mercoledì 4 luglio 2012

una caratteristica della amicizia

Negli ultimi giorni anche le piccole scosse (lo "sciame" sismico) sono andate diminuendo non solo di intensità ma anche di numero, sinché oggi -stando a quanto risulta su internet- sarebbe il primo giorno in cui ancora non si è registrata una scossa... Evviva! finalmente! forse può voler dire che (per ora) è finita... speriamo bene.

Amici ci hanno invitato a mangiare e altri a dormire da loro quando la nostra casa era un assoluto caos. Altri amici ci hanno aiutato a ritirare su da terra le scaffalature, le librerie e le cose, a mettere le cose in scatoloni e a fare spazio per muoversi (non avevamo accesso alla lavatrice, o io al computer nel mio studio, ...). Altri hanno aiutato a fare ordine. Altri a fissare e mettere in sicurezza mobili, librerie, scaffali, ecc. Altri amici hanno pazientemente ricostruito -come con un puzzle- alcune cose che si erano rotte, e hanno restituito forma a ciò che era andato in pezzi... (un bel tavolino dell'Ottocento, vari soprammobili, vasi, statue e statuette, souvenirs di viaggi, cornici, oggetti di famiglia, ecc. ecc.). Anche se alcune cose sono andate in briciole, o si sono frantumate in modo irrimediabile (dei vasi antichi, un grande tavolo di cristallo, ecc.), comunque ora casa nostra è divenuta di nuovo vivibile, e quasi tutto è ritornato parzialmente più o meno al suo posto (si trattava soprattutto di migliaia di libri). L'aspetto generale non è più inquietante. Nei prossimi tempi potremo pian piano con pazienza perfezionare il tutto a nostro gradimento...
GRAZIE! a tutti quanti.



(a questo proposito vedi il post "20 maggio", e i successivi)

E' il "vantaggio" di essere oggetto di amicizia, anche se questa non si misura in vantaggi e svantaggi, né la si prova e la si pratica per questo. Singolare caratteristica di questo straordinario sentimento.
Gli antichi greci chiamavano erastés chi provava e dava amicizia, e eròmenos colui che ne era destinatario, e fruitore (su un altro livello si riferivano con quei termini all'amante e all'amato).
Non sempre chi ama qualcuno è corrisposto, e non sempre veniamo amati, cioè suscitiamo l'amore, proprio da parte di coloro che vorremmo che ci amassero. E' il tema trattato nel dialogo platonico "Fedro" in cui si confrontano i discorsi di Lisia, di Fedro, e quello diplomatico -ma di convenienza- di Socrate, cui fa seguito quello suo critico più sinceramente autentico e sentito. Egualmente troviamo queste tematiche nel dialogo "Liside", e nel "Simposio" o "Convito", e in altri.

cari ciao a tutti voi che leggete....
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Il famoso oratore Lisia dunque avrebbe insegnato all'amico Fedro:
(...)"se è un dovere fare piaceri a coloro che più sono bisognosi, meriterebbe allora che anche in altri casi si sia più benèfici non tanto verso le persone maggiormente rispettabili, ma verso quelle più bisognose, e più grande è l'angustia da cui vengono liberati, e più saranno riconoscenti."

(così avrebbe sostenuto il grande rètore Lisia, almeno secondo Platone, vedi in Fedro, 233d cui fanno seguito i dubbi e le critiche socratiche).

lunedì 2 luglio 2012

Fan parte della realtà anche i prodotti della immaginazione? che cos'è la realtà nella sua interezza?


Philip K. Dick è uno scrittore americano (morto trent'anni fa), i cui romanzi hanno ispirato famosi film come Blade Runner, Minority Report, Truman Show, Matrix, The Island, Paycheck, Next, ecc.
In un romanzo di Ph.Dick, "Divina invasione", Emmanuel dice: "Bisogna sospettare di ogni realtà troppo compiacente. Quando le cose diventano ciò che noi vorremmo, lì c’è del falso. È quello che vedo qui. Il tuo mondo ti accontenta, e in questo si svela per ciò che è. Il mio mondo invece è testardo. Non cederà. Ma un mondo recalcitrante e implacabile è un mondo reale".
Dunque cosa è vero e cosa è falso? l'uno è solo il concreto, e l'altro solo il fantastico?  il materiale e il mentale?  ne siamo sicuri? o ci sono diversi piani di realtà, magari compenetrati tra loro...? il mondo dell'effettuale si intreccia con il mondo del possibile, e con quello del probabile, o no? come interagiscono? Da dove nascono gli sviluppi futuri?

E in un suo articolo  uscito nei primi anni Sessanta Philip Dick scrive:
"Vedere poco può essere pericoloso, ma dannazione... e  se si vede troppo?" .
E' proprio vero che certe volte si riesce a rendersi conto che non si vedevano cose che poi ti sembrano evidenti, la mente non può accettare certe realtà, oppure i tuoi strumenti mentali non sono adatti nemmeno ad accorgersi di quello che a priori non è contemplato... A volte capita (sempre a posteriori) di rendersi conto che non avevamo capito proprio niente, perché eravamo noi stessi ad impedirci di vedere... Pur avendo l'intelligenza in grado di comprendere, e avendo le conoscenze e le informazioni, non eravamo in grado di capire, e tanto meno di comprendere....
A volte sembrerebbe che ciascuno viva in un suo mondo, pur convivendo con altri, che probabilmente pure loro vivono in mondi propri... Impera l'incomunicabilità, la distorsione, la inautenticità ...
E nel contempo chi invece vede in profondità, chi vede oltre i limiti, al di là degli stereotipi, che riesce persino ad andare oltre i paradigmi della propria stessa cultura, è incompreso, osteggiato e resta vittima delle mentalità chiuse e ristrette che lo circondano, desta scandalo, sorpresa, indignazione, stuzzica l'intolleranza, è concepito come una provocazione, uno scandalo vivente, e diviene a volte una vittima sacrificale...
(cfr di Dick ad es. uno dei suoi primi romanzi: E Jones creò il mondo, oppure uno dei suoi ultimi: Radio Libera Albemuth, e tanti altri...)

"Vedere ciò che non è ancora, è infatti un paradosso, e i libri di Dick ne sono permeati: percepire e non vedere, intuire una realtà e non esserne certi, smarrire il senso della causalità degli eventi ma sapere che potranno accadere." (M.Gigli in "FaraNews", n.6 - giugno 2000).
A questo proposito secondo Umberto Rossi: "Nella narrativa di Dick, la verità non è uno stato di cose, non è qualcosa di stabile e fissato una volta per tutte: la verità è un evento". (U.Rossi, The Twisted Worlds of Ph. K. Dick, McFarland, 2012).

Interessante l'analisi di Fabrizio Chiappetti nel suo libro su Dick, "Visioni dal futuro"
"Lo sguardo di Dick non è rivolto verso un futuro immaginario, non cerca di mettere a fuoco qualcosa di ancora molto lontano e quindi non allarmante ma, dandolo quasi per scontato e gettandoci direttamente nella sua tragica indeterminatezza, nella sua incertezza," (...)
si dirige piuttosto verso la nostra "realtà" presente e passata. 
"La fantasia, o l'immaginazione che dir si voglia, è una facoltà che ha radici antiche e profonde nell'animo umano. (...) Il termine fantasia e' di derivazione greca e significa immaginazione, facoltà di rappresentazione, immagine o figura. Sin dall'origine è evidente il legame tra questo termine e il senso della vista; tuttavia, si tratta di un vedere molto speciale. Nell' accezione quotidiana la parola fantasia indica un modo tutto particolare di vedere la realtà, consistente nella creazione di una possibilità che la realtà si presenti diversa da come è, o da come emerge ogni volta dalla combinazione dei tanti fattori in gioco."

In un interessante post di Elisa Emiliani di fine febbraio scorso (nel blog http://criticaimpura.wordpress.com/ di Sonia e Antonella), si legge ad esempio che in "Scorrete lacrime" (1970-74), là dove il personaggio inizia a "vedere meglio" la realtà, ciò che era reale cessa di esistere in favore di una dimensione alternativa, che si sgretola a sua volta per tornare alla realtà precedente, quando il protagonista inizia ad avere seri dubbi che il "reale" sia davvero reale, e immagina come più auspicabile un'altra realtà. Ma per Dick si tratta di "mondi", o dimensioni, o piani di realtà parzialmente coesistenti, e costitutivi di ciò che è reale. La complessità di queste intersezioni e intrecci è tale che non è possibile prenderne conoscenza pienamente. "si avverte la suggestione di Kant", ma "il Kant che considera insolubili i problemi metafisici e che ritiene che la cosa in sé possa essere colta solamente attraverso la pratica, nelle azioni che mirano a legarsi a una legge interiore ma allo stesso tempo universale."

I personaggi di Dick, ovvero gli attori nella realtà, hanno -sia pure abbozzata e forse inconsapevole- una loro concezione del reale, che permette loro di orientarsi nel mondo in cui vivono (o in quello in cui credono di vivere), sino a che  al verificarsi di certi eventi questa viene falsificata ai loro occhi e nella loro mente, così che si sgretola con loro sgomento e stimola la messa in atto di uno sforzo pratico per connettersi ad altri parametri interpretativi e di vita, e sostituirla con una alternativa soddisfacente. Si passa così dal vivere in un certo mondo, completamente immersi e integrati in esso, al vivere in un mondo altro e esprimere un'altra nostra  personalità (Dick individuava tre tipi di psiche compresenti nella mente di ognuno di noi, in cui "ciascuna psiche è associata a un Mondo ben preciso"). 

Una delle domande cui Dick cerca risposta è appunto questa, di cosa è composta la realtà? (e scrive che nel suo ultimo romanzo "presuppone che i tre regni della Commedia dantesca siano tre modi di vedere la realtà; però non della prossima vita, ma proprio di questa Dante è la nostra guida; la soluzione al mistero della nostra  esistenza corporea si trova già nella Commedia, anche se tutti pensano che riguardi l'altro mondo...").  
e necessariamente l'altra è che cosa è l'essere umano, o meglio: in cosa consiste la vita umana, la sua realtà vivente?


domenica 1 luglio 2012

cosa più colpisce e fa riflettere?


Sono d'accordo con la studentessa torinese Elisa quando scrive sul suo blog http://firebird-997.blogspot.it/ :

"Al giorno d’oggi teorizzare una filosofia sistematica sarebbe inopportuno. Oggi non si pretende più di racchiudere la realtà in uno schema, si ha coscienza del fatto che le speculazioni teoriche non possono tenere conto degli infiniti fattori presenti nel mondo tangibile. In altre parole: per quanto una teoria possa essere logica e corretta non riuscirà a rispecchiare correttamente la realtà.

Dobbiamo dire che la filosofia è morta? La filosofia sistematica è morta fuori da ogni dubbio, possiamo quindi dire che non è più possibile una filosofia come la conoscevamo. Si deve ora operare una fondamentale distinzione tra la teoria (propria della filosofia nota, quella fissata nei testi) e la filosofia come stile di vita.

E’ definibile come filosofica la spinta a porsi domande, a crearsi e a creare problemi, a porre dubbi relativi a questioni la cui realtà sembrerebbe scontata; la filosofia tende a distruggere le certezze e a riformularle. Filosofia non è semplicemente speculazione teorica studiata su un testo, non è uno sterile sapere libresco. La filosofia è l’espressione di ogni mente insoddisfatta dalla conoscenza in suo possesso. Chiunque si ponga domande può definire se stesso un filosofo, purché tenti di rispondersi logicamente, ovvero seguendo una linea di pensiero coerente.

Se si intende dunque la filosofia come metodo critico per rapportarsi al mondo si può affermare con una discreta sicurezza che non morirà mai, nonostante l’“industria culturale” contemporanea tenda ad appiattire i giudizi degli individui. Ci si chiederà come far uscire questa particolare specie di filosofia, che è strettamente personale, dalla sfera del singolo. La risposta è immediata: la si può rendere pubblica attraverso l’arte. La letteratura contemporanea è intrisa di filosofia, così come alcune composizioni musicali.





In tutte le sue forme la filosofia è ed è sempre stata espressione del proprio tempo. Studiarla scissa dal suo contesto storico, sociale ed economico significa mutilarla delle sue radici, delle ragioni stesse della sua esistenza. Ogni periodo storico è gravido delle proprie peculiari questioni irrisolte intrise di specifiche caratterizzazioni. 

(...) 
La filosofia odierna si trova sensibilmente tra i libri di fantascienza e la musica di denuncia, nei discorsi dei ragazzi incerti del futuro che si trovano di fronte ad un mondo sempre meno ingenuo: basta saperla ricercare ponendosi personalmente in discussione davanti a ciò che ci circonda. La poesia, la musica, i romanzi sono destinati ad essere tra i primi eredi della cultura filosofica occidentale, perché questi, rispetto alle altre forme di comunicazione, colpiscono in maniera sorprendentemente diretta la sfera intuitiva degli individui senza togliere al contempo nulla ai processi razionali, che devono elaborare i concetti, una volta assimilati."


SOFFERENZA = CONSAPEVOLEZZA PROFONDA  ?



Lirica di John Dowland, poeta e musicista del Seicento, nel suo secondo libro di composizioni per liuto:

"Scorrete lacrime, dalla vostra fonte fluite! 
Lasciatemi piangere, per sempre esiliato, 
dove l'uccello nero della notte 
canta la triste infamia di lei, 
lì lasciatemi vivere disperato.

Spegnetevi, luci vane, non brillate più! 
Nessuna notte è nera abbastanza 
per coloro che disperati piangono la fortuna perduta. 
La luce altro non rivela che la vergogna.

Ma i miei tormenti verranno alleviati, 
dacché la pietà è fuggita 
e lacrime e sospiri e gemiti 
i miei stanchi giorni di ogni gioia hanno spogliato.

Ascoltate! Voi ombre che nel buio dimorate, 
imparate a disprezzare la luce. 
Felici, felici coloro che all'inferno 
non sentono il disdegno del mondo."

( brano riportato in Ph.Dick, vedi cit.sotto).

"La sofferenza è l’esito finale dell’amore, perché è amore perduto. Tu capisci, lo so. Però non vuoi pensarci. E’ il completamento del ciclo dell’amore: amare, perdere, soffrire, lasciare e lasciarsi, poi amare di nuovo. Jason, soffrire è la consapevolezza che dovrai essere solo, e al di là di questo non c’è nulla, perché essere solo è il destino ultimo, definitivo di ogni creatura vivente." 
(Philip K. Dick, Flow my tears, 1970,74, tr.it. Scorrete lacrime, disse il poliziotto,  editrice Nord 1976, poi Mondadori, 1998, ora Fanucci editore, 2007)