domenica 22 novembre 2015

Fede Paronelli: "Iddio geometrizza sempre" (Platone)

Riporto qui un altro brano dal libro "Urania nei secoli (la storia dell'astronomia romanzata)", pubblicato  ad agosto del 1945, alcuni mesi dopo la sua morte. Da cui un primo racconto già l'avevo riportato il 2 ottobre scorso ( http://viaggiareperculture.blogspot.it/2015/10/viaggio-allalba-del-mondo.html ).
Il libro è intitolato alla Musa Afrodite Urania, sotto la cui egida si svolgono l'ammirazione per la bellezza del cielo stellato e l'osservazione e gli studi degli astri e della volta celeste
Si tratta del primo capitolo della seconda Parte, intitolata alla frase di Platone riportata sopra,
aeì ho Theòs ho Mégas geōmetreî tò sým pan 
= sempre il Grande Dio geometrizza tutto

(che simboleggia l'atteggiamento tipicamente greco, già quasi di tipo scientifico verso queste conoscenze), e riguarda i viaggi che i greci facevano in Egitto dove potevano attingere a importanti studi che nei secoli si erano là compiuti sui corpi celesti, spinti dalla curiosità e dal gran desiderio di conoscere (quella "volontà di sapere" di cui parlerà Aristotele).
E Claudio Tolemeo operò nell'Egitto romano ad Alessandria, dove scrisse il Grande (Meghiste) libro di calcoli matematici applicati all'astronomia (poi detto "Almagesto").

Kláudios Ptolemâios 



Kébes (Cebete)




ricostruzione del famoso grande faro di Alessandria d'Egitto





venerdì 20 novembre 2015

la Paronelli e il suo papà, iniziazione all'astronomia

Vi riporto alcune pagine autobiografiche di mia nonna, relative a quando abitavano in Svizzera. Il mio bisnonno Federico Paronelli, garibaldino e di "fede" mazziniana (partecipò alla battaglia di Mentana, e poi si unì ai Cacciatori delle Alpi e combattè sui Vosgi) fu un giornalista importante, sopratutto come corrispondente dall'estero (dove si fece molte amicizie), poi era divenuto anche capo-redattore di quotidiani (prima del Secolo XIX di Genova, poi del Corriere dell'Isola di Palermo), e avendo acerbamente criticato l'operato di Crispi (in particolare per le guerre coloniali in Abissinia e in Tripolitania) fu da questi boicottato duramente, tanto che ritenne più sicuro espatriare. Vissero qualche anno a Lugano e nel Canton Ticino, dove inizialmente dovette fare l'operaio in una tipografia, e poi si distinse con il fondare l'ospedale italiano di Lugano. La famiglia era composta dal padre, la madre Matilde Arietti (1861-1924), scrittrice di letteratura per ragazzi (sotto lo pseudonimo di Fides), fondatrice e direttrice della scuola per italiani di Chiasso, la loro figlia Fede (mia nonna), e Celeste la figlia maggiore avuta da Federico nel suo primo matrimonio.

Federico, Fede (con la sua bambola "Lenci"), e Celeste, a Lugano

Federico poi morirà nel 1904 quando Fede aveva solo 11 anni…


Ecco alcuni brani sparsi dal libro "Fra le Stelle" (pubblicato postumo nel 1945),

incomincerei dal primo che si riferisce al 1899 quando Fede aveva 6 anni :





( … ) e più tardi  … 



 ( … ) poi quando Fede già andava da sola alla scuola primaria ...


 ( … ) poi più avanti….

( … )



( … ) e tempo dopo ...




( … ) poi qualche anno dopo … quando
forse la figlia andava già  in prima" media" (in Ticino scuola secondaria di primo grado) ...



( … )



Fede a dieci/undici anni con il violino "Guarnieri del Gesù" avuto dal padre


del libro si fece una ristampa nel 1954 e una terza ancora nel 1960


[nel frattempo Annalisa è ora in attesa di ricevere per la correzione dei refusi le seconde bozze definitive del suo libro su Fede P., che dovrebbe dunque uscire fra circa un mese o poco più]

lunedì 16 novembre 2015

Le meraviglie di Fede Paronelli

Ecco un altro Post con brani da testi di Fede Paronelli, che anche qui si propongono di affascinare il lettore e appassionarlo allo studio dell'astronomia e alla pratica della osservazione del cielo stellato notturno.


da: Le maraviglie del cielo, casa editrice G. Principato,  collana "Iniziazioni", Milano, 1944, 
cap. IV, pp. 62-63 :

Dove si studiano le stelle

"Esistono sulla terra, in luoghi lontani dalle vorticose metropoli moderne, situati su alte montagne o solitarie colline, là dove l'aria è più limpida e più sgombra, dove meno imperversano piogge e nevi, al di sopra delle cortine di nebbia, al riparo dal turbinio dei venti, calmi recessi simili ad òasi di pace, ai cui piedi sembrano infrangersi e disperdersi le misere passioni umane: sono questi i bianchi edifizi, adorni di cupole, di terrazze, di torri, dove si studiano le stelle. Gli osservatòri creano sul tempestoso mare della vita dei popoli, isole di serenità, emergenti calme e sicure dinanzi all'immenso mistero del cielo stellato. Sembra che un'altra atmosfera vibri in quegli ambienti raccolti, ove appena giunge il lontano fragore degli eventi umani; un'atmosfera di religiosità e di ricerca, tutta permeata dalla millenaria ansia dell'uomo, sempre proteso verso l'insolubile problema dell'infinito. 
il telescopio di Asiago, uno dei maggiori in Italia a fine anni Trenta

E' difficile, per non dir impossibile, al profano penetrare in questi templi della scienza moderna. Un osservatorio astronomico è come un monastero di clausura, nel quale soltanto gli iniziati possono essere ammessi. (…)
l'osservatorio di Mount Wilson in California del 1931con cui Paronelli era in contatto



E' dunque da remote e solitarie plaghe del nostro pianeta che l'uomo sprofonda ansioso lo sguardo negli abissi dei cieli, per carpire qualche briciola di verità sulla costituzione dell'immenso, misterioso universo che da ogni parte lo circonda. (…)


La Terra come pianeta
(...) La lotta tra Estate e Inverno, il dolce ritorno della Primavera, fu fissato poeticamente in tutte le religioni dell'antichità. Presso gli egizi vediamo Osiride in lotta contro Tifone, presso gli atzechi d'America vi fu il mito della dea Xochiquétzal, raffigurante la primavera che morta risorge al bacio ardente dell'amante Pilzintecùtli, il Sole. 
E presso gli elleni, tramandatoci nei secoli attraverso la tradizione latina, non abbiamo forse il soave mito di Perséfone? La bella figliuola di Démetra, la Terra, rapita da Plutone nelle profondità sotterranee, ritorna ogni anno ad abbracciare la madre. Non è essa forse la personificazione evidente di quella meravigliosa forza della natura per cui ogni anno la vegetazione risorge magnifica ad una nuova esplicazione di vita?

(...) Questa eterna vicenda delle stagioni, che alterna le dolcezze primaverili alle malinconie autunnali, i rigori dell'inverno agli ardori estivi, ha una sua segreta e profonda poesia, rispecchiando la vicenda alterna della vita umana con le sue ore di gioie e di sconforto, e ci parla forse segretamente di una più vasta e più sublime vicenda. Nella rinascita di Perséfone a nuova vita non era forse adombrato presso gli antichi popoli mediterranei il simbolo del rinascer dell'anima, della umana psiche, a nuova e più luminosa esistenza dopo la morte terrena?



(...)
E come ci stupisce ed affascina questo immenso vibrar di vita nello spazio sidereo, così ci ammalia il sapere che queste stelle hanno anch'esse il loro ciclo d'esistenza come noi il nostro. (...) Non è meraviglia? nel mondo della materia tutto è mutevole e caduco, tutto è soggetto alla nascita come alla morte. (…) 

I cieli sorgono e cadono, ma, come dice il Poeta: "Lo sguardo dell'uomo sbigottito/ scorge per entro l'ombra, Iddio che passa/ nuovi Soli a librar per l'infinito".


Fede Paronelli a Camogli nel 1938

sabato 14 novembre 2015

la ricerca del sapere, per la Paronelli

Oggi vi propongo in lettura la presentazione del testo di mia nonna Fede Paronelli, "Nuovi orizzonti della scienza moderna" del 1941/42, in cui esponeva in modo divulgativo le prospettive di ricerca in astronomia, a fianco di quelle nella ricerca psichica. 
Nel rileggere l'indice del volume, mi è venuto spontaneo pensare non solo ai pitagorici e a Platone, ma anche ad un autore che in questo periodo sto molto leggendo, cioè Joseph Campbell (1904-87), uno studioso di mitologie comparate, che perseguiva simili obiettivi in particolare nel suo volume "Le distese interiori del Cosmo" (1986).

Fede Paronelli sapeva scrivere e parlare di argomenti impegnativi con quel suo stile scorrevole e pieno di pathos, che risultava sempre affascinante e coinvolgente.









logo della società per gli studi di metapsichica, fondata nel 1937

giovedì 12 novembre 2015

commento

Capisco che un testo del 1929 suoni un po' lontano dalla nostra sensibilità estetica odierna, ma volevo sottolineare alcuni aspetti che mi erano piaciuti e che mi intrigano.
Intanto l'idea di un poema lirico, in cui siano commisti testo, musica e danza mi pare interessante, e anche la stessa immagine delle tre Muse intrecciate mi piace. Poi alcuni dei personaggi li trovo come figure di sogno (come lo Spirito delle Vette, o il Vecchio della montagna). Poi ci sono -anche già solo in questo breve pezzo del prologo che ho riportato-  alcuni versi e alcune immagini che mi hanno dato delle suggestioni. Per esempio:
"il nembo dei suoi fini capelli" mi vedo questa nuvola vaporosa di capelli delicati e "soffici"…;
poi l'immagine che sia il sole che si trascina giù con sé "l'orizzonte di luce"! ;
inoltre i trucioli che sono l'effetto del suo "lavoro paziente" e lento di intaglio, alla fine non vengono eliminati nella spazzatura, ma si dice loro che è un privilegio, un gesto di rispetto, affidarli al fuoco che li "torce", perché Folco considera "sacra la materia che si sfalda" per dare vita a un opera d' arte…
E infine mi piaceva quel "ardète e discioglietevi nel vento oh scorie dei miei sogni" … perché sono i suoi sogni che gli fanno intravedere il risultato dell'intaglio del legno, cioè "il volto della fata"…


Poi ci sarebbero altri bei brani nello svolgimento dei tre Atti, ma mi pareva meglio non eccedere troppo pretendendo una lettura forse un po' faticosa di un linguaggio desueto.

martedì 10 novembre 2015

le stelle della Paronelli, e un imminente libro


Domani, ultima luna nera d'autunno, è il giorno dedicato a San Martino, in cui culmina quel breve periodo "simil-estivo" che precede la fine dell'autunno e gli inizi del periodo invernale, e che in nord America chiamano "indian summer" e da noi appunto "l'estate di San Martino". Stamattina già il sole è più velato delle giornate scorse, e le temperature notturne sono scese.

In questi giorni per me ritorna anche il pensiero a mia nonna materna.
Ieri alla mia compagna Annalisa Pinter sono giunte per un controllo le bozze di stampa del suo ultimo libro, che tratta proprio la biografia di mia nonna Fede Paronelli (morta a fine ottobre del 1944).

La chiamavano "la Signora delle Stelle" dato che fu per molti anni apprezzatissima conferenziera alla cattedra del civico Planetario di Milano intitolato a Ulrico Hoepli. 
Quindi in attesa della oramai imminente uscita del libro vorrei nei prossimi Post mettere sul mio Blog qualcosa su di lei. Già avevo nel novembre del 2012 pubblicato un suo testo poetico su la Notte, e una breve novella all'inizio del mese di ottobre scorso, "All'Alba del Mondo". 

Ora invece riporterei alcune pagine di un opera costituita da un dramma teatrale con testo di mia nonna, commentato da una Suite per quintetto d'archi e organo, scritta assieme da Luigi e da Piero Albergoni (un compositore che fu il suo secondo marito), ed eseguito in teatro a Como al palazzo "Giosué Carducci" nel dicembre

 del 1929, intitolata "Stelle". Comprende anche una stornellata ("a Mirella") che venne cantata da Carla Censi, mentre la "Danza degli Spiriti delle Vette" e il commento mimico furono create, coreografate e interpretate da Giannina Censi.  


Pietro Karr era l'autore dei versi della Danza degli Spiriti delle Vette, e fu in quell'occasione il "lettore" in pubblico del poema, oltre che collaboratore dell'"impresa" (forse si potrebbe trattare del figlio o di un parente del giornalista francese Alphonse Karr, amico di Puccini e di Mascagni).

Lo faccio anche per "salvare" il testo di mia nonna, dato che non fu pubblicato. Spero che possa incontrare il favore dei miei lettori.

Inizio con la "Presentazione":
"Il lavoro che oggi presentiamo al pubblico, il Maestro Piero Albergoni ed io,
è un tentativo; il tentativo d'una forma d'arte nuova ed antichissima nel medesimo tempo; la fusione perfetta tra la poesia e la musica, con qualche sfumatura di danza e di figurazione mimica, che deve render più chiaro, più vivo e palese il Mondo dell'invisibile.
Poiché è cosa più che vera, è cosa da ognuno di noi stessi provata ogni giorno in forma o triste o lieta, che la vita è fatta di due Mondi strettamente collegati tra loro e pure l'un l'altro ben distinti; il mondo tangibile e reale, ed il mondo spirituale, interno e fantastico, invisibile, e pur tanto più vivo de l'altro, dove le passioni lottano e si scatenano, anche se il volto sa conservare la sua maschera d'immobilità.
Questi due mondi, come due serpi amorose, s'avvinghiano così strettamente l'uno a l'altro da non distinguer più, a volte, dove termina lo spirituale e fantastico, e dove il reale; talvolta l'uno ha il sopravvento su l'altro, talvolta camminano di pari passo.
E così musica e poesia, che dipingono or l'uno or l'altro dei due mondi, devono procedere fuse insieme ed aiutate da la danza, a volte, per la rivelazione del mondo psicologico e fantastico.
Il pensiero poetico e passionale deve proseguire ininterrotto, sia che lo enunci l'una o l'altra de le due Arti sorelle, deve assurgere a maggior potenzialità allorché le due, anzi le tre Muse, proseguono d'accordo, tenendosi per mano. 

Erato, Euterpo, Tersicore: la Poesia, la Musica, la Danza, devono, nei nostri intendimenti, guidare e svolgere questa lieve trama simbolica, passandosi la parola in così perfetto accordo che il pubblico non debba sentirne interrotta o scossa la continuità di pensiero.
Come già dissi al principio, questo tentativo è insieme nuovo ed antichissimo poiché è risaputo come le rappresentazioni in Grecia fossero formate appunto dai tre elementi: ed oggi l'illustre Romagnoli, rinfrescando a traverso l'abilissima traduzione poetica quella antica forma d'arte, ci diede magnificamente l'occasione di rigustarla. Ma la tragedia greca, anche presentata nella sua veste più perfetta, non può, oggi, commuoverci ancora. Troppo è lontano da la data d'oggi quel mondo di Dèi, d'Eroi, di Re e Regine leggendari, e le loro passioni poco ci toccano, anche se profondamente ammiriamo. Nè la musica che accompagna tale azione può svilupparsi in tutta la sua moderna potenzialità armonica, in tutto il suo italico slancio melodico, dovendo attenersi alla tradizione onde cercar di rendere quanto più fedelmente possibile le antiche forme musicali.
Non con questo che si voglia menomamente sminuire la magnifica riesumazione dei capolavori ellenici! Si vuol semplicemente dire che l'intento è diverso, perché sopratutto modernissimo.
E nemmeno il "Peer Gynt" di Ibsen ci ha ispirato in ciò che abbiamo voluto tentare, poiché là, la musica  deliziosa, affascinante nella sua potenza pittorica, scritta da Grieg, è pensiero a sé: ben di rado si fonde con l'azione, e soltanto a sprazzi, come nella Morte di Sè o nella danza d'Anitra. E questa danza p cosa ben reale, non rivelazione del mondo interiore.
Osiamo dire perciò NUOVO il nostro tentativo, data la fusione veramente nuova de le diverse espressioni d'Arte, fusione rispondente, speriamo, a le odierne esigenze d'un pubblico raffinato.
In un lavoro di questo genere la trama, l'azione non può naturalmente esser troppo vivace; poiché se così fosse si sconfinerebbe verso il melodramma, il che è ben lontano dai nostri intendimenti in quest'opera che vuol esser di pura poesia, di simbolo di rivelazione psicologica.
E' dunque poemetto lirico, e la "Guida a la Suite" che trovate nel Programma, vi permetterà di meglio seguire il pensiero musicale.
Abbiamo preferito affrontare prima il pubblico in forma quasi privata col la lettura del poema, anziché con la rappresentazione immediata su le scene, onde avere noi stessi, dal giudizio che avremo su l'opera nostra, la coscienza d'esser più o meno riusciti nell'intento.
Naturalmente l'esecuzione musicale da partitura d'orchestra dovette esser ridotta a quintetto d'archi, affidando a l'organo i fiati, ed al pianoforte la completazione orchestrale; anche la Danza degli Spiriti delle Vette ha naturalmente dovuto subire una riduzione, poiché abbiamo qui la sola prima danzatrice, mentre in iscena vi sarà il corpo intero composto di almeno sei o otto altre danzatrici.
La figurazione scenica dovrete immaginarla a traverso le mie didascalie, per mezzo delle quali cercherò di darvi l'illusione visiva il meglio possibile, e senza disturbare lo svolgimento del pensiero musicale, per il quale, oltre che pregarvi vivamente di seguire sul programma la Guida a la Suite, vi invito pure a badare ai cambiamenti di numero che saranno indicati su l'organo.
Ed ora affidiamo al Vostro giudizio questa nostra creatura, in cui abbiamo messo i nostri più puri intendimenti d'arte, e speriamo esser riusciti a potervi trasportare in quel mondo magnifico del simbolo e delle realizzazione del sogno artistico, nel quale, componendo, ci apparivano guide spirituali, le tre Muse sorelle, simili a le Virtù de la deliziosa figurazione dantesca nel Paradiso Terrestre: 

«Tre donne in giro da la destra rota / Venìan danzando …»  " 
(la Presentazione fu letta da Pietro Karr).

"Stelle" di Fede Paronelli

mia nonna volle porre questa composizione sotto l'egida del sacro fuoco dell'Arte,
 e "della bella Vega", "la fulgida stella" da lei preferita, come dirà nel suo ultimo libro, con titolo simile a questo:
 "Fra le stelle", in cui scrive di Vega che:"aveva una luce tutta fremente, palpitante, vibrante come una fiammella viva"
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LE PERSONE:


Folco - il pastore giovinetto, snello, ricciuto, dai sognanti occhi profondi, che vive una sua vita d'incanto irreale tra la casta innocenza de la montagna altissima e del cielo; simbolo dell'artista puro, trae la sua ispirazione fresca e sicura da la natura intessa, di cui intende le più segrete voci.

Lo spirito delle Vette - flessuoso, etereo, irreale, figlio de la montagna e de le immensità, avvolto di veli in cui riflettonsi i colori de l'alba d'argento, dei tramonti infocati, de le prata e de l'acque, parla dal suo mondo di mistero e di poesia al puro che sa intenderlo.

Un gruppo di Spiriti de la Montagna - dai molli gesti soavi, che sorridono liberi e beati, tra le erbe, tra i fiori, sotto la vastità del cielo …

Mirella - fresca creatura della realtà, la cui luminosa giovinezza splende nello sguardo vivace, ne la serica lucentezza de le nere, lunghe trecce. Essa apparirà seduta tra le ceste di vimini biondi, su la mula bardata di rosso, quale reginella agreste, nel suo costume di contadina agiata.

Simone - Il vecchio de la montagna. Ha l'aspetto d'eremita e di stregone; porta su le spalle una bisaccia vuota, e, legati a la mazza, ramuscelli, e fili d'erba medica, e fiori da le portentose virtù sanatrici, ed i suoi piccoli occhi acutissimi, ne dicono la scaltrezza e l'avidità.

Luca - Rude e forte giovinotto del contado; agiato padrone di terre e di mandre, e fidanzato di Mirella. 


IL PROLOGO:

A l'aprirsi lentissimo del velario apparirà, tra nebbie vaghe, fluttuanti, un lembo di mondo spirituale, indefinito nel tempo e ne lo spazio. Seduto sur un masso erboso, che emerge chiaro e bene illuminato dalla mobile cortina nebbiosa, avvolto ne le sue pelli, calzato di sandali primitivi, sta il giovane pastore, intento al paziente lavoro d'intaglio. Accanto a lui arde quieto un focherello, tra i sassi, e posano su l'erba gli arnesi, il rozzo ceppo non ancora sgrossato, l'umile bisaccia in pelle caprina e la cornamusa canora.
Intorno intorno è l'alta pace de la montagna, già tutta rosea e violetta nei bagliori soavi del tramonto imminente. Tra i lenti vapori che sfumano il quadro sereno s'intravede, nel pallore del cielo vespertino, la tenue falce de la nuova luna.

SCENA unica

Folco
Oh cielo, o mio bel cielo immenso
dove lo spirito mio spazia e s'accende,
non velarti sì rapido! Rimani,
rimani azzurro e chiaro un altro poco!
Vorrei ancora modellare il volto
de la fata Esmeralda, e il molle nimbo
de' suoi fini capelli …
Soave il primo e soffici i secondi
come li vedo nel mio incanto …
                                                   (riprende il lavoro paziente)
Tace
la montagna e s'addorme …
E' dolce l'ora,
e già mi pesa l'intagliare, e il sogno
come sempre, m'afferra e m'incatena…
Ecco; il sole, tuffato nei vapori
lontani, già è scomparso e già trascina
silenziosamente dietro di sé
l'orizzonte di luce … 
                          (si alza, raduna i ferri, raccoglie i trucioli e li sparge sul focherello, che                                                                             d                                                                    d'un tratto si ravviva)

Qui, sul foco, 
ardete e discioglietevi nel vento
o scorie de' miei sogni! … Non la vile
immondezza v'attende, ma il bel foco
vi torca e vi distrugga,
così che puri, ne l'immenso azzurro
risaliate, ché sacra tutta appare
la ruvida materia che si sfalda
sotto il paziente lavorìo dell'arte.

[eccetera eccetera, poi una volta terminata la scena del prologo seguiranno tre Atti]