sabato 14 luglio 2018

10. indigeni del sud del Messico 1979 ( 1- da Toluca al Chiapas)

Proseguo la serie di post con testi e in particolare foto di interesse etnografico, su popolazioni indigene da me visitate, in questo caso con un viaggio di quarant' anni fa nel sud del Messico nel 1979,  viaggio in cui poi andammo anche in  Yucatàn, Guatemala, poi dai Garifunas, e quindi in Belize e con un salto in Honduras, e che durò per due mesi.  E poi in seguito in una prossima puntata ve ne proporrò altre di popolazioni indigene del Guatemala (già pubblicate in precedenti miei Post con i diari di quei viaggi).

In questo viaggio e anche in altri simili in Messico e CentroAmerica, abbiamo avuto modo di osservare varie comunità etniche minoritarie, in effetti data la grandissima estensione della confederazione messicana, ad es. negli Stati "centrali" del Paese (come Potosì, Guerrero, Tlaxcalà, Morelos, Michoacàn, Oaxaca, Tabasco, eccetera) vivono varie popolazioni aborigene, che tutt'ora parlano idiomi della "famiglia" linguistica derivata dal Nahuatl (la lingua degli antichi Aztechi) oppure da altri ceppi indigeni pre-hispanici. Ai tempi in cui compimmo questo giro, generalmente si utilizzava la vecchia espressione "indios" per indicare la generalità di tutti questi gruppi di popolazione amerindia che sono ancora "puri" dal punto di vista genetico ereditario, e hanno mantenuto la propria lingua originaria, mentre la grande parte della popolazione messicana è di derivazione mista, meticcia, di mestizos (un tempo si chiamavano mulatti), e di madre-lingua spagnola. Oggi questi soggetti preferiscono che per designarli si usino i termini di indigenas, o nativos, o aborigenas, al posto del termine "indios" (così come anche sono ovviamente insofferenti all'uso del termine spregiativo di cholos). Tuttavia nel diario di viaggio di allora, avevo ancora usato spesso quella dizione, ma senza minimamente quel contenuto dispregiativo di cui si era storicamente caricata nel parlato locale e nello spagnolo della conquista.

- al mercato di Toluca
Prima tappa il grande mercato indio del venerdì a Toluca. Prendiamo una corriera di 2a classe e  scendiamo a Toluca (2660 m.), la città coi bidoni dell'acqua sul tetto delle case, veniamo trasportati da una fiumana di indios che provengono dalle campagne e che corrono al mercato portando tacchini, maialini, galline, verdure, eccetera. Tutti color ambra scura, piccoli, con abiti colorati, con sombreriti (mio scherzoso diminutivo per piccoli sombreros). E il mercato del venerdì è enorme e ricco. Bellissima frutta e verdura fresca. Qua e là baracchini per mangiare. Osserviamo due indios timidi e silenziosi che comprano due grandi mazzi di fiori. Ci sono prodotti locali, naturali, e di artigianato, come dei bei tappeti coloratissimi.
Passa per strada una banda musicale che suona camminando svelta. Preceduta un corteo "carnevalesco" di maschere.



Ci sono ancora in giro vecchi manifesti relativi alla giornata festiva dei morti (la "noche de muertos" si celebra nella notte tra l' 1 e il 2 novembre) e in alcuni negozi ci sono anche degli scheletrini della Dama dell'ultimo ballo (che ritroveremo poi nel nostro secondo viaggio, vedi https:// viaggiareperculture.blogspot.com/2011/09/diario-di-viaggio-nel-messico-centrale.html )



I campesinos (quasi tutti indios o meticci) che vengono dai vari paesini delle campagne circostanti portando le loro poche cose da vendere, oppure per comprare qualcosa, sono quasi tutti vestiti con i loro abiti tradizionali, e con i loro particolari copricapo, che distinguono da quale villaggio provengono.
 terzetto

donna che all'ingresso in città si fa lustrar le scarpe

siesta sul prato


E' stato bello e interessante (tanto che ...ci ritorneremo nel 2005).

Ci lasciamo alle spalle l'altipiano centrale su cui sorgono la grande capitale e alcune altre città importanti, e visitiamo i grandiosi resti dell'antica Teotihuacàn, e poi ci avviamo verso Sud.
Ricordo il tipo della corriera, che ha tranquillizzato Annalisa che chiedeva di mettere via bene i nostri bagagli, dicendole con tono lento e cantilenato di non preoccuparsi, che tutto si sistemerà e ci ha allargato un gran sorriso facendo gli occhi vispi......
Ora stiamo attraversando Netzahualcoyotl, che è fuori dal Distrito Federal della capitale, nello Stato di México. Dal bus abbiamo visto bene il Popocatépetl (5452 mslm) e lo Itzcatchìhuatl (5230 m), i due grandi vulcani (le cui denominazioni sono un po' difficili da imparare e da pronunciare) il loro nome significa in nàhuatl, cioè nella lingua degli Aztechi:  montagna (tépetl) "fumante", e la "Dama Bianca". Stanno a una sessantina di chilometri e da qui si vedono dappertutto.

Troneggiavano innevati sulla pianura e sembrava di vedere qui ai tropici le nostre cime alpine, solo che non erano alte 2500/3000 metri come le montagne da noi, in quanto queste qui stanno sopra a una pianura che si trova già a 2500... perché questa pianura in realtà è appunto un altopiano (grande come la parte centrale di tutto il Messico), per cui i 2500 che si vedono partono da 2500, poiché ci stanno sopra...!   Lungo la strada ci sono cartelli che segnalano di stare attenti a possibili stazionamenti di nubes e di nieblina.
Itzcatch e Popo (da un dépliant)

Probabilmente i piccoli mortai artigianali che vedevamo al mercato di Toluca erano fatti con la lava di questi vulcani. Popo nelle antiche leggende mexica dell'altipiano, diviene un giovane valoroso guerriero nàhuatl che si invaghisce della principessa Itzcatch figlia del governatore di Tlaxcalà (capitale della polis avversaria degli Aztechi). Inviato a combattere i nemici di Tlaxcalà per mostrargli il suo valore, viene dato per morto alla bella giovane dalla pelle candida come la neve, la quale si suicida, e quando il guerriero torna la prende tra le braccia e la adagia su una montagna e poi si siede su quella accanto, in attesa che lei si svegli, ma questi antichi Romeo&Giulia sono ancora là oramai ricoperti di ghiaccio... 


Questa è una delle leggende nahuatl che ancora le abuelas raccontano ai loro nipotini.
Ci sono in realtà varie versioni di questa leggenda, come sempre accade per quel che viene tramandato oralmente. Pochi sono i codici rimasti, sovente molto illustrati,  che ci aiutano a conoscere la cultura dei popoli precedenti la conquista spagnola. Compro un libro molto interessante dal punto di vista storiografico, di Maria Sten, Las extraordinarias historias de los codices mexicanos, Editorial J.Mortiz, C.d.México, 1972.

Quanto ai pochi antichi (cioè circa di 500 anni fa) manoscritti originali sulle o delle culture e civiltà amerindie, segnalo che nel 1982 Franco Maria Ricci, nel suo bel mensile FMR, n. 4 di giugno, ha pubblicato la copia di alcune pagine del bellissimo (erano in gran parte composti di pittogrammi ed essendo basati su una comunicazione ideografica erano corredati da illustrazioni di ciò di cui si trattava) testo di fra' Bernardino da Sahagùn, conservato nella Biblioteca Laurenziana di Firenze, col nome di "codice mediceo" in tre volumi (218-220), che è stato reso parzialmente disponibile in edicola a sole 4.900 lire. 


Sino a qualche decennio fa si sono sempre letti e citati solo i testi scritti, o almeno tradotti in spagnolo, come questo (Historia General de las cosas de Nueva España, in 9 voll.). Quasi mai quelli originari pre-Conquista, o comunque scritti solo in nahuatl o nelle altre lingue aborigene locali (come il mixteco-zapoteco, o il maya).
L'unico codice autoctono conservato in Italia è il "codice Cospi", presso gli archivi della biblioteca dell'Università di Bologna (ms 4093), proveniente dall'area di Puebla e Mixteca, forse della città di Cholula: è una striscia di pelle di cervo lunga 3,64 metri, coperta da uno staterello di gesso e piegata a fisarmonica in 20 pagine di 18 cm di lato, composta da pittogrammi dipinti su entrambi i lati, e di difficile decodificazione. Vedi su "Nat. Geo. Italia", v.17, n.5, maggio 2006 articolo di Davide Domenici.

la p. 12,  con il dio del Sole e quello del Freddo che bruciano incenso di fronte ai templi

In generale sulle illustrazioni si veda Aa.Vv., Imagining the New World, Columbian Iconography, Its. Enc. It. Treccani, Roma, 1991. Sulla storia del regno dei Nahua, e degli altri paesi da loro soggiogati, e in generale dell'altipiano del Messico centrale, molto bello è il grosso volume illustrato che uscirà vari anni più tardi del nostro viaggio di cui qui sto riferendo:



Riferito alla straordinaria mostra tenutasi nel 2004 al Museo Guggenheim di New York e l'anno successivo al Guggenheim di Bilbao, di 440 pagine, con allegato un catalogo dettagliato di 130 pagg., Conaculta/Inah e Guggenheim, Bilbao, 2005.



Nei paesi di campagna le indie se ne stanno tranquillamente accucciate, oppure vanno in giro indaffarate e si portano dietro la schiena i loro bimbi anche piccolissimi, completamente avvoltolati nello straccio colorato, a mo' di amaca, che dormono cullati dagli sballonzolii, ma non si sa come respirino...
Diversi campesinos o popolani vanno a cavallo senza sella, ma  solo con sotto una coperta.
Da un macchinone americano con altoparlante uno reclamizza le virtù magiche e guaritrici di piccoli crocefissi in simil'oro che se tenuti stretti nel pugno sinistro pensando fortemente a qualcosa che si desidera, possono dare sollievo e anche soddisfazione.


Facciamo una bellissima lunga sosta a Puebla, dove rimane indimenticabile una giornata alla Casa della cultura dove abbiamo assistito a delle affascinanti danze folkloriche sia latine, che anche alcune di matrice india; sul mio Blog vedi in http://viaggiareperculture.blogspot.com/2011/11/danze-folkloriche-di-puebla-in-messico.html

(e più in grenerale il diario del nostro secondo viaggio: https://viaggiareperculture.blogspot.com/2011/09/diario-di-viaggio-nel-messico-centrale.html )

una bailarina pueblana di carta

Proseguiamo il viaggio con i soliti affollati pullman.  Stupendi paesaggi durante il viaggio tra grandi vallate ancora disabitate, con distese di pini, di palme qua e là, di cactus. Cactus di ogni tipi per tutti i gusti, tipo da film sul Far West, e da film stereotipati sul vecchio Messico ... Ci sono pure delle "piantine grasse" enormi...

- a Oaxaca
Infine, o finalmente, giungiamo a Oaxaca (che come diceva Italo Calvino in Sapore Sapere, si pronuncia Uahàca),  a "soli" 1400 metri di altitudine, dove pare ci siano pochissime possibilità di trovare posto a causa dei festeggiamenti della Virgen del Carmen; e in effetti i due giovani con cui abbiamo passato il tempo nello scassato bus rimangono allo scoperto... Noi troviamo  forse l'unica camera rimasta libera,  in un modestissimo Hostal.


Nell'area di Oaxaca tra gli indigeni prevalgono i Mixtecas,  e gli Zapotecas (la cui città sacra era sul vicino Monte Albàn), che svilupparono una loro specifica cultura, e pur essendo stati sconfitti in battaglia dagli Aztechi, non vennero mai del tutto soggiogati.

la grande piazza dell'area cerimoniale di monte Albàn (da un opuscolo)


l'artigianato di zapotechi e mixtechi nel mural di D. Rivera nel Palazzo Nazionale di CdMessico, 1929/35

cerimonia immaginata da Diego Rivera sul tempio maggiore di Mt.Albàn

Attualmente sono prevalentemente coltivatori di mais (maìz), di fagioli (frijoles) di varia qualità, delle specie di cocomeri, di zucche (calabazas), e di canna da zucchero (caña). Coltivano appezzamenti sia privati che comunali, e le donne si dedicano  alla tessitura e ai ricami. I legami parentali sono stretti tramite lo svolgimento delle funzioni di compadrini in varie cerimonie (il cosiddetto compadrazgo). Le autorità in materia di usanze e diritto consuetudinario sono chiamati Principales. A fianco del cattolicesimo vigono  il nagualismo  e il tonalismo, di antica tradizione.
  Entrambi i popoli non sempre sono di pura discendenza, ma includono i loro parenti meticciati (altri gruppi etnici sono gli Amuzcos, Cuicatechi, Ixcatechi, Mazatechi, Otomi, eccetera, che sono tutti della "famiglia" linguistica Otomangue-Olmeca). Gli antichi zapotechi avevano una loro forma di scrittura tramite glifi, adattata alla loro lingua.
urna funeraria, con divinità protettrice, defunto e sotto una testa di tigre
museo regionale di Tuxtla- Gutierrez


Si dice che già prima della conquista di questo territorio da parte degli Aztechi, i Mixtechi fossero i migliori orafi, e ancor oggi ci sono molti laboratori artigianali, e negozi di questo settore. 


un antico orecchino d'oro di fattura mixteca (museo nazionale Arch.)

Sulla loro antica storia si veda: Ernesto Gonzalez LICON, Tremila anni di civiltà precolombiana: Zapotechi e Mixtechi, tr.it. Jaca Book, 1991



Inoltre sono ancora oggi tutti utilizzatori degli estratti fermentati dell'agave, cioè il pulque e il mezcal.
In generale comunque la città ci era sembrata essere rimasta per il momento un po' emarginata rispetto alle zone del nuovo sviluppo economico e industriale. 
A guardar bene sembrerebbe che solo gli uomini vadano in bicicletta...
Mangiamo sotto al Portal de Mercadores una buona comida corrida a 25 pesos. 
Nella Casa de la Cultura Oaxaqueña vediamo la tradizionale danza di qui, la guelaguetza (che in zapoteco vuol dire offerta):
 (da una pubblicazione locale)

A Oaxaca l'artigianato e i costumi tradizionali sono un tripudio di colori! è una festa di disegni. Certo che gli abiti locali sono così vivaci e allegri...! ma solo che da noi non potremmo mai metterli... i più belli e "semplici" sono quei huipil che consistono in una ampia e lunga veste di tessuto bianco con ricami e ornamenti.
 (da una pubblicazione promozionale)

nella zona alimentare del mercato i banchi della carne fanno una puzza penetrante con le loro carni appese su aste metalliche, alcune avevano anche un aspetto disgustoso. Poi c'è un grande reparto solo di fiori, con accanto un gruppetto di musicanti con certi loro strumenti un po' strani per noi. 
festa in piazza di giovani zapoteche coi loro huipil colorati (foto del National Geographic)


Anche qui quasi sempre si sente musica in giro, ma non solo dalle radio (come ad es nei paesi arabi). Ad un certo punto sentiamo che c'è musica fuori per strada e usciamo e vediamo un gruppo di persone che cammina suonando

Al mattino presto vediamo dalla finestra sulla strada sempre più gente che arriva a piedi dalle campagne e si avvia verso la piazza maggiore. Anche qui si possono riconoscere le provenienze dagli abiti tradizionali (che in questo caso portano sia le donne -che nell'abbigliamento sono generalmente più conservatrici- che anche gli uomini).


l'abito tradizionale maschile chamulano









Eccoli gli attuali discendenti dei vari popoli amerindi pre-colombiani, vivi e vegeti...
Molte facce di indie con bocche grandi, zigomi alti, occhi un po' a mandorla, e pelle scura. Molte giovani hanno capelli lunghissimi che portano sciolti oppure a trecce, e si tratta di capelli neri fortissimi.

In un quartiere c'è una specie di fiera del mezcal. Vari banchi offrono un assaggio. C'è il mezcal bianco,  e quello invecchiato (reposado). Lo si trova anche mescolato con preparazioni di erbe locali, mandorla, guayaba, anisette, ecc. 
Ci sono delle specie di colapasta fatti col guscio di noce di cocco. C'è come una paglietta per lavare le stoviglie, ma fatta di fibra naurale bianca. Molti oggetti e oggettini fatti di foglie intrecciate. Strani sassi e polveri varie coloratissime in sacconi di juta o canapa. Peperoni secchi di tutti i tipi e colori. Molte cose di cuoio, tra cui una gran varietà di tipi di sandali belli e robusti (gli huaraces). Frutta bellissima di ogni genere. Strani fruttini che chissà perché la tizia non vuole dirci come si chiamano (forse perché non lo sapeva in spagnolo e non voleva fare brutta figura). A C.d.Messico avevamo visto delle noci diverse dalle nostre, e a Toluca un gran "fruttone" come di palma con semi curativi e digestivi, che dicono essere portentosi ...
E poi molti tessuti colorati in stile tradizionale, tipo "tappeti" (anche da parete).


A Oaxaca in centro mangiamo il mole (ovvero tacchino o pollo) cucinato con la ricetta di Puebla (mole poblano) cioè col cioccolato fondente con peperoncino piccante e decine di spezie (molto complesso da preparare); poi tacos (piadine) riempiti di pollo con una salsa verde e briciole di formaggio di capra. Per pranzo prendiamo due tortas, cioè due grossi panini tipo sandwiches con formaggi locali, fagioli, mayonese, avogado, e burro ... Mentre in pullman avevamo mangiato delle brioches tagliate con dentro prosciutto cotto e peperoni, con senape dolce. A Tehotihuacàn avevamo preso delle tortillas fatte con il mais, ma con queso (formaggio), mentre gli altri le avevano con carne trita di maiale (carnitas) e papas (patate gialle), calde. Un'altra volta avevamo mangiato tacos con prosciutto e formaggio in una trattoria a C.d.Messico ma quelli erano stati piuttosto pesantucci, con troppi aromi e spezie. In un altro comedor avevo preso un asado de ternera (arrosto di vitella) allagato in una broda piccante, ma buono. La cosa più comune e semplice da mangiare sono le enchiladas, cioè dei cannelloni fatti di frittelle, molto popolari, per es. con prosciutto cotto e formaggino fondente. Molto diffusi sono i tamales, cioè dei "cartocci" di mais che contengono qualcosa cotto al vapore, insomma sono dei fagottini di foglie di pannocchia farciti con cibi all'interno per consegnarteli e per tenerli in mano; ma i contenitori non sono commestibili. Di solito stanno appesi in un colino a cuocere al vapore, se c'è dentro verdura o carne, o queso, formaggio; oppure ci sono anche i tamales de dulce.

Le indie portano delle sciarpe lunghissime, di solito di cotone grigio a disegnini chiari, che usano in molti modi, diversi, come scialli, sulla testa, avvolti in vita, dietro la schiena per metterci dentro i bambini, o come sportina, sacchetto per tenere cose, ecc.

Come accennavo più sopra, c'è una interessante e attiva Casa de la Cultura Oaxaqueña con musica e danze tradizionali, e esposizioni e conferenze, artigianato ...
(da Instagram)  

Alle loro nozze alcune donne vengono in chiesa vestendo uno huipil bianco adornato con piume di gallina. E' molto bello. E richiama l'arte di adornarsi con piume che fu tipica dell'epoca pre-hispanica.

(Per una serie di acute osservazioni sull'ambiente umano, si legga il bel libro di Anita Gramigna, Viaggio a Oaxaca, Aracne editrice, Roma, 2014 )




da: National Geographic map


- l' Istmo


Partiamo il 17 luglio alle 11 del mattino, con l'Omnibus Cristòbal Colòn, verso Puerto Angel sul Pacifico, con l'obiettivo poi di andare a Salina Cruz, un po' più a sud, e lì fermarci. 
Ora però c'è prima da attraversare la sierra oaxaqueña, e si arriverà sulla costa in circa otto ore. Si attraverseranno piantagioni di caffé e innumerevoli grosse agavi da cui si estrae il pulque (lo sanno fare i tlachiqueros con il machete). Anche i cactus hanno un loro utilizzo, tipo il cactus San Pedro, o il peyote (=pane degli dèi), che hanno un forte effetto psicotropo su chi li consuma, per cui vengono raccolti.
Prima di tutto arriviamo a Puerto Angel, ma la corriera arriva in ritardissimo, e ci lascia fuori dal paese, ad un incrocio dove dovrebbe passare il bus in coincidenza, e così alla fine ci dobbiamo fermare qui a dormire. Ma al mattino presto ripartiamo per Salina Cruz, ci vogliono 4 ore per arrivarci.


Questa area geografica a sud dell'altopiano e subito prima dello Yucatan, la chiamano Istmo, perché ci sono 200 km dalla costa pacifica alla costa atlantica. Le indie istmeñas più rinomate per la loro bellezza, sono le tehuanas, originarie di Tehuantepéc (a venti km da Salina), hanno splendidi costumi, i loro huipil di cotone fino alla vita, sono ricamati a tinte vivacissime, in disegni geometrici o a fiori, le ragazze da marito portano spesso i capelli sciolti o a lunghe trecce radunate sulla schiena, mentre le donne sposate portano le trecce arrotolate sul capo o allacciate dietro la nuca, orecchini d'oro o dorati passati da una  generazione all'altra, e lunghe collane con appese monetine. Forse è qui in questo ampio golfo che era sbarcata la china-poblana (la cinesina della città di Puebla, personaggio di una leggenda popolare) assieme a un gran numero di coolies cinesi che a fine Ottocento furono portati a lavorare alla costruzione di una ferrovia tra Juchitàn sul Pacifico e Coatzacoalcos sull'Atlantico. Superato l'Istmo di Tehuantepéc si passa poi nel "vero" Sud.

Facciamo una lunga sosta in un villaggio marino nei dintorni del paese di Salina Cruz per qualche giorno, presso "La Ventosa".
Ora stiamo in amaca all'ombra di questa cabaña di frasche tra le palme. La bahia è enorme, e semicircolare, tutta bordata da fitta vegetazione. Il mare (ovvero l'oceano) ora è calmo ma spesso ci sono delle onde che farebbero voglia a dei surfisti. 

Sta sempre suonando una qualche canzone tropicale anni '40 / '50. Ci sono tanti pellicani grossi che sfiorano il pelo dell'acqua, e poi certi si tuffano, e uccellini che si tuffano anche loro a pescare, e ci sono pure degli aquilotti. Uccelli di ogni tipo stanno facendo i loro richiami. Il tutto è come un po' accampato, casuale, scasinato, provvisorio. 
Ieri sera alla Casa de Huéspedes (casa degli ospiti, sarebbe una locanda buon prezzo) c'era una fiesta per un qualche anniversario e le indie erano tutte messe su con i loro abiti tradizionali più belli. Gli uomini schierati da una parte, e le donne dall'altra o a ballare tra di loro. Siamo invitati, e ci offrono cerveza (birra). Continueranno a bailar fino alle 9 e mezza. Musiche scassate, mal suonate, dischi di vinile vecchi, giradischi vecchi, altoparlanti scassati ...
C'è un enorme xilofono doppio, molto bello, che è la marimba ed è tutto di legno.
Venendo in corriera lungo la costa, il panorama era molto bello ma eravamo seduti in fondo ed era un po' nauseante il continuo andar su e giù con strette curve. A bordo c'era una grande scritta: Si tiene prisa levàntase temprano! cioè se ha fretta si alzi più presto! che non dimenticherò mai, perché anche questa (come anche per es.: ahorita no hay...), mi sembra che sintetizzi in modo assolutamente perfetto come si vive qui.
Cioè loro continuano imperterriti col loro ritmo lento e tranquillo, non è che se tu hai fretta cercheranno di accontentarti, no, svegliati tu più presto e così potrai fare le cose come si deve, cioè pian piano.
Anche noi ci adeguiamo volentieri passando molto tempo a prendere la brezza marina sulle nostre amache (belle colorate, che abbiamo comprato molto a buon prezzo, con anche la zanzariera per la notte) chiacchierando o sonnecchiando

Alla Casa de huespedes c'è una specie di scoiattolone al guinzaglio. All' Hostal Rustrian ci sono molti pappagalli grandi, coloratissimi... che bello! E ora mi torna alla mente un pappagallo, libero, al mercato di Oaxaca, che se ne stava sul bordo di una cesta e si mangiava un po' di mela.

Qui sulla spiaggiona i pescatori hanno portato a riva due squaletti grossi, e una razza, o manta grande. Poi noi siamo andati più in là, sotto una tettoia di frasche a bere una bibita, standocene seduti tra tanti gatti, pulcini, galline ...Nella fiesta di ieri sera le donne ballavano lente e seriamente, senza sorridere. Alcune erano più che anziane, ma proprio vecchie. Una di queste vecchie sputa per terra accanto a sè e continua a ballare tranquilla a piedi scalzi. Alcune donne, al mare si bagnano praticamente vestite. 
Qui c'è una conpresenza di animali che non si disturbano tra di loro, e che non disturbano neanche gli uomini. Cani che chiedono solo da mangiare, gatti che chiedono coccole, maiali che gironzolano tra il pattume (che è uniformemente sparpagliato dappertutto) pensando solo a cosa raccattar su e a come grattarsi. Mentre si mangia a tavola all'aperto, si sentono grugniti dietro la sedia, o si sta lì ad aspettare i tempi lunghi con cui ti serviranno e intanto si contempla ad es. una enorme scrofa che passeggia sulla bella spiaggia.  In effetti, se non fossimo reduci dall'India, probabilmente ci saremmo impressionati e preoccupati per questo insieme di cose (è pure vero che è anche "garanzia" di mancanza di igiene...!). 
Nei bar sulla stradina o sulla spiaggia c'è musica ad altissimo volume, fortissima, che si sovrappone tra un altoparlante e l'altro con ritmi diversi, e non è facile dormire, benché le amache siano all'aria aperta con la arietta marina...

Di amache appese sparse tra tra i tavoli, ad es. in un bar ora ne contiamo 8. La gente beve, si distende, dormicchia, o sonnecchia... In effetti queste amache sono il simbolo del ritmo lento con il loro dolce dondolio magari dovuto alla brezza, e dell'incedere con passo lento, del parlare lento di questi messicani  dei piccoli paesini. 




Qui abbiamo oramai debiti dappertutto: 5 + 5 al Paraiso, 5 al ristorantino della grassona, al vecchietto in fondo alla spiaggia ho dato 4 e10c,  anziché 5  ... 
e sì che siamo da poco arrivati, non ci conoscono, non ci avevano mai visti...
No hay problema... me li darai domani, mañana ... tranquilo! è talmente normale rinviare al domani, che direi che è un tratto tipico dell' abitante della costa,  il costanero, ribereño.
Praticamente il concetto è, anche se inespresso o non detto così a chiare lettere, ma evidentissimo: se è possibile, rinvia a domani quel che non hai voglia di fare oggi ... !
Infine, rifacendo l'elenco degli animali che ci sono qui in quantità, possiamo citare pellicani, aquilotti, uccelli tropicali, scoiattoloni, granchi, squaletti, e razze marine.

 Comunque poi arriva purtroppo il giorno in cui ripartiamo con un bus della compagnia Autobuses Fletes y Pasajes, linea Istmo-Chiapas,  ... 


(il testo del diario l'avevo riportato in http://viaggiareperculture.blogspot.com/2012/10/mexico-nel-lontano-1979.html)
( da anni è ormai operante una Assemblea dei Popoli Indigeni dell'Istmo di Tehuantepec, che si attiva nell' intentare cause a istituzioni e Corporazioni che ignorano i diritti collettivi delle comunità indigene)
Si legga anche il capitolo di Elena Lòpez de la Fuente, sulla questione indigena in generale in Messico, e altre pagine, nel libro di Pedro Ceinos, Atlante illustrato delle minoranze etniche, tr. it. Red edizioni, Como, 1992, pp. 111-114; e inoltre si veda a c. di A. Amitrano e F.P. Campione, Atlante delle civiltà indigene delle Americhe, edizioni Colombo, Venezia, 1992, §. 12 "Mesoamerica":

- I discendenti dei Maya

...dopo San Pedro Tepanatepec entriamo abbastanza in buon orario nello Stato del Chiapas, e poi saliamo, facciamo una sosta a Tuxtla Gutiérrez, la capitale. Il nome del Paese deriva da una tribù chiapaneca, cioè che viveva sul fiume chiamato Chià. Gli abitanti della città sono poco più di 40 mila, sono  meticci e creoli, solo il 20% della popolazione è amerindia della etnia Tzoltzil, mentre invece nelle campagne e montagne circostanti, in gran parte gli abitanti sono popolazioni maya di etnia tzoltzilchamula, o tzeltal, o gli zincantecos, a Zequentìc nel territorio attorno a Tzinacantàne altri.
da Tuxtla mancano solo 85 km in salita per arrivare nella regione india de Los Altos, ma insomma in totale ci vogliono 13 stressanti ore di viaggio in un pullman di 2a classe ... 

Ora eccoci a Ciudad de las Casas (dal nome del missionario amico degli indigeni) chiamata anche San Cristòbal (=Cristoforo), che si trova a 2200 metri di altitudine. Siamo stanchi e un bel po' rimbambiti, e stiamo girando a vuoto, non concludiamo nulla. Ma la cittadina è bellissima. Ora stiamo in uno stanzone enorme con due letti, proprio di fronte alla Iglesia de San Francisco, e dall'altra parte si vede giù il patio col colonnato, e all'orizzonte vediamo la chiesetta sulla collina (iglesia del cerro), dove fanno spessissimo scoppiettare petardi quando arrivano su in cima alla scalinata. 
Andiamo anche noi su per la ripida e lunga scalinata.  La collocazione e la concezione è proprio simile ai templi maya che vedremo nella selva del Petén, e forse è stata proprio costruita al posto di uno di essi.

Alla base e a volte anche lungo la scalinata, c'è un mercato spontaneo di pellegrini e di contadini che cercano di vendere i loro prodotti.



Questi amerindi maya sono piccoli, gentili, parlano piano, anche quando sperano che gli comperi le cosine che portano con sè: un poncho grezzo, delle borsettine tutte ricamate, delle grandi e belle farfalle, ... Ora una con il suo bimbo tenuto strettissimo sulla schiena dal suo robusto scialle di cotone, ci ha offerto una mariposa grigia gigantesca (un'ala era lunga 17-20 cm. con un corpo ciccione e lungo). Spesso ci prende una pena per questa gente dall'aspetto timido, con le loro belle povere vesti coloratissime, e ci dispiace veramente non poter comprare tutte quelle belle cose che ci mostrano. 

Certo qui, anche se a volte si vede una estrema povertà, non ci sono gli spettacoli strazianti visti in India l'anno scorso, anche se là si sentiva una profonda distanza culturale. Anche qui in parte c'è la sensazione netta della alterità, ma il fatto stesso di avere la possibilità di comunicare con la lingua spagnola, accorcia un pochino le differenze e distanze, rendendo possibile uno scambio, una comprensione dello stato d'animo. Ci si può informare sulle persone, la loro condizione, le loro difficoltà, e mostrare emapatia. Questa empatia che si instaura, o che noi ci figuriamo di vivere, ci immette sentimentalmente nel cuore dell'emarginazione, nel dolore, nel desiderio, che certi amerindi forse vivono nel confronto forzoso e nello scontro con un mondo estraneo (quello dei gringos del nord e "occidentale") che non comprendono forse e cui non appartengono (ma a cui molti vorrebbero rassomigliare). 


Quel che non manca mai nei posti per mangiare a buon prezzo sono i fagioli, in tutte le salse possibili... Ci sono fagioli, fagiolini, fagioloni, ce ne sono di neri, di rossastri, di bianchi e di giallognoli-arancioni... Il piatto più diffuso sono i fagioli fritti, anzi frijoles refritos.

Il centro storico di epoca coloniale è bellissimo con chiese e palazzi, straordinari, è curioso che la città non sia stata dichiarata patrimonio culturale dell'umanità. Le stradine sono calme. E' tutto rilassato e tranquillo. Si mangia a "La Casa Blanca" una comida corrida (menu fisso) per 20 pesos. C'è molto artigianato; negozietti con camice, pantaloni, casacche, ponchos, tessuti, ceramiche; in centro c'è anche una libreria!: "El Recoveco" dove compero di Octavio Paz (il poeta premio Nobel), El laberinto de la soledad, del 1950, da poco ristampato dal Fondo de Cultura Econòmica, México, sett.1978 (da noi trad.it. Silva, 1961 poi Il Saggiatore, poi edizioni SE), che mi appassiona e mi aiuta molto a capire questo Paese e i suoi abitanti. 

Di sera presto tutto chiude, resta solo la cafeteria central

Appunti storici: Una leggenda indigena narra che venne da lontano un eroe civilizzatore, che risalì il fiume e fondò la città di Nachàn, oggi nota come Palenque, nella selva, questo fu il primo centro abitato più antico del territorio del Chiapas di allora, che a quei tempi manteneva rapporti con gli Olmechi. In seguito sorsero Bonampak e Yaxchilàn. 
La cittadina attuale in cui siamo ora invece era stata fondata sulla sierra dal conquistador Diego de Mazariegos con la seconda spedizione militare spagnola, nel 1528, col nome di Villareal, e questa fu la capitale del Chiapas coloniale (e poi del territorio passato nel 1824 al Messico, sino alla fine dell'Ottocento quando il capoluogo divenne Tuxtla nel 1892), in seguito ribattezzata San Cristobal de las Casas.
Questo nuovo centro abitato, composto di casette basse con il tetto a due spioventi di tegole rosse, divenne ampiamente noto dopo l'arrivo nel 1545 del secondo vescovo del Chiapas, frate domenicano Bartolomeo detto monsignore "de las Casas". Appena giunto si scandalizzò per lo stato di servitù in cui era tenuta la popolazione locale sconfitta e soggiogata, e si fece paladino dei Maya rivolgendosi ai re di Spagna e a varie corti europee. In seguito a ciò venne detestato dai coloni spagnoli stabilitisi sul posto. Ma è ancor oggi ricordato come il "servo di Dio" difensore degli ultimi. 
Si legga il testo della sua "brevissima Relazione" del 1552 (tr.it. Mondadori, Milano, 1987):
“sono ridotti in stato di schiavitù, con tutte le vittime delle vessazioni e delle angherìe quotidiane, che ancor oggi continuano. Non potrà bastare informazione, nè lingua nè capacità umana a dar conto, una per una, delle spaventevoli opere compiute da quei nemici pubblici e persecutori del genere umano in codesta Contrada, talvolta allo stesso tempo in luoghi diversi, talaltra nello stesso luogo in diversi momenti.”


- Chamula
Poi noi ci trasferiamo al paese di San Juan de Chamula (qui molti toponimi sono doppi, uno spagnolo dinnanzi a uno locale), dove c'è un piccolo mercatino (mercadillo) verso cui convergono indigeni di vari villaggi, alcuni con cappelli particolari e tuniche rosa.
I chamulani hanno un forte sentimento della loro specificità e identità etnico-culturale. Per il mercato convergono a piedi da ogni dove, dalle campagne circostanti. La chiesetta è deliziosa e all'interno si vedono scene di devozione commuoventi per la loro ingenuità naïf e la loro semplicità estrema.



Al mercatino compriamo da un ambulante un quadretto fatto di fili di stoffa su una cornice di legno, con i simboli del Sole e della Luna (lo stile è quello degli Huicholes del centro-nord):



Il ricamo tessuto e incollato su un cartone porta sul retro un foglietto esplicativo, opera di un conoscitore:


Gli Huicholes sono un popolo che vive nell'altopiano centrale nell'attuale Stato autonomo degli Zacatecas, il testo si riferisce alla cultura autoctona e alla divinità di Ahuatusa. 

E casualmente in questo bel mercato indigeno e colorato abbiamo una piccola emozione imprevista: vediamo ben cinque Lacandones con alcuni bambini! che sono arrivati fin lì dai loro villaggi sperduti nel profondo della giungla. Ci affascina il loro aspetto, non abbiamo mai visto da vicino persone di un livello così "primitivo" come loro. Gli uomini indossano solo una tunica di cotone bianco grezzo (ma questi qui hanno anche delle calze e sandali). Portano i capelli molto lunghi con una frangia sulla fronte. Si aggirano curiosi e un po' stupìti tra le bancarelle di frutta e verdura o altro, e i teli a terra con esposti vari articoli del rudimentale artigianato locale. Probabilmente sono persone che sono state portate qui per potersi curare o per prendere contatti con i servizi di assistenza sociale, ma che non sono abituati ad uscire dai loro villaggi nella selva. Poi verremo a sapere che effettivamente sono venuti per portare un loro bimbo in ospedale, e fra qualche ora ritorneranno alle loro capanne. E' molto raro incontrarli, se non andando fino ad uno dei loro villaggi isolati. 

Si sono portati dietro dei piccoli archetti e alcune frecce che forse vorrebbero vendere, con punte molto aguzze, e piume colorate di uccello  in fondo. Ma dopo poco restano troppo affascinati dalle cose del mercato, così inusuali, che forse non si ricordano più di cercare di vendere le loro frecce, e comunque continuano a tenere con sè frecce e arco. Vediamo che poi in quella piccola confusione che si può creare in un mercato, si sono un po' separati e poi si sono persi tra di loro, e due di una coppia non trovando dove siano gli altri sono molto preoccupati. 
Sono abituati a vivere per conto loro in quella parte della foresta chiapaneca, lungo il rio Usumacinta, che si chiama appunto selva Lacandona. Sono circa seimila su un territorio di circa seicento mila ettari. Sanno come sopravvivere traendo tutto ciò che è di loro fabbisogno dal contesto naturale in cui abitano. Alcuni sono stati convertiti al cattolicesimo, o sono divenuti pentecostali o avventisti, ma in un contesto di grande sincretismo con i culti e le credenze tradizionali, mentre una parte, circa 860 individui, ancora segue strettamente solo il complesso delle visioni del mondo di origine maya (di cui sembra siano tra i più "puri" discendenti).

I Lacandoni si costruiscono piroghe molto profonde dove restano sempre dritti in piedi. Dormono assieme in grandi capanne, ma ogni unità famigliare ha la sua "cucina". Hanno sempre preferito restare per conto proprio, con pochi e rari contatti con il resto del mondo, impedendo ad estranei di stanziarsi nel loro territorio. (speriamo che nei prossimi tempi, con l'aumento dell'industria del turismo non si organizzino gite di gruppo nella foresta in visita ai villaggi Lacandoni).


Il popolo dei lacandoni al tempo del nostro viaggio era stato studiato da Edward Weyer jr., si veda il suo libro "Primitive Peoples Today", Chanticleer Press, poi per la Doubleday&Co., New York, 1958, cfr. pp. 67-74, che raccoglie le sue ricerche sul campo presso 14 differenti popolazioni, libro che è stato parzialmente tradotto in italiano dall'editore Bompiani nel 1960 ( a c. di A. Manzi), e di cui ne fu fatta poi una versione ridotta per ragazzi, a c. di V. Aureli, in tre fascicoli nel 1966. 




Poi li rivedremo ancora in un comedor dove il padrone li conosce e li ospita servendo loro una birra leggera, poi chiede se vogliono mangiare qualcosa e rispondono lentamente con quella loro voce sommessa che mangierebbero volentieri della carne. Ma poi dopo poco se ne vanno, prima che la carne fosse pronta, e siccome si accorgono che il proprietario ci è rimasto male nel vederli avviarsi all'uscita, allora si consultano e rimangono. La loro tunica è fatta dalla lavorazione della pellicola interna della corteccia di una pianta.  E' un evento molto raro poter incontrare dei Lacandoni a così breve distanza. Siamo stati fortunati. 

Una associazione che si preoccupa di proteggerli è l'istituto di studi antropologico-culturali Na-Bolom (che in lingua tzoltzil significa "casa del giaguaro"), una associazione di studi fondata dall'archeologo danese Frans Blom e sua moglie Gertrude, etnografa e fotografa e documentarista, che ha sede a San Cristòbal ed è un museo, un centro studi, una associazione di volontariato sociale, e una biblioteca, che è noto come Casa Blom, luogo gradevolissimo in cui soffermarsi, e incontrare gente interessante.
La casa ci è piaciuta molto, con il suo giardino tropicale, e tutti quei begli oggetti di grande interesse etnografico esposti nelle varie stanze. Anche gli ambienti interni ci paiono molto belli. Questa gente che sta qui sono tutti volontari che si dedicano a salvare una cultura, con grande entusiasmo e disponibilità. Nel bar e galleria d'arte, c'è un patio fiorito con fiori tropicali enormi, piante rigogliose nel giardino, e un'aria fresca gradevole. Ci sono anche diversi studiosi, che vediamo entrando nella stupenda biblioteca con il caminetto acceso, dove qualcuno è seduto in poltrona a leggere un libro. C'è una atmosfera rilassata, che denota non solo un ambiente di studio, ma di  persone che hanno anche compiuto una scelta di vita.

Ci accampiamo sul retro:


In centro al paese c'è un posto, che si chiama "Olla podrida" (pignatta putrida o fradicia, nome di un piatto di stufato di pollo con salsiccia e legumi, ma che si può fare anche col baccalà). 

- pratiche devozionali
Poi rientriamo a San Cristòbal sotto un vero diluvio, perché abbiamo saputo che c'è una cerimonia di battesimo collettivo di neonati e bimbi piccoli nella chiesetta frequentata dagli indigeni.
(da una rarissima cartolina)

Il pavimento della chiesa è tappezzato, cosparso interamente di aghi di pino, si sente profumo di incenso, cera, e altro. Non ci sono panche. Grandi festoni di carta colorata solcano l'aria da una parete all'altra. Sui lati per terra ci sono molte offerte, chiamate despachos, che si lasciano pronunciando una invocazione, una preghiera, o anche ofrendas, ofrecimientos (tipo birre, bibite, generi alimentari, tabacco ...). Tra queste rappresentazioni di santi (che ricordano anche figure della visione originaria del mondo maya), il più venerato qui è Maximòn, che richiama anche Htotìq, cioè nostro Signore in lingua sotz'il o tzotzil. Il Dio secondo la leggenda si era incarnato in forma umana in Maximòn... il grande Massimo.  Ma il suo nome deriverebbe da San Simòn, o da Mam-Ximòn, in cui Mam è la rappresentazione maya dell'anno vecchio che se ne va. 

Ma c'è parecchia confusione tra San Simone, Giuda Iscariota (che viene chiamato Simòn Giuda), e San Giuda (Taddeo), e persino Simòn Pietro... A volte dicono che lui fosse il primo apostolo, ma anche il primo mago, tipo il samaritano Simòn Mago. Sarebbe anche il marito di Maddalena Castellana, la cui festa è il 7 ottobre. Di solito il Gran Muñeco (fantoccio) sta seduto su una sedia, e il giorno dell'ultimo dell'anno del calendario maya, viene messo in piedi. Ha il potere di salvare dalla locura, dalla stupidità... a Maximòn -come si sa- piace bere e fumare (max in lingua Mam è il tabacco). Si tratta quindi di credenze eclettiche e sincretiche, presenti in diverse leggende popolari, assai diffuse e radicate tra le culture aborigene. Maximon si potrebbe tratteggiare come un misto tra una maschera tipo Sandròn ed un Santo stereotipato protettore dei poveri di spirito. Molti campesinos vedono nelle storie che si raccontano, in cui questo eroe/antieroe è il protagonista, una sorta di rispecchiamento, si identificano con questo personaggio ambiguo, un po' birbone, e un po' compassionevole, che spesso si mette in ridicolo, proprio come sarebbe la tipologia caricaturale dell'indio.

raffigurazioni di Maximòn (da mayaexpedition e tripadvisor)

Ora c'è un grosso gruppo di persone sulla destra disposte a quadrato (raffigurante i quattro punti cardinali) per il battesimo. Il prete pare come un po' imbarazzato, ogni tanto dice qualcosina in spagnolo al microfono, e uno traduce lungamente in chamulano. Intorno per tutta la chiesa ci sono per terra gruppi di indigeni, famiglie, singoli, accendono decine di piccoli ceri per cui poi pregano dinnanzi alle molte statue di "santi" collocate lungo i muri. Quasi ogni statua porta sul petto uno specchietto; questi indios si avvicinano, ci si guardano dentro, pregano pronunciando litanie antiche nella loro lingua aborigena, e offrono a questi dèi "cristiani e pagani" contemporaneamente, davanti ai loro ceri accesi per terra, tra gli aghi secchi di pino, accanto ai braceri con la carbonella ardente, bottigliette di alcoolici, o di pepsi-cola o altro, assieme a pacchetti di sigarette e banconote. Alla fine poi si bevono le bottigliette. Non c'è propriamente un altare in fondo, ma supporti per le statuette, tavolini mobili pieni di bicchierini con un lumino acceso dentro...

Poi ritorniamo al mercato nella piazza centrale.




A Zinicantàn, un villaggio tzoltzil (o sotz'il), sono molto venerati San Lorenzo (festeggiato il 10 agosto), San Sebastiano (alla cui festa sono presenti animali che compaiono nei racconti mitici, come scimmie, corvi, e possibilmente un giaguaro), Giovanni battista, il Signore di Esquipulas (in Guatemala, un Cristo nero, grande meta di pellegrinaggi), e la Virgen del Rosario (che è Madre del Santo Sepolcro) equiparata alla dea Luna e patrona di tutte le donne, ma anche è molto presente il solare Signore della Terra, Kùkul-càn in lingua maya, simboleggiato da un serpente piumato (si  confronti con Quetzalcoatl), e il cui nome nel chamulano di qui mi pare sia qualcosa che suona come Ktutank-Can (simile dunque al Grande Spirito dei Lakota, gli Sioux), forse con la stessa radice di Htotik (il "Padre nostro" in tzotzil). Il Signore della Terra si era incarnato in forma umana, e un tempo era adorato sotto l'immagine di un muñeco, di un pupazzo di legno, ovvero di statua lignea, ed era rappresentato seduto su una sedia, ovvero su un trono, a cui davano da bere e da fumare (come si faceva durante le feste e le cerimonie, perché così più facilmente si poteva riuscire ad entrare in contatto con il mondo delle divinità), e spesso era bianco con occhi azzurri. Una storia dunque simile a quella di Maximòn. 
La leggenda popolare racconta che un giorno il muñeco, il simulacro, la statua di legno, scomparve, e allora tutti pensarono che essendo ubriaco fosse andato via e fosse arrivato sino al mare dove fosse annegato. Quando poi giunsero i conquistatori spagnoli con i loro missionari, e mostrarono l'immagine di Cristo, credettero che il Signore della Terra Kukulcan fosse tornato, e ripresero ad adorarlo sotto quella nuova immagine (una credenza simile l'avevano anche i Nahua, cioè gli Aztechi, e quelli di Cholula, a proposito di Quetzal-còatl, l'eroe divino civilizzatore). Il che fece indignare i primi missionari (cfr. Joseph Campbell in proposito, v. il mio: La forza del mito, pp. 164, 374 e 436)
Anche la croce ad es. per i Zinicantecos non ricorda, non simboleggia soltanto quello strumento romano di tortura in legno su cui fu messo a lenta morte Cristo tra indicibili patimenti, ed è piuttosto caricata di altre simbologie collaterali e sovrapposte... come la scala, la luna e il sole, il gallo, e altro... sopra a cui a volte si appende un drappo, un manto....

Essa piuttosto li rinvia all'incrocio tra i 4 venti e le 4 direzioni del mondo, il punto di incrocio è una porta magica attraverso cui gli uomini possono entrare in contatto con le divinità ancestrali, è l'occhio dell'aquila, e ... viene reinterpretata nelle sue rappresentazioni; e ancora oggi di fronte alla croce, che essa sia barocca e carica di simboli, o sia geometrica stilizzata ed essenziale, loro vanno a chiedere che ci siano buoni raccolti, o se venga concesso loro il permesso di tagliare un certo albero, o per implorare di poter guarire da una malattia.

bordado, ovvero ricamo à broderie
tappeto tessuto a mano, con al centro una  "croce di Quetzalcoatl" (simile alla chakana degli Incas)

Il Cristo dunque è ancora oggi in certi villaggi vissuto come il Solare Signore risplendente della Terra, figlio della lunare e purissima Dèa Madre (Maria). 



Così è pure in altri paesini che attraversiamo, da Chiapas de Corzo a Ixtapa, e anche poi andando verso il Guatemala, Teopisca, Amantenango, Comitàn, fino alla frontiera.
A sud dell'Istmo e in Chiapas e nella penisola dello Yucatàn le lingue originarie più diffuse, oltre a quella dei Lacandoni, sono sempre lingue di ceppo maya, e sono sopratutto quelle dei Chol, Huaxtechi, Quiché, Tzotzil, e degli Yucatechi (questi e altri gruppi linguistici di origine maya sono stanziati anche in Guatemala, Belize, Honduras).

Compero per una cifra che è un'inezia una bella giacca di panno pressato, con disegni




In certi casi (in rif. ad alcune etnie) si vedono dei profili di volti proprio molto simili a quello di una scultura lignea che abbiamo comprato, e che raffigura la testa del "tipico" maya "classico" (appartenente appunto alle popolazioni suddette):
 
forse ispirato da questa famosa scultura antica:

Compriamo pure una riproduzione da un bassorilievo antico maya, dell'animale totemico, il giaguaro (che è anche un titolo onorifico che si conferiva a saggi e valorosi guerrieri)


 (ma è oggigiorno anche il titolo di una setta "segreta" di dubbia fama dedita a sortilegi, fatture, e minacce simboliche, nonché pratiche occulte di "magia nera",  da parte di sedicenti stregoni o brujos, detta degli "uomini-giaguaro")

Comunque rispetto al nostro viaggio, il Messico dovrà aspettare più di vent'anni sino alla riforma costituzionale del 2001 e le nuove leggi promulgate nel periodo della presidenza Fox, per vedere l'inizio del riconoscimento ufficiale dei diritti specifici delle minoranze etniche indigene. Per prima cosa va accettato il diritto di quei popoli al possesso dei territori in cui vivono, poi vanno riconosciute le loro lingue, e accettate nei tribunali, scuole e mezzi di comunicazione. Pian piano comunque dal duemila ad oggi (con l'elezione del nuovo presidente Obrador) si sono fatti molti passi in avanti in questo senso.


N.B.: Per una esposizione più dettagliata e ampia si può andare a leggere il post caricato sul mio Blog nell'ottobre 2012 con il diario del viaggio del '79 e commenti:
http://viaggiareperculture.blogspot.com/2012/10/chiapas-79.html

e per confronto si veda il mio lungo diario dello stupendo ricco viaggio che facemmo nel 2005 nelle regioni centrali del Messico, che avevo caricato sul Blog il 7 settembre 2011:
http://viaggiareperculture.blogspot.com/2011/09/diario-di-viaggio-nel-messico-centrale.html

+ alcune indicazioni bibliografiche:

Cfr. in Il Milione, DeAgostini, Novara, 1963, nuova ediz. Terre e Popoli del mondo, GEDEA, 2001,vol. 10, pp. 372-461
Nella serie Peoples and Nations, di «Time - Life», si veda il volume sul Messico, nell'edizione. it. Popoli e Nazioni, A.Mondadori CDE, 1985

Ma specificamente il volume Tesori del Messico. Le civiltà Zapoteca e Mixteca (c.1500 a.C. - 1521 d.C.), edizioni Electa, Milano, 1991(catalogo di una mostra d'arte), 

E. G. Licòn, Tremila anni di civiltà precolombiana: Zapotechi e Mixtechi, tr.it. Jaca Book, Milano, 1991


Sul Chiapas, e lo Yucatàn nel Messico attuale:  L'articolo di G.E.Stuart, "The Timeless Vision of Theotihuacan", in National Geographic Magazine, dec. 1995; e anche si leggano gli articoli di M. Parfit, "Yucatan peninsula - Maya Heart, Modern Face", e "Chiapas -Rough Road to Reality", sullo Special Issue vol.190, N° 2, august 1996, del «National Geographic», Washington D.C., 138 pages.

Infine cfr. Atlante - le civiltà indigene delle Americhe, di Aurelio Rigoli e Annamaria Amitrano, edizioni Colombo, 1992. E infine di Pedro Ceinos, Minorìas Etnicas, editorial Integral, 1989, tr. it. di R. D'Este, Atlante illustrato delle minoranze etniche, Red edizioni, Como, 1992, capitolo "America Centrale", pp. 111-118.
E come guida per viaggiatori, oggi c'è di Antonella Macchia (che già aveva pubblicato Yucatan e Chiapas), Messico del Sud, Polaris edizioni, Faenza.
Invece sulle opere d'arte antiche, era uscito qualche anno prima del ns viaggio il catalogo "Arte Maya del Messico", maggio 1971, in occasione della mostra al Palazzo del Turismo del comune di Milano, a c. dell'assessore P.Pillitteri sotto il patronato di M. Alemàn Valdès. E L'arte del Messico prima di Colombo, catalogo mostra Olivetti, A.Mondadori editore, Milano, 1988. Inoltre si veda per es.  Storia Universale dell'Arte, editorial Planeta, Barcelona, 1985, 1988, tr.it. Gedea-Arte, Grande Enciclopedia DeAgostini, Novara, 1989, 1998, Arte vol. 10, i capitoli V e VI. E di Marcia Castro Leal, Messico archeologico, Monclem ediciones, Mexico DF, 1990, tr.it. Bonechi, Firenze, 1990, che si riferisce al catalogo del museo nazionale di antropologia di città di Mexico.

Per una interpretazione di simboli maya, si veda tra i tanti anche l'importante studio di José Diaz Bolio, La serpiente emplumada, eje de culturas, pubblicato in Yucatàn (Mexico) nel 1955,  1975, in varie succ. edizioni.  (preciso per chi non conosca i simboli precolombiani, che non si tratta di una traduzione dell'omonimo racconto di D.H. Lawrence, The Plumed Serpent, 1926... né di The serpent Power di A.Avalon, 1917, e nemmeno di La serpiente del paraìso, di Miguel Serrano, 1970, niente di tutto ciò...).





Su queste popolazioni che fecero parte del vasto dominio dei Maya, esteso sugli odierni Guatemala, Chiapas, Yucatàn, e altri paesi limitrofi (come Belize e Honduras), cfr. per es. nell' opera enciclopedica di etnografia a c. di H.  A. Bernatzik, Popoli e razze, i testi di K.A. Nowotny, nel vol. 3°, tr.it. Casini Editore, 1965; e a c. di R.Biasutti, Le razze e i popoli della Terra, vol. IV, Parte Sesta,  di Biasutti e di J.Imbelloni, cap. 8, Utet, 3a ediz. 1959. rist. 1967.
Inoltre cfr. "I popoli della Terra", Europa Verlag, 1973, tr.it. Mondadori, 1975, 1981, vol. III, Messico e America Centrale, i capp. su "i Lacandoni", e su "i Chamulani" (pp. 84-101), il cap. di Octavio Paz, e  gli altri;  e l'opera già più volte citata nei precedenti post, di Alberto Salza, Atlante delle popolazioni, Utet, Torino, 1998.
Ma si legga anche il paragrafo sul "carnevale maya", nel secondo capitolo del testo di C.A. Pinelli, "Alla ricerca delle origini", nel libro con Folco Quilici, L'alba dell'Uomo, De Donato, Bari, 1974.

Cui si aggiunga sul piano storico: 
lo studio di Herbert Wilhelm, Welt und Umwelt der Maya, Piper, München, 1981, tr. it. La civiltà dei Maya, Laterza, Bari-Roma, 1985, rist. RCS, 2004 (con amplissima bibliografia). Gli Aztechi, il tragico destino di un impero, tr.it. Electa - Gallimard, Milano, 1994
Maria Longhena, Antico Messico, Storia e cultura dei Maya, degli Aztechi e di altri popoli precolombiani, White Star, Vercelli, 1998, riedito da White Star-L'Espresso, 2004, nella collana Le Grandi Civiltà del Passato.
A. Aimi, La vera visione dei vinti: la conquista del Messico nelle fonti azteche, CNR e Bulzoni, 2002
E I tesori degli Aztechi, a c. di Felipe Solìs Olguìn, tr.it. Fondazione Memmo e INAH; poi Mondadori-Electa, 2004 





Infine va consultato Il Mondo dell'Archeologia, opera in 2 voll. dell'Ist. Enc. It. Treccani, Roma, 2002, nel secondo vol. cfr. i § sui Maya. E sempre dell'Ist. Enc. It. Treccani, la Enciclopedia Archeologica, Roma, 2004, vol. IV, Parte prima 
E va visitato il Museo Nazionale preistorico ed etnografico "Luigi Pigorini", a Roma, nelle sale dedicate al Mesoamerica.

E per quanto riguarda credenze e pratiche religiose cfr. il saggio di Mercedes de la Garza, "Le forze sacre dell'Universo Maya", (con 4 pagg. di bibliografia), nel volume a c. di L.E. Sullivan, Aa.Vv., Culture e religioni indigene in America centrale e meridionale, trad. it. Jaca Book, Milano, 1997, vol. 6 del Trattato di Antropologia del Sacro in 12 volls. a c. di J. Ries.
E' importante per comprendere quelle culture informarsi sulla loro religiosità e spiritualità, dato che fino ad un recente passato si faticava a denominare religione l'insieme delle credenze e superstizioni dei contadini indigeni odierni, e ancor più forse le religioni antiche dei Maya storici e delle altre popolazioni circonvicine, ed erano considerati solo come folklore le prime e idolatria le seconde. Si aveva in mente per gli antichi Maya solo l'aspetto sanguinario della pratica dei sacrifici umani (il che "giustificava" le ecatombi compiute dai conquistatori). Si evitava di soffermarsi sulla sacralizzazione della natura, e sul valore attribuito ad alcune realtà naturali, come le grotte, i pozzi, i monti, gli alberi, le stelle, ecc.

Rinvio all'opera a cura di F.Lenoir e Y.T. Masquelier, Encyclopédie des religions, Bayard, Paris, 1997, tr.it. La religione, Utet, Torino, in 6 volumi, 2001, vol. 3°, cfr. M.Cocagnac, "Le forme antiche della vita religiosa in Messico e Guatemala", pp. 545-574. 
Si veda anche: A. Lopez Austin, "La religione del Mesoamerica", in G.Filoramo, Storia delle religioni, vol. 5: religioni dell'America pre-colombiana e dei popoli indigeni, Laterza, Bari-Roma, 1997, pp. 5-75.
Ma si legga anche per un parallelismo tra Q. e il Messia e Cristo, il libro di Laurette Séjourné, Burning Water, 1959, trad. it. Quetzalcoatl il serpente piumato, 2a edizione, 1961, Il Saggiatore, Milano, nella famosa collana" Uomo e Mito" diretta dall'etnologo Roberto Bosi.

Sull'importante ed interessante rapporto tra danza e mito, si veda la raccolta a cura di Nancy Allison e David Kudler, di testi di Joseph Campbell, The Ecstasy of Being, JCFoundation, 2018 (anche in formato elettronico Kindle)

Per altri aspetti del Messico, tra cui anche altri popoli nativi, con una storia diversa da quella più famosa degli Aztechi e dei Maya, vedi il diario del viaggio che avevamo fatto nel 2005:
http://viaggiareperculture.blogspot.com/2011/09/diario-di-viaggio-nel-messico-centrale.html

Per quanto riguarda il riconoscimento dei diritti collettivi dei popoli originari, e della loro aspirazione ad essere consultati, si sono fatti grandi passi da allora, e dal 1996 è attivo il CNI (vedi: https://www.congresonacionalindigena.org/che-cose-il-cni/ ).

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