sabato 7 dicembre 2013

Mandela e la cultura bantu

CONSIDERAZIONI IN RICORDO DI MANDELA (95 anni)

Mandela indubbiamente incarna la figura dell'eroe liberatore, e del padre della patria. E' stato e resterà una icona, un punto di riferimento ideale, un personaggio esemplare per molti versi. Ma anche lui è diventato quel che abbiamo conosciuto in questi ultimi 30 anni, così riverito con affetto, lo è diventato nel corso della sua lunga vita, delle esperienze attraverso cui è passato, e su cui ha riflettuto. Nessuno nella realtà nasce eroe o santo, la vita ha senso proprio in quanto è un divenire, un percorso, un percorso che si spera possa essere evolutivo. Ma oggi è ora di rivederlo a tutto tondo, nella sua interezza, con uno sguardo non "più mitizzante", come accade e come è sempre accaduto post-mortem, ma finalmente più vero, umano, per guardare a un personaggio ricco di complessità e anche di contraddizioni. Ora egli è morto, o come si dice nella tradizione del popolo xhosa: wayibeka inqawa, "he has layed down his pipe", ha deposto la sua pipa (quella che si fuma in compagnia), quindi non è più "oltraggioso" o irriverente nei suoi confronti parlare anche di certi aspetti della sua storia passata...
Sono dunque andato a rileggermi alcuni episodi della sua vita che avevo letto in occasione del mio viaggio del 2008 in Sudafrica.


All'interno della grande e variegata etnia Bantu vi sono nella parte orientale della Provincia del Capo, gli Xhosa (che alla fine del regime dell' Apartheid sarebbero circa 8 milioni in Sudafrica). Questi erano stati in parte confinati nei due "Bantustans" (o Homeland) del Transkei e del Ciskei, regioni "autonome" africane sui due lati del fiume Kei (in realtà erano delle specie di "riserve" coatte per gli "indigeni"). 



Il futuro Presidente nacque e crebbe a Qunu nel Transkei, nella tribù dei Thembu, grande clan famigliare legato alla Corte del trono tradizionale africano della regione. Nipote del rispettato Capo Mandela, e figlio di un benestante padrone di mandrie con quattro mogli, il Nostro fu chiamato da piccolo, Rolihlahla, (che può venir tradotto come "rompiscatole" o "piantagrane", o "attaccabrighe", o "guastafeste"), e poi alle scuole elementari dei missionari metodisti gli venne assegnato dalle autorità scolastiche il nome, secondo loro più "rispettabile", di Nelson (come il famoso ammiraglio inglese). Mandela poi scriverà nei suoi ricordi: «Vedevo che nella pratica [...] l'ambiente educativo delle scuole missionarie era molto più aperto di quanto non lo fossero le scuole governative». Come adulto fu chiamato a partire dai 16 anni Dalibhunga. Ma se ne andò dal villaggio natale per sottrarsi al matrimonio combinato col consenso di sua madre dagli anziani della assemblea tribale,

confermando così il suo appellativo di Rolihlahla, e andò a vivere nella grande metropoli dello Stato boero (afrikaner) del Transvaal, a Johannesburg, dove si impegnò negli studi. Fu il primo xhosa ad iscriversi all'università (ebbe tra i compagni di classe anche due ebrei, Joe Slovo e Harry Shwarz, molto contrari al diffuso antisemitismo e al segregazionismo, e un meticcio, Walter Sisulu, presso cui alloggiava), e poi fu il primo nero in Sudafrica ad aprire uno studio legale. Sposò la figlia del cugino di Sisulu. Subito dopo si dedicò ad attività di opposizione al governo segregazionista del Transvaal che discriminava neri, coloured, meticci, e persone non di origine europea (indiani e asiatici). Poi con l'irrigidimento della repressione da parte del regime di estrema destra nazionalista e razzista al potere in Sudafrica, fondò con altri l'organizzazione clandestina Umkhonto we Sizwe, "Punta di lancia della nazione", quale braccio armato del partito African National Congress, allora dichiarato illegale. Fin da bambino era stato educato anche a divenire un buon guerriero xhosa: “Imparai a lottare col bastone e divenni esperto nelle mosse: paravo i colpi dell’avversario, accennavo una finta in una direzione per poi colpire nell’altra, mi disimpegnavo dall’avversario con un abile lavoro di piedi”. L'organizzazione di Umkhonto ha compiuto azioni di sabotaggio del regime segregazionista, e di attacco a postazioni militari o di polizia o a centri di interesse strategico per il governo, o sedi di partiti pro-aparthied, che provocò morti e feriti (un'altra occasione per farsi affibbiare il nomignolo di gran rompiscatole, in questo caso da parte dei bianchi razzisti al potere…). "I have a dream" diceva. Fu imprigionato e restò per 27 anni in carcere (con Sisulu e atri compagni). Ma da lì divenne la guida ideale dei diseredati per la conquista del rispetto dei diritti umani, e sentì tutto il peso della responsabilità dovuta alla sua immagine a livello popolare, in cui provò "il senso del potere che deriva dall'avere la Ragione e la Giustizia dalla propria parte".
Dopo il massacro di neri a Sharpeville (1960) non riuscì a vedere altra uscita che la guerriglia urbana.
Ancora nel giugno 1980 riuscì a scrivere alla African National Congress clandestina: « Unitevi! Mobilitatevi! Lottate! Con l'incudine delle azioni di massa e il martello della lotta armata dobbiamo annientare l'apartheid! »



Intanto crescevano gli scontri fisici a volte molto forti tra partiti e fazioni avverse all'interno dello schieramento africano, ad es. tra il partito Inkatha dell'etnia Zulu, guidata dal principe Buthelezi, e l'ANC; oppure tra l' AZAPO composta da gruppi giovanili estremisti, e il Fronte democratico unito, guidato da monsignor Tutu e dal pastore Boesak con conseguenti feriti e anche morti, in una sorta di incipiente guerra civile tra oppositori dell'apartheid, tra gruppi politici, e tra etnie, e anche tra neri. Mandela ne era preoccupato e anche allarmato. Disse: "non sono un santo, a meno che non si pensi che un santo è un peccatore che continua a mettersi alla prova".
Nel frattempo è divenuto assai critico anche nei confronti di un uso indiscriminato della violenza nella lotta contro il razzismo dei bianchi al potere, sia pure da parte di combattenti per la libertà e l'eguaglianza, sopratutto in seguito a una ondata di vari attentati terroristici compiuti da gruppi estremisti anti-apartheid che giunsero anche a mettere bombe in locali e luoghi pubblici frequentati da ambienti segregazionisti bianchi (attentati e bombe che in un decennio causarono in totale 130 morti, di cui trenta erano membri dell'esercito o di forze di polizia, ma cento civili, cioè 40 bianchi e 60 africani che semplicemente si trovavano nei pressi). A volte l'antirazzismo portò alcune persone ad una forma di razzismo alla rovescia!... In Occidente (essendo egli allora percepito come il simbolo della battaglia violenta antigovernativa) il presidente americano Reagan e la primo ministro britannica Margaret Thatcher fecero inserire il suo nominativo nelle liste dei terroristi non graditi sul territorio nazionale (inclusione tutt'ora esistente, nonostante i tentativi poi fatti da Condoleeza Rice, segretario di Stato di Bush, per cancellarlo).

Dunque in questa fase, Mandela modificò il proprio sogno giovanile, e dal 1985 si dedicò a promuovere dal carcere un dialogo interraziale con l'obiettivo dell'instaurazione della democrazia. Con ciò creando irritazione in certi leaders più rivoluzionari, tra cui anche in Winnie Nomzano Madikizela, leader della Lega delle Donne, e allora seconda moglie di Mandela (che aveva divorziato dalla prima la quale, divenuta poi testimone di Geova, disapprovò i metodi violenti di lotta politica...), e in diversi seguaci dell' ala "dura" del movimento di liberazione, che propendeva per l' azione armata guerrigliera, e che erano anche ammiratori di Mugabe, il leader del vicino Zimbabwe ( e perciò Mandela venne ritenuto anche da loro un vero Rolihlahla….).

(Poi una decina di anni dopo si verrà a sapere che anche alcuni partigiani anti-apartheid, giunsero persino a praticare la tortura fino al decesso, per riuscire ad estorcere informazioni ai loro prigionieri.)

Quando uscì dal carcere nel 1990 pronunciò uno storico discorso in cui disse:«Amici, compagni e compatrioti sudafricani. Vi saluto in nome della pace, della democrazia e della libertà per tutti. In tutti questi anni mi sono battuto contro il predominio dei bianchi, così come mi batto contro un predominio dei neri. Ho perseguito l'ideale di una società libera e democratica, in cui tutti possano vivere insieme in armonia e con pari opportunità. È un ideale per il quale spero di continuare a vivere fino a conseguirlo. Ma per il quale, se necessario, sono pronto a morire».

Mandela in quel periodo, tra la sua gente e in generale tra la popolazione africana (e in tutto il Sudafrica) era già da tempo riverito e chiamato "Madiba", cioè con il tradizionale titolo onorifico e di rispetto che è dovuto ai capi, ai saggi, e alle personalità eminenti Xhosa.
Gli Xhosa, sono in Sudafrica il popolo con più lunga tradizione sindacale e politica, sin dall' '800 (l' ANC fu fondato nel 1912), e sono un popolo di antica cultura (che parla una ancestrale lingua del ceppo khoiSan, contenente lo schiocco dei cosiddetti "click").
Si vedano a quest'ultimo proposito i tre post in questo Blog, relativi al mio viaggio in Sudafrica e in Swaziland nel 2008:
http://viaggiareperculture.blogspot.it/2011/11/lantichissimo-popolo-dei-san-sud-africa.html


Esiste una visione, o concezione, del mondo specifica di tutti i popoli Bantu, che è stata illustrata e interpretata dal padre francescano Placide Tempels, Bantoe Filosofie, pubblicato ad Anversa in fiammingo dalla Reale Accademia Belga delle scienze nel 1946 (trad.it. edizioni Medusa, Milano, 2005), e poi dal poeta e studioso tedesco di letterature comparate Janheinz Jahn, Muntu, Düsselforf, 1958 (trad. it. Einaudi editore, Torino, 1961, con pref. di Ernesto De Martino, poi "La civiltà africana moderna", 1976, capitolo IV), nonché dall' etnologo italiano Vittorio Lanternari, Movimenti di libertà e salvezza dei popoli oppressi, Feltrinelli, Milano, 1960, poi Editori Riuniti, 2003).

Mandela si è spesso riferito a quella Weltanschauung o visione dell'Uomo e del Mondo, una concezione per cui tutti i membri dell'Umanità sono simili e collegati tra loro, tutti se rimangono modesti, onesti e impegnati per la collettività possono realizzare i valori dell'umano, come per es. anche nel suo discorso per l'insediamento come primo Presidente nero del nuovo Sudafrica nel 1994, quando disse tra l'altro:

"La nostra paura più profonda non è di essere inadeguati, la nostra paura più profonda è di essere potenti oltre ogni limite. E' la nostra luce, non la nostra ombra, a spaventarci di più … ci domandiamo: chi sono io per essere brillante, pieno di talenti, favoloso? In realtà chi sei tu per non esserlo? Siamo figli di Dio, il nostro giocare in piccolo non serve al mondo. E non c'è nulla di illuminato nello sminuire se stessi, così che gli altri non si sentano insicuri attorno a noi. Siamo tutti nati per risplendere, come fanno i bambini, siamo nati per rendere manifesta la gloria divina che è dentro di noi. () Se tu consenti alla tua luce di splendere, inconsciamente dai agli altri il permesso di fare lo stesso".
Discorso che terminò con "God bless Africa", Dio benedica l'Africa. (Mandela era sempre rimasto un cristiano metodista).



Tornando ai temi che accennavo più sopra, dicevo che dovremmo ricordarci, in occasione della sua scomparsa, di fare un riepilogo di tutta la sua vita (come fece lui stesso nella sua autobiografia: Long Walk to Freedom, "Il lungo cammino verso la libertà", trad.it. Feltrinelli, 1995), e non di limitarci soltanto ad osannarlo (giustamente) come uomo di pace per la straordinaria iniziativa di istituire un Tribunale di Verità e Riconciliazione (Truth and Reconciliation Commission, TRC), e per aver lavorato a raggiungere un accordo col riformatore De Klerk, ma rammentandoci anche del periodo precedente. 

Passati i sessant'anni d'età Mandela disse: "noi avevamo la ragione dalla nostra parte, ma non la forza, e mi rendevo conto che una nostra vittoria sul piano militare era un sogno lontano, se non impossibile". Compì non solo un atto di realismo, ma anche una conversione spirituale straordinaria che allora non fu compresa fino in fondo da tutti i suoi compagni e ammiratori, avvicinandosi maggiormente all'autentico messaggio spirituale di Gandhi (che aveva vissuto in Sudafrica, nel Natal, aprendo uno studio legale e lottando contro la segregazione e per i diritti umani per vent'anni), un messaggio di pace, giustizia e nonviolenza, portato avanti soltanto per mezzo della obiezione di coscienza, della non-cooperazione, di scioperi, di pubblici digiuni, e della disobbedienza civile, e che da sempre Mandela aveva ammirato, pur essendosi orientato metodologicamente in modo diverso. Gandhi propugnava ahimsa e satyagraha, cioè nonviolenza e verità con fermezza; e diceva che "l'odio genera sempre solo altro odio", dando luogo ad una spirale inarrestabile e infinita. Senz'altro a suo tempo ebbe un positivo influsso su di lui anche il premio Nobel per la pace, Albert Lutuli, ma soprattutto l'amico il vescovo anglicano nero Desmod Tutu che viveva anch'egli a Soweto, vicino alla casa dei Mandela. In effetti Madiba riprese e rilanciò l'espressione di Tutu: "Rainbow Nation", nazione arcobaleno, riferita all'intera popolazione del Sudafrica. 



Quindi il suo fu un ripensamento, frutto di una riflessione profonda e sofferta. Un riorientamento, per compiere quella scelta strategica che gli valse poi nel '93 il premio Nobel per la pace. (Ma in questi giorni ricordiamoci pure che il premio venne dato anche a De Klerk, poiché un accordo di pace si fa sempre solo in due ...). 



Anche a Desmond Tutu nel 1984 era stato conferito il premio Nobel per la pace. Comunque si deve soprattutto a Mandela se non si giunse in Sudafrica a quell'irreparabile bagno di sangue che tutti temevano (che sarebbe stato oltre un certo segno irreversibile), e se si riuscì a far condividere a grandissima parte della popolazione il sogno di un "paese arcobaleno", multietnico e pacifico.  E anche l'obiettivo di giungere alla ammissione delle proprie colpe da parte degli individui coinvolti nei soprusi e negli scontri di tutti gli schieramenti contendenti, per cui attraverso la ammissione di responsabilità e la accettazione di verità scomode tenute nascoste o giustificate, cercare di avviare un processo di rinnovamento e rinascita spirituale e poi soprattutto di riconciliazione tra le parti. Mandela disse: "La gente coraggiosa non ha paura di perdonare, per amore della ricerca della pace" ("courageous people do not fear forgiving, for the sake of peace").

La terza moglie di Mandela (dopo il divorzio dalla estremista Winnie) è Graça Simbine (la vedova del primo presidente del Mozambico indipendente, Samora Machel) anche lei cristiana metodista. Vennero sposati in chiesa dall'amico il vescovo D. Tutu.

Mi sono fermato a riflettere su come possa sentirsi un uomo che ha organizzato attentati con esplosivi, e che poi diviene un pacifista… In questo caso il riferimento a certi valori della cultura bantu può forse averlo aiutato. Ma personalmente mi riesce difficile capire come far convivere quelle due anime ...
Un "rivolgimento" dunque radicale e straordinario, che per certi versi assomiglia a quello compiuto da Gerry Adams, leader del Sinn Fein, il partito separatista dei cattolici nordirlandesi, braccio politico dell' IRA. L'altro giorno guardavo il filmato su una sua lunga intervista relativa a questi temi, trasmesso da Sky Arte (per chi l'abbia perso verrà replicato martedì 17 alle 5 pm). Come può un politico che avesse anche solo ispirato e giustificato attentati con l'uso di esplosivi in luoghi pubblici, rivolgersi poi al messaggio di pace e nonviolenza (in questo caso quello di Gesù), e dichiararsi però non disposto a rigettare ciò che aveva deliberatamente compiuto nel suo passato?  
… Ma ripensavo anche al nostro Adriano Sofri...
Ripensavo al film di Gillo Pontecorvo sulla "battaglia di Algeri" e ai metodi della lotta anti-francese. Ripensavo al premio Nobel per la pace dato a Y. Rabin e a Y. Arafat nel '94, due grandi combattenti che seppero infine giungere a uno storico accordo (applicato ben poco).
Ripensavo a tante e tante altre situazioni tragiche di conflitto violento, dalla ex-Yugoslavia, alla Cecenia, alla Georgia, eccetera eccetera.

Può di per  il fatto di combattere contro soprusi e dittature, il fatto di combattere per la libertà, l'eguaglianza, il rispetto dei diritti umani, per la giustizia, per la pace, può essere sufficiente per ammettere nel profondo della coscienza umana l'atto di praticare la guerra e dunque la violenza? di combattere con le armi, di lanciare bombe, ecc…? insomma è il vecchio dilemma: il fine giustifica i mezzi? o questi dovrebbero essere sempre strettamente coerenti con i princìpi e i fini?

Certo possiamo ad es. ammirare la figura di Che Guevara per tanti suoi aspetti positivi, ma non possiamo comunque scordare che fu un guerrigliero armato, così come possiamo aver avuto simpatia anni addietro per i preti della teologia della liberazione che si unirono alla guerriglia in Colombia, come Camilo Torres, e in altri paesi del Sudamerica (Salvador, Nicaragua, Perù ecc..), ma senza dimenticare che guerriglia vuol dire sparare a qualcuno, magari a un giovane soldato coscritto nell'esercito, e ucciderlo perché incarna il nemico della libertà, della pace, della democrazia...
Le guerre purtroppo hanno una loro logica ferrea e inesorabile, non posso non ricordare la canzone di De André sul povero Piero...

Mandela è un uomo che ha visto le aberrazioni a cui si può giungere se si imbocca la strada della forza e della violenza, e ha avuto il coraggio e la capacità di voltare pagina, e di rispondere negativamente alle domande di cui sopra. Ed ha professato questa convinzione, almeno a partire dai 63-65 anni, non solo nella sua condizione di carcerato, e di vittima del razzismo, ma ha continuato a farlo anche nella sua posizione di leader, di guida di tutto il popolo sudafricano, e poi anche di Presidente del suo Paese, e capo del governo (per cinque anni dal '94 al '99). In questo è veramente straordinario.
Madiba ad un certo punto della sua vita disse (riferendosi probabilmente ad un noto slogan rivoluzionario): "perché essere liberi non è solo liberarsi dalle proprie catene, ma vivere in un modo che rispetti e valorizzi la libertà anche degli altri"

Perciò secondo la tradizione bantu degli Xhosa in questi giorni si canta e si balla, e al passaggio del suo feretro la gente applaude e sorride per festeggiarlo. Gli Imbongi, i cantori della tradizione orale xhosa, declamano le sue lodi in modo poetico, e l'arcivescovo Tutu nonostante i suoi 82 anni ha danzato in pubblico alla cerimonia funebre.

Alla fine della sua autobiografia "Long Walk to Freedom" Madiba scrisse: " Quando sono uscito dalla prigione la mia missione era di liberare sia gli oppressi che l'oppressore. Qualcuno dice che lo scopo è stato raggiunto. Ma io so che non è questo il caso. La verità è che non siamo ancora liberi, abbiamo solo conquistato la libertà di esserlo, il diritto a non venire oppressi. Non abbiamo ancora compiuto l'ultimo passo del nostro viaggio, ma il primo di un lungo e anche più difficile cammino. Per essere liberi non basta rompere le catene, ma vivere in un modo che rispetti e accresca la libertà degli altri. Il vero test della nostra fedeltà alla libertà è solo all'inizio Ho percorso questo lungo cammino verso la libertà. Ho cercato di non vacillare, e ho compiuto anche dei passi falsi. Ma ho scoperto il segreto che dopo aver scalato un colle, si capisce che ce ne sono ancora molti altri da scalare. Mi sono preso un momento di sosta per dare un'occhiata al panorama che mi circonda, per riguardare indietro al cammino che ho fatto. Ma posso riposare solo per un momento, perché con la libertà vengono anche le responsabilità, e mi preoccupo di non indugiare perché il mio lungo cammino non è ancora finito."

giovedì 5 dicembre 2013

un viaggio nella città dell'Aurora

mercoledì 4 dic. "La Repubblica" ha pubblicato nel suo inserto settimanale "RViaggi", un articolo su Pondicherry, ex colonia francese nel sud dell'India, alle pagine 48-49, in cui si parla anche di Auroville, la città dell'utopia ecosostenibile. Se quei cenni, necessariamente molto rapidi e sintetici, del giornalista Videtti, vi hanno destato qualche curiosità, vi consiglio di andarvi a leggere anche quel che ne scrissi io dopo una visita di qualche giorno. Cercate all'inizio di questo blog, il diario del mio terzo viaggio in India nell'estate 2006, che ho postato il 26/07/2011: http://viaggiareperculture.blogspot.it/ 2011/07/diario-di-viaggio-nellindia-del-sud.html
viaggio durante il quale ho visitato vari centri spirituali diversi tra loro, facendo dei confronti, e dove ai paragrafi dal 12 al 16 racconto appunto di Auroville. E' un po' come la Città del Sole di Campanella, e si chiama così perché fa riferimento all'aurora di una umanità nuova, e al nome di Aurobindo.
Sarebbe un magnifico e interessante viaggio invernale, là trovereste l'estate (e una bella spiaggiona) e anche una piccola comunità di italiani che ci vivono, da cui potrete farvi descrivere e spiegare meglio i dettagli su quel grande progetto urbanistico e ideale, e sui presupposti spirituali di fratellanza che lo ispirano. Ci sono anche dintorni molto belli. Ne vale davvero la pena.


sabato 23 novembre 2013

una cercatrice border-line (MangiaPregaAma)


Vorrei citare dei brani da un romanzo di Elizabeth Gilbert, del 2006, che era divenuto un best seller tradotto in trenta lingue,

per cui poi nel 2010 ne fecero anche un mediocre filmetto (con Julia Roberts e Bardem) cioè in it. appunto: "Mangia, prega, ama". Ho appena finito di leggere questo best-seller, che dedica la prima parte a un viaggio in Italia, poi la seconda al suo soggiorno in india in un ashram da una maestra-guru, dove praticò lo yoga, la meditazione e vie di crescita spirituale, e la sua terza parte relativa alla sua seconda visita a Bali. Riporto degli stralci dalla seconda parte, che ritengo potrebbero interessarvi:

"Ho incontrato la mia parola [...] una parola in sanscrito: antevasin, o colui che vive sul confine. Nei tempi antichi, era una descrizione letterale. Indicava una persona che aveva lasciato la frenesia della vita mondana per andare a vivere ai margini della foresta, dove abitavano i maestri spirituali. L'antevasin non era più un abitante del villaggio - non aveva una casa e una vita regolare. Ma non era ancora un trascendente, uno di quei saggi che vivono nel folto di boschi inesplorati, nella piena realizzazione della vita spirituale. L'antevasin stava dunque sul confine: poteva vedere tutti e due i mondi, ma guardava verso l'ignoto. Ed era uno studioso. [...] Anch'io vivo su quel limitare, sul confine sfuggente tra il mio vecchio modo di pensare e il mio nuovo modo di comprendere, continuando senza sosta a imparare. E' un confine che si sposta in continuazione - anche se tu avanzi nei tuoi studi e nelle tue realizzazioni, la misteriosa foresta dell'ignoto rimane sempre a qualche metro da te. E devi viaggiare molto leggero per continuare a seguirlo. […] Ho passato così tanto tempo, negli ultimi anni, a domandarmi cosa dovevo essere. Una moglie? Una madre? Un'amante? Una zitella? Un'italiana? Una golosa? Una viaggiatrice? Un'artista? Una yogi? Adesso so di non essere nessuna di queste cose, almeno non completamente. E non sono neanche Zia Liz la Pazza. Sono solo un'antevasin - né questo né quello - una cercatrice sul confine sempre in movimento della magnifica, temibile foresta del nuovo".



"Alla fine sono arrivata a credere in una ricerca di qualcosa che io chiamo La Fisica dell'Anima, una Forza della Natura governata da leggi reali quanto la legge di gravità. La regola di questo principio funziona più o meno così: Se sei abbastanza coraggiosa da lasciarti dietro tutto ciò che è familiare e confortevole, e che può essere qualunque cosa, dalla tua casa ai vecchi rancori, e partire per un viaggio alla ricerca della verità, sia esteriore che interiore; se sei veramente intenzionata a considerare tutto quello che ti capita durante questo viaggio come un indizio; se accetti tutti quelli che incontri, strada facendo, come degli insegnanti; e se sei preparata soprattutto ad accettare alcune realtà di te stessa veramente scomode, allora la verità non ti sarà preclusa…"



martedì 19 novembre 2013

Chomsky, il Decalogo sulla manipolazione mediatica

"Le 10 strategie della manipolazione mediatica"
L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione
del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche.

tratto da http://www.comedonchisciotte.org del 23 settembre 2010 
da Noam Chomsky in: visionealternativas.com
vedi su: www.youtube.com/watch?v=TKI80Jrf4vc


1 - La strategia della distrazione. L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche utilizzando la tecnica del diluvio o dell’inondazione di distrazioni continue e di informazioni insignificanti.
La strategia della distrazione è anche indispensabile per evitare l’interesse del pubblico verso le conoscenze essenziali nel campo della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia e della cibernetica. “Sviare l’attenzione del pubblico dai veri problemi sociali", tenerla imprigionata da temi senza vera importanza. Tenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza dargli tempo per pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).

2 - Creare un problema e poi offrire la soluzione. Questo metodo è anche chiamato “problema - reazione - soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico in modo che sia questa la ragione delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, oppure organizzare attentati sanguinosi per fare in modo che sia il pubblico a pretendere le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito delle libertà. Oppure: creare una crisi economica per far accettare come male necessario la diminuzione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.



3 - La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per un po’ di anni consecutivi. Questo è il modo in cui condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte negli anni ‘80 e ‘90: uno Stato al minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione di massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.

4 - La strategia del differire. Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria” guadagnando in quel momento il consenso della gente per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro di quello immediato. Per prima cosa, perché lo sforzo non deve essere fatto immediatamente. Secondo, perché la gente, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. In questo modo si dà più tempo alla gente di abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo con rassegnazione quando arriverà il momento.

5 - Rivolgersi alla gente come a dei ragazzini. La maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, spesso con voce flebile, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente. Quanto più si cerca di ingannare lo spettatore, tanto più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se questa avesse 12 anni, allora, a causa della suggestionabilità, questa probabilmente tenderà ad una risposta o ad una reazione priva di senso critico" come quella appunto di una persona di 12 anni o meno (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).

6 - Usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione. Sfruttare l'emotività è una tecnica classica per provocare un corto circuito dell'analisi razionale e, infine, del senso critico dell'individuo. Inoltre, l'uso del tono emotivo permette di aprire la porta verso l’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o per indurre comportamenti….

7 - Mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità. Far si che la gente sia incapace di comprendere le tecniche ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza creata dall’ignoranza tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare da parte delle inferiori" (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).

8 - Stimolare il pubblico ad essere favorevole alla mediocrità. Spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere svampiti, volgari e ignoranti ...

9 - Rafforzare il senso di colpa per le proprie disgrazie. Far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il responsabile della proprie disgrazie a causa di insufficiente intelligenza, capacità o sforzo. In tal modo, anziché ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e si sente in colpa, cosa che crea a sua volta uno stato di depressione di cui uno degli effetti è l’inibizione ad agire



10 - Conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca. Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno creato un crescente divario tra le conoscenze della gente e quelle di cui dispongono e che utilizzano le élites dominanti. Grazie alla biologia, alla neurobiologia e alla psicologia applicata, il “sistema” ha potuto fruire di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia fisicamente che psichicamente. Il sistema è riuscito a conoscere l’individuo comune molto meglio di quanto egli conosca sé stesso. Ciò comporta che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un più ampio controllo ed un maggior potere sulla gente, ben maggiore di quello che la gente esercita su sé stessa.

Noam Chomsky

cfr.: Understanding Power: The Indispensable Chomsky, 2002Edizione italiana: Capire il potere, a cura di Peter R. Mitchel e John Schoeffel, Milano: Marco Tropea Editore, 2002.

nota bene 
il testo cui qui Chomsky fa frequente riferimento è:
"SILENT WEAPONS FOR QUIET WARS", un documento del maggio 1979, reso pubblico il 7 luglio 1986


Negligenza o perdita intenzionale, sembra che questo documento fosse in possesso dei servizi segreti della Marina USA. Il documento, per motivi di sicurezza, non reca la firma del l'organizzazione da cui proviene. Ma una certa sovrapposizione di informazioni e le date suggeriscono che potrebbe essere ascrivibile al Gruppo Bilderberg, un "think-tank" che riunisce persone estremamente potenti del mondo della finanza, dell'economia, della politica, dell'esercito e dei servizi segreti.
Il documento si presenta come un "manuale di programmazione", apparentemente destinato ai nuovi membri dell'organizzazione.

Questo documento potrebbe anche essere stato scritto da un giornalista ben informato.
Vero o falso, l' importante è che le strategie qui descritte sono ampiamente applicate nelle linee guida dell'economia e della società in tutti i paesi industriali, e con una notevole sincronizzazione.

Pubblicato in appendice al libro "Behold a Pale Horse" di William Cooper, Light Technology Publishing, 1991

sabato 16 novembre 2013

una agenzia per fare viaggi nel tempo?

E' da poco uscito un romanzo di mia figlia Ghila
intitolato "Agenzia viaggi nel tempo", pubblicato dalla casa editrice di Genova Edicolors. http://www.edicolors.com/editoria/index.phpoption=com_content&view=article&id=667:
agenzia-viaggi-nel-tempo&catid=14&Itemid=126
Assieme ad altri libri della collana, è stato presentato a Genova alla libreria Feltrinelli, introdotto dal prof. Sossi docente di Letteratura per l'infanzia alla università di Capodistria, di fronte a una cinquantina di persone.

Poi è stato presentato alla libreria Feltrinelli di Ferrara dalla prof. Bellatalla, docente di Letteratura per l'infanzia nella nostra università di Ferrara, con notevole affluenza di pubblico (una quarantina di persone),

e ancora a Milano presso la "Libreria dei Ragazzi" (fondata da Roberto Denti), con presentazione da parte della prof.ssa Raffaella Razzini, insegnante di lettere nelle scuole secondarie.


 Si tratta in effetti di un testo rivolto ai ragazzini a partire dalla fascia d'età delle scuole medie, ma in realtà leggibile con gradimento da giovani lettori e anche da parte di adulti. E' un intreccio di storie di viaggi, che potrebbe sortire anche l'effetto di incuriosire i ragazzi alla Storia.
E poi … chi di noi -potendo- non farebbe un bel viaggio nel passato? Ma forse qui nel romanzo questi viaggi sono una metafora per invogliare a fare viaggi in paesi lontani e di culture assai diverse da quella in cui viviamo. E in effetti si tratta degli antichi egizi, o della Mesopotamia, o della Cina classica, e anche dell'Europa del Seicento, e così via, … ma come dicevamo è un romanzo che potrebbe invogliare a conoscere la Storia. Quindi anche la storia dei paesi europei, ci fa viaggiare in culture diverse, perché gli europei di quattro secoli fa ai nostri occhi sarebbero dei "diversi", l'alterità infatti è anche dentro di noi; nel passato della nostra stessa civiltà vigevano culture, mentalità, usi e costumi assai distanti da quelli che oggi consideriamo "normali" o addirittura "naturali", essendo i nostri.
E poi contestualmente c'è ancora intreccio tra passato e presente, e fare un viaggio -se non fisicamente, almeno mentalmente- in altre epoche ce lo farebbe comprendere meglio. C'è dunque un viluppo tra continuità e discontinuità nella storia, il passato è ancora influente, e il presente è quello che è, proprio perché ha avuto quel passato.
...Da un lato io credo che realisticamente non si potrà mai andare nel futuro (perché è una dimensione che allo stato attuale delle cose semplicemente non esiste né è mai esistita), ma se si potesse mai viaggiare nel tempo penso che si potrebbe andare a vedere il passato (come ho scritto in un post del 20.02.2012, Lo specchio del Tempo), o comunque mi piace credere che almeno teoricamente un giorno si potrebbe avverare questa fantasia fantascientifica...

Ma qui si parla anche e sopratutto delle vicende rocambolesche e avventurose di un ragazzo e della maturazione che avviene in lui visitando tempi e popoli differenti, e condividendo le sue esperienze e meditazioni con i suoi coetanei compagni di viaggio. Nonostante certi gravi pasticci combinati dal protagonista, i ragazzi sono molto svegli e in gamba e con il soccorso di un pizzico di fortuna riusciranno a risolvere certi misteri e certi inconvenienti … … La vicenda inizia con il rinvenimento di oggetti "fuori tempo" sia nel presente che in epoche passate.


Nel retrocopertina si legge: 

“Un’Agenzia viaggi molto speciale quella gestita dalla famiglia Mikyamuri: l’importante non è dove i clienti vogliono andare in vacanza, ma quando. È possibile viaggiare in qualsiasi epoca del passato, e ce n’è per tutti i gusti: dai cacciatori di dinosauri ai romantici nostalgici. Per tutti i gusti, tranne quelli del protagonista, che inizia il suo apprendistato per diventare a tutti gli effetti erede dell'attività, ma a cui per il momento è severamente vietato viaggiare: i guai non tarderanno ad arrivare, quando il ragazzo causerà niente meno che un Caos Temporale”.


 Quindi da un lato un romanzo di formazione, e da un altro lato un vero e proprio racconto di un viaggio avventuroso -con tutti gli elementi costitutivi sintetizzati da Joseph Campbell-, che si conclude con un finale a sorpresa. In parte lo si potrebbe anche ritenere un romanzo fantascientifico, per il fatto che si suppone esista un mezzo, una tecnologia per spostarsi a ritroso nel tempo.


E' prevista a breve anche una versione elettronica in e-book (distribuita da Amazon.it).

Auguri di buon esordio a una nuova scrittrice !
(il libro si può ordinare in qualsiasi libreria oppure richiederlo con invio contrassegno direttamente alla editrice www.edicolors.com e pagherete al postino che ve lo consegnerà a casa).

P.S. nota posteriore: ora il libro dopo aver fatto una ristampa è esaurito, ma ne è stata fatta una edizione e-book in formato Kindle, in vendita a prezzo ridottissimo su Amazon.it (ma si trovano ancora alcune copie catacee (usate o nuove) sia in eBay che su Amazon.it, oppure richiedendole all'Autrice, via Toscanini 1, 44049-Vigarano/M, prov.Ferrara )

Cfr. per recensioni:
http://www.edicolors.com/editoria/index.php?option=com_content&view=article&id=703:agenzia-viaggi-nel-tempo-e-camilla-e-il-mondo-dietro-il-mondo-in-gara-per-il-premio-bancarellino&catid=26:il-nostro-blog&Itemid=131

 http://www.eccolanotiziaquotidiana.it/futuribile-e-fantascienza-oggi-intervista-a-ghila-pancera/

http://www.eccolanotiziaquotidiana.it/la-fanta-scrittrice-ghila-pancera-verso-ursula-k-le-guin-intervista/

e   http://www.eccolanotiziaquotidiana.it/la-scienza-del-viaggio-intervista-a-ghila-pancera/

http://lasinorosso.myblog.it/2013/12/11/la-scienza-del-viaggio-secondo-ghila-pancera/

giovedì 14 novembre 2013

è uscito il mio diario sulle Ande dell' Ecuador

E' uscito per la Este-edition di Ferrara, il mio diario di un viaggio che facemmo io, Annalisa (la mia compagna), e Ghila (nostra figlia) nel 2009, con il titolo "il viandante e lo sciamano". Il libro contiene pure dei racconti di Ghila ispirati a certi eventi e incontri fatti in quell'occasione, e una mia Prefazione epistemologica, nonché delle Note e schede con suggerimenti per un uso didattico del testo in sede universitaria. In effetti il testo si adatta ad un suo utilizzo in corsi di pedagogia interculturale, di educazione comparata, oltre che di antropologia culturale, nel contesto di una riflessione sulla relazione tra narratività e formazione.
Di conseguenza ho dovuto togliere il testo da questo blog, e da altri blog o siti in cui compariva,  per ovvi motivi di copyright, anche se 277 persone già avevano cliccato espressamente su questo diario, almeno sul mio blog  (ma come dicevo era presente anche su altri quattro-cinque siti o blog).

Avrei piacere che chi è appassionato di viaggi di conoscenza lo leggesse e poi mi desse dei riscontri. Lo si trova nelle principali librerie, o si può acquistarlo direttamente alla sede di via Mazzini 47 a Ferrara, oppure lo si può ordinare (libri@este-edition.com) e farselo mandare contrassegno per posta (costa 15€).

 Purtroppo, per vari motivi, non ci sono che poche immagini, e in b/n, anche se sono venute abbastanza ben nitide, e sono raggruppate in alcune pagine vicine tra loro, il che un po' mi spiace, poiché un diario di viaggio dovrebbe essere ampiamente corredato da foto, come parte integrante importante del testo, per dar luogo ad un intreccio continuativo tra parole e immagini.
Eventualmente altre foto le si possono vedere sulla mia homepage dell'università:
http://utenti.unife.it/carlo.pancera/mywebalbum/index.html
o anche  http://utenti.unife.it/carlo.pancera/testi/altri.htm  cliccando su "Reportage fotografico"
(oppure ce ne sono alcune anche sulla mia pagina facebook).




Si veda la locandina sul sito della casa editrice
http://www.este-edition.com/prodotti.php?idProd=536
e   http://www.este-edition.com/prodotti.php?idProd=838

e l'intervista a Ghila:
http://www.eccolanotiziaquotidiana.it/la-scienza-del-viaggio-intervista-a-ghila-pancera/
(oltre ai suoi tre racconti, qui inclusi, Ghila ha anche scritto un romanzo per ragazzi, ispirato tra l'altro proprio dalla visita dell'amico ecuadoreño Manuel Pumaquero a Ferrara, intitolato "Lo strano ospite straniero", edizioni Albatros)

Il libro verrà presentato a Ferrara venerdì 21 febbraio alla libreria IBS alle h. 17,30 dalla prof.sa Anita Gramigna, con la presenza degli autori e dell'editore.

Si veda anche la recensione di Emilio Diedo:
http://www.literary.it/dati/literary/d/diedo/il_viandante_e_lo_sciamano.html

mercoledì 13 novembre 2013

anniversario del mio libro su identità e diversità

 2° ANNIVERSARIO
Se non vi dispiace, voglio ricordare il mio testo su identità e differenze, finito in febbraio 2011, e che fu accettato dalla casa editrice Franco Angeli di Milano (e impaginato presso la sede romana). Il libro poi è uscito nella distribuzione in libreria appunto a metà novembre 2011…. Sono dunque passati oramai due anni, e l'editore ha fatto ben poco (o niente) per pubblicizzarlo e promuoverlo (nonostante che le spese di stampa gli siano state coperte da un finanziamento che ottenni dal ministero dell'istruzione…).

Sto parlando dunque del mio libro intitolato: "Le maschere e gli specchi",
con sottotitolo "Identità e differenze tra omologazione e eterogeneità, osmosi e complessità".

Il volume tratta dell’ importanza della comunicazione a livello simbolico nei percorsi di strutturazione delle appartenenze, e nei percorsi di individuazione/ costruzione della identità, è evidente quanto sia  complesso il viluppo tra aspetti di maturazione ed evoluzione, e aspetti di inculturazione e di condizionamento, che sono contestuali ai processi formativi. E' risultato necessario, allora, evidenziare la reciproca influenza tra queste componenti e costituenti.


Una sfida è quella di mantenere sempre presente il parallelismo tra la costituzione e la composizione dell’identità personale e di quella collettiva, insistendo sulla processualità delle stesse, e sulla costante mutevolezza dei punti di equilibrio interni via via raggiunti. Come autore ritengo che su questa delicata e complicata tematica della identità, il ricercatore si dovrebbe – quando e quanto possibile – trattenere dal dare definizioni o risposte esaustive di carattere generale, per cercare di non categorizzare e non semplificare eccessivamente in un mare mosso da tanti interrogativi e dubbi.


Ritengo anche che sia importante comunicare al lettore interessato soprattutto il senso della complessità e la dimensione della problematicità, dunque lasciando anche aperte varie questioni. 
Dunque il frequente ricorso a narrazioni, fossero esse biografiche, autobiografiche, o concernenti storie famigliari o di grandi gruppi umani, o relative a storie su conflitti identitari, mi è parso il modo migliore (rispetto a molta saggistica) per dare uno sguardo all’interezza di situazioni e per fornire una cornice più realistica, cioè sfaccettata e sfumata, quali la sensibilità e le capacità espressive dei testi narrativi sanno renderci, evitando schematizzazioni e razionalizzazioni eccessive.


Il volume consiste in una riflessione, svolta in tono discorsivo, su identità e differenze  (tematica infinita e per questo affascinante). 
Per far ciò si parte dai miti antichi perché là si trovano i simboli che tutt'oggi in Occidente ci portiamo dietro, e i temi fondamentali dell' identità risultano là espressi con un fascino che ha tuttora una grande forza di suggestione. 


Ghilgamesh sconfigge la Grande Bestia

Il discorso ha un andamento che taglia trasversalmente passando attraverso varie discipline umanistiche e si svolge in modo integrato, focalizzando sulla identità personale nella Prima parte, e su quella collettiva, sociale, culturale nella Seconda, nella quale si fa riferimento piuttosto a testi di letteratura o di carattere narrativo, e anche a film. 


Il testo ha una impostazione interdisciplinare, ma ho inteso scriverlo non in forma di opera saggistica sistematica, e appunto perciò spazia su molti settori delle discipline umanistiche e non presenta un approccio specialistico, né vuole essere legato ad una specifica scuola di pensiero. Come dicevo, si intende comunicare piuttosto il senso della complessità della questione e della ricchezza delle problematiche coinvolte, fornendo strumenti in modo che chi legge si formi una propria idea…  




Come accennavo, si intrecciano gli apporti delle discipline umanistiche e di varie possibili angolature prospettiche al riguardo. Le definizioni perentorie vengono evitate, e vengono piuttosto riportati punti di vista anche differenti e divergenti, per stimolare il lettore e dare più rilievo ai quesiti che non a responsi preconfezionati.


le etnie abitanti in Sudamerica lungo la linea dell'equatore (nel museo La Mitad del Mundo a nord di Quito)



sabato 2 novembre 2013

Bali 30 (ultimo giorno)

3 ottobre,  TRENTESIMO GIORNO

La camera va lasciata entro le dodici, e noi andremo all'aeroporto non prima delle 18, ci sentiamo un po' come tra color che son sospesi... Facciamo le valige che poi lasceremo in ricezione.
Mi riguardo foglie e fiori, e un bell'uccellino, e riascolto richiami e cinguettii: Avrò certo nostalgia non solo di questi suoni ma anche della vegetazione così straboccante, e anche dei sorrisi dei balinesi...






In definitiva, la grandissima parte di chi viene a Bali ci viene solo per le spiagge, per abbronzarsi, per fare shopping, e per passare le giornate tra piscina e ristoranti, con un intermezzo di massaggi o sauna. Poi viene per gli intrattenimenti dei locali dove passare la serata. Tutte cose che anche noi abbiamo pur fatto. Un'altra gran parte degli stranieri viene qui per fare surf, e/o diving, scuba, snorkeling, e altri sport, come rafting, eccetera. Negli intervalli liberi ci infilano magari una gita organizzata in pullman.
Tutte cose piacevoli che qui si possono trovare e combinare, piuttosto quel che volevo dire è che per molte persone andare ad Aruba nei Caraibi, oppure venire qui, in fondo fa poca differenza.
Ma a Bali non mancano certo anche quei viaggiatori (che di solito prediligono soluzioni economiche e che sono disponibili ad adattarsi) che sono incuriositi proprio da Bali e dai balinesi.
Dopodiché conta anche il fatto che qui, oltre alle bellezze del paesaggio e alla ricchezza della cultura locale (quindi visitare dei templi o vedere il teatro delle ombre, o ascoltare la musica tradizionale, vedere dipinti e oggetti, ecc), si può anche ritrovare un ambiente da backpakers, o similari, dove poter incontrare gente con cui chiacchierare e stare in compagnia di altri viaggiatori indipendenti, parlando e sognando su questo viaggio e anche raccontando di altri bei viaggi.

Dopo pranzo scambio due parole con Ema della reception, le dico che mi ha fatto piacere conoscerla, perché lei è sempre cortese e sorridente, e mi dice che i balinesi che son dovuti andare per lavoro fuori dell'isola hanno tutti una grande nostalgia della loro patria, e anche se ad es. nella vicina Java c'è sviluppo e lavoro nelle città, però molti si trovano male a causa del contesto islamista a volte oppressivo verso i comportamenti, e invasivo anche nel privato. Lei ritiene che per questo qui tutti sorridono e hanno un atteggiamento più leggero. Forse alludeva ad una sua personale esperienza...

Andiamo infine all'aeroporto e l'autista gratuito dell'albergo ci lascia al nuovo settore delle international departures, ma si tratta di quello riservato ai soli voli "Garuda" (la compagnia nazionale indonesiana)! Così con le valige dobbiamo ritornare indietro e andare da tutt'altra parte, ed è lontanissimo... per fortuna certi addetti a cui chiediamo informazioni, si preoccupano di noi, e uno ci accompagna con il car elettrico...! (e poi non vuole nessuna mancia).
Ceniamo qui.

4 Ottobre 2013
Bali-Singapore, durante la breve sosta bighelloniamo un po' guardandoci in giro in quell'enorme aeroporto, e poi si riparte per Amsterdam. La tratta Bali-Amst è di 17mila km. pari in tutto a 18 ore.
Infine c'è Amsterdam-Bologna, e poi a Bologna ci viene a prendere con la nostra macchina Michela, e con lei facciamo la strada da Bo a Ferrara. E finalmente giungiamo a casa a Vigarano, dove apriamo le valige tirando fuori gli acquisti, con i loro densi profumi e colorati ricordi balinesi.
Che nostalgia... e oltretutto qui in questi giorni fa freddo, ci sono 11 gradi! e c'è umido, la nebbia, e tutto è grigio…   :-(

ciao Bali bella


È proprio il paradiso degli Dèi, come dice una favola:

I Gusti era un gran cacciatore e se ne stava acquattato nel folto della vegetazione in attesa, quando scorse un bellissimo uccellino con piumaggio multicolore. Lanciò un sottile dardo con la sua cerbottana, quando corse là per vedere, trovò un magnifico mantello morbido e soffice di piume colorate. Mentre lo accarezzava sentì una dolce voce femminile dire "che te ne pare? è bello vero?", alzò lo sguardo e vide una attraente fanciulla che poteva solo essere una principessa o una Dea. Emozionato le disse "te lo restituirò solo se accetti di sposarmi". Lei con un sorriso rispose: "va bene pur che tu non mi chieda né il mio nome né la mia origine". Vissero felici e contenti nella sua capanna e dopo un anno nacque un bel bimbo. La sola presenza di lei e del piccolo riempiva di gioia le giornate. Ma da allora lei sembrava assorta e sospirava. Intanto cuciva tutto il giorno piume di uccelli e fece due splendidi mantelli. Tornando a casa li vide ultimati e chiese cosa fossero, allora lei gli disse di essere la figlia del Dio dei venti, e che questi mantelli avrebbero permesso a lui e al figlio di raggiungerla in cielo. La sera dopo, al suo ritorno la sua sposa non c'era più.  Passarono dei giorni in cui il bambino ripeteva di volere la sua mamma, e allora Gusti prese la decisione di indossare lui e il figlio i due mantelli. Si sentì leggero e prese il volo verso le nuvole, al di sopra di esse apparve un etereo castello, e Deva Bayù, il dio dei venti, apparve sulla soglia, e dietro la sua figlia sorridente. Madre e bimbo si abbracciarono, e lei gli disse che il figlio sarebbe tornato a trovarlo quando avrà imparato dal nonno i segreti che regolano i venti e le stagioni. Anni dopo il figlio tornò da suo padre e gli spiegò tutto quel che gli uomini devono sapere sulle fasi lunari, sulle tempeste, sui germogli e sulla generosità degli Dèi che provvedono amorevolmente alla vita degli esseri umani sulla terra. E questo perché Bali è un divino paradiso dove gli Dèi hanno dimora.

I Gusti Madé Deblog (1906-86), la nascita di Hanoman, 1936, inchiostro su carta, Museo Puri Lukisan, Ubud



P.S.: il presente diario è pubblicato anche su
http://www.cipiaceviaggiare.it/bali2013.htm
http://www.viaggiareliberi.it/diari_asia.htm
e
http://www.viaggimiraggi.it/Diari/?number=699

In seguito ho poi pubblicato alcune foto storiche di Bali nel seguente Post di questo Blog:

https://viaggiareperculture.blogspot.com/2018/11/18-bali-i-suonatori-di-gamelan-e-le.html

Bali 29 (Kedonganan)

2 ottobre,   29a giornata  (Kedonganan)

Anche stamane vado a fare un giro nelle vie qua attorno, vie non dedicate al turismo, ma di traffico di lavoro. Negozi popolari, minimarket, officine meccaniche, piccoli opifici, e altro.



 rivendita al dettaglio di bottiglie di miscela per motorini
triciclo-rivendita di succhi di frutta e acqua minerale


Continuo il giro per le zone popolari.
 una fabbrica di blocchi di cemento

appena si va nei retri, o in fondo a un gang, c'è subito la campagna

Ma ci sono pur sempre bei fiori e frutta, che rendono colore e bellezza.






Per certi versi sono posti brutti, perciò senza turisti, ma sono comunque interessanti perché significativi della realtà che c'è dietro la facciata di negozi e negozietti di souvenirs o di oggetti d'artigianato, o di ristoranti e hotels. Diverse volte ho visto topi passare, e mi sembra che sia molto carente un servizio pubblico di nettezza e igiene urbana. Spesso bruciano gli scarti con dentro di tutto, anche molta plastica, di qui i fiumi grigi e certi odori acri. 
Camminando sui marciapiedi (di solito molto rialzati) bisogna sempre stare molto attenti a dove si mettono i piedi, perché ci sono buche, crepe, e a non fidarsi di rappezzature, chiusure, tombini, grate, botole, ponticelli in legno ... 
Nei prossimi giorni ci sarà a Bali la riunione dell'APEC (Asian-Pacific Economic Community) con l'intervento anche di Obama. E già c'è molta attesa. Obama è cresciuto a Giava da ragazzino, nel 1969/70, e quindi ci si aspetta un particolare interessamento per i problemi dello sviluppo dell'Indonesia.
Ripensando al giro di ieri, gli oggetti di artigianato venivano originariamente prodotti solamente per finalità concrete , pratiche, in quanto oggetti di uso quotidiano, come ceste o cestini, o ceramiche, o oggetti per  offerte e cerimonie ... Quel che si compra ora non sono esattamente le stesse cose di trent'anni fa ... 
Ci sono a Bali vari musei, a Ubud, a Denpasar, come in altre località. Sono dunque consapevoli di dover preservare la loro cultura... Nei musei si vedono gli originali, che sono divenuti dei prototipi per tutto ciò che anche ora si produce, ma si produce per altri fini. Non fanno quasi altro che riprodurre, ma ci sono stati alcuni cambiamenti a contatto con le arti occidentali. Sono comunque ulteriori variazioni sul tema di riferimento che rimane quello tradizionale, cioè il modello di ciò che è tipico locale. In certe botteghe c'è una scritta del tipo: "antiques made to order", antichità fatte su ordinazione, riferita alla manifattura di oggetti che sono proprio come quelli tradizionali. Per i balinesi (e non solo per loro) è antico tutto ciò che in qualche modo appaia tale. E poi comunque anche in botteghe con cosucce da poco, è d'obbligo contrattare. Pochi e rari i negozi a prezzo fisso. Li abbiamo visti solo qui a Kuta, oppure nei grandi centri commerciali moderni, o nei supermarket, dove anche la gente del posto va a comprare, e lì i prezzi sono commisurati al costo della vita e al reale valore della rupia. Come sono soliti dire: quando con la contrattazione si raggiunge una cifra che tu acquirente giudichi un buon affare, e a chi vende, anche, allora quello è il prezzo giusto in quella situazione.

Mi piace quel monumento che c'è all'ingresso in città, con Arjuna e la biga coi cavalli guidata da Lord Krishna, che riproduce l'immagine dell'inizio della battaglia di Kurukshetra, descritta nella Bhagavad Gita. Qui anziché Arjuna, dicono che era l'eroe Bima.



A Bali nel suo particolare induismo (Agama Hindu Dharma), si considera che Wisnu e Siva siano manifestazioni dell'Unico-Tutto, o Tutt'in Uno, cioè Sang-hiyang Widi Wasa, o Acintya (non-figurabile), che risiede sul monte omonimo (2100 metri, sopra alla regione dei laghi), ed è il dio invisibile del mondo superiore, protettore degli spiriti degli antenati, e rappresentato dal trono vuoto (padmasana) con a volte una figura solare,
a Jimbaran
di solito il trono è avvolto nel poleng a quadri bianco/neri, e protetto dall'ombrello tedung (vedi la puntata 26); mentre la divinità più venerata è Dewi Sri, consorte di Wisnu, dea della fertilità, della vita, e dei prodotti della terra in primis il riso;  e Saraswatù la dea delle conoscenze, consorte di Brahma; e Durga, la Morte, consorte di Sivà; poi ci sono i vari spiriti della natura, eredità dell'animismo prehinduista, come la personificazione dello spirito dell'acqua, Dewi Danu, presente nelle fonti sacre, o la già citata Dewi Sri, dea del riso, o Dewa Bayù, dio dei venti...
Kontot Suarbawa, Tiga Bidarari, collezione Ganesh a Tegallalang

A Bali c'è spesso vento, essendo un'isola, il che è la sua salvezza altrimenti il sole sarebbe troppo forte e farebbe troppo caldo. E' una gran cosa, è stata proprio graziata dagli dei della natura... E inoltre è ricca di acque, e il terreno vulcanico è particolarmente fertile. Perciò la chiamano paradiso terrestre o isola degli dei.

Ghila in questo viaggio ha parlato con tante persone, e ora sta chiacchierando con una giovane svizzera e le sue due bimbe. Poi andiamo a pranzo su al primo piano che è tutto aperto ai lati, creando un unico salone senza pareti, di almeno 40 metri, con belle statue moderne di danzatrici.



Non manca un duetto sonoro di gamelan, con la solita musica, che nella sua nenia ritmata a volte mi fa tornare in mente la canzoncina dei personaggi disneyani di Gwendaline e Adelina Bla-bla, le due oche inglesi negli Aristogatti del 1970... e in effetti qui accanto ci sono proprio delle statue di due gooses...!
Prendo un ottimo sweet&sour chicken, Ghi fried noodles, e AL un ottimo tonno bianco. Intanto chiediamo alla cameriera che cosa contiene quella grande zuppiera del tavolo più in là, e ci dice che è fuori menù, espressamente per il boss e i suoi due ospiti di lavoro. Il signore in questione se ne accorge e dice alla cameriera di portarci la zuppiera, così finché non saranno servite le nostre ordinazioni potremo gustare un piatto tipico che si fa raramente nei ristoranti. E' una zuppa di pesce, ed effettivamente il brodetto è molto buono e saporito. Ringraziamo tantissimo per la cordiale cortesia.
Nel pome facciamo il solito full body massage di un'ora, poi facciamo la conferma del volo via internet, e alle sei andiamo in spiaggia per il tramonto. E' tutto rosa, anche la sabbia e l'acqua.




In lontananza si vede che mettono in mare delle barchettine con luminarie.


Ci sono diversi spettacolini di danze balinesi con ballerine adolescenti, e anche con bambine di circa 10 anni, certe sono proprio brave. Ogni ristorante ha allestito un suo teatrino, e si va dall'uno all'altro.



Poi restiamo lì per cena, ai tavoli in spiaggia del "New Langsam café's fresh grilled seafood", dove prendiamo un gran pesce snapper buono e fresco che basta per tutti, salsine varie, patatine fritte per tre, una soup, acqua, bibite, e succhi spremuti di frutta, una birra, per un totale di circa 23€ in tre  (qui nel sud turistico tutto è un po' più caro).