lunedì 31 dicembre 2012

Maktub, alcuni raccontini paradigmatici

Traggo spunto da alcuni brevi racconti ispirati da storie di vita, o novelle simboliche, o metafore, in forma di brevi parabole. Sono presi dalla raccolta di contributi scritti da Paulo Coelho nella rubrica, che chiamò  Maktub, che teneva per l'inserto illustrato del giornale brasiliano "Folha de São Paulo", poi raccolti in un volumetto (Sant Jordi, Barcelona, 1994),  che ho trovato in Marocco, però in francese, quindi si tratta di una mia libera trad.it. dalla prima edizione in francese: éditions Anne Carrière, Paris, 2004,  nella collana "Le livre de poche", LGF ( ma ora si possono trovare in internet in: http://brun.altervista.org/letteratura/coelho/01.htm    e segg.)

Maktub è una espressione araba che significa: ciò che è scritto, così è scritto, si intende nel sacro libro della vita, il "diario" di Dio.

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"Il viaggiatore si prende cura della sua vita. Come ogni esistenza, essa è composta di frammenti di tutto ciò che gli è accaduto: le situazioni che egli ha vissuto, alcuni estratti da libri che non ha dimenticato, insegnamenti del suo maestro, delle storie che gli hanno raccontato un giorno amici suoi, delle riflessioni sulla sua epoca e sui sogni della sua generazione …
E si sforza di comprendere la propria costituzione spirituale".

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"Una leggenda del deserto racconta la storia di un uomo che stava per trasferirsi in un'altra oasi e caricava i bagagli sul suo cammello. Mise uno sopra l'altro i tappeti, gli utensili di cucina, il vestiario, e il cammello ne reggeva il carico.
Al momento di partire l'uomo si ricordò di una bella piuma blu che suo padre gli aveva regalato. Decise di portare con sè anche quella, e la appoggiò sulla groppa.
In quel momento l'animale rimase schiacciato sotto il carico e morì.
"il mio cammello non ha potuto sopportare il peso di una piuma…" ha senza dubbio pensato l'uomo.

A volte anche noi diciamo la stessa cosa del nostro prossimo, senza capire che i nostri scherzi possono ad un certo punto costituire la goccia d'acqua che fa traboccare il vaso della sofferenza."

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"Un turco sentì parlare di un grande maestro che viveva in un ritiro in Marocco. Senza esitare egli vendette tutto quel che possedeva, si congedò dalla sua famiglia e partì alla ricerca della saggezza. Dopo mesi di viaggio trovò finalmente la capanna in cui viveva il grande maestro, isolato dal mondo. Pieno di timore e rispetto, si avvicinò e bussò. Il maestro aprì la porta.
"Vengo sin dalla Turchia -gli disse l'uomo- e ho fatto questo lungo viaggio per porvi una sola domanda".
Il vecchio saggio lo guardò sorpreso e disse: " E va bene, potete dunque pormi una sola domanda".


"Vorrei però esprimere in modo esatto ciò che sto per dire, potrei porvi la mia domanda in lingua turca?"
"Sì -rispose il saggio-, e con ciò ho dunque già risposto alla vostra unica domanda, tutto quel che volete sapere d'altro, chiedetelo pure al vostro cuore, vi darà lui le risposte." E richiuse la porta.

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"Uno sciamano del Maghreb conduce il suo apprendista in un bosco. Nonostante la sua età, cammina con agilità, mentre l'apprendista scivola e cade continuamente. Bestemmia, si risolleva, cade sul suolo che lo inganna, ma persiste nel seguire il suo maestro. Dopo aver camminato a lungo, giungono in un luogo sacro. Senza nemmeno fermarsi lo sciamano fa un mezzo-giro e riprende la strada in senso inverso.
"Non mi avete insegnato nulla oggi" obietta l'apprendista dopo una ulteriore caduta. 
"Ti ho insegnato qualcosa, ma si direbbe piuttosto che tu non impari nulla", replica lo sciamano, "cerco di insegnarti come si trattano gli errori della vita".

"E come si trattano allora?"
"Nel modo in cui avresti dovuto trattare le cadute che hai fatto lungo il cammino. Anziché maledire il luogo in cui sei caduto, avresti dovuto cercare qual era la causa che ti ha fatto scivolare".

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"Molti pii ebrei stavano pregando in una sinagoga quando sentirono una voce di un bambino che diceva: "aleph, beth, ..." cioè "a, b, c, d …". Cercarono di concentrarsi sui versetti sacri, ma la vocina ripeteva: "a, b, c, d …". Poco a poco smisero di pregare. Quando si girarono videro un ragazzino che stava ripetendo di nuovo: "a, b, c, d …".

Il rabbino si avvicinò al ragazzo. "Perché fai così?" gli chiese.
"Perché non conosco i sacri versetti" rispose il ragazzino, "allora spero che se recito l'alfabeto, Dio saprà prendere le lettere giuste per formare le parole adatte."
"Grazie per questa lezione" disse il rabbino "che io possa affidare a Dio i miei giorni su questa terra nello stesso modo in cui tu affidi a Lui le tue lettere"…

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"Nella Bibbia Dio ordina a Mosé: "dì ai figli di Israele di mettersi in marcia". Ed è solo quando hanno incominciato a camminare, che Mosé solleva il suo bastone e che le acque del mar Rosso si dividono, ed essi camminano in suolo asciutto.
disegno di S.Levi Della Torre

Perché solo il coraggio nel  sentiero intrapreso, permette poi al sentiero stesso di manifestarsi."

giovedì 20 dicembre 2012

il Paese berbero e il deserto, dic. '12 - (2)

10 dicembre 2012, lunedì (6° giorno)

Al mattino presto lasciamo con un po' di dispiacere la nostra bella camera del Riad nella medina di Marrakech, salutiamo Khadja e poi anche tutti gli altri della stradina che ci riconoscevano e salutavano, e con il nostro buon Rachid usciamo dalla città con la sua 4x4. (indirizzo di Rachid Labid: rachmer@live.fr tel. 06 66169061 o 06 62496308, se si chiama dall'Italia anziché iniziare con 0 mettere 00212).

Dal nostro amico Thoufiq abbiamo appreso che ogniqualvolta si incomincia una qualsiasi cosa, si dice bismillah, cioè bismi Allah, in nome di Dio (come dire: se Dio vuole), con cui si invoca la benedizione divina; e quando la si porta a termine, si dice amdullah, cioè: grazie a Dio, o per grazia di Dio, più esattamente: al-hamdulilah. Per cui appena l'auto si muove diciamo tutti e tre bismillah! Da giovane avevo studiato un po' di arabo, ma ora ho completamente dimenticato tutto, se non alcune pochissime parole, e un po' ancora a leggere le scritte.

Appena fuori rivediamo alzarsi dall'orizzonte azzurrato il maestoso complesso dell'Atlante innevato di bianco, e attraversiamo la zona nuovissima di insediamento di hotel, residence, resort, campi da golf e ville di lusso. Rivediamo i cumuli di olive e gli ingressi ai frantoi.

§. l'alto Atlante
Ci avviamo verso la catena di montagne, e la strada dopo Aït-Ourir passa da una pianura piatta ad una salita; entriamo nella regione del Pays Glaoua. Cielo azzurro terso, bel sole splendente, parecchio verde, con alberi diversi dai nostri di montagna, tra cui i cedri. Dopo poco la neve non è più solo là sulle cime, ma già sui bordi della strada. Tizi-n-Aït-Imguer a 1470 m. (tizi in berbero significa passo, o colle). Ci fermiamo ogni tanto a fare foto. La strada è buona e ben tenuta. A lato pini di Aleppo.
Ci sono fasce di colori nelle pietre e nelle rocce di questa zona arida. Ci sono terre rossastre fiancheggiate da scogliere nere.I villaggi sono tutti dello stesso colore della terra, poiché le case sono in pisé, cioè fango misto paglia, e adobe.
Al km 110 raggiungiamo il passo Tiz'in Tichka (in berbero: colle dei pascoli) a 2260 mt. con la neve tutt'attorno, cui fa seguito un vasto altipiano. L'aria è pulita e trasparente, la temperatura è mite, e il sole fortissimo.
Poco dopo il passo, a 2210 m. giriamo a sinistra per una stradina con il vecchio asfalto rovinato e con buche, piuttosto stretta, che scende, scende in mezzo ad alcuni boschetti fino a Telouèt.
Già lungo la strada avevamo cominciato a vedere delle vecchie Kasbah e degli Ksour (plurale di ksar) che si stanno sgretolando, sfaldando, disfacendo ... peccato...
Per arare il campo vediamo che uno utilizza anziché i buoi, un cavallo e un asino affiancati... 
Ci fermiamo nel villaggio di Telouèt a 1800 mt. per pranzare. Bell'albergo in stile rustico moresco, tutto restaurato. Per il pranzo ci mettono in una "tenda berbera" all'aperto su un terrazzamento di fronte all'albergo. E ci godiamo l'arietta pulita, piena di ossigeno, il sole splendente, e il silenzio, la calma, i tempi rilassati.

Scambiamo due parole con 'Ali, che vuole imparare un po' di italiano e di spagnolo, e ci racconta un poco anche della condizione dei berberi, che si chiamano Tamazight (plurale di Amazigh), che etimologicamente significa "uomini liberi", e in cambio delle parole italiane che gli abbiamo detto, ci insegna varie parole che mi annoto. Allora bismillah in berbero amazigh si dice: psaurrahà; alhamdulillah =shbaàche; e il saluto salaam aleikoum, salute a voi, si dice lai 'aunn; sbah 'l kher, buona giornata = 'ammi; mentre salve, salut, si dice 'azol; e arrivederci, bi'slaama = lai hnick ... è una lingua camitica con influssi semitici, non facilissima ... Già mi contenterò di ricordarmi qualche parolina di convenienza in arabo, e per fortuna il francese lo sanno quasi tutti...

E poi scherzo un po' col cameriere 'Abdul - 'Aziz, che ha voglia di divertirsi ed è simpatico. Ci parla di varie cose mentre aspettiamo che sia pronto. Tra l'altro dicono che siamo stati fortunati perché la settimana scorsa aveva nevicato, era tutto bianco, e il passo era anche stato chiuso. Mangiamo molto bene intanto che ci guardiamo attorno nel silenzio e nell'arietta fresca sotto il forte sole. Escono dei ragazzi da scuola; c'è un panorama montano bellissimo; e si vede il grande palazzo della kasbah che poi visiteremo.




Un po' tra tutti e due ci raccontano di quello che al tempo del Protettorato francese era il pascià di tutto il Sud, il famoso Glauì. La sua famiglia, e il suo clan con tutti gli agganci dei subordinati e dei soci, cioè gli El Glaouì, svolsero un importante ruolo politico e di potere nel contesto di un organizzazione sociale e istituzionale di tipo feudale. In particolare hadj Tihami el-Glaouì, il pascià per quasi 50 anni, fu un fondamentale collaborazionista dei colonialisti, e contribuì alla decisione dei francesi di mandare il sultano (o re) Mohammed V° in esilio in Madagascar. Quando poi le rivolte indipendentiste riuscirono ad ottenere la fine del dominio straniero e il re poté tornare, lui fece pubblico pentimento e chiese l' aman, cioè il perdono, e subito dopo morì. Ma per molti anni fu il signore assoluto di tutte queste terre e genti, e l'autorità tradizionale più importante, e in assenza del re non ebbe rivali. Costruì molte kasbeh in tutti i suoi domini, e viveva gran parte del tempo in questa di Telouèt, che rese molto simile all'Alhambra, in stile moresco-berbero. 
La kasbah era allo stesso tempo la residenza principesca e uno ksar cioè un villaggio fortificato (si pensi a kasr), che, posto in questa posizione, cioè alla sommità dell'unica strada di collegamento tra il versante est dell'Atlante, con alle spalle tutti i commerci con l'Africa nera, e la città di Marrakech.
Eccoci a contatto con i drammi delle lotte di potere, delle rivalità politiche, e della storia di eventi che spesso sono simili in vari paesi e epoche, con tutti gli strascichi e le conseguenze a volte indelebili e gravi che essi lasciano nel tempo ...
Ali ci porta a visitarla e ce la illustra. Nella parte esterna è tutto decadente e rovinato, e una gran parte della casba è crollata (fu abbandonata così dopo che vennero confiscati tutti i beni dell'ultimo "Signore dell'Atlante"), ma dentro ci sono ancora alcuni ambienti in buono stato di conservazione, e di eccezionale bellezza. Una delle grandi sale che si visitano era per lo harem (alcune scene del film "harem" sono state girate proprio qui), con decine di donne in gran parte avute in regalo o comperate nei mercati del Caucaso, o prese nei villaggi, un'altra saletta era per le musiciste e per le danzatrici, e una grande per i ricevimenti. I saloni sono in marmo di Carrara. Ci sono raffinati mosaici e stucchi, vetrate e soffitti, e i tipici muqarnas, o nidi-d'ape in gesso o legno. Le porte, come le pareti, sono decorate da dipinti geometrici detti zouaq, e i soffitti hanno tutti le travi a vista in legno di cedro dipinte. Dalle belle finestre con inferriate (un po' tipo le musharbiye di legno intarsiato) si vede sullo sfondo l'Atlante innevato! 



Ali dice a ragione che è un vero peccato che in generale i turisti non abbiano voglia di fare la deviazione per Telouèt, e che anche quelli che lo fanno, sostino solo per mangiare e poi vadano tutti dritti giù a 'Aït ben-Haddhu, che è famosa, ma che dentro non ha mantenuto nulla, mentre qui è l'interno la parte più bella, e invece non sapendolo la trascurano...
All'ingresso non hanno da darmi il resto per il biglietto, e così lo anticipa Ali, e ora alla fine della visita gli do una banconota in modo da tenersi anche il suo compenso come cicerone, oltre a restituirgli il prezzo del biglietto, e mi da lui il resto.
Sia lui che il tizio qui della cassa all'ingresso, dicono che la cultura berbera oggi è sì riconosciuta, ma va ancora fatto molto per la sua protezione e valorizzazione. Per es. loro vorrebbero che nelle scuole locali si insegnasse in amazigh (attualmente si insegna solo in arabo), o almeno che si insegnasse come materia facoltativa la lingua e la cultura autoctona. C'è una sola radio con alcuni programmi in amazigh, ma loro vorrebbero che ci fossero almeno un canale radio e uno televisivo in amazigh. Comunque sta tutt'ora di fatto che il 60% della popolazione marocchina si sentono arabi, e questi sono la gran parte degli abitanti delle maggiori città, ed hanno in mano non solo economia e finanza, ma anche la radio, la televisione, i giornali, la scuola; mentre solo un terzo dei marocchini si dichiara come berbero, e sin'ora non detengono che una piccola parte della ricchezza nazionale, e sono influenti solo in settori come quelli commerciale e dell'artigianato. E poi a loro dire ci sono ancora certi che usano il termine berbero come per dire barbaro...
Infine ci mostrano che qui c'è anche un piccolo quartierino di casupole in cui abitano gli haratines, (in berbero uomini scuri) neri discendenti da schiavi africani.
Siamo stati bene qui, e abbiamo fatto bene a fare una lunga sosta.
Poi ripartiamo e la strada diventa presto un tracciato di terra e sassi stretto. Si procede lungo dei canyon che da lontano non si vedono neanche, perché le sponde sono ripide e quindi a distanza sembra che non ci sia nulla e che il terreno continui. Invece giù c'è verde e vita, con gli orti e gli alberi, ed è pieno di casette abbarbicate alle pendici. il panorama è semplicemente meraviglioso. C'è poi un terzo tratto che è una strada asfaltata nuovissima e ben fatta. Arriviamo quindi rapidamente ad 'Aït ben-Haddhu.



Ci fermiamo e andiamo ad ammirare la bella casbah che l'Unesco ha dichiarato di recente patrimonio culturale dell'Umanità. Effettivamente è molto suggestiva, postta in una posizione favolosa, come appoggiata ad una collina in riva ad un fiume, in un oasi rigogliosa, e il villaggione è pieno anche di altre belle kasbeh minori, però noi, dopo quel che ci avevano detto, restiamo all'esterno e a debita distanza in modo da abbracciare il tutto con lo sguardo. (tra l'altro qui sono stati girati film come il Gladiatore, Sodoma e Gomorra, o Asterix e Cleopatra, ...).

§. Ouarzazate
Poi giungiamo al capoluogo di tutto l'oltre-Atlante, cioè la città di Ouarzazate (nome che deriverebbe dall' amazigh: war ezzalat, cioé... "nessun problema" ...).
A Ouarzazate, l'albergo prenotato è nella parte nuova dopo il ponte sullo ouadi, ed è un quartiere distaccato e moderno, che si chiama Tabounte. Alla sera facciamo due passi, ma questo come altri centri anonimi moderni, è del tutto privo di identità, e dunque abbastanza squallido, per quanto ben fatto; fa spavento l'idea che il prossimo futuro (visto l'attuale forte tendenza all'inurbamento) sia questo ... sia di vivere in luoghi asettici, neutri, anonimi... come delle periferie ma a sè stanti, e in molti casi sorti in mezzo al nulla, oltre che senza storia.
Comunque sia, da che esiste, e a tutt'oggi, Ouarzazate è la città più importante oltre l'Alto Atlante,
dalla nostra finestra

 il punto di partenza obbligato per ogni viaggio attraverso e verso il deserto, dato che è da qui che si dipartono le due strade che percorrono le due valli principali esistenti, cioè sostanzialmente quella del Dadès e quella della Draa.
Da domani iniziamo a percorrere il territorio degli ksour e delle kasbeh, e delle oasi. Cioè la parte forse più suggestiva del viaggio, nelle aree più desertiche. 

§. il deserto, le oasi e le sue popolazioni
Come anche noi stessi abbiamo subito potuto constatare, ci sono tipologie diverse di deserto, per lo meno tre: il territorio arido di pietre e rocce basaltiche sgretolate, chiamato hammada, inoltre il regdi terra, ghiaia e sassi, con qualche minimo cespuglietto  qua e là, e quello "classico" di sabbia con le dune, chiamato erg, che occupa solo uno scarso 20% del totale. Si pensi che il 42% del Marocco è suolo improduttivo, mentre il 13% è di palmeti e boschi,e il resto (cioè meno della metà) sono coltivazioni e pascoli. 
In questi territori dunque chi ci vive? 
Si possono identificare varie tipologie anche tra i nativi dell' oltre-Atlante: i Tamazight sono prevalentemente suddivisi in due attività, i pastori e allevatori di bestiame da un lato, e i contadini e gli orticoltori dei terreni attraversati da un corso d'acqua dall' altro. Inoltre si possono suddividere in nomadi, e sedentari. Infatti ci sono quelli che vivono appunto nelle oasi, nei palmeti, o che fanno riferimento ad essi, e quelli che vivono in relazione al deserto. Così guardando da un'altra prospettiva, ci sono i berberi arabizzati e arabofoni, cioè che usano nelle relazioni quotidiane, e anche nel privato, l'arabo (anche se conoscono il berbero), quelli perfettamente bilingui (13% che mischiano un po' le parole e le frasi nelle due lingue), e quelli che ancora usano correntemente e nel loro privato solo l' amazigh (37%). Ma la complessità non finisce qui, oltre ai Tamazight ci sono pure i sahariani (o Sahrawi), i Touaregh, e spesso dei neri "del luogo" (gli Haratines discendenti di antichi schiavi), e ora anche africani immigrati. Ma ovviamente ci sono anche mulatti e misti derivati da vari incroci... (si dice che praticamente la maggioranza dei marocchini in generale abbia origini di sangue berbero, e che dunque solo meno della metà della popolazione abbia componenti di lignaggio arabo). L'arabo parlato è la versione "volgare" dell'arabo classico e letterario (quello in cui è scritto il Corano), e in Marocco ci sono un paio di patois (di parlate correnti) ma non sono ammessi questi linguaggi nella stampa e nei mezzi di comunicazione di massa, e nelle scuole. Solo qualche trasmissione, o il teatro "dialettale", o nei film di tipo popolare, se lo possono permettere.
Così come fino a pochi anni fa c'erano state da secoli, anche qua nei villaggi di oltre-Atlante, anche numerose comunità ebraiche. Gli ebrei parlavano il berbero e l'arabo, oppure quelli di origine andalusa parlavano tra loro nel cosiddetto spagnolito, o ladino. I riti religiosi erano quelli secondo la tradizione sefardita (da Sefarad = Spagna).
Oggi è diffuso il francese (seconda lingua ufficiale), e in certe zone lo spagnolo, e comincia a essere conosciuto in ambiti turistici anche un po' di inglese.
Quanto alla religione, la stragrande maggioranza sono musulmani di fede sunnita (la Sunna, o Hadith è la raccolta dei detti del Profeta), che praticano il rito malachita instaurato dai tempi della dinastia degli Almoravidi che nell'  XI e XII sec. crearono un unico regno sulle due sponde dello stretto di Gibilterra, e che ebbe poi le sue ultime tracce nel regno moresco di Granada e Cordoba.

Dunque anche il Paese berbero si presenta piuttosto complesso e articolato come pure tutta la fascia del Sahel (cfr. di Folco Quilici, I grandi deserti, Rizzoli, 1969, cap. VI; poi Sahara, DeAgostini,1980 ).
Dal punto di vista storico-artistico e dunque anche turistico, questo è "il Paese dalle mille Kasbeh" (o delle "mille e una" kasbah), o anche "il Paese degli ksour".
La kasbah sostanzialmente era una fortezza-palazzo in cui abitavano famiglie potenti o le autorità. Mentre lo ksar (al pl. ksour) è come un castello di famiglie, o una comunità, praticamente composto da grandi casone contigue, circondato da bastioni e con torri di guardia. Vi abitavano i coltivatori e contadini e vivevano in regimi di condivisione. Un'altra tipologia architettonica diffusa è lo agadir, un granaio-magazzino fortificato, tra cui i granai collettivi erano detti ighrem, assai alti (come quelli che furono rappresentati nei quadri del pittore Jacques Majorelle che amava girare questi villaggi a dorso di mulo in cerca di soggetti pittoreschi).
In sostanza era tutto fortificato, in quanto si tratta di costruzioni delle famiglie o dei clan dei sedentari, per difendersi dai nomadi che vivevano in tende e accampamenti mobili, e che ogni tanto in periodi di difficoltà potevano trasformarsi in predoni. Quindi al giorno d'oggi hanno perduto la loro funzione e per questo molti sono abbandonati e in disgregazione (le costruzioni in pisé, cioè in terra, ovvero argilla, detriti e paglia, abbisognano infatti di una continua e costante manutenzione, altrimenti si disgregano). Resta sempre il fatto che i palmeti, le oasi, o il fondo delle valli rinverdite dall'acqua degli ouidian (pl. di ouadi), sono il punto d'appoggio per tutti. Qui sino a pochissimi anni fa la vita era ancora regolata da ritmi immutati nei secoli, ma sostanzialmente resta in gran parte tale ancor oggi. E ancor oggi la struttura sociale è fondata su comunità di grandi famiglie allargate, del medesimo clan, che possiedono in comune le terre e greggi di capre, pecore e montoni. I clan più influenti sono gli Shleuh (o Chleuh) nell'Antiatlante e nell'Atlas occidentale, e nella parte centrale della catena dell'Atlante i Ber-ber (o Barabér), i Glaua, i Masmuda, gli Zenata, e i Sanhaja (che sono più scuretti di pelle); ma all'interno dei clan vi sono poi anche numerose tribù: gli Amazir (tra cui la grande famiglia dei Naam), la famiglia al-Jakani, i Reggeibat, gli Ida, i Blal, gli 'Aït Hussa, Aït Haddidou, le  varie tribù barabér (degli Idrassen, Nadhir, Seri, Serruchen, Sokhnon, Yafelman, Yussi, Zaer, Zayan, Zemmun), quelle delle valli del Draa e Dades: i Mezgita, i Seddrat, o i residenti di Fezwala, Ktawa, Mhammid, Ternata, Tinzulin, e altri...

martedì 11 dicembre, settimo giorno

Ripartiamo, passiamo dalla vecchia kasbah di Taourirt, grandissima e esternamente molto bella, con le sue torri merlate incorpora le case in pisé


Ci sono botteghe con fuori appesi i tappeti di stile Ouazguita, tessuti a mano dalle donne, famosi per i disegni geometrici e simbolici di colore spesso arancione, e sempre su sfondo nero. Molto belli. (In questa kasbah è stata girata anche una scena del film "il thé nel deserto", e infatti proprio di fronte c'è uno degli studios della Atlas, la Bollywood di Ouarzazate). 
Proseguiamo e poco fuori città si vede il grande lago artificiale el mansour ed-dahbi, creato nel '75 dal barrage, da una diga; e un complesso d'epoca, restaurato

e poi lungo la strada vediamo tanti cristalli di salgemma emergere dal terreno arido. E' indicata a sinistra una "miniera di sale"; è con questo che pagavano i commercianti delle carovane che venivano fin qui dall'est a vendere i loro prodotti. Per cui al ritorno i carovanieri passavano ad esigere i loro blocchi di salgemma. 
Rachid è un po' stanco non avendo dormito bene stanotte, perché ci dice di essere stato ospitato nella grande casa di un suo conoscente, che era vuota e un po' inquietante.

§. inizia la valle del Dadès che si snoda per 150 km.
D'ora innanzi indicherò con precisione il percorso fatto e le varie deviazioni, con anche nomi di posti per mangiare e di alloggi, per dare info a chi volesse percorrere lo stesso itinerario.
Poi attraversiamo il grande palmeto (palmeraie) di Skoura,  fondato nel XII secolo da Yacoub el Mansour, alterna palmeti e giardini. Si producono moltissimi datteri. 


bar di paese



La kasbah di Amerhidil è quella che si vede sulle banconote da 50 d. Quindi facciamo il passo di Tizi n'Taddert a 1370 mt. e si vedono già diverse Kasbeh, erano costruite da capi locali, e portano con sè il ricordo di lotte per l'influenza sulle varie zone in questa vallata che è sempre stata un crocevia di comunicazioni. Sulle pareti delle Kasbeh si tramanda nell'argilla l'arte dei decori, che sono poi fondamentalmente gli stessi che si trovano nei tappeti, nei ricami nelle vesti, nei caftani, nelle ceramiche o nei bijoux. 



Quindi scendiamo giù a El Kelaa M'Gouna (o des Mgouna), capoluogo della regione della vallée des roses, (si raccolgono circa mille tonnellate l'anno di rose). I paesaggi sono molto belli, sul fondo-valle ci sono frutteti (pere, mele, albicocche, pesche, prugne fichi), campi arati, palmeti, e soprattutto roseti di rosa damascena ... e per tutto il percorso si susseguono panorami differenti. Burroni vertiginosi, vette innevate sullo sfondo, rocce infuocate dal sole,

 e improvvisamente si ergono kasbeh fiabesche, fortezze di adobe, villaggi in pisé, è tutto un susseguirsi di emozioni. La fortezza di M'Goun sulla sinistra del oued è a 1467 mt., fu anche una malfamata prigione per detenuti politici ai tempi del precedente sovrano.
Ora non è più stagione di fioritura (maggio), comunque ci sono decine di botteghe che vendono i derivati dai roseti, di cui i marocchini stessi fanno ampio consumo. Si consideri che ci vuole una tonnellata di petali per distillare un litro di acqua di rose.




Andiamo fino a Tourbist, in fondo. Qui sono berberi 'Aït-Imegran, e c'è la kasbah Imassine che fu anche sede di una guarnigione di mercenari neri Haratine. Di qui andiamo verso Tinghir dove c'è una kasbah ristrutturata molto bene come albergo, "Kasbah Itran", che è posta in un punto panoramico spettacolare sulla sporgenza di una roccia in corrispondenza con una larga curvatura del canyon. 



E' stupenda dal punto di vista estetico, ha persino le stanze col caminetto per una stagione come questa, e varie terrazze con tavolini a picco sulla scarpata (www.kasbahitran.com), ha persino una sua carrozzella privata per fare un giro nei dintorni... Peccato che la quasi totalità dei turisti vadano di fretta dritti alle fantastiche gole del Dadès e non facciano la deviazione per venire qui, è veramente "mozzafiato" come oggi si usa dire. 
Quindi andiamo avanti in questa deviazione addentrandoci parecchio, 

verso Boutarrar, o Amallout bou-Taghrar, e andiamo a vedere una vecchia kasbah nel villaggio di Timtziguite.



la vecchia casba ebraica

Le donne lavorano tutte nei campi dove ciò è possibile, ora negli orticelli, ora a raccogliere legnetti secchi e paglia, ora nelle piantagioni; e poi lavano il bucato o le stoviglie al fiume.




Proprio ora davanti a noi c'è un camion pieno di donne in piedi sul cassone che vengono portate al lavoro.


§. la pista nel hammada

Poi in base ad indicazioni dei paesani facciamo una "scociatoia" tagliando nel deserto di pietre, quindi da lì prendiamo a sinistra una pista di terra e sassi che fiancheggia lo ouadi M'Goun (forse) e insomma dopo 14 lunghi km percorsi molto lentamente in questa hammada deserta (di cui gli ultimi 3 km sono molto malmessi e assai difficili da percorrere), 








si esce dalla pista e si sbocca sulla strada goudronnée, a Tazgzawite (o El-Goumt ?), oramai abbastanza vicino al paesone di Boumalène Dadès. 
Ci abbiamo messo molto tempo ma ne è valsa grandemente la pena.


Questa è stata la nostra maggiore avventura del viaggio, e tutto è andato bene (tranne qualche piccola difficoltà momentanea) anche se non abbiamo mai incontrato anima viva, sin quasi alla fine quando abbiamo incrociato un'altra 4x4 che stava iniziando lo stesso tragitto all'inverso. Per tutto il percorso non c'era mai nulla e nessuno, solo oramai alla fine abbiamo visto qualche raro animale isolato, delle capre, un dromedario, e forse in lontananza un capraio, e all'ultimo una piccola autentica tenda nomade fatta di lenzuoli, e un rifugio di sassi con tetto di pelli e grezzi teloni scuri intessuti a mano. 
Spettacoli indimenticabili, nel silenzio assoluto.

§. verso le gorges du Dadès
Prima dell'ingresso in un paese si vedono scritte fatte con sassi bianche sul fianco delle colline in cui si dice: "Allah al-watan al Malik", Dio è il Signore del luogo, il re del paese. anche qui nel verde del fondo valle ci sono delle kasbeh abbandonate. C'è il grande ksar della tribù Aït Seddrat.

Grandi casone quadrangolari per più famiglie allargate, chiamati tirremt. E c'è tutta una zona di rocce lisce di forme strane, che chiamano "pattes des singes", cioè a zampe di scimmia.


Arriviamo ad 'Aït Oudinar, al km.27 quasi all'imbocco delle famose gole del Dadès, e prendiamo alloggio all' Auberge "chez Pierre" (www.chezpierre.org). 
Ci sono bellissime semplici stanze con arredo di tipo tradizionale, e nella salle à diner c'è in centro una bella stufa di ghisa per riscaldare l'ambiente dopo il tramonto.
Per pranzo-merenda mangiamo due buonissimi panini tipo pità farcita, uno di mozzarella e pomodori, e uno di pollo allo zafferano. Andiamo a fare due passi e compriamo altre caramelle da dare ai bimbi, dato che quelle che avevamo, come pure i giochini, e i portachiavi, e le biro, sono tutte finite. Quindi ci dirigiamo subito, finché il sole non è ancora tramontato, a un bar-café proprio sull'imbocco delle gole, salendo con l'auto per un dislivello di più di cento metri, grazie a vari tornanti stretti, 

e ci troviamo nelle terrazze di questo locale che è stato non so come costruito proprio su una punta sporgente della roccia, a precipizio dul canyon. La vista è favolosa e siamo proprio a picco sull'apertura delle gorges. Si tratta di enormi blocchi di calcare che pare come tagliato da un fendente. Il canyon si prolunga per un centinaio di kilometri tra le pendici dell'Atlante e il monte gebel Saghro. Le gole col passare dei quarti d'ora si fanno color lilla, poi ruggine, e infine rossastro, e porpora... e stiamo lì incantati sul burrone vertiginoso.


Queste gorges, questo cañyon dello ouadi Dadès è assolutamente fantastico!.
La sera si cena in modo squisito, da hâute cuisine (un po' tipo nouvelle cuisine) con piatti eleborati, buoni e ben presentati (tra cui ricordo l'anatra al vino rosso), per cui sembra di essere chissà in quale ristorante chic, c'è il nostro vicino che continua a fotografare i piatti col cellulare e li manda a una sua amica, "che -dice- non potrà mai credere da dove li sto inviando..." e intanto appunto si chiacchiera con gli altri clienti (sì qui c'erano ben 9 clienti!...: 2 amiche americane, una coppia di olandesi, una coppietta di giovani cinesi d'Australia, un signore argentino che si era appena inerpicato su per una ardua pista con la sua 4x4). 
A fine serata i due tipi dell'albergo, e il cameriere e due autisti, suonano con i tamburi (bendir) ritmi incalzanti (ci sono quelli doppi, "a clessidra", tobal, e quelli con membrana singola e più sottile, guidra), uno canticchia, e insomma si crea un'atmosfera divertente. Bravi soprattutto i due fratelli proprietari, con i ritmi africani. 
Andiamo a letto tutti col sorriso in volto ...


mercoledì 12 dic., ottavo giorno 

Chiacchieriamo a colazione con gli altri viaggiatori, c'è una bella disposizione amichevole. Poi partiamo tutti quanti. Attraversiamo Bou-malne, che è una cittadina berbera dove tutti parlano tra loro in tamazight (ma sanno arabo e francese, e non solo, anche spagnolo e un pochino di inglese...). 

Intanto che andiamo Rachid (45 anni) parla al cellulare spessissimo con sua moglie Meriem che gli telefona continuamente ogni giorno. Si sono sposati con matrimonio combinato dalle famiglie, si sono trovati bene, e poi si sono innamorati. Hanno due figli, m. e f. Lui all'età di 20 anni avrebbe dovuto venire a lavorare in Italia, i suoi hanno pagato migliaia di euro per tutto quanto, ma sperando che fosse un investimento che valesse la pena, e invece lo avevano imbrogliato... le carte erano false, e quando è arrivato all'aereoporto in Italia al controllo lo hanno fermato e non ha potuto nemmeno uscire dalla porta e guardare fuori, l'hanno subito rinviato indietro col primo aereo che partiva ... la sera stessa ha telefonato a sua madre dall'aereoporto di Tangeri perché lo venissero a prendere ... per tutti loro è stata una vera catastrofe.




§. alla gola del Toudra
Da qui in poi tutto cambia nel paesaggio: ora c'è una landa piatta piatta di sassi e ciuffetti, larghissima con lontano dalle due parti due catene montuose. Il sole è fortissimo.
Imiter è nel nulla, e così pure lo ksar isolato di Timadriouine. Ci sono in lontananza a destra delle miniere d'argento, sono private, scoperte da non molti anni, sono piuttosto importanti. Qui non c'è niente da fare, ma nemmeno niente da vedere, da guardare dal finestrino..., e i giovani di questi villaggi fantasma non sanno che fare, a parte stare al bar-café. 
Ci sono effetti ottici tipo miraggi, sembra di vedere degli stagni o laghetti d'acqua... 

Ed ecco ora Tinerhir, già sede di una guarnigione della Legione straniera, con la sua "lussureggiante" oasi. 

Palme sparse e un'altra bella kasbah del Glaouì in pisé abbandonata, come tutta la città vecchia, che va in rovina, "lentamente muore" (come si esprime Martha Medeiros in una sua poesia attribuita a Neruda), si disfa, scivola del passato, ne va a far parte, svanisce. E nel contempo tutto il resto della cittadina è anche qui una tipica città nuova in sviluppo in mezzo al deserto di sassi, insulsa, uguale uguale a tutte le altre.. ça y est ... come dicono: sayé... cioè: ecco... ma nel senso di: oramai è fatta, passiamo oltre...va beh ...

Ci sono ulivi, melograni, aranci, e frumento, e una leggera brezza. Poi ci si avvede che le palme della "lussureggiante" oasi lungo lo ouadi sono davvero migliaia e migliaia, fittissime, tanto che là in mezzo c'è una compatta ombra ... 


La strada prosegue verso uno stretto cañon e dopo un paio di villaggi si infila nella famosa gola del Toudra (o Todhra, o Todgha)... passaggio spettacolare, scendiamo dall'auto e lo compiamo tutto a piedi, in mezzo a pareti di roccia diritte alte e impressionanti. Le scogliere ai due lati si elevano per 300 metri in verticale, e la gola è stretta 20 metri. Ci vengono pure degli appassionati di arrampicata. 




Sono colorate, di grigio, di verdastro, e a lato scorre un torrente con acque limpide che proviene dalla sorgente blu di Meski, dove si recano le donne sterili per riacquistare la fertilità, si può fare una escursione alla cosiddetta "sorgente dei pesci sacri". Una leggenda racconta che un marabutto (morabit cioè un sant'uomo musulmano) colpì per due volte la roccia, alla prima si mise a zampillare acqua e alla seconda battuta ne uscirono miracolosamente dei pesci.
Anche in queste gole ci hanno girato dei film...(tipo il classico "Lawrence d'Arabia" ma non solo)Reincontriamo i due giovani cinesi, lei è una entusiasta di tutto...  
Vediamo due cani randagi, sin'ora avevamo visto solo molti gatti dappertutto.
Riprendiamo il viaggio verso la regione del Tafilalt (o Tafilalet), di nuovo deserto arido, e con una montagna sulla sinistra. 

Entriamo in un nuovo palmeto, quello di Ferkla,  con ksour in rovina. Ora sono le 12e12 e oggi è nientemeno che il 12.12.'12, non credo proprio che ne vivrò un'altro ... Ci fermiamo a pranzo a Tinejad, a poco più di mille mt. di altitudine; prendiamo tajine de poulet au citron, con olive, e una bottiglia di acqua minerale senza gas (eau plat), 6 €uro a testa. 

Il tajine di solito è con carne (che può essere di pollo, manzo, montone, agnello,tacchino, cammello, o capra,o di cacciagione), ma a volte è fatto anche col pesce, oppure vegetariano con legumi. Si chiama così in quanto è il nome della pentola di terracotta in cui viene cucinato. La terrina con il cibo viene chiusa da un coperchio anch'esso di terracotta a forma di cappuccio alto, e messa in forno, per cui il contenuto si cuoce anche per il vapore interno, e gli aromi non vanno dispersi perché la chiusura è ben ermetica (una antesignana della moderna pentola a pressione ....). Il tajine col pollo al limone e alle olive è composto da carne di pollo preparata su uno strato di erbe e spezie (cipolla, aglio, coriandolo, zafferano, pepe), poi coperto per metà di acqua e con molto olio d'oliva, e fatta cuocere a fuoco lento, finchè il liquido non si è ridotto. Poi si aggiungono olive e limone e si chiude la pentola di tajine, che va messa al forno brevemente. Ma c'è pure il t. dolce con prugne e mandorle.





§. la valle dello Ziz

Riprendiamo il viaggio, e anziché proseguire lungo la nazionale 10, prendiamo a destra una strada più stretta ma più bella per il panorama, scendendo in direzione di Erfoud (o Arfud), e dopo un po' incomincia ad esserci della sabbia lungo i bordi della strada. Qualche miraggio..

Ricordo un bel reportage di viaggio del 1962, di Folco Quilici, su "Epoca", intitolato "Il deserto senza sete", sulla traversata da Gadamès a Tamanrasset e oltre, poi confluito nel volume "I mille fuochi, dal Sahara al Congo", edizioni Leonardo da Vinci, di Bari, 1965. Poi in parte ripresi in "Sahara", edizioni DeAgostini, 1980.



  
E anche gli articoli  di Alberto Moravia, inviati qualche tempo dopo, Bompiani 1981:


Ci fermiamo ad una tenda berbera in mezzo al nulla, no anzi in mezzo a tantissimi mucchi sparsi di terra sabbiosa grigia, poi una volta fermi ci accorgiamo che sono disposti in tre file regolari, e che dunque il tendone è in prossimità di una fila lunghissima di pozzi.

pozzo

 Ci mostrano come si tira su con carrucole di legno e corde di paglia intrecciate. Si tratta del chadouf, o délou, pozzo tipico della valle del ouadi Ziz, fatto a bilanciera, per cui l'acqua viene attinta con un'otre di pelle di capra, sospeso con una fune. 

Mi fanno cenno di scendere pure sotto, lungo un cunicolo d'accesso, e vedo con meraviglia che c'è un tunnel sotterraneo pazzesco. E' lungo 20 kilometri (!) e collega tutti i pozzi; in quel modo ogni tot c'è della luce che illumina da sopra la volta del passaggio. Pare che prima di Tinejad ci sia addirittura una sorta di orologio idraulico per regolare i flussi di irrigazione. E' un'opera antica e rifatta nel settecento, poi costantemente mantenuta, per scopi di irrigazione delle colture, un'arte di costruzione di gallerie appresa da esperti artigiani che vennero da lontano, straordinaria.  Loro ne sono i guardiani. 



A turno tratti di canali vengono allagati. La rete di canali sotterranei, che si dicono foggaras, o anche khettara, è tipica della zona. 
Arriva -provenendo dal nulla all'orizzonte- un vecchio camioncino con su delle capre e delle cose per un pozzo. 



Ci invitano a sederci sui "divani" nella tenda, forse per mostrarci quel che vendono. Anche qui c'è un cane. Nella tenda poi si mettono a suonare uno strumento a sole due corde tese su una vecchia lattina, e da cui riesce a ricavare dei suoni, delle note, ... e canticchia, è un po' monotono e banale...
Avevo letto invece le parole di un canto di donne, che mi erano molto piaciute: " I giorni avanzano con lentezza/ come un gregge di pecore/ che la notte scaccia dai pascoli,/ delle pecore bianche, delle pecore nere./ Si allontanano nel tempo i giorni/ verso il rifugio dei merrah ignorati,/dove riposa tutto ciò che fu e non è più./ I giorni se ne vanno veloci e frettolosi/ sulle loro larghe ali silenziose/ come degli ibis in un campo/ o dei corvi che ritornano sui rami/ nella calma della notte che scende./ I giorni che si allontanano da noi/ hanno nidi rotondi e tiepidi/ sui rami mobili del tempo/ nell'immutabile eternità ..." (Henri Duquaire, "Antologia della letteratura marocchina araba e berbera", Plon, Parigi).


Ed eccoci alla terza valle, arriviamo alla valle del oued Ziz, le cui acque -si dice- sono "fonte di bellezza", si scava il proprio letto tra rocce impressionanti, taglia il calcare per crearsi un lungo corridoio orlato di palme, a un certo punto cambia direzione e mira verso sud, dove prodiga le proprie acque alla grand palmeraie del Tafilalet, per poi perdersi completamente nelle sabbie di Taouz e scomparire alla vista. Ed ecco che dopo un poco entriamo in ErfoudAnche se purtroppo anche qui la parte moderna in via di sviluppo è anonima e piuttosto estesa (con viali bordati da tamerici), la cittadina ci colpisce molto, con un souk animato e più vita e costumi tradizionali. Moltissime qui le arabe, e le sahariane velate. 




In questa regione (chiamata anche El-filalt), tra Erfud e Zagora, crescono oltre un milione di palme (!), e il dattero è dunque simbolo di prosperità, lo si festeggia in ottobre con festeggiamenti che dicono siano scatenati.

Ci fermiamo a vedere un laboratorio artigiano, di un certo Aziz, in cui si tagliano lastre nere di grandi pietre prese dalle vicine cave di goniatite, lastre di marmi neri ricche di fossili all'interno, con cui fanno tavoli di pietra e altri oggetti di arredamento. Alcuni molto belli.

Erfoud ai piedi dell'omonimo jebel (=monte, collina) è dominata dal forte di Bordj-est. 
A breve distanza da qui, ma non ci andiamo, ci sono le rovine della tardo-romana Sigillum Massae, che poi fu chiamata Sijilmassa, e dal 757 fu capitale della regione e controllava tutte le lunghissime piste carovaniere trans-sahariane, per cui era un centro molto prospero di commerci a livello continentale, che giunse a contare centomila abitanti. Da qui in cammello si giungeva fino a Timbuctù (o Tombouctou) in "soli" 52 giorni di viaggio.

 Ma poi nomadi predoni della tribù degli Aït Atta, la saccheggiarono completamente nel 1818, lasciando solo morti e distruzione, e la città non si riprese mai più.
Poi andiamo a Rissanì e Rachid ci dice che la dinastia reale regnante è originaria di qui, gli Alaouiti, che regnano da tre secoli, provengono proprio dalla regione del Tafilalt, e qui c'è il mausoleo del fondatore, l'emiro Moulay Cherif (moulay significa principe, e cherif, pronunciato scerif, significa discendente dal Profeta Maometto), proclamato sultano nel 1640. Passando vicino al souq si vedono uomini col grande turbante bianco, e la djellaba azzurra, tipici delle popolazioni sahariane. Le donne anche sopra al caftano portano pesanti monili che si tramandano nelle generazioni.



A Rissanì c'è anche uno ksar di Moulai Ismail, grande sultano della fine del Seicento. Ci sono vari ksour color ocra in rovina (Abbar, Oulad Abd-el-Halim, e altri), con le loro torri quadrate, che sorvegliavano il passaggio dell'oro, dell'avorio, e degli schiavi neri provenienti dal sud Soudan occidentale. Sembra che nell'epoca d'oro fossero addirittura diverse centinaia gli ksour che la attorniavano. Sulle rive dello ouadi oggi le donne fanno il bucato all'ombretta degli albicocchi. 
Una bella ragazza berbera in abito tradizionale mi passa davanti e noto anche i suoi aggraziati piedini zozzi, sporchi di "melma" e terra; mi viene in mente una poesia di Neruda in cui diceva: ".....Pero no amo tus pies/ Sino porque anduvieron /Sobre la tierra y sobre/ el viento y sobre el agua, / hasta que me encontraron" (...) (= ma non amo i tuoi piedi se non perché andarono sulla terra e sul vento e sull'acqua, fino a ché mi incontrarono...).

La periferia moderna è costruita in una specie di stile" locale, "berbero".




§. l'oasi di Merzouga e il grande Erg

Un deserto di terra nera piattissima e dune all'orizzonte...

Terreni secchi, pietre, poi sabbia, sabbia, e infine il gran palmeto. 

Da lontano si vede già Merzouga, dominata, o meglio sovrastata da una grande duna che incombe sul paese e dà una bella connotazione al paesaggio. 

Fuori dal paese c'è un laghetto, Dayet Srji, che è un grande invaso d'acqua, un reservoir. Ci vivono fennicotteri rosa e varie specie di uccelli.

Gli ouidian (plurale di ouadi) Ziz e Rheriss che scorrono un po' paralleli, bagnano l' immenso palmeto del Tafilalet soprannominato anche "La Mesopotamia del Maghreb", e grazie a ciò i Filalì (gli abitanti del te-Filalt) si arricchirono grazie a datteri (come dicevo si parla di un milione di palme), legumi, mais, orzo, frutta e verdura, e anche grazie all'artigianato e al commercio, che oggi soffrono per la persistente siccità (non ha mai gocciolato una singola gocciolina da più di tre anni) e sono a rischio di desertificazione .
Dalla periferia di questo villaggio, si elevano le dune dell'Erg Chebbi, alte anche 250 metri, oltre c'è l'Algeria. Si narra che il vento provochi tra le sabbie una sorta di mormorio sommesso, detto anche il canto delle dune, prodotto da leggendari abitanti sotterranei (o dagli spiriti degli schiavi neri qui sepolti). L' erg Chebbi è lungo 27 km e largo 6...
Rachid ci racconta che una volta che era in sosta qui e aveva dormito in auto, quando si è svegliato al mettino c'era la strada invasa dalla sabbia, e non ha potuto ripartire. Ci dice che M6 (soprannome abbreviativo per il re Mohammed sesto) ha da subito dato una svolta innovativa e ammodernatrice anche più tollerante e moderata. Il padre Hassan secondo osservava ancora delle antiche tradizioni come quella di tenere nella sua corte a palazzo le donne più belle o più interessanti. che per vari motivi gli venivano presentate e/o offerte.
A Merzouga, il luogo di sosta di touaregh, degli "uomini blu", delle tribù dei Reggeibat, degli Ida, dei Blal, e degli 'Aït Hussa, così chiamati perché le loro djellaba erano tinte con l'indaco che lasciava il colore sulla pelle. 
Ci fermiamo all'Auberge bivouac "Palais des dunes", che è un po' isolato e fuori dal paese, ed è in corso di rinnovamento. Le stanze sono ben fatte e spaziose, ma poco illuminate. 



 Stiamo a chiacchierare con Rachid, poi vado sul terrazzo sopra le stanze, a vedere il tramonto rosso con la silhouette delle palme controluce. 
Preferiamo poi cenare in camera anziché nella "tenda berbera" all'aperto perché c'è molta arietta freddina. Le temperature vanno facilmente allo zero.
Poi quando il venticello si ferma usciamo a veder le stelle, anche perché stanotte non c'è la luna, e rimaniamo letteralmente strabiliati dalla limpidezza, grandezza, luminosità e nitida visione ... !! c'è la stella della croce del sud che sembra un faretto... Per la prima volta vedo tutta la Via Lattea completa da orizzonte a orizzonte ... e soprattutto ci ammalia e meraviglia il fatto che il cielo sia così fitto ... si vedono una miriade di stelle in più del solito! che cielo che c'è! si son viste pure un paio di "stelle cadenti". Nonostante l'arietta freddina restiamo fuori a lungo, sempre con lo sguardo all'insù ...   (purtroppo niente foto... sigh)

13 dicembre, giovedì  (IX nono giorno)

Sveglia alle 5 e mezza! per andare con i dromedari a vedere l'alba sulle grandi dune dell'Erg Chebbi. Il nostro accompagnatore è un ragazzo di 16 anni, carino, simpatico e gentile, aiuta annalisa a montare, poi a scendere, e a camminare in salita sulla duna. Il percorso dura una ventina di minuti abbondanti, e poi si ferma sotto una cima, e ci saliamo arrancando nella sabbia che cede e scivola. 



il ragazzo e Annalisa




In cima mette delle coperte sul crinale per farci sedere, e in effetti la sabbia è ben fredda. Arriviamo in tempo prima che albeggi. Dinnanzi a noi l'oceano con le onde sabbiose. L'Algeria è là davanti a meno di 60 km. Purtroppo si formano delle nuvole all'orizzonte, e dunque il sole spunterà sopra di loro solo un po' più tardi. E' bellissimo, il silenzio è totale. Poi comincia tutto a cambiare colore, e si delineano le differenze nette tra luci e ombre. I colori continuano a modificarsi.







Restiamo incantati là a guardare l'orizzonte.



Poi ritorniamo coi dromedari, e andiamo a fare la prima colazione. 


ritorniamo pian piano


§. verso Zagora passando per N'kob

Quindi partiamo alle 9 da Merzouga verso Zagora. Prendiamo la N12. "Attention! risque d'ensablement" avvisa un cartello stradale. Poi attraversiamo una grandissima piana piatta di terra nera. Ascoltiamo "Radio AMZ" che è l'unica che si riceve qui e Rachid dice che è in un patois tamazight arabizzato. La trasmissione è un dialogo sui problemi delle scuole, perché oggi c'è una manifestazione di protesta di studenti delle medie a Rissanì. Dopo Rissanì prendiamo a sinistra la 3454, una strada minore ma buona, si passa a fianco dello ksar degli Ouled Saadan.
Rachid ci confessa che quella prima notte a Ouarzazate nella grande villa vuota del suo amico, non aveva dormito, ma non perché avesse paura dei ladri, ma dei mostri, di vampiri, o esseri di quel genere .... (!).
pianta tipica della hammada



E vai, e vai, cambiano i paesaggi, i colori, i diversi "tipi" di deserto, o di terreni aridi. Infine, dopo Al Nif, ci sono effetti-miraggio. Ma è solo una illusione ottica perché il vero problema è la siccità, e gli alberi sono senza acqua. Ci sono in questa zona, ma solo alla notte, il fennec, con le sue lunghe orecchie, lo scinque, che significa "pesce della sabbia", il cosiddetto "grand-duc", che ulula, degli "scoiattoli" (uno ci attraversa la strada proprio ora davanti a noi), lapins selvatici, capre pelose, uccellini, cicogne, rospi, ... insomma c'è tutta una vita particolare tra le sabbie e le pietre roventi.

 Continuiamo il percorso, con 3454, poi 3458, e un tratto della 3460.
Si possono a volte fare dei pozzi profondi e tirare su acqua per le coltivazioni, ma nella zona arida spesso l'acqua è troppo salata o contiene dei minerali, degli elementi chimici che fanno poi morire le piante ... Sono complessi e gravi i problemi legati alla aridità dei suoli, senza acqua non si può fare niente, nemmeno tenere delle capre, né altro, tipo un orto per coltivarsi legumi o ortaggi, persino le palme che hanno radici molto profonde non fanno più i datteri... I giovani se ne vanno se non trovano da fare qualcosa con il turismo, unica fonte di guadagno da queste parti (che è anche causa di defezione scolastica). Ora certi villaggi cominciano ad avere pannelli solari come fonte di energia.
All'ingresso in villaggi, borghi e cittadine, bisognerebbe andare a 40 kmh. ci sono frequenti controlli della polizia stradale.






Attraversiamo Taret, poi Tezzarine, poi ci conviene prendere a destra la 3460 (se no dopo poco poi la strada diviene una pista, oramai in malo stato). Il giro comporta aggiungere 35 km in più, ma ne vale la pena. Forse fra un anno e mezzo la strada diretta R108 verrà restaurata, rinnovata e ripristinata... Da Tazzarine a destra sulla 6956. O se no, da Al Nif c'era anche una buona pista. 







Ci fermiamo per il pranzo all' Auberge "En-Nakhile" (=le Palmier), con un bel cortile fiorito e una terrazza panoramica stupenda. Si trova in internet in www.kasbah-nkob.com  


questo paesone, N'kob, è detto "il paese  dalle 45 kasbeh", ed è effettivamente così. 



La cittadina è alle pendici del djebel Saghro, dove ci sono qui nei dintorni graffiti rupestri preistorici, e fossili di trilobiti (i primi esseri viventi dotati della vista) e di odontochile. 
Qui ha anche vissuto padre Charles de Foucault.



Si producono in gran quantità datteri, frutta, henné (che si dice hannah), che si vende in foglioline secche o in polvere, safràn (=zafferano in pistilli, non polverizzato come da noi) nella misura di 25 quintali per ettaro, e ortaggi e legumi. 
Rachid ci dice che nelle case si mangia con le mani (già lo avevamo visto, e provato, nel precedente viaggio, e non è per noi cosa facile...), e durante le festività, quando c'è il gran piattone centrale di couscous, il prendere da lì con le mani e portarselo direttamente alla bocca rende il mangiare più buono, perché di maggiore soddisfazione, e lo si digerisce anche meglio ... (!?...). Ieri sera ci aveva detto che dormire sotto le stelle è cosa che non fa bene, un detto arabo è che bisogna avere sempre qualcosa per tetto, anche solo una tenda, se no causa mal di testa e si dorme disturbati... Lui questa notte in albergo ha dormito male, e allora gli ho detto: eppure avevi un tetto sopra..., ma lui non ha còlto la battuta ironica, e mi ha risposto di no, che non era dovuto a quello ... (quindi??...).
Prendiamo: annalisa un tajine con prugne e mandorle e uova sode, e io il pollo alla brace (spolverato di zafferano) con patatine al forno, che bontà !! le patate erano veramente ottime!! tra mangiare e bere in due spendiamo 135d, quindi sono meno di 7€ a testa.
Il sole è fortissimo (ci sono 26° gradi) e ci facciamo spostare il tavolino all'ombretta di un alberello.
Ci sono cammelli (in realtà sono sempre solo dromedari) e capre tra i sassi dell' hammada. lungo la strada c'è un cartello triangolare con il disegno di un cammellino e sotto la scritta "attraversamento cammelli!". Qui più che altro sono marroni scuri, o neri, vicino a Marrakech sono gialloni-ocra, in certi posti sono persino bianchi o chiari.
Rachid quando parlando ha da fare riferimento a un certo mese, dice i mesi indicandoli non per nome ma con il numero (il mese sette, o il mese due ...), forse fatica a imparare le denominazioni del nostro calendario, che è sfasato rispetto al loro anche nella numerazione dei giorni. 
Vediamo spesso studenti che vanno o che tornano da scuola, e questo è dovuto al fatto che ci sono turni in ogni scuola perché gli edifici scolastici sono insufficienti, e quindi vengono usati alternativamente durante tutto il corso della giornata.



§. nella valle della Draa

Eccoci nella valle della Draa !!! lo ouadi (o oued) Draa è un lungo fiume, il più lungo del Marocco, che nella parte alta, che vede la confluenza anche del rio Ouarzazate, ha un buona portata d'acqua, e vi sono molte canalizzazioni (seguia) che da tempi immemorabili si dipartono per l'irrigazione, ma il fiume invece poi nel corso inferiore è piuttosto asciutto e si riempie quasi solo d'acqua piovana, e poi si interra e scompare alla vista, inghiottito dalle sabbie, si perde nell'altopiano Hammada du Draa, e attraversa nella profondità la regione a oriente dell'anti-Atlante, per 250 km, infine per riaffiorare in superficie dal nulla, fare da confine con l'Algeria, e poi un tempo era il confine tra il protettorato francese e il territorio spagnolo, e infine sfociare nell'oceano. Quindi si calcola che dalla sorgente alla foce misuri 750 km. 
Andiamo dunque a sinistra sulla P31. Lungo la valle gli ksour e le kasbeh ancora in piedi sono almeno una cinquantina. 

Giustamente la vecchia guida Fodor dice (a p.344) che sarebbe bello poterla sorvolare e vederla da un aereoplanino (ne partono da N'kob) per rendersi pienamente conto della realtà di questi territori: da entrambi i lati della striscia verde del fondo valle, a sole poche centinaia di metri dallo ouadi, non vi è che la sconfinata distesa del hammada, del deserto sassoso, assolutamente brulla e spoglia (ma dai bellissimi paesaggi e colori...). Tutta la vita, l'attività umana è ristretta in questa striscia rigogliosa, in cui le popolazioni sono da sempre state "condannate" a vivere isolate e a contare solo su se stesse; in questo straordinario paesaggio ecco una miriade di ksour di terra rossastra o color ocra, a guardarle ci si sente ri-trasportati indietro nel tempo al medio evo, o all'antichità o ancor prima a tempi arcaici. 
Qui a Tanzigt (o Tansikht) si producono grandi quantità di datteri; i datteri da quando vengono colti si conservano in un luogo fresco anche per un anno o due. Datteri e fichi sono prodotti solo naturali, dai fichi si fa un olio, un estratto che è buono per i capelli. Ci sono anche melograni. Ci sono palmeti grandissimi. Le palme da dattero si dice che "hanno i piedi in acqua e la testa infuocata", per dire che hanno radici molto profonde e il loro carico di frutti è esposta ad un sole cocente. 

Spesso ad occuparsi degli orti e dei giardini sono gli Harratines, i neri già menzionati, che discendono dagli antichi schiavi africani ('abid) e che ora sono in pratica dei mezzadri. 

Passiamo Igdâoun, e poi attraversiamo Tiazourine con una vecchia e bella kasbah in rovina. Tinzouline.... Si vedono cartelli che segnalano attività legate a vari progetti di sviluppo e di cooperazione internazionale. 

Infine breve sosta a Tizergat con una casbah-castello molto suggestiva, subito prima di Zagora, già quasi in periferia.




§. nella grande oasi di Zagora
Ed ora eccoci arrivati a Zagora (o Zagoura), che chiamavano anche porto, perché vi trovavano ristoro nei caravanserragli i dromedari delle carovane. A Zagora, gli Almoravidi vi avevano costruito nell' XI secolo una fortezza di grande importanza strategica. 
Andiamo alla Maison d'hôtes "Riad Lamane" (= che significa "albergo di fiducia"), che è un pochino in periferia dopo un ponte in uscita sud, andando a destra lungo un canale, poco prima del "camping de la palmeraie", nel quartiere Amezrou, che è il nome del palmeto. Ha un magnifico giardino e ci danno una grande camera-bungalow (anche questo albergo è semi-vuoto), il tutto in stile tradizionale, molto ben fatto da un bravo architetto (cfr. www.riadlamane.com). Ci porta in camera il giovane Jallal, molto gentile, sorridente e simpatico, con cui scherzo un po'. Ma anche qui tutto è concepito in modo che non entri mai il sole, e soltanto poca luce, le finestrelle sono schermate con vetri colorati, quindi la camera che è sempre stata chiusa e all'ombra, è fredda, e i condizionatori anche qui funzionano malino per fare calore...  Quindi pure qui, in questo bellissimo albergo, soffriamo il freddo alla sera, di notte, e al mattino. Zagora è alla stessa altitudine della nostra casina a Cencenighe, e ora è pur sempre inverno ...Ce ne lamentiamo un poco con Jallal, che ci dice di non preoccuparci che sa lui una soluzione.
Per cena prendiamo del couscous con cipolline dolci affettate a striscioline fini e uvette, e legumi, stupendo. Anche se la bella sala ristorante è freddina, nonostante mettano delle braci in un piatto nel caminetto. 

Il cous-cous, diversamente da quel che credevo, non si trova di frequente perché sarebbe il piatto del pranzo del venerdì, e richiede tempo per la sua preparazione (per fare i granelli di semola e cuocerli), perciò di solito non c'è nei ristoranti, ma ora si vendono anche qui quei pacchetti con gli ingredienti precotti e allora qualche trattoria comincia a proporlo. Si tratta di semolino cotto al vapore con un buon brodo di carne e verdure e poi servito con la guarnizione che si preferisce, di solito carne e salsa, ma anche vegetariano (e come dicevo, persino dolce).


una tavola famigliare con coucous ai legumi 


Usciamo a fare un giretto lungo il canale. 



Torniamo in camera e troviamo che Jallal ha acceso a tutta forza la doccia calda sinché ora veniva un getto potente di acqua bollente e fumante, e avendo lasciata aperta la porta del bagno ormai tutto è in una nuvola di vapore caldo!! la sue trovata era di fare un hammam...! ma ora la spegne e c'è umidità ogni dove, è tutto un po' bagnatino in superficie, lo specchio, le porte, i muri ....

venerdì (X decimo giorno) 14 dicembre 2012 (per i berberi invece è l'anno 2962)

Al mattino, in quella stessa bella sala freddina, ci servono una sontuosa prima colazione. Con le varie "crèpes" che a me piacciono tanto: ci sono le piccole Bghir rotonde, le Sefenge, quelle con tanti piccoli buchini, e le mes'eman quadrate. Ci si mette dentro un po' di marmellata, ad es. di fichi, o di arance, o di cigliege, o di mandarini, oppure il loro magnifico e saporito miele. Poi ci sono delle buonissime brioches, e il pane che è tanto buono, burro, formaggino, eccetera, con vari tipi di thé (verde, alla menta, o nero), oppure caffelatte, ecc.... insomma un petit déjeunner per nulla petit...





§. a Tamgrut
Usciamo dalla cittadina verso sud, e per molti kilometri non c'è nulla, assolutamente nulla a perdita d'occhio in ogni direzione si guardi. 

Arriviamo a Tamgrut, o Tamegroute, un interessante paesino nel deserto, di una miseria e di uno squallore assoluti. E' noto per la sua antica moschea, e per la annessa medersa, scuola di teologia coranica, che attualmente è ancora frequentata, ci sono 80 allievi al momento. Si tratta della scuola della zaouïa (ovvero confraternita musulmana) dei Naceuryia, ed il motivo della sua attrattiva è che possiede una biblioteca del XII sec. con ben quattromila manoscritti antichi e medievali, codici minati e testi di filosofia, di religione, di storia, di astronomia e geografia, e di arti mediche. La visita vale assolutamente la gita a Tamgrut. Non ho potuto fotografare, ma ci sono degli esemplari magnifici e rarissimi, che interessano sia la storia delle scienze che quella religiosa e letteraria. 

Ora, tornati a casa quel che mi fa impressione è che circa solo un mese dopo questa nostra visita, è giunta in Europa la notizia che la straordinaria grande biblioteca di Timbuctu nel vicino Mali (per certi versi simile a questa), è stata parzialmente distrutta e incendiata durante gli scontri bellici tra islamisti e l'esercito francese. Si trattava della più importante e ricca biblioteca di tutta l'area sahariana, che documentava la ricchezza culturale di queste popolazioni, di cui questa biblioteca di Tamgrut non è che un piccolo esempio. Testi stupendi e importantissimi che furono portati in queste cittadine isolate, uno ad uno sui dromedari attraverso l'oceano di sabbia, nel  corso dei secoli...
La kasbah ha 7 mila abitanti, e comprende anche una ville souteraine, una parte ipogea, dove d'estate si può stare più al fresco (e che era anche un nascondiglio per la popolazione nei casi in cui veniva presa di mira da predoni. Anche qui c'era una importante e numerosa comunità ebraica, ora emigrata. 









Ecco entriamo nelle interiora del borgo. Giriamo per la medina, che è buia e misera, e consta in un vero labirinto di ruelles, di vicoletti, con ripari di paglia sopra al percorso stradale in modo da garantire ombra. Sembra di percorrere un tunnel. Ogni tanto si aprono di lato dei passaggi a volte molto bassi, o dei portoni che danno su case e ambienti domestici intercomunicanti (e si intravede lo squallore di questi abitacoli). Il terreno è di sabbia e polvere.





Ad un certo punto ci si affianca un giovane Harratine (che però non conosce la lingua originaria della sua comunità d'origine) e che invece sa un po' di italiano perché sua sorella è andata a lavorare in Sardegna. La povertà che si vede è estrema e malinconica. Ci sono abitazioni tristissime. Ad un certo punto un anziano non vuole lasciarlo passare davanti alla sua casa,  si mette ad urlare, lo minaccia col bastone, grida e strepita, e allora facciamo tutto un gran giro per raggiungere il suo negozietto, dove vende i prodotti del laboratorio famigliare di ceramiche. I vasai cuociono piatti, boccali, giare, in forni arcaici all'aria aperta. Il colore verde si ottiene con il manganese e il rame, il marrone con l'antimonio e il rame. Non sono un gran ché. Questi forni riforniscono anche gli edifici religiosi di tutto il paese con le tipiche tegole verdi. 




Qui ci sono veramente molti di pelle scura. Alcuni hanno il turbante bianco che passa anche davanti alla bocca.
l'accompagnatore harratine

Si potrebbe poi proseguire per Tagounite, e verso il deserto di Salah, e vedere le dune dell'Erg Laudì (cioè "degli ebrei"), e più in là lo Erg Chegagà, altrettanto bello di quello di Merzouga, ma noi ci fermiamo qui.
Il nostro "amico" harratine ci mostra alcune abitazioni che furono ebraiche.
Un po' in tutta la regione Trans-Atlas c'erano comunità ebraiche sin dall'antichità. Le prime comunità giunsero ai tempi della prima distruzione del tempio di Gerusalemme nel 586 avanti C., e altre ondate si prolungarono dal 70 sino al VII sec. d.C. In 160 mila sono emigrati da questa zona nel 1948-56. E oramai è tutto abbandonato e in rovina, anche se poi alcuni sono venuti di recente in Marocco per tentare di ri-vivificare la presenza ebraica. 
Ancora sino a pochi anni fa la maggioranza assoluta degli abitanti di Israele era composta da immigrati (o rifugiati) da paesi islamici. In particolare i lavoratori del sud marocchino (così come quelli yemeniti, o libici) essendo generalmente non qualificati per inserirsi in quel mercato in via di rapido sviluppo, si sono trovati ad essere collocati ai livelli più bassi della scala sociale e occupazionale. Ancora oggi comunque conservano forte il sentimento di identità marocchina.
Dalla data sul giornale locale "Le matin" (in cui la data è indicata secondo quattro calendari) apprendiamo che oggi nel calendario lunare ebraico è il 1° giorno del mese di Tevét 5774.







Usciamo dalla vecchia medina.



Torniamo a Zagora (pronunciato Shgura), e andiamo al mercato coperto, 


dove annalisa compra a buon prezzo una scatola di due kili di datteri di buona qualità (6€ per 2kg270), e poi passeggiamo nello stradone centrale con negozietti e bar-café. Anche qui annalisa si ferma in alcune botteghe a cercare dei regali da portare a casa e compera qualcosa, ma più che altro queste soste sono occasioni per conversare di un po' di tutto con i negozianti, poi si contratta a lungo, e si passa il tempo.Comunque qui si trovano dei bei bijoux e monili berberi anche d'argento, che riproducono in modo simbolico la stella della croce del sud.

Intanto Rachid è andato a pregare in moschea (dove c'è praticamente quasi tutto il paese). Quando è finita la preghiera, un fiume di gente esce, 

 i fratelli "caino/abele" in motorino...






e Rachid ci raggiunge e ci dice che prima aveva comprato per noi tre sacchetti di spezie: uno di zafferano in polvere (che è meno concentrato del nostro), del cumin (per il tajine), e un terzo sacchetto di b'zar, che è una sorta di pepe leggero. Poi vorremmo prendere un sacchetto anche di mélange des épices, ras el-hanout, composto da decine di spezie in proporzioni variabili. 






Ma ora andiamo a mangiare in un bar moderno sulla piazza d'angolo con la rotonda, con i tavolini all'aperto (ci sono 27° gradi al sole) il café-restaurant-snack "chez Omar", frequentato sia dai locali che dai rarissimi turisti, dove mangiamo bene e molto a buon prezzo. Ma questa volta non prendiamo nessun tipo di tajine.


Prendiamo invece due ottime omelettes au fromage blanc, e Rachid prende i kefte (polpette) con sopra due uova fritte, e da bere prendiamo un succo misto di arancia e avogado (senza acqua aggiunta) che è squisito. Si tratta di un frullato, per cui si spreme l'equivalente di un bicchiere e mezzo di arance (che in arabo si chiamano limùn), lo si versa assieme a mezzo avogado maturo nel frullatore, e viene una crema squisita. Totale complessivo 110 dirham, cioé 10 €uro per tutti e tre...
Impariamo che wakh è equivalente a naham, cioè oui, sì; mentre wakà sta per ok.
C'è una bella aria pulitissima e nitida, e il clima di qui a quanto dicono è salutare.


Rachid ci racconta che ha una sorella più che quarantenne non sposata, e che qualche anno fa si era invaghita di un uomo che la corteggiava e che la voleva in moglie, ma lui quale fratello maggiore si è ben informato e poi non ha dato il suo permesso perché aveva visto che era dipendente dall'alcol, dopo di ché lei non gli ha più rivolto una sola parola per tre mesi; poi il tale è stato arrestato per ubriachezza, e lei ha accettato la cosa.
Vado a sbirciare dietro alla moschea dove ci sono dei venditori (e dei/delle aquirenti) venuti dalla campagna in occasione del venerdì.




Sentiamo casa per cell. e ci dicono che da noi è caduta della neve e fa veramente freddo...(!)
Comunque qui in camera ora l'aria condizionata incomincia a fare effetto e riscalda bene; le coperte sono di fustagno!
A cena riprendiamo la soupe aux legumes (forse avremmo potuto scegliere la harira, che ci era piaciuta... e che è una zuppa a base di legumi, carne, pomodoro e spezie), e poi un tajine anch'esso aux legumes, e una crèpe au miel squisita. In sala da pranzo il piatto di braci non basta, e il condizionatore si è guastato, per cui viene uno con tante foglie di palma secche, e dei pezzetti di legna, e accende il caminetto
Le stelle fuori sono sempre straordinarie, è uno spettacolo che non manca di sorprendere.
Diamo la buonanotte (layla saïda) a Rachid che ci racconta di turisti sussiegosi e indifferenti che lo trattano come autista e nulla più, durante i tour nemmeno gli rivolgono mai la parola, e se ne stanno solo tra di loro di dietro, e altre lamentele simili...

15 dicembre sabato, undicesimo giorno di questo viaggio 
(nel calendario musulmano è il 30 Moharram 1434, cioè la fine del primo mese)



Partiamo per percorrere verso nord tutta la valle del Draa. 
Appena appena fuori dalla cittadina, di nuovo il nulla, o oasi isolate. 



Ci sono tante rocce come a riquadri, a cubetti... che strane formazioni. Si susseguono vari grandi palmeti e villaggi, e ksour fantastici uno dietro l'altro in ogni villaggio. 



Vediamo donne trasportare legna, o assai cariche vecchie con sacconi enormi, donne con pesi sulla testa, e anziane con grandi gerle sulle spalle. Uomini al lavoro, asinelli ...





Passiamo Tumzmout, si cambia strada ad Afra a sinistra. 
Si segue lo ouadi Al-emta fino a Tanzigt, poi si passa il bivio verso Tazenught (dove fanno i famosi tappeti berberi, del tipo klimt). Anche qui al mercato sotto questa kasbah, facevano sosta i carovanieri arabi e africani. 



Ci fermiamo all'uscita di Agdz (pron. agdès) in un bar-ristoro lungo la strada. Ci sono all'ingresso nel cortile due dromedari che sono appassionati di bottiglie d'acqua e anche di bibite. Se gli si da una bottiglia di plastica da un litro con acqua mescolata con un po' di cocacola (che qui, scritta in arabo, diventa Kù-Ka Kù-La), la prendono tra le labbrone e tirano su la testa allungando il collo in verticale e si bevono tutto, e poi con un colpo del capo, buttano lontano la bottiglia vuota. Abbiamo provato a ripetere la cosa con le bottiglie vuote cadute, ma non si lasciano imbrogliare. 

Sono in due e fanno a gara tra loro per dare questo divertente-stupido spettacolino che comunque fa molto ridere. Ma il nostro Rachid ci dice che solo poche persone sanno di questo e vengono apposta in questo punto-ristoro, mentre in generale la gente passa oltre il cortile e va direttamente al bar. Ci fermiamo a riposare tra le palme sparse. 
Poi si va su al passo Tizi n'Tinififft, col dosso di 'Aït - Sadoun, che da il nome alla regione, e si giunge a 1660 mt slm, con una salita rapida e ripida di tornanti che mi disturba un po' lo stomaco, e su c'è un altipiano tutto sassi 


e con montagne e colline con i rilievi della loro formazione geologica, che sembra di guardare una cartina topografica con le linee di altitudine...



Cañyons di pietra con "pavimentazione" e pareti lisce lisce. Paesaggi variabili e fantastici.
 Poi dopo jebel Tifernine si scende direttamente giù fino a Ouarzazate, che è a mille mt. slm.

§. a Ouarzazate e alla kasbah Taourirt

Stesso albergo "Les jardins de Ouarzazate", ma questa volta in un'altra camera che è buona e col condizionatore che funziona. Già alla partenza Rachid aveva telefonato dicendo loro di accendere sin da quel momento il condizionatore, in modo che avremmo trovato la stanza già calda al nostro arrivo, ma quando ci accompagnano su al piano, aprendo la stanza in quell'istante soltanto accendono ...

la réception

dalla nostra finestra

Così usciamo subito e andiamo a visitare la casbah Taourirt e la medina che l'altra volta avevamo solo visto da fuori. 

Giriamo nel quartiere berbero e in quello arabo. Ci abitano circa 350 famiglie. 


scuola coranica


tipico negozietto della medina

Siamo un po' frastornati e stanchi, e non andiamo a vedere la mellah, il vecchio quartiere ebraico, tanto...anche questo è abbandonato (le comunità ebraiche furono in buoni rapporti col pascià berbero el-Glaouì, e con i francesi, cfr. Canetti, p.81), a cui si ha accesso dall'altra parte, nè entriamo nel palazzo dello ksar dato che ci sono da fare scale (e poi è simile al primo che avevamo visitato a Teluèt), mentre ci soffermiamo in un negozio che è anche un passaggio, e ammiriamo un soffitto in legno di cedro dipinto.



Pranziamo in un posto che è lì davanti dall'altro lato della strada, in tavolini all'aperto (anche qui ci sono 27° al sole) un ottimo e abbondante couscous (ce ne facciamo portare ancora, dato che ci dicono che si può...) per 60 dirham a testa ("Lakasbah restaurant Etoile").
Poi arriva con il pullman da Marrakech la moglie di Rachid che è venuta a conoscerci e a passare il weekend col marito. Si chiama Meriem (pron. m'riem) ed è una giovane cordiale.




 Con lei e Rachid andiamo a "le souk municipal", anche nella parte all'aperto, dove non c'è proprio nessuno straniero, e dove ci comprano dei regalini (olio d'Argan, olio di rose, rose secche, hennà, crema, paglie per togliere il tartaro dai denti) dato che loro li pagano il giusto, e sanno anche verficare la qualità. Lui già ci aveva dato zafferano, pepe e comino, quindi sono davvero molto gentili. Vediamo un paio di negozi di passamaneria - merceria molto forniti. Gabbie di conigli (che mi impediscono di fotografare), e di polli vivi, che si passano lanciandoseli da lontano. Drogherie, macellai, eccetera. 


casseruole per tajine

Passeggiamo e chiacchieriamo nella grande Place el-Mouahidine moderna. Diamo le ultime caramelle a dei bambini (ma uno ci dice che i dolci fanno male), e dell'elemosina a delle vecchie contadine berbere venute giù in città al mercato, e a dei vecchi poveracci. E così finiamo le nostre scorte di cose da dar via. 
Torniamo in albergo dove lei ci fa foto e video con il suo tablet Blackberry, e Rachid mi chiede comsigli su come farsi da solo un blog.
Prepariamo le valige. Anche a cena siamo a tavola con loro. Prendiamo harira, e brochettes di tacchino (gli spiedini di carne alla griglia sono uno dei piatti più diffusi in tutto il Marocco ). 
Rachid e  Meriem a cui chiediamo se è obbligatorio per un musulmano non bere neanche un bicchiere di vino, raccontano la storiella di un certo "Saïd" che da anni viveva a Parigi e era molto integrato nella vita francese, per cui si comportava come tutti gli altri, se c'era un ritrovo tra amici si beveva qualche bicchierino, se c'era da andare a divertirsi lo faceva, ma credeva e si diceva musulmano, a Ramadan magari faceva un digiuno simbolico al primo giorno; .... e un suo amico che aveva interesse e simpatia per la religione musulmana va da un Imam (o da un alim) e gli dice che vuole convertirsi, allora quello gli risponde che dovrà rispettare i cinque pilastri della fede (che ho già menzionato nella prima puntata di questo diario), niente bere, né lussuria, digiuno per tutto il mese del Ramadan, eccetera, e lui risponde: no, no, io voglio essere quel tipo di musulmano come lo è il mio amico Saïd ....


l'ultima cena in Marocco, con Rachid e Meryem

Abbiamo dunque fatto un giro di circa 1250 kilometri in sei giorni pieni più l'ultima mattina (accompagnamento all'aereoporto) per 525 Euro a testa inclusa auto, benzina, autista e sue spiegazioni (suo dormire e mangiare), prenotazione alberghi, cena, notte, prima colazione. (Rachid Labid, mail: rachmer@live.fr).


16 dicembre domenica, dodicesimo e ultimo giorno del viaggio

Sveglia alle 3 di notte..., Rachid ci porta in aereoporto per prendere il volo della Royal Air Maroc delle 5:30 per Casablanca (che in Marocco tutti chiamano Casà), dove poi aspettiamo la coincidenza con il volo della RAM, AT946, di ritorno a Bologna. Scesi dall'aereo, in cui ancora si parlava arabo e francese, e c'erano molti marocchini, ... il viaggio è oramai proprio finito ..... 

I figli ci vengono a prendere e nel tragitto in auto verso Ferrara incominciamo a riferire, c'è nebbiolina fredda e un po' di neve ai bordi stradali, il cielo è grigio. La realtà che ci aveva fino ad ora circondato si è già trasformata in racconto, un po' fiabesco...

carlo_pancera@libero.it

Questo diario è presente anche 
su Viaggi&Miraggi (http://www.viaggimiraggi.it/Diari/?number=550), 
e su ViaggiareLiberi.it

Come lettura sui berberi del sud del Marocco posso segnalare in trad. it. solo un vecchio libro di Ange Koller (1953)


certo da allora molte cose sono cambiate: il Paese si è rapidamente sviluppato sul piano economico e sociale, ed è stato molto ammodernato. Il turismo è cresciuto. Ma sopratutto il litorale nord sul mediterraneo è divenuto il punto di arrivo del fiume migratorio di chi dall'Africa Nera attraversa il deserto per cercare poi di passare in Spagna e da lì in altri paesi d'Europa...