mercoledì 21 dicembre 2011

la meraviglia della nascita


oggi è nata la piccola Lucia, è la figlioletta della nostra amica Silvia. E' sempre un evento straordinario che desta una gran meraviglia.... benvenuta piccolissima Lucia e buona fortuna!

ma quando è incominciato tutto ciò...? una giovane si accoppia con un giovane e poi partorisce un terzo individuo...la piccola neonata viene partorita da quella giovane che ora è diventata una madre, e lei a sua volta quando era nata era stata partorita da sua madre, eccetera eccetera a ritroso... quindi l'origine sta nei suoi quattro nonni, che a loro volta derivano, ciascuno di loro quattro, dai loro quattro nonni, e così via sinché a furia di arretrare questo diviene un numero grandissimo, tale da comprendere tutta l'umanità esistita in un lontano passato, e dunque siamo tutti parenti...
ma quanto è lontano questo passato? non poi moltissimo, dato che più risaliamo all'indietro e meno erano gli abitanti di questa terra, sino a che giungiamo in un'epoca in cui gli esseri umani di specie sapiens-sapiens erano veramente pochissimi, un gruppetto sparuto in costante rischio di estinzione. E loro a loro volta hanno origini lontane nel corso della evoluzione della specie, sinché guardando all'indietro si giunge alla prima coppia di mammiferi....
come è possibile? è difficile da concepire tutto ciò. più si va all'indietro è più grande è il numero dei trisavoli, quadrisavoli, e degli antenati più lontani, e invece minore è il numero di esseri umani... se consideriamo tutte le numerosissime stirpi famigliari che nei secoli passati a causa di malattie e morti violente, o comunque precoci, si erano estinte, non hanno avuto seguito con loro successori in modo da poter giungere sino alla nostra epoca...
e allora? considerati tutti i rami secchi delle ultime decine di millenni, siamo discendenti di pochissimi avi... Confesso che faccio fatica ad abbracciare questa x per capire che ad un certo punto (quale? quando?)  tutti coloro che ora sono vivi si possono dichiarare discendenti da un unica coppia... 
E' il mistero della origine della vita in questo pianeta, che si è realizzata a costo di moltissime specie che col tempo si sono estinte nelle epoche passate per lasciare il posto alle antenate delle forme viventi attuali. Siamo tutti collegati dato che tutto si svolge su questa "piccola" pallina rotante nel cosmo. Una maniera abbastanza facilitante per considerare tutto ciò, forse è vedere le cose attraverso l'idea della metemsomatosi, o "reincarnazione" del genoma (intendo una idea non ingenua, ma una metavisione complessiva, "astratta" dalle specifiche personalità e individualità singole il cui passaggio si consuma in un batter di ciglia). così si potrebbe intendere il "fissarsi" delle esperienze compiute dai vari individui della specie umana, a livello di codice genetico, ed il progredire verso una ottimizzazione del rapporto tra potenzialità e capacità effettive, e produrre un perfezionamento non solo a livello performativo e cognitivo, ma anche spirituale. 
Se vita in generale è movimento (e riproduzione), il primo movimento si è determinato già sin con i cristalli. 
Ma naturalmente oltre all'abisso dell'inizio, si può pensare all'abisso del futuro più lontano che ci sia possibile immaginare, oltre la fantascienza...
Fino a che numero di esseri umani sapiens-sapiens questo nostro pianetino può sopportare? e poi? Quando i bisnipoti degli attuali sette miliardi di individui avranno raggiunto la quantità massima possibile?? fra non molti decenni, o fra molte  molte generazioni future?  .....e comunque dopo?
e...a parte gli umani attuali (o la specie a noi successiva nell'evoluzione), allargando la visione, quante delle specie attuali potranno sopravvivere nel lontano futuro, e quanti individui viventi di tutte quante le forme di vita, potranno starci?
.....e poi? 
sono domande oziose, dato che non conoscendo il futuro (ed è una gran fortuna non vi pare?) non possiamo calcolarlo e quindi non potremo mai conoscere le risposte.

Ma ora restando nella nostra piccola nicchia spazio-temporale, che meraviglioso evento è la nascita di un nuovo individuo!..... rincantucciamoci in questa nostra cuccia calda del qui ora adesso, e godiamoci lo spettacolo che in questo batter di ciglia, per noi lungo una vita, ci è riservato goderci... scordiamoci tutte le oziose considerazioni appena fatte, e anzi scusatemi per avervi comunicato queste assurde fantasticherie.

benvenuta piccolissima Lucia, hai tutta la vita dinnanzi a te, e buona fortuna!

sabato 17 dicembre 2011

i sentimenti di appartenenza

Wole Soyinka, poeta e scrittore nigeriano, premio Nobel 1986, che vive in Inghilterra, così dice in occasione della presentazione del suo libro "Sul far del giorno" (traduzione it. Frassinelli editore):

"Nel suo libro Lei mostra la convivenza tra due identità, quella Yoruba e quella occidentale; come è riuscito a integrarle?"
"Mi considero di cultura yoruba perché sono nato in Africa. Altri nigeriani invece nati in Inghilterra sono diversissimi da me, non hanno respirato la stessa atmosfera.
 Della mia cultura apprezzo soprattutto la pluralità di Dèi, che riflettono vari aspetti dell'animo umano, e che corrispondono di più a una democrazia, mentre mi sono convinto che i monoteismi riflettono gli assolutismi.
Poi mi piace il senso di famiglia allargata, rispetto alla concezione molecolare europea.
Ma preferisco di gran lunga il vino italiano a quello di palma...."

martedì 13 dicembre 2011

il tema del "doppio"

domenica 11 era uscita sul "Corriere della sera" questa recensione di Franco Cordelli dell'opera "Il nipote di Ramaeau" scritta da Denis Diderot tra il 1762 e il '73, trasposta per Teatro da Silvio Orlando, e che ha molto a che fare con le problematiche dell'identità:


Diderot contro il suo doppio

Con "Il nipote di Rameau" di Denis Diderot, adattato per la scena da Edoardo Erba e Silvio Orlando, che ne è interprete e regista, ci troviamo di fronte a tre personaggi in uno: l' autore, l' interprete e l' intermediario. Quest' ultimo nel testo viene designato come Lui ed è il realmente esistito Jean-François, nipote di Jean-Philippe, entrambi musicisti. Ma se Jean-Philippe è Rameau, Jean-François (benché compositore di una Raméide che ebbe una qualche diffusione) non è che il personaggio di Diderot, colui che nel Nipote si autodesigna come Io. Questo Io-Lui è subito di grande interesse: non già termini neutri, pura nomenclatura, ma anticipazione d' un tema del doppio che avrà grande fortuna nell' Ottocento e nel quale Freud vide una traccia dei due «desideri delittuosi» originari nell' uomo. Del racconto di Diderot, cominciato nel 1761 e portato a termine vent' anni dopo, la prima edizione è in lingua tedesca, tradotta nientemeno che da Goethe nel 1805: la copia gliel' aveva data Schiller, che a sua volta l' ebbe da Caterina II (Diderot aveva all' amica inviato il manoscritto). Un altro gigante tedesco che s' interessò del Nipote fu Hegel: egli lesse nelle parole del musicista fallito, nella sua spavalderia, nella sua deliberata volontà di inganno del prossimo «l' impudenza di enunciare questo inganno e dunque la verità suprema», ossia il nocciolo di quella che sarà la sua filosofia, la «negazione della negazione». Ma tutto questo bendidio culturale, che lo stesso Hegel avrebbe definito «fatuità della cultura», in che modo, o in chi, trova espressione? Diderot ci parla della sua abitudine, alle cinque del pomeriggio, di passeggiare verso il Palais Royal e, in caso di pioggia, di rifugiarsi nel caffè della Régence. Mentre guarda la gente giocare a scacchi incontra Jean-François, un avventuriero, un parassita, un cialtrone. I due intraprendono un dialogo. Il filosofo-scrittore ci appare piuttosto controllato, pieno di buon senso. Almeno in confronto al suo interlocutore: il quale è una furia, ne ha per tutto e per tutti, compreso sé stesso. Il «nipote» si dichiara uomo mediocre e discetta sulla questione verità-menzogna, e poi su quella che più gli sta a cuore, che differenza c' è tra il genio e la normalità: ma davvero sarebbe meglio essere uomo di specchiata virtù piuttosto che, come Racine, aver scritto Andromaca ed essere chiacchierato nel tempo suo e in quello venuto dopo? Se tutto fosse eccellente, risponde il saggio filosofo, nulla lo sarebbe. Ma per Jean-François ciò che importa è smascherare la pretesa di eccellenza, di onestà, di modestia: quanto orgoglio ci sia dietro ogni modestia! Egli odia tutti coloro che nascondono ciò che dicono, odia gli ipocriti. Ma amo Molière, aggiunge, perché m' insegna, se fossi un ipocrita, a parlare da ipocrita; e se fossi avaro, non mi nasconderei dietro qualche insignificante gesto di carità. Insomma il nipote di Rameau è il primo demistificatore della storia letteraria, un personaggio che sa distinguere tra la malvagità e il tono con cui essa viene raccontata. Per Diderot è una variante della sua idea fissa: che cos' è il «mostro»? Che cos' è un sordomuto? Che cosa l' eccezione rispetto alla regola? Questo, per venire all' interprete, penso sia ciò che ha attratto Silvio Orlando: una figura che gli offriva l' opportunità di operare variazioni «serie» sul tema della sregolatezza, della buffoneria, dello smisurato: quasi che ciò che aveva accennato nei suoi tanti personaggi potesse venire alla luce, rivelare una parte di sé, un suo vero, occulto sentimento. 
RIPRODUZIONE RISERVATA "Il nipote di Rameau" di Diderot/Orlando,  di Cordelli Franco

domenica 11 dicembre 2011

quel che siamo

Siamo quel che siamo diventati. Speriamo che sia vicino a quella identità che più e meglio ci consente di realizzare le nostre potenzialità, la nostre propensioni,  e le nostre migliori attitudini...

Non è forse vero -diversamente da quel che molte istituzioni religiose consolidate vorrebbero farci credere- che cristiani si diventa, e non semplicemente "si nasce"? (ovvero che in realtà non si è veramente cristiani solo in virtù del battesimo che ci fecero dare quando eravamo neonati...); e così pure buddhisti si diventa non si nasce; ebrei si diventa, non si nasce; mussulmani si diventa, e non si nasce; eccetera, eccetera. Oggi già c'è anche da noi una maggiore varietà di credenze, e non vale più tanto l'equazione, nato in Italia= quindi cattolico..., nato in Inghilterra =anglicano, nato in Olanda =protestante, ecc. ...
Il generale D'Azeglio, quando si realizzò l'unificazione della penisola sotto la corona dei Savoia, disse che l'Italia era stata fatta, ma che ora si dovevano fare gli italiani. E quindi anche italiani si diventa, magari tramite la scuola, la stampa, la radio, il cinema, la televisione, i mass-media eccetera.
Così perlomeno ci dicono molti "nuovi italiani" nati qui, magari anche di seconda o terza generazione di immigrazione, che si sentono del tutto o in parte italiani, forse più che della "cultura originaria". E ugualmente è accaduto ai nostri emigrati di un tempo in Venezuela, in Canada, in Australia, in Francia, in Inghilterra, in Germania, in Svizzera, negli Stati Uniti, in Brasile, in Argentina, in Belgio, eccetera, e soprattutto ai loro figli.
.... ma.... allora è il nascere in un certo contesto culturale che determina la nostra identità???....
fino a che punto l'identità è data dai condizionamenti che subiamo, e fino a che punto è frutto di una nostra costruzione? ha senso fare un appello a prendersi in carico la propria autoformazione? a prendersi cura di sè? 

mercoledì 7 dicembre 2011

dopo la lezione di Richard Salazar




Interculturalidad


PUNTOS DE PARTIDA

La interculturalidad va mucho más allá de la coexistencia o el diálogo de culturas; es una relación sostenida entre ellas. Es una búsqueda expresa de superación de prejuicios, del racismo, de las desigualdades y las asimetrías que caracterizan al país, bajo condiciones de respeto, igualdad y desarrollo de espacios comunes.

Una sociedad intercultural es aquella en donde se da un proceso dinámico, sostenido y permanente de relación, comunicación y aprendizaje mutuo. Allí se da un esfuerzo colectivo y consciente por desarrollar las potencialidades de personas y grupos que tienen diferencias culturales, sobre una base de respeto y creatividad, más allá de actitudes individuales y colectivas que mantienen el desprecio, el etnocentrismo, la explotación económica y la desigualdad social.
La interculturalidad no es tolerarse mutuamente, sino construir puentes de relación e instituciones que garanticen la diversidad, pero también la interrelación creativa. No es solo reconocer al "otro" sino, también, entender que la relación enriquece a todo el conglomerado social, creando un espacio no solo de contacto sino de generación de una nueva realidad común.

 Desde la ética y los valores sociales, la identidad e interculturalidad se las promueve como el reconocimiento y respeto de la diversidad social, con acciones sobre la dignidad y derechos de las personas y colectivos sociales, para que éstos se constituyan en factores sustanciales de sociedades integradas, democráticas y estables.

* Desde las prácticas e interacción cotidiana, la identidad e interculturalidad, posibilitan actitudes para el entendimiento y relaciones entre “los distintos” para beneficio mutuo y colectivo.
* Como un horizonte de vida, la interculturalidad representa la apertura a nuevos escenarios, conocimientos y prácticas sin contradecir la estima, identidad y capacidades propias de las personas y colectividades.

El reconocimiento de la identidad y la interculturalidad requiere de un diálogo con buena intención, que hay que impulsarlo con lo mejor que tienen las comunidades e individuos, con los aspectos más atractivos de sus culturas, favoreciendo la eliminación progresiva de prejuicios y resistencia mutuos. un diálogo con buena intención, que hay que impulsarlo con lo mejor que tienen las comunidades e individuos, con los aspectos más atractivos de sus culturas, favoreciendo la eliminación progresiva de prejuicios y resistencia mutuos.

ECUADOR INTERCULTURAL

No es suficiente constatar la heterogeneidad del Ecuador, sino realizar los cambios que permitan una relación más simétrica entre los grupos que lo componen.
Pero nuestro país tiene mucho camino que recorrer para consolidarse como un país intercultural. Para ello debe no solo renovar sus leyes sino sus instituciones y su tejido social interno. Todo eso supone el impulso de nuevas prácticas culturales. Y para ello el sistema educativo es crucial. Tendremos un avance de la interculturalidad si la ponemos en la base de la reforma educativa global.

Ya hemos mencionado que los llamamientos a la construcción de la interculturalidad han venido desde los pueblos indígenas. Por ello, gracias a su lucha, Ecuador tiene el mérito de haber creado un sistema especial de educación indígena "bilingüe intercultural". Este es un paso serio que debemos apreciar. Pero ese ámbito de la educación tiene que ser de veras intercultural más allá de los enunciados, evitando ese etnocentrismo que cree que avanza la educación indígena como una estructura aislada del conjunto de nuestra educación nacional.

lunedì 5 dicembre 2011

Moni Ovadia grande uomo di teatro:






Dopo l'intervento di De Angelis sull'identità ebraica nella letteratura, vi posto questo testo di e su Ovadia :


"A me, in quanto ebreo, hanno spesso chiesto anzi, “sono stato richiesto” di spiegare che cosa significhi essere ebreo, che cosa sia in realtà un ebreo. Durante mesi di notti insonni ho tormentato la mia mente, il mio cuore, la mia anima e ho distillato una dolente risposta che vi propongo: “Boh?!”.
Gli ebrei sono un popolo di schiavi liberati.
Formano la loro identità nello spazio-tempo del deserto, un luogo senza confini, dove il tempo si dilata fino a diventare una dimensione, uno spazio, mentre la dimensione “spazio” è difficile e non favorevole alla sedentarietà.
In "Oylem Goylem" la condizione esistenziale dell’ebreo errante è ricreata attraverso le parole e la musica fino a diventare “una metafora vertiginosa dell’uomo contemporaneo sospeso tra ricerca dell’identità e angoscia di un universale stato d’esilio”.

Il filosofo Cioran definisce l’ebreo con risultati particolarmente espressivi:
"[…] Poiché è restio alle classificazioni, quel che di preciso se ne può dire è inesatto; nessuna definizione gli si addice. […] tutto è insolito in lui: non è stato forse il primo ad aver colonizzato il cielo, ad avervi posto il suo Dio? […] questo popolo, inadatto alle dolcezze della disperazione, incurante della sua fatica millenaria, delle conclusioni che gli impone la sua sorte, vive nel delirio dell’attesa, fermamente risoluto a non trarre insegnamento dalle sue umiliazioni, né a dedurne una regola di modestia, un principio di anonimato. Prefigura la diaspora universale: il suo passato riassume il nostro avvenire…Il più tollerante e il più perseguitato dei popoli, unisce l’universalismo al più stretto particolarismo. Contraddizione di natura: inutile tentare di risolverla o spiegarla."

Chi è dunque l’ebreo?
In "Perché no?", Ovadia ritiene l’identità ebraica aleatoria, non un’identità somatica, se non relativamente con un elemento caratterizzante, quello della corrosività; inoltre la considera indistruttibile ma molto delicata.
Giacobbe fa un gesto significativo, prima di morire, non chiama per la benedizione il figlio Giuseppe ma i nipoti.
In questo modo sottolinea l’importanza del futuro, un futuro nel quale spesso l’identità ebraica è garantita da un nonno o da bisnonno.
Ovadia espone una teoria affascinante del filosofo Emile Fackenheim secondo la quale il milione di bambini ebrei sterminati furono uccisi per la fede dei loro bisnonni...
Questi se avessero abbandonato l’educazione ebraica avrebbero spezzato il filo dell’identità e quattro generazioni dopo le vittime potevano essere tra i carnefici. 
Al contrario, come si sospetta, molti capi nazisti compresi lo stesso Hitler e il gerarca Reinhardt (colui che nella conferenza di Wahnsee rese la soluzione finale un piano operativo) avevano probabilmente tra i loro bisavoli un sedicesimo ebraico che abbandonò la fede. 
In questo caso non solo i carnefici avrebbero anche potuto essere vittime, ma paradossalmente poteva non esserci la tragedia che c'è stata.

L’attore si definisce un ebreo di origine bulgara, non ortodosso, di formazione marxista, vegetariano, e soprattutto con un’ identità nomade, dove nomade è inteso nell’accezione dell’ebraico ger ossia straniero in continuo cammino.

Più precisamente, in epoca post-Olocausto, si sente “nella medesima condizione in cui si sono trovati tanti intellettuali ebrei collocati in un contesto di mezzo tra assimilazione e disagio identitario”.
Questa condizione di “orfano di una cultura” è propria di Franz Kafka, scrittore delle angosce e dei bisogni segreti dell’uomo moderno.

su Ovadia cfr. per es. i seguenti siti della Rai :
http://www.scrittoriperunanno.rai.it/scrittori.asp?currentId=108
http://www.fuoriclasse.rai.it/new/dettaglio_puntata.aspx?IDPuntata=379

la scrittrice Clara Sereni

Riporto la nota editoriale di un romanzo autobiografico di Clara Sereni:




Nel "Gioco dei regni", edito da Giunti, 1993, 
ricompare in primo piano la famiglia della scrittrice, sia del ramo paterno, Sereni, che materno, Silberberg, con mamma e nonna russe. 
Alternando i capitoli tra storia degli uni e degli altri, si compongono le vicende pubbliche e private di una famiglia ebraica protagonista della storia del Novecento.




I grandi temi politici e culturali del secolo davvero non mancano. C’è il socialismo rivoluzionario dei nonni materni, Leone e Xenia, l’ebraismo laico ed assimilato del nonno paterno, il medico Samuele, il sionismo militante dello zio Enzo, ucciso dai nazisti, l’ebraismo ortodosso prima, il comunismo poi, del padre Emilio, membro del Partito negli anni terribili, incarcerato dal fascismo ed esule in Francia.
Il titolo si riferisce al tempo in cui i piccoli Sereni, Enzo, Emilio ed Enrico, giocavano a fare "se fossi il re", spartendosi i ruoli pubblici e redigendo perfino un giornalino, inconsapevole apprendistato della loro vita adulta.
Clara, figlia di Emilio e Marina-Xeniuska Silberberg, ci restituisce le loro storie attraverso ricordi, carteggi, fondi di archivi privati raccolti sia in Italia che in Israele, dove vive un ramo della famiglia Sereni ed è sepolta la nonna materna dopo aver vissuto a lungo in un kibbutz collettivista.
Se la protagonista di questo romanzo è la grande Storia, non lo sono meno gli affetti, lacerati dalla politica o da dolori terribili e “privati”.

Vedi nel sito di Rai Educational : 

http://www.scrittoriperunanno.rai.it/scrittori.asp?videoId=1071&currentId=126