lunedì 31 ottobre 2011

viaggi della mente nelle neuroscienze

Vi riporto per vs curiosità, un paio di presentazioni editoriali di testi stimolanti di scienze cognitive:

"L'autocoscienza. Cosa è, come funziona, a cosa serve"
di Pietro Perconti, edizioni Laterza

Ciascun individuo sa di essere autocosciente in modo istintivo e diretto, ed è convinto che esserlo sia un tratto caratteristico della sua persona. Questo alimenta la comune sensazione che essere consapevoli di se stessi sia quanto di più prodigioso dell’essere umani. Eppure la nuova scienza della mente ha dimostrato che la consapevolezza di sé è una funzione cognitiva soggetta a mille automatismi, meno stabile e unitaria di quanto si creda. Perconti ricostruisce la natura e la funzione dell'autocoscienza raccogliendo le evidenze che provengono dalla neuroscienza e l'etologia, la psicologia dello sviluppo e la filosofia del linguaggio, sullo sfondo comune della scienza cognitiva.





"I neuroni-specchio. Come capiamo ciò che fanno gli altri"
di Marco Iacoboni, edizioni Bollati - Boringhieri

Come descrivere la straordinaria capacità umana di leggere nella mente degli altri, comprendendone pensieri e sentimenti, cogliendo le loro intenzioni e reagendo in modo appropriato alle azioni da essi compiute? Finora la scienza non era riuscita a spiegare questa fondamentale possibilità del nostro cervello che, creando un ponte tra il sé e l’altro, rende possibile lo sviluppo della cultura e della società. 
Grazie alla scoperta dei neuroni specchio a opera del gruppo di neurofisiologi di Parma coordinato da Giacomo Rizzolatti si è aperta una prospettiva di ricerca rivoluzionaria, che rende possibile indagare le basi neurobiologiche della cognizione sociale. I neuroni specchio sono stati localizzati, circa una ventina di anni fa, nella corteccia premotoria delle scimmie. Si è constatato che durante l’osservazione di un’azione eseguita da un altro individuo, il sistema neurale dell’osservatore si attiva come se fosse egli stesso a compiere l'azione che osserva: di qui il nome «neuroni specchio», per rendere conto di questa reazione speculare del sistema nervoso. 
Oggi si ritiene che l’attività dei neuroni specchio, alla base del riconoscimento delle intenzioni e delle emozioni altrui, renda possibile l’apprendimento imitativo e la comunicazione verbale, e che un suo cattivo funzionamento provochi un grave deficit come l’autismo. Iacoboni, pioniere della descrizione del ruolo dei neuroni specchio nel comportamento umano, ci conduce al cuore di queste ricerche, illustrando in modo dettagliato e chiaro gli esperimenti che ne hanno segnato le tappe e discutendone la ricaduta non solo a livello scientifico, ma anche filosofico e sociale.


domenica 30 ottobre 2011

citazioni

"There are more things
in Heaven and Earth, Horatio,
Then are deamt of
in your philosophy"
(Shakespeare, Hamlet, sc. V dell'Atto I)

"Ci sono più cose nella vita di ogni uomo, di quante ne contemplino le nostre teorie su di essa.
Tutti, presto o tardi, abbiamo avuto la sensazione che qualcosa ci chiamasse a percorrere una certa strada. Alcuni di noi questo qualcosa lo ricordano come un momento preciso dell'infanzia, quando un bisogno pressante e improvviso, una fascinazione, un curioso insieme di circostanze, ci ha colpiti con la forza di un'annunciazione: Ecco quel che devo fare, ecco quello che devo avere. Ecco chi sono. (...)
O forse la chiamata non è stata così vivida, così netta, ma più simile a piccole spinte verso un determinato approdo, mentre ci lasciavamo galleggiare nella corrente pensando ad altro. Retrospettivamente sentiamo che era la mano del destino."
(James Hillman, The Soul's Code - In Search of Character and Calling,  1996, 
tr.it.  Il codice dell'anima,  Adelphi edizioni, 1997, 2009, p.17)

una "discussione" tra Parmenide, Zenone, e Socrate nel 450 a.C.


Ecco come in un famoso "Dialogo" platonico viene riassunta la concezione parmenidea sotto forma di una "discussione" a tre

Prima Socrate e poi anche Zenone (di Elea) pregavano Parmenide di chiarire bene ciò che aveva detto (sull'identità fa riferimento alla singolarità e unicità del medesimo, e che il simile e il dissimile non possono essere attributi del medesimo soggetto) e di non sottrarsi dall'essere esplicito
E Parmenide cominciò:

«Bisogna obbedire dunque, sebbene abbia l'impressione di trovarmi nella condizione del cavallo di Ibico (poeta di Reggio C. del VI sec a.C.). A questo cavallo da corsa, ormai anziano, che si accingeva a gareggiare con il cocchio e che per l'esperienza tremava dinanzi a ciò che l'aspettava, il poeta paragonò se stesso, e disse che anch'egli, contro la sua volontà, pur così vecchio, era stato costretto ad affrontare cosa sia l'amore: anch'io, ora che me ne ricordo, ho l'impressione di avere molta paura se considero come riuscirò, alla mia età, ad attraversare un mare così vasto ed esteso di parole. Tuttavia devo compiacervi, dal momento che, come dice Zenone, siamo soltanto tra noi. Da dove cominceremo? E qual è la nostra prima ipotesi? Oppure volete, dato che mi sembra si giochi un gioco alquanto serio, che cominciamo da me stesso e dall'ipotesi di me stesso, ipotizzando, intorno all'uno in sé (sia che l'uno sia uno, sia che non lo sia), e vedere che cosa ne consegue?» 
 Parmenide di Raffaello

(cfr. : Platone, Parmenide, 137 a-b varie edizioni con testo a fronte).



giovedì 27 ottobre 2011

poesia di Judith

In un giorno piovoso una mia ex studentessa, ora laureata, si è fatta un viaggio (una specie di "rimpatriata" o viaggio di ritorno/nostalgico) ed è venuta apposta a Ferrara per rivedere la città, per ritrovare le sue vecchie amiche e visitare la sua vecchia casa, e per entrare in aula ad ascoltare una lezione del suo vecchio professore, e mentre era lì seduta ad ascoltarmi intanto che parlavo della formazione dell'identità... ha scritto questa poesia, che all'uscita mi ha dato
(hey Jude...)


A PROPOSITO DI IDENTITA'


Siamo le persone che incontriamo. 

Prendiamo dagli altri parti che plasmiamo su noi stessi con la noncuranza con cui berremmo un bicchier d'acqua. 
Eppure siamo loro quanto siamo noi stessi. 

Se solo potessi, vivrei del respiro degli altri... non so nemmeno io quando ho cominciato a prendere dagli altri le componenti più svariate... 

L'altro giorno ero la risata dei miei amici. 

Ieri ero lo sguardo perplesso di giovani studenti, spiazzati da tanta destrutturazione. 

Oggi voglio essere i grandi occhi neri di Azam, che sorridono sempre. 

Domani, le mani di Eleonora, che stringono sempre una sigaretta. 

Poi, voglio essere la mente di Carlo, che non smette mai di scorrere fluida e veloce. 

Voglio essere i ricordi di Tea, che con una foto si emoziona. 

E solo nel dirlo, lo sono già. 

In due brevi, brevissimi giorni sono stata un po' di tutti loro per trovare anche un po' di me. 

Hildita l'ho vista..ma era sempre qualche passo avanti a me. Lo so che non è lontana, ma ancora non è il momento. 

Io continuo a camminare, qualche volta una nuvola di fumo mi avvolge..qualche volta rallento per pensare...non mi devo fermare. 

Siamo le persone che incontriamo. 

Io mi cerco negli altri. 

Io mi cerco. 

Costantemente insofferente. 

Rido, mi stupisco, mi meraviglio, mi incazzo...

Le strade nebbiose e semibuie di Ferrara sono le stesse. Io no. 

Era quello che cercavo. Era quello che volevo. 


mercoledì 26 ottobre 2011

Sara mi fa avere questa poesia

è un frammento da una poesia di Hermann Hesse (a cui entrambi siamo affezionati) intitolata "Africa", che tratta della sua interessante ricerca dell'identità :

(...)
Per me è meglio cercare e non trovare mai,
invece che legarmi stretto e caldo a ciò che è vicino,
perché anche nella felicità sulla terra, davvero,
posso essere solo ospite, e mai cittadino.

ricevo da Grazia questa bella poesia

JE SUIS
Io sono una ninfa:
occhi scuri e sfuggenti.
Sognatrice
radicata alla realtà.
Scrittrice
nel tempo libero, e
femminista
in quello pieno.
Viaggiatrice
instancabile e
curiosa,
insegno
per passione
non separandomi mai
dal profumo
delle colline pugliesi.

mi manda un suo scritto Gabriella Bighi



Nella ricerca di me stessa proverò a partire dalle paure e dalle certezze, polarità ispiratrici del mio agire.
La paura impone una maschera che imbavaglia i pensieri; la certezza può dare troppa baldanza. E così, in un modo e nell’altro, mortifico o esalto me stessa... senza alcun rispetto per me stessa.
Potrei dire le mie paure; ma penso che nell’outing ci sia una sorta di richiesta di sconto sulprezzo che si paga allorché, ahimè, si materializzano. E questo non lo voglio.
Noi non siamo sempre autentici; talvolta o spesso diciamo e tacciamo battute contrastanti ciò che veramente vogliamo. E alla fine abbiamo composto, noi, un copione che non ci rispecchia.
Se di giorno, a volte, corrompo il mio io nascondendolo dietro una maschera, ciò non mi è più possibile allorché dormo. Nel sonno il mio chi sono, lontano da qualsiasi maneggiamento sia interno che esterno, si esprime liberamente. E’ l’occasione in cui l’io vede se stesso nudo.
E’ il corpo che dorme e la mente si libera o, viceversa, la ragione riposa e la ferinità si scatena? Chi dorme, e chi sogna? Natura o cultura?
Ciò che sogno è una mia emanazione; non nasce dal nulla. Qualcosa di me, di cui non so dire, si esprime in un linguaggio fatto di immagini i cui colori non sempre son colti; di persone sconosciute se non senza volto; di storie impossibili e fuori dal tempo; di emozioni inconsuete e paure selvagge; di parole il cui eco che resta al risveglio non serve a capirle.
Il mio io notturno parla un linguaggio che mi sconcerta.
Ma forse è solo l’artista che si gode la ribalta senza alcun suggeritore.

Di giorno ti perdo perchè’ vivo
di notte mi sfuggi perchè sogno...
chi sei, tu, che sei il mio chi sono?

martedì 25 ottobre 2011

una canzone di Alexi Murdoch, All of my days



Beh io ho cercato tutti i miei giorni 
Tutti i miei giorni 
Più di una strada, sai 
Ho camminato su Più di una strada
Tutti i miei giorni 
E ho cercato di trovare 
Cosa c'è stato nella mia mente 
Dato che i giorni continuano a volgersi in notte 

Beh io sono tranquillamente in piedi all'ombra 
Tutti i miei giorni 
a Guardare il cielo che si infrange 
sulla promessa che abbiamo fatto 
Tutta questa pioggia 
E ho cercato di trovare 
Cosa c'è stato nella mia mente 
Dato che i giorni continuano a volgersi in notte  

Beh molte notti mi sono ritrovato senza amici che stiano vicino 
Tutti i miei giorni 
Ho gridato ad alta voce 
Ho battuto le mani 
Che cosa ci faccio qui 
Tutti questi giorni 
Dato che mi guardo intorno 
E i miei occhi mi confondono 
Ed è semplicemente troppo luminoso 
E i giorni continuano a volgersi in notte  

Ora vedo chiaramente 
Sei tu che sto cercando 
Tutti i miei giorni 
Presto sorriderò 
So che non sentirò più questa solitudine
Tutti i miei giorni 
Dato che mi guardo intorno 
E sembra che Lui mi abbia trovato 
Ed è entrato nella visuale 
Dato che i giorni continuano a volgersi in notte 
Dato che i giorni continuano a volgersi in notte 
E anche il respiro è a posto
Sì, anche il respiro è a posto
Ora anche il respiro è a posto 
Anche il respiro
Si sente bene



Well I have been searching all of my days
All of my days
Many a road, you know
I've been walking on
All of my days
And I've been trying to find
What's been in my mind
As the days keep turning into night

Well I have been quietly standing in the shade
All of my days
Watch the sky breaking on the promise that we made
All of this rain
And I've been trying to find
What's been in my mind
As the days keep turning into night

Well many a night I found myself with no friends standing near
All of my days
I cried aloud
I shook my hands
What am I doing here
All of these days
For I look around me
And my eyes confound me
And it's just too bright
As the days keep turning into night

Now I see clearly
It's you I'm looking for
All of my days
Soon I'll smile
I know I'll feel this loneliness no more
All of my days
For I look around me
And it seems He found me
And it's coming into sight
As the days keep turning into night
As the days keep turning into night
And even breathing feels all right
Yes, even breathing feels all right
Now even breathing feels all right
It's even breathing
Feels all right


(da ascoltare su YouTube)

Luciano Ligabue e il peso della valigia

«Hai fatto tutta quella strada per venire fin qui, ti è toccato partire bambina con una piccola valigia di cartone che hai cominciato a riempire delle foglie di quella radura, che non c'era già più, e i rossetti finti e un astuccio di gemme, e la valigia ha cominciato a pesare … »


lunedì 24 ottobre 2011

la favola del primo volatile


Dio creò il volatile e lo pose su un ramo. Un ramo piuttosto esile e sfrondato, che già disegnava un'effimera curva pronta a spezzarsi. “Cosa ci faccio su questo ramo? Chi mi ha messo qui? Cosa sono? Chi sono? Perchè non sono stato posato su quell'altro ramo, così robusto e longevo? Sono appena nato, e già sto per andarmene, perchè?”.
Il piano di Dio era ben preciso, quel ramo si sarebbe piegato fino al limite, e il volatile avrebbe fatto ciò che noi vediamo fare ai volatili oggi. Ma su quell'albero il volatile non era solo, poiché qualche ramo più in là se ne stava immobile e divertita una scimmia. “Ascolta”, disse con arroganza, “qualsiasi cosa tu sia, è evidente che questo non è il tuo posto, quindi vattene subito o ti lascio al tuo triste destino”, e vedendo l'uccello impietrito dal panico, con uno sguardo seccato lo afferrò per il collo e discese dall'albero. Quando fu in prossimità del terreno si alleggerì prontamente dell'inutile carico, e in un attimo il pennuto si ritrovò a terra. L'albero non era il suo posto, ma dove poteva andare? Si incamminò con aria smarrita, ma ovunque andasse, non vedeva altro che alberi. Guardando in alto, vedendo tutti quei rami inestricabili, si rendeva conto di quanto fosse inadeguato, e nel tentativo di sentirsi meglio chinò la testa per guardare ciò che fino a quel momento gli stava garantendo la sopravvivenza, il suolo. Forse quello era il suo posto. Camminò a lungo, con lo sguardo fisso a terra, finchè i suoi occhi non furono catturati dal movimento di un essere strisciante.  “Cos'hai da guardare? Sono un verme, tu cosa sei? Anzi, non dirmelo:  ciò non mi interessa. A me interessa una sola cosa, strisciare tutto il giorno sulla terra e sentire il suo profumo”. Il volatile, mentre ascoltava queste parole, sentì un inspiegabile gorgoglio proveniente dalle viscere, e un attimo dopo aveva ingurgitato quella creatura con un celere colpo di becco. Alla ricerca di altre simili creature, diede inizio ad un piccolo sterminio, finchè quella sensazione di vuoto non fu appagata, e il buio e il sonno sopraggiunsero. Al mattino, la prima cosa che vide fu una spiraglio di luce, e lo fissò con forte curiosità. Forse oltre quei rami c'era qualcosa. Forse no. Riprese il cammino, con lo sguardo rivolto verso quell'ombra che riempiva ogni centimetro di vita. Proseguendo, notò che la terra stava diventando sempre più luminosa, fino ad un punto in cui un nuovo bagliore invase i suoi occhi. Intimorito, provò ad alzare le palpebre, cercando di resistere al bruciore, “Allora avevo ragione!”, disse con gioia, “Qualcosa oltre quei rami là in alto doveva esserci!”. Ma il suo entusiasmo venne interrotto da un ruggito imponente: “Io sono il leone, tu cosa sei? Non spaventarti: sei nel mio regno e, come ho fatto con tutte le creature, ti permetterò di scegliere un luogo prediletto in cui vivere”. E il volatile: “In verità, un luogo prediletto ci sarebbe”, e guardò il cielo. Ma il leone lo ammonì: “A noi non è concesso vivere in cielo , almeno in questa vita. Guarda quell’elefante. Ti sembra possibile che possa stare in cielo? Oppure, guarda quella gazzella. Sembra danzare col vento, ma se le togliessi il suolo, anziché danzare col vento finirebbe col strapparlo a brandelli per cercare un appiglio. Ma devi arrivare a capirlo da solo, quindi ti do l'opportunità di provare a vivere la vita di ciascun animale della terra. Ascolta bene i loro consigli, e vedrai che troverai il tuo posto, e soprattutto capirai cosa sei”. Il volatile si mise alla ricerca del suo posto e della sua identità. Provò a vivere in tutti i luoghi possibili, terre, paludi, acquitrini, laghi, ascoltando i consigli degli animali che vivevano in quei luoghi. Ma ciascun consiglio di vita non gli era in alcun modo utile e il volatile, sempre più scoraggiato, provò l'ultimo luogo, la montagna. Almeno qui si sarebbe avvicinato al cielo, fin quasi a toccarlo. Conobbe gli orsi, gli stambecchi, le trote, ma non si riconosceva in nessuno di essi, e così decise di avventurarsi in alto, sempre più in alto. Lassù, tanto lontano dai consigli, tanto lontano da tutti, quanto vicino a sé, potè riflettere per la prima volta. Dal ramo in cui fu creato, alla scimmia, alla terra, al verme, al leone, quanti incontri aveva fatto? Avrebbe voluto avere le qualità di ogni animale che aveva incontrato, avrebbe voluto essere a suo agio come quella scimmia, come il leone, come l'orso, persino come quel verme prima di essere mangiato..ma aveva fatto bene a volere questo? Aveva fatto bene a cercare nell'altro ciò che fosse giusto, a cercare un' approvazione? E, cercando ciò, non si era forse allontanato da sé? Finchè si fosse affidato ai consigli degli altri, non avrebbe fatto altro che attestare l'impossibilità di ciò che la sua natura provava a ricordargli costantemente. In cima alla montagna. Lassù. Lontano da tutti. Lontano dai consigli. Lontano dall'impossibile. Vicino a sé. Capì che solo una cosa era rimasta da fare: lanciarsi nel vuoto. E più precipitava, più precipitava dentro di sé, dentro la sua vera natura. Con un sussulto di felicità, aprì le ali.       

domenica 23 ottobre 2011

una favola di Ermanno Bencivenga



C’ero una volta io, ma non andava bene. Mi capitava di incontrare gente per strada e di scambiarci due parole, e per un po’ la conversazione era simpatica e calorosa, ma arrivava sempre il momento in cui mi si chiedeva: “Chi sei?” e io rispondevo “Sono io”, e non andava bene. Era vero, perchè io sono io, è la cosa che sono di più, e se devo dire chi sono non riesco a pensare a niente di meglio. Eppure non andava bene lo stesso: l’altro faceva uno sguardo imbarazzato e si allontanava il più presto possibile. Oppure chiamavo qualcuno al telefono e gli dicevo “Sono io”, ed era vero, e non c’era modo migliore, più completo e più giusto per dirgli chi ero, ma l’altro imprecava o si metteva a ridere e poi riagganciava.
Così mi sono dovuto adattare. Prima di tutto mi sono dato un nome, e se adesso mi si chiede chi sono rispondo: “Giovanni Spadoni”. Non è un granchè, come risposta: se mi si cihedesse chi è Giovanni Spadoni probabilmente direi che sono io. Ma, chissà perchè, dire che sono Giovanni Spadoni funziona meglio. Funziona tanto bene che nessuno mai mi chiede chi è Giovanni Spadoni: si comportano tutti come se lo sapessero.
Invece di chiedermi chi è Giovanni Spadoni gli altri mi chiedono dove e quando sono nato, dove abito, chi erano mio padre e mia madre. Io gli rispondo e loro sono contenti. E forse sono contenti perchè credono che io sia quello che è figlio di Tizio e Caia e padre di questo e di quello. Il che non è vero, ovviamente: non c’è niente di speciale nel posto tale o talaltro, o in Tizio e Caia. Se fossi nato altrove, in un’altra famiglia, sarei ancora lo stesso, sarei sempre io: è questa la cosa che sono di più, la cosa più vera e più giusta che sono. Ma questa cosa non interessa a nessuno: gli interessa dell’altro, e quando lo sanno sono contenti.
Una volta c’ero io, e non andava bene. Adesso c’è Giovanni Spadoni, che è nato a X e vive a Y e così via. E io non sono niente di tutto questo, ma le cose vanno benissimo.
__________________________
(da: La filosofia in 32 favole, 1991).

INDIA nord-ovest (2004) -9. Jaisalmer e Thar, 5°

anche oggi ritorniamo su nella cittadella
pellegrini che chiedono l'obolo

zona tappeti e arazzi
usciamo dalla città con un'auto e andiamo verso il deserto









ritorniamo in albergo 
c'è uno spettacolo di musica, canti e danze tradizionali locali








un poveraccio che è rimasto da solo al mondo

INDIA nord-ovest (2004) -8. Jaisalmer 4°

andiamo su alla cittadella-fortezza







ritorniamo al nostro albergo che ha sede in un palazzo d'epoca, Narayan Niwas:



al terrazzo sopra al tetto del nostro albergo si vede la città e la cittadella-fortezza
e dalla parte opposta il deserto del Thar (dove passa il confine col Pakistan)
mi sporgo a guardare le case sottostanti: si vede la legna per cucinare



la coda per il pane:

incomincia ad imbrunire, gli animali tornano verso il loro ricovero




INDIA nord-ovest (2004) -7. Jaisalmer 3°






gente nella piazzetta all'ombra sotto l'alberone:







ritorniamo giù nella città bassa