, sono al lavoro tutto il giorno con paghe ridicole, e stanno costantemente lontano dalle famiglie, ma ad ogni modo hanno bisogno di denaro e accettano ogni cosa. Comunque le loro famiglie in definitiva stanno economicamente meglio di un tempo e mandano i figli a scuola per prendere un diploma che permetta loro di uscire dalla emarginazione. Stando meglio le famiglie hanno più figli, anche perché ci sono migliori cure della salute. Ma un domani lo sviluppo dell'economia del paese sarà in grado di dare lavoro a una popolazione tanto più numerosa?
 Ma in definitiva di che vivranno gli stessi lavoratori taglialegno quando il legname delle foreste (che ora sembra infinitamente inesauribile) si sarà ridotto ai minimi termini? Quando l'ultimo albero delle foreste equatoriali sarà tagliato, forse gli uomini capiranno il vero valore di ciò che hanno distrutto, ma a un certo punto sarà troppo tardi... Ad es. gli abitanti aborigeni dell'Isola di Pascua (Chile) si accorsero soltanto dopo aver abbattuto l'ultimo albero dell'isola (cioè dopo aver superato il punto di non-ritorno) di quali conseguenze ne sarebbero inevitabilmente derivate, senza possibilità di rimedio ... 
Un detto ecuadoreño è "vive su vida sapo !", in cui il nomignolo sapo era dato per indicare un "poverocristo" qualunque: che tu possa vivere la tua vita dunque ranocchio!
(v. diario:  http://viaggiareperculture.blogspot.it/2011/07/diario-di-viaggio-in-ecuador.html )

Andiamoci magari a rivedere ad es. il noto film di denuncia, di John McTiernan del '92, con Sean Connery, Lorraine Bracco, e José Wilker : Medicine Man, tradotto in it. col titolo "Mato grosso", su uno scienziato che sta compiendo ricerche di tipo farmacologico, e rischia di venire travolto dalla mafia del disboscamento. 



fornaci illegali (foto Greenpeace)

§. 3 allarme globale (non solo per chi vive "fuori dal mondo" moderno)

 La de-forestazione dunque sta raggiungendo dimensioni di una vastità preoccupante che può causare un depauperamento gravissimo dei polmoni verdi del pianeta, oltre alla perdita di opportunità di trovare licheni e muffe utili al confezionamento di farmaci e medicinali, per non parlare del fatto che si mettono a rischio serio di estinzione intere specie animali (oltre all'estinzione di gruppi umani con una loro specifica cultura). Questo è uno dei più gravi controsensi dell'attuale modello di sviluppo economico, una contraddizione in termini degli effetti del "progresso" delle società moderne... E ciò perché non si tengono in conto alcuno le implicazioni e le conseguenze a breve e lungo termine del modello storico in corso a livello globale, sia per quanto riguarda gli aspetti ecologici, che quelli sociali, e quelli umanitari, per non dire degli aspetti culturali e spirituali.


Survival.it

Il titolo del presente Post si rifà ovviamente al "The Brave New World" (tr.it. "Il Mondo Nuovo") di Aldous Huxley,  un romanzo del 1932 che già ottant'anni fa prospettava una distopia, una visione tragica della situazione in cui il "progresso" dei tempi moderni ci avrebbe portato (anche nel suo mondo profeticamente figurato, ci sarebbero state delle Riserve in cui gli esseri umani "naturali" sarebbero stati chiusi e "protetti", "preservati") ...