venerdì 10 febbraio 2012

"corso" sulla cultura tradizionale andina kichwa (3)


se ci sono domande mi piacerebbe che intervenissero almeno due maschi e due femmine. 
/Domanda di una ragazza: come considerate gli altri popoli stranieri e le loro culture?/ Dal 1992, cioè in questo Nuovo Tempo, nuovo Pachakuti, o nuova Era, abbiamo la aspettativa che gli altri ci ascoltino, e ci vengano a visitare per conoscerci, pertanto abbiamo uno sguardo, un atteggiamento più aperto verso gli estranei, di amicizia e di comunicazione con gli altri, perchè dobbiamo ora comunicare con tutti affinchè conoscano la nostra cultura.
Ora che intevenga p.f. un ragazzo. /Domanda di uno studente: Qual'è il vostro calendario ?/ Nei tempi antichi la nostra divisione el tempo era regolata secondo le fasi della Luna, si misurava seguendo le progressioni lunari. La Luna (Quilla, o Killa) ha quattro fasi o parti, il calendario così si muove con la donna, con i cicli femminili di 28 giorni. Questo significa che moltiplicato per un anno da tredici mesi, alla fine rimane un giorno, che è dedicato a celebrare un grande evento denominato Inti Raymi, la festa del Padre Sole. Ogni figura, ogni grafico ad esempio che possiamo vedere qui /indica le decorazioni del tessuto del suo poncho/ rappresenta un mese lunare. Questo poncho ha come vedete 13 figure di questa forma, e alla fine ce n'è una in più dedicata al Sole e alla Luna.

Ecco hanno parlato un maschio e una femmina, ora intervengano altri due. /Un ragazzo interviene per chiedere come concepiscono il matrimonio/ Uno sposalizio dovrebbe consistere in alcuni passi che si devono compiere. Il primo si dice invialgo, in questa fase ci si conosce e si diventa molto amici; e così si impara a rispettarsi molto, ed è poi quando percepisci che questa persona è quella che fa per te, che senti che tra voi c'è una connessione profonda. Una persona è per te quando senti che senza quest'altra persona non puoi vivere, quando sai che è come l'aria che respiri, come il Sole che ti riscalda, e sei sicuro che quella è la persona giusta, allora in questo caso vuol dire che c'è amore e che c'è connessione, e non solo innamoramento. Questo allora è un amore di significato cosmico. Quando invece c'è solo innamoramento e sentimento di conquista, o di possesso, una persona in qualsiasi momento potrebbe desiderare di liberarsi dal vincolo, e allora ne consegue una pena, una sofferenza. Lo sposalizio consiste in alcuni riti. Il primo è quello di chiedere il permesso ai genitori, alla famiglia. Ogni fase contempla delle celebrazioni.
/torna a mostrare alcuni oggetti che ha portato/ Qui vediamo un attrezzo che si chiama kalliwa, con questo si può tessere e lo usano le donne anche per tessere, mentre questo siccome è più grande lo usano gli uomini per tessere. Però il filo lo prepara sempre una donna. Perchè è importante che ci sia sempre cooperazione. Perchè gli uomini e le donne sono uguali, e nessuno è superiore. Con la conquista spagnola è stato introdotto il maschilismo, sinchè durava la vecchia epoca, sino al 1992, dominava il machismo, il maschilismo, mentre ora nel Nuovo Tempo crescono tutti con eguali condizioni e la donna sta riconquistando dignità. L'uomo ha la potestà di decidere, però deve anche rispettare la volontà della donna. Il Sole e la Luna sono due astri che hanno la potestà suprema però non si contrastano. Così pure l'uomo e la donna non devono combattersi ma in questa Epoca devono incontrarsi in amore e avere tra loro molta amicizia. E' questo ciò che rappresenta questo tessuto che hanno contribuito entrambi a fare. Fa parte del principio complementario del nostro popolo, del valore della complementarietà, non possono essere separati l'uomo e la donna, il Sole (Inti) e la Luna (Killa), il dì e la notte, perchè entrambi si necessitano reciprocamente.

Tutto, sino all'ultimo semino, tutto, l'aria, tutto ciò che c'è nell'ambiente, ha una connessione profonda con maschile, femminile, anziano e giovane. Persino le pietre hanno una energia maschile o femminile. /batte tra loro due pietre/ ecco...sentite questi suoni con questo ritmo? questo accompagna le attività di cura, serve per curare, rallegra, può purificare l'ambiente. Ciò accade perchè si congiungono le due energie maschile e femminile. Se fossero solo di una energia non funzionerebbero così bene. 
Ciò fa parte dell'antico sapere andino: è benvenuto l'incontro tra le due componenti, e inoltre ci si deve rivolgere alle quattro direzioni cardinali, perchè le energie si accumulano negli angoli, per cui bisogna dirigere il suono ai quattro angoli, alle quattro direzioni. Il suono, il ritmo, la musica sono elementi che possono tranquillizzare quando una persona ha una condizione d'animo alterata, quando si è giù d'animo.
Questo strumento ad esempio è fatto con una pianta che cresce lungo la laguna di Colta, e si chiama totòra. Avevamo visto nelle foto una pianta verde stretta e alta nell'acqua lacustre, lo strumento è fatto con quel materiale. Tutto -vi dicevo- partecipa delle energie maschile o femminile, e esse sempre devono essere congiunte o compresenti , così come avevamo visto ad esempio nelle decorazioni del poncho. 
Altre domande?
/Domanda: ma come si può distinguere una pietra dall'energia maschile anzichè femminile?
Si riconosce dal suono che produce. Se è grave o acuto, proprio come nella voce umana, quella maschile è bassa e grave, quella femminile è più gradevole, piacevole, dolce. Per esempio questo piccolo sassolino, se battuto con un'altro maschile, non produce un bell'effetto, perchè sono eguali, e il risultato non è gradevole. Quindi ci si riferisce alla energia che si manifesta nelle vibrazioni.

/Domanda di Camilla: come viene considerata la morte ?/ Nella nostra cultura tutto è un passaggio. L'essere umano non comincia la sua vita propriamente alla nascita, e tantomeno la termina alla morte. E' così dunque che la consideriamo, un passaggio ad altra forma di vita. Comunque la morte quando uno è in connessione con la madre natura, con il suo corpo, può essere un passaggio dolce. Tra gli antenati per esempio e anche tra i nostri nonni e bisnonni, certi vecchi vissero sino a 120 anni, ed erano serene, si addormentavano e non si risvegliavano. E' per questo che gli anziani nostri generalmente non fumano, non bevono, riposano bene, non passano brutti incubi notturni, si coricano già alle nove di sera, e al mattino seguente già sono attivi alle sei e fanno molti esercizi fisici al mattino. Questi esercizi, compatibilmente con le possibilità, sono pratiche che si tramandano al medesimo modo da secoli, o millenni. Mi piacerebbe se avessimo del tempo condividere con voi queste attività...
Ora però volevo mostrarvi alcuni capi di abbigliamento specifici nostri. Per esempio questa borsa per donne che si chiama sigra, è frutto di un lavoro che fanno le donne, le bambine, le anziane, e serve per portare con sè qualcosa da mangiare, per quando si è fuori e si ha fame, o se no per portare alcuni oggetti personali, ed è fatto con lana di pecora e di lama. La si porta così... 
E invece questo è un nastro, una cinta, e serve a raccogliere i capelli. Se viene qualche volontaria ve lo mostro. Ecco così, si fa come un tubino dietro la nuca avvolgendo una ciocca e stringendo la cinta a forma tubolare. La utilizzano anche gli uomini. La nostra gente si dedica a farsi i vestiti, i capi d'abbigliamento, come nastri, cinture, o le tele, ... 

Così come ci si prende del tempo per l'alimentazione, la preparazione degli alimenti. certe cose le tessono gli uomini, come quel nastro che abbiamo visto prima. Non abbiamo tutta quella vostra fretta, così abituandosi a preoccuparsi forse un po' meno, e a prendersi il tempo necessario per farsi le cose, per la coltivazione, l'agricoltura, la raccolta, l'artigianato, con calma e serenità, si arriva a vivere cent'anni. 
/Domanda: siete tutti vegetariani?/ No, non tutti lo sono, solo alcuni, solo chi vuole. 
Ora però volevo mostrarvi ancora alcuni oggetti. Per esempio questo capo è solo per la donna, serve per coprire la parte che è considerata la più sacra del corpo, che è il basso ventre, le anche, la parte centrale. Perchè da qui viene la vita, si riproduce la vita. Quest'altro capo invece è per gli uomini. 
Questa invece è una tela che si può usare per metterla sulla tavola, oppure come decorazione alla parete, o anche come tappeto. Qui potete vedere molti nostri simboli. Qui si tratta della luna, e qui della direzione cui guardare per orientarsi, il nostro popolo si orienta guardando in cielo verso una costellazione che è il nostro riferimento principale, cioè la cosiddetta "Croce del Sud". La sua posizione aiuta a scegliere il momento migliore per seminare, a capire se è giunta l'epoca delle piogge, quando compiere certi atti, certe cerimonie. 
Quando la nostra gente ha terminato di seminare, o lavorare la terra, o raccogliere, allora ci si dedica a tessere, e si fanno anche questo tipo di prodotti. Ciascun tessuto, o oggetto, ha, è portatore di una simbologia che si riferisce a certe cose. Ad esempio questo è relativo al tema della uguaglianza tra uomini e donne. Ci dice, ci ricorda, che c'è un tempo per gli uni e per le altre. Deve esserci armonia. Questi invece, queste figure, ci parlano delle nostre attività, dei nostri lavori, ... eccetera.
Qui c'è la rappresentazione di quella sorta di scrittura per simboli cui già vi accennavo. Nella storia che è stata scritta a proposito dei nostri popoli, si dice che la nostra civiltà amerinda non ebbe scrittura, non raggiunse la fase della scrittura. Questo simbolo viene dal periodo incaico. /prende in mano un nastro con delle perline cucite sui bordi/ e quindi da più di cinque secoli fa. A quel tempo la società andina degli Incas registrava ogni dato tramite questo sistema, chimato quipùs

Questa dunque non è una scrittura tramite alfabeti, ma che si realizza mediante nodi e intrecci, ed è significativo anche lo spazio che intercorre tra un punto ed un altro. In questo caso qui, non ci sono nodi ma perline, che rappresentano i nodi, e quel che si guarda è appunto la distanza tra loro, e questo si può considerare un tipo di scrittura a codice, perchè è stato escogitato per permettere di registrare, e di comunicare, dati. C'era dunque una scrittura attraverso l'impiego di codici. Consentiva di registrare beni, cose immagazzinate, tutta una serie di elementi, rendeva possibile così amministrare e conservare proprietà, ricchezze, beni, grani, eccetera, tutto quanto può essere prodotto, e scambiato. Tutto ciò di cui si voleva tenere registrazione nel mondo andino lo si catalogava con questo sistema di codifica.
Quest'altra invece /e mostra dei disegni/ è un altra maniera di comunicare per iscritto. Questa è più facile da capire, la gente può intenderla più facilmente perchè è ideografica. E' un codice più immediato da riconoscere. Tutto questo /e mostra tessuti con decorazioni, borse, cinture, abiti, ecc.../ porta dei simboli iscritti, è dunque portatore di significati in un complesso insieme di simbologie, come vi mostravo per il mio poncho. Ciò fa sì che un abito abbia un suo potere di comunicazione, una sua energia comunicativa.
 mantella o poncho riccamente decorato
 tessuto bordato

 adorno di un poncho antico


Ma nei capi d'abbigliamento si mostra anche l'energia che una persona possiede, che ha nel suo corpo, intorno a sè, quando si muove, come per esempio in questi nastrini, o in questi pon-pon, che si agitano con l'aria, ecc. 
Queste cose le ho mostrate perchè non si pensi solo alle tecnologie ma a tutto ciò che può regalarci Madre Terra. Quindi queste sono tutte cose su cui si potrebbe conversare avendo più tempo. 
Che il Grande Spirito della Jatùn Pachacama vi accompagni sempre, e che il suo corpo solare sia parte della vostra energia. Che l'Acqua pura delle montagne entri a far parte del vostro sangue. Che la Terra di cui dobbiamo sempre prenderci molta cura, sia una terra sana e diventi parte della nostra carne attraverso gli alimenti che ci dona. Che l'Aria, il vento, e l'ossigeno -quello puro- che respiriamo divenga parte del nostro fiato.
Per favore in piedi, ... siete tutti molto alti, siete belli e belle tutti quanti. Dunque il nostro popolo dopo queste attività si dedica alla respirazione. La vita è fatta di respiro, in tutto il corso della nostra vita lo facciamo. L'essere umano può vivere sino a quaranta giorni senza mangiare, sino a due-tre minuti senza respirare. Certi molto allenati e dediti a certe pratiche possono stare più a lungo senza cibo, ma ben poco di più senza respirare. Dunque la cosa più importante è il respiro. Qualcuno di voi ha mai cercato di vivere senza respirare per 4 o 5 minuti? o per 3 o 2 minuti? Allora adesso vi insegno un esercizio. Non è una cosa che invento io, lo facevano già i nostri anziani, e i nostri antenati, da secoli o anche millenni.
Alzate le mani, poi chiudetele a pugno portando le braccia in basso; ora piegate le ginocchia, guardate...così...osservate si tengono i pugni all'altezza del bacino, così...  Si può trattenere l'aria che avete inspirato, portando lo stomaco, il ventre all'indentro il più possibile, e mantenete la posizione con le gambe leggermente piegate, per almeno sette o dieci secondi, poi chiudete la bocca così...e gonfiate le guance. Ecco tratteniamo contando sino a sette. Poi di colpo la espelliamo tutta assieme. L'aria che abbiamo ricevuto, cioè inspirato, e che si trattiene dentro, sta purificando e raccogliendo tutte le impurità, pulisce e brucia le impurità con l'ossigeno, e poi deve uscire tutta assieme in un sol colpo. Ecco, facciamo una prova, ma dovete farla partecipando con il cuore. Su! inspiriamo, mandiamo lo stomaco dentro, tenendo i pugni all'altezza delle anche, e le ginocchia un po' piegate, ecco questa è la posizione che chiamiamo "del puma sacro". Non lasciate uscire l'aria, trattenetela, e ora conto sino a sette. Ora chiudete bene la bocca, gonfiate le guance, e soffiate di colpo. Ecco, ora proviamo a contare sino a 14 (ma molti espirino se vogliono al 10). Proviamo di nuovo; bisogna provare. Si dovrebbe cercare di raggiungere almeno i 30 secondi. Ci sono molti che con facilità stanno un minuto intero senza respirare. Questo esercizio va fatto al mattino, e a metà giornata per rilassarsi, e alla sera per poter meglio riposare. 
Mettetevi a farlo in un luogo dove non ci sia inquinamento, vicino a dei ruscelli, dove ci siano delle acque, su in montagna. Questo è uno degli esercizi che ci rende parte della Madre Natura, e che fa parte della nostra spiritualità. Questo della respirazione è il primo esercizio di base di quella pratica che si chiama uyari. Come dicevo, l'aria si inspira e poi con la stessa aria che abbiamo ricevuto dentro, dopo averla trattenuta ci gonfiamo, ci riempiamo. Questa aria dunque comincia ad operare dentro di noi, e si riscalda a più di 37 gradi, quindi brucia le impurezze mentre ci si gonfia le guance, e poi la si espelle rapidamente tutta in un botto perchè non disperda nel percorso quel che ha assorbito. Se siete interessati al uyari, se volete mettetevi in contatto con me o con l'istituto. Potete scrivere una mail, l'istituto si chiama Jatùn Yachay Wasi che in lingua kichwa vuol dire "casa del grande sapere", è un istituto di studi superiori sui saperi ancestrali andini, e si può vedere anche sul web, sulla rete internet. Condividete questo esercizio con altri amici. 
Ora posso farvi omaggio di questi semi di avena per ricordo del nostro incontro ?
Tutto quello di cui vi ho parlato e quel che vi ho mostrato, sono ciò che ci identifica come popolo indigeno kichwa dell'Ecuador, e vanno a formare parte della nostra cultura andina. Grazie per l'attenzione.

Commento di Annalisa Pinter: "Manuel Pumaquero ha voluto presentarci alcuni elementi che sono parte essenziale della sua cultura, ma il messaggio più ampio che leggo in questa sua esposizione interessantissima (perchè ci ha mostrato e spiegato molte cose e ci ha messo così a contatto con una cultura che non conosciamo gran ché ma che è ricchissima e complessa, e che ha molte sfaccettature e agganci con questioni che oggi non si ha tempo di poter affrontare), quel che ritengo che meriti trattenere come messaggio di ordine generale, è l'invito ad essere attenti a quella che è la propria cultura specifica, autoctona, originaria, alle proprie radici. Poi uno può cogliere questo messaggio come  meglio crede, ma quel che mi sembra ci abbia detto, è di fare attenzione a non perdere gli elementi fondanti della propria cultura, che sono parte di noi stessi anche come singoli individui. E inoltre a prestare attenzione al legame che c'è tra gli esseri umani e la Natura, sia come singoli, ma soprattutto come collettività, questo ad esempio è un modo per non disperdersi nel contingente, per non restare travolti dalle piccole cose della vita quotidiana, che però non riescono a darci un senso globale. Quindi l'attenzione alla Natura e a noi come parte della Natura stessa. E' un invito a non dimenticarcene, ma soprattutto a curare quell'immagine dell'identità nostra, che noi possiamo avere, che ovviamente è diversa da quella che ci è stata proposta, perchè altre sono le nostre radici, altra la nostra storia, altre le nostre credenze diffuse. Ma anche che ciò non implica che noi si debba abbandonare un legame che in generale l'essere umano ha sempre avuto con quella che viene chiamata da loro la Pacha Mama, la Madre Natura nel suo insieme, considerata nella sua generalità. Quindi penso che qui ci sia stato un invito anche a valutare sè stessi e i propri legami con gli altri. Pumaquero ha sempre usato termini come "connessione" per esempio, che io ritengo sia un concetto molto importante, che vuole dire sapere essere non da soli, saper capire che non si è soli come genere umano e che è inutile anche tentare di immaginare di essere soli nel mondo che ci contorna, quindi connessione tra uomo e donna, connessione tra esseri umani e altri esseri viventi, connessione sempre col mondo della natura, il cielo (ci ha ricordato per esempio la costellazione della Croce del Sud che è una costellazione celeste che da qua noi non possiamo vedere) e la natura intesa come legame con tante cose, come le piante, i legami con le coltivazioni, che poi significa con quello che mangiamo e che prendiamo quotidianamente dalla terra. Un'ultima cosa: Pumaquero ha sottolineato molto l'importanza della vita comunitaria che è un elemento base della società."

"corso" sulla cultura tradizionale andina kichwa (2)

Nel novembre/dicembre del 2009 io, con Annalisa Pinter e Anita Gramigna abbiamo invitato Manuel Pumaquero direttore dell'istituto ecuadoriano Jatun Yachay Wasi, a parlare alla Facoltà di Lettere & Filosofia dell' Università di Ferrara sul tema "Identità e spiritualità nella cultura andina - e prospettive educative".




intervento in Aula Magna della Facoltà, con la mia classe (ci sono circa 40 persone), nel pomeriggio del 24 nov. 2009

Pumaquero inizia suonando una grande conchiglia, rivolgendosi in tutte le direzioni.
"Che così sia! Abbiamo salutato alle 4 direzioni del mondo, abbiamo inviato il nostro canto all'Est, al Nord, all'Ovest, e al Sud, verso tutti e quattro i punti cardinali, abbiamo inviato un saluto al cuore del Cielo e al cuore della nostra Madre Terra, abbiamo salutato i vostri cuori, per unire le 4 componenti. Io vengo da una terra che sta in America nello Abya Yala questo il nome originario del continente, nel Sud America, in cui c'è la regione andina, chiamata Tawantinsuyu (che significa i quattro angoli del Mondo), qui nella sua parte nord sta l'Ecuador. In queste terre prima della conquista europea gli esseri umani di allora mantenevano una forte connessione con la terra, molta connessione con il cielo, i fiumi, le cascate, le montagne, con il Sole, con l'aria, l'acqua, molta connessione con le sementi, i semi, i germogli, ecc. Il nostro era un Mondo completo, pieno di connessioni. Si sentivano in connessione con ciò che riguarda tutto il complesso ambientale e naturale, si sentivano costantemente in connessione col Tutto. Ecco, qui ci sono dei semi che vi ho portato direttamente dal mio Paese, l'Ecuador, potete vedere queste fave, da qui si può trarre e preparare un alimento che si conserva e che può servire in tutto l'arco dell'anno, e che va bene in tutte le occasioni, e quindi era l'alimento che si portavano con sè anche nei lunghi viaggi a piedi, negli spostamenti che compivano sulle Ande, che fosse leggero e comodo e piccolo da portarsi dietro, per cui pur essendo di piccole dimensioni era molto nutriente, e questi sono appunto i semi di questa particolare pianta utilissima alla sopravvivenza.
Perchè voi possiate apprezzare meglio la cultura andina, la sua forma di vedere la terra, la sua forma di sviluppare la spiritualità, ho portato un video dvd preparato proprio nei luoghi da dove vengo io, e dove sta l'istituto, il centro di studi sui saperi ancestrali, che dirigo, e ve lo presenterò, e seguirò le immagini dando spiegazioni, e poi vi commenterò cosa sono tutti questi oggetti che ho portato per presentarveli.
Vedremo in questo video dunque il luogo dove ha sede l'istituto Jatun Yachay Wasi, che dirigo, e intanto ciò darà occasione a commenti.
(inizia a mostrare e commentare il video)
Ecco, questa è la Laguna di Colta in Ecuador, che è parte del Tawantinsuyu, ed è situata nella  zona centrale dell'odierno Ecuador, e intanto potete anche sentire le musiche tradizionali della nostra terra. Questi uccelli in lingua kichwa si chiamano kulta, da qui in loro onore il nome della laguna.
Questa laguna è percepita in connessione con una grande montagna considerata sacra, il Chimborazo, che forse avrete già sentito nominare, è il monte più alto dell'Ecuador e il più alto che ci sia su tutta la linea dell'equatore, 6370 metri s.l.m., dove ci sono nevi perenni e ghiacciai. Per noi è il nostro Padre e da il nome alla nostra provincia.


In questa nostra zona erano state tentate nel passato anche forme di coltivazione agricola intensiva meccanizzata per una produzione in grandi quantità, che però finirono col depauperare i terreni. A quell'epoca, cui si riferiscono queste immagini, la zona era stata poi in parte abbandonata dagli abitanti perché, con l'impoverimento dei terreni che non erano in grado di sopportare determinate forme di coltura importate da fuori, tutta la zona circostante non dava più buoni raccolti. Inoltre come potete vedere ci fu una forte opera di deforestazione delle falde della montagna, come constatate dalle immagini che mostrano colline e terre completamente brulle essendo stati tagliati tutti i boschi che c'erano. E' uno dei grandi problemi attuali dell'Ecuador, ma in generale del Sud America, è quello della deforestazione indiscriminata e massiccia che impoverendo la terra, rimasta senza sottobosco, rende più facili gli smottamenti, le alluvioni, eccetera, quindi molta gente se ne era andata da qui, inurbandosi. 
Come abbiamo visto nelle immagini, sino a pochi anni fa c'era anche una ferrovia cui non era stata fatta manutenzione e che ora è in disuso e si sta letteralmente disfacendo. Adesso invece noi come comunità abbiamo un progetto, che è appena stato inaugurato, per restaurarla e ripristinarla. 
In queste altre immagini potete vedere l'impegno collettivo di tutti, ragazzi e adulti, in questa operazione di interesse generale. Nella nostra cultura andina quando si tratta di opere pubbliche, tutti i membri della comunità sono abituati a partecipare, dai bambini sino ai vecchi, conformemente alle loro possibilità e facoltà, relative all'età. Il lavoro collettivo per un bene generale (che si chiama minga) è considerato un valore importante. Queste attività sono un esempio particolare perchè vengono percepite come qualcosa cui dovrebbe contribuire spontaneamente tutta la comunità coinvolta.
 La cultura andina, e cioè tutte le comunità originarie delle Ande, condividono un principio spirituale, quello di restare in connessione con la Madre Terra. L'essere umano potrebbe vivere sino a 120 anni, e così accade in molte comunità andine. Mia nonna ad esempio è vissuta 110 anni, la gente montanara della Sierra ecuadoriana a causa dell'ambiente naturale e della alimentazione, ma anche del modo di vita, è nota per essere longeva, ci sono molti centenari, in particolare in una zona della parte meridionale della Sierra ( nell'area di Vilcabamba).
La prima età è quella dei primi trent'anni, la seconda va dai trenta ai sessanta (io sono in questa fascia d'età), la terza va dai sessanta ai novant'anni. Però ci sono, ancora nella terza età, persone molto forti e robuste, che portano dei carichi, lavorano con gli animali, fanno di tutto. Sono in forze e attivi, fanno anche lavori faticosi con più facilità che nelle città. Ciò accade perchè si alimentano solo con prodotti naturali, seminati e raccolti con le loro stesse mani, l'acqua che bevono è pura, l'ossigeno che respirano è puro, c'è ben poco inquinamento, e c'è anche una connessione tra i semi seminati e i loro stessi capi d'abbigliamento che si sono tessuti da sè. Questa connessione permette che l'essere umano viva lavorando, e che il lavoro sia preso con la maggiore serenità possibile. Questo è uno dei motivi per cui i membri delle nostre comunità andine sono così prestanti anche da anziani, cioè il fatto di aver realizzato che è bene cercare di restare in connessione col tutto. E in effetti come vi dicevo, mangiano i prodotti che loro stessi hanno coltivato e che sono i frutti tipici di quella terra, e sulla base di quello che il terreno del paese è in grado di produrre, e si fanno loro stessi i propri abiti, per cui insomma tutto è compartecipe della medesima energia presente nell'ambiente di vita, per cui dalla camicia, al poncho, sino al seme utilizzato nelle coltivazioni, tutto contribuisce a mantenerli in connessione con l'ambiente naturale circostante. Il lavoro quindi si può fare anche con impegno e volontariamente.
Avete domande al proposito? no? allora ce l'ho io una domanda per voi. Prima di tutto vorrei sapere se qualcuno di voi conosce la realtà di cui vi sto parlando? Se qualcuno la conosce allora capisce quel che vado dicendo. /risulta che solo una signora presente è stata in Ecuador ma in pianura e sul mare. e nessuno è stato in altri paesi andini/ 
(continua la proiezione)/ Ecco qui stiamo facendo il raccolto per poi poter fare il pane, il raccolto si svolge tra giugno e luglio, e vi lavorano tutti, tutta la comunità cantando in un evento stagionale chiamato haway. Tutti assieme cantano questo cantico.

Se ora mi permettete canterò un pochino il haway, è un canto che eleva lo spirito delle persone che lo cantano. E' anche una festa e dunque si radunano per il raccolto tutti quanti della comunità, dai bambini ai vecchi. Mentre un gruppo di donne prepara il pranzo comune, tutti sono impegnati. Il lavoro comunitario nei campi è sempre allegro e festivo. C'è una persona che dirige il lavoro che si chiama pakhe, costui è uno che deve anche saper cantare bene perchè è quello che da il tono al canto. In questo canto che vi farò sentire si eleva un inno alla bellezza femminile, alla bellezza dei bambini, alla bellezza del grano, sempre si tratta di un inno che invita alla connessione, alla fraternità tra gli esseri. Nella nostra cultura lo sposo chiama la sposa pani, sorella, e questo brano che canterò è dedicato alla sposa, e dice: hawayla, hawaylà hai hawayla... Vi invito a cantare anche voi tutti !
So che voi state concludendo una prima fase di studi, vero? quindi da noi sempre all'epoca in cui si porta una cosa a compimento si canta, si canta con giubilo, ad esempio in questo caso perchè finiscono il raccolto, e anche voi state per raccogliere il risultato finale dei vostri studi. Dopo di me ripetete. Dunque il tono della melodia è questo: / canta/ hawayla, hawayla hai hawayla... tocca a voi ora !... Bene! ancora un'altra volta: hawayla, hawayla hai hawayla..., y ti pueblo...paniku, canta changailu....paniku, hawayla, hawayla hai hawayla...
Questo si canta quando ormai le persone sono già un po' stanche, ormai non hanno più tutte le forze, e allora dopo questo canto le persone recuperano le energie. Sì il canto dà animo. Questo è considerato per noi anche come una orazione, è metà preghiera metà canto. E' stato cantato dal nostro popolo, lo ha accompagnato forse per migliaia di anni, ed è parte della nostra spiritualità. Lo si fa nei mesi di giugno-luglio, mesi in cui il frutto seminato, è già maturato ed è pronto per essere raccolto, e poi si dovrà mondare, separare il grano, per fare machica, per fare coladas, per alimentarsi, bisogna dunque poi lavorare questi prodotti. 
Sto dando enfasi alla parte del lavoro agricolo, alla fatica dell'agricoltura, perchè è importante per la spiritualità, essendo elementi fondamentali e i più antichi. E ciò perchè è così più immediato capire bene l'importanza che l'uomo e la donna siano in connessione con la terra. Solo così gli esseri umani possono intendere, capire, lavorare, e i semi stessi vengono conosciuti. I semi, le sementi, anch'essi si connettono con l'uomo, non solo viceversa. Quando i semi verranno infine ingeriti come alimenti, sanno cosa fare dentro un corpo, sanno come comportarsi, come mescolarsi con il sangue, come mescolarsi con il sangue, come mescolarsi con l'ossigeno, eccetera, e darà i suoi benefici. 
Ci sono domande sin qui? /Domanda: "cosa fate, come agite per migliorare la situazione che abbiamo visto prima nel video?"/
Per quanto riguarda il degrado del contesto naturale e sociale, si può fare qualcosa per cambiare, lo si può fare in modo congiunto tra varie componenti sociali, anche in questo campo abbiamo raggiunto delle conoscenze in ambito giuridico, amministrativo e lavorativo, abbiamo oramai tanti fratelli cui potere fare appello e sollecitiamo anche la partecipazione di esterni, per mettere assieme dirigenti comunitari, delle varie Chiese, delle Divisioni Educative, invitiamo tutti a radunarci. E' un appello che in qualità di direttore dell'Istituto di Studi aborigeni sto facendo perchè gli abitanti del luogo incomincino ad attivarsi per il proprio risollevamento, perchè non si perdano le conoscenze ancestrali, le usanze, le competenze, i saperi, e c'è stata una buona rispondenza, e allora è solo con una opera di coscientizzazione che potremo cambiare lo stato della comunità e rivitalizzare nel nostro Paese la presenza e l'apporto delle comunità indigene con la propria cultura.
/Domanda: "ma come procedete su questa strada?"/
Il pensiero delle comunità andine si forma e si mantiene grazie alle persone più anziane e più sagge, quando viene accompagnato dagli anziani che sono compartecipi dei saperi tradizionali e sono in connessione con essi con continuità. 
Qui, proseguendo col video, potete vedere un vecchio della nostra comunità che è un esponente del consiglio degli anziani, in questo caso questa persona è stata scelta dalla comunità perchè possa farsi portatore della giustizia, e possa contribuire a mantenere un buon ordine nella comunità. Un altro obiettivo dell'Istituto è che la gente ricominci a vivere seguendo i principi e i valori delle tradizioni; primo aspetto importante è l'amministrazione della giustizia all'interno delle comunità e la mediazione di conflittualità. Questa persona è stata scelta tra i membri della comunità in virtù di un riconoscimento da parte dello Stato che di fatto siano le comunità stesse ad autoregolarsi al proprio interno in base al diritto consuetudinario. Quindi una persona anziana e autorevole è rispettata e ascoltata come uno dei riferimenti locali, tra coloro cioè che possono essere interpellati su come sia giusto comportarsi, e quindi ne ha la potestà, è abilitato, riconosciuto di fatto, ad intervenire, a dare consigli, per una gestione autonoma comunitaria.
mamà Transito



/si prosegue nella visione del dvd/
Qui invece vedete immagini di una danza tipica, questi indossano il costume de los danzantes, il costume tradizionale per questi balli al suono di strumenti tipici. Lo strumento che qui si stava suonando è il pingullo e si intona per compiere delle invocazioni. Qui da voi per esempio state entrando in una stagione fredda (era il 24 novembre), mentre noi abbiamo un periodo più fresco e con molte piogge nel mese di marzo, ed è in quel mese che intoniamo quello strumento, che poi vi suonerò e farò ascoltare, ed è una invocazione quella che si fa, affinchè chi ha freddo possa ottenere più calore. 
Per avere più calore dentro di noi, quando comincia ad abbassarsi la temperatura è necessario fare ricorso ad attività che ci riscaldino. Da qui l'uso di questo strumento per il tipo di suono che emette e per l'impegno e i movimenti che richiede, che aiutano a riscaldarsi il corpo e il cuore.
/si prosegue nella visione del dvd/
Ecco qui potete vedere come sono queste danze tradizionali di marzo. In ogni stagione sulle Ande si fa qualche raccolto, diciamo ogni mese c'è da provvedere a raccogliere qualche prodotto. E poi ci sono le epoche dell'anno in cui ci si dedica ad altre attività, l'irrigazione, la cura delle piante, il mantenimento, oppure seminare e preparare il terreno. Sono attività continue che mantengono in contatto e servono a comunicare con la terra e con le piante. Tutti gli strumenti musicali servono per comunicare con le piante, con l'acqua, col vento, ... In un primo esempio musicale che vi ho fatto ascoltare, mi stavo ponendo in comunicazione con l'aria, con il vento. Gli strumenti stessi sono fatti con elementi naturali, quindi ci aiutano a porci in connessione. 
Nel nostro popolo ci sono 4 celebrazioni che ripartiscono, scandiscono l'anno, e che sono parte integrante della nostra spiritualità. In marzo riceviamo il grano tenero, come abbiamo visto nel video, ci sono le fave, la hoja, la machua, il maìs, e altri prodotti specifici del nostro Paese, questi che ho citati servono per curare   il nostro corpo. Per esempio la machua aiuta a mantenere bene le vie urinarie, le ovaie, la prostata, ed ha proprietà curative. Perchè la pianta possa crescere bisogna prestarle attenzione, rivolgersi a lei, comunicare con lei, e chiederle di crescere. Le piante non le si devono abbandonare a sè stesse, pensando che basti per proteggerle una semplice fumigazione (o peggio la somministrazione di qualche prodotto chimico), bisogna parlarle, dirle: cresci! cresci per favore... 
Gli anziani della comunità intonano questo strumento, e cantano accompagnando il ritmo col tamburo, ecco così: /suona e canta/. Gli strumenti tagliati così a punta, sono quelli che vanno bene quando sopraggiunge il freddo.
In marzo nella nostra terra sbocciano molti fiori, il grano tenero cresce e si incontra già con la crescita del grano duro. Quindi in quel momento è appropriata questa musica con questo canto, che si canta e anche si balla /suona l'armonica
Si cantano inni rivolgendosi alla donna, alle piante e alle sementi, ai genitori, ai vecchi...
/Domanda: "quali sono le celebrazioni invece per certi eventi, come per esempio i funerali?"/
C'è un canto che in kichwa dice così:  kawsa kunghichù, puri kunghichù, yai-toawà, mami-tawawà, kawsa pushcakà, kayawaya haré, puri pushcawà chaumuyriaha... cioè sta dicendo: caro paparino e cara mammina, se sei vivo chiamami, se sei morto allora invitami, ecc. ...
/Domanda: "che cosa sono quegli altri strumenti che ha portato?"/
Ecco questo è un altro strumento /ed è del tipo che noi diciamo flauto di Pan/, sempre tra quelli del mese di marzo, e si chiama rondador /e suona rivolgendosi al vento/. Questa ha anche toni melanconici di fondo. 
Tutto ciò implica che bisogna saper suonare, saper cantare, conoscere la musica e le parole di molti cantici, inni, canzoni, e bisogna saper costruire gli strumenti, quindi sapere da quali piante trarli, con quale legno o canna farli, e poi come impostarli, ... eccetera. Questo qui ad esempio è fatto da una pianta che si chiama carrizo, una pianta sacra, che va seminata presso la porta di ingresso della casa perchè ci protegga con le sue forze spirituali, e ci ponga in comunicazione con gli spiriti. Questa pianta quando qualcuno non è corretto con un'altra persona si altera. Così si sa che questa pianta protegge il padrone di casa. Pertanto bisogna prendersene gran cura.
Invece quest'altro strumento è fatto con la canna delle penne di un uccello sacro, il kuriquinghi. Questi uccelli mentre volano perdono nell'aria delle piume, noi le andiamo a raccogliere e con queste ci facciamo questo strumento /anch'esso è tipo un flauto di Pan ma molto piccolo/ Ha un suono forte e un tono acuto /suona una melodia allegra e ritmata/ va bene anche per danzare. Ed è fatto come vi dicevo con le penne delle ali dei giovani uccellini e anche con quelle degli anziani. 
/riprende l'armonica/ Questo strumento invece non è originario del nostro continente, però è stata assunta tra gli strumenti di uso comune. In questo caso ora qui ci stiamo dando la mano tra i diversi popoli per una condivisione. Quando arrivarono i colonizzatori dal vostro continente lo abbiamo ricevuto e accolto tra le nostre melodie. 
Quest'altro invece si chiama quipa ed è fatto di una grossa canna di bamboo. Il suono è simile ad altri fatti col bamboo, e richiama all'ascolto, o a un appuntamento per un raduno, ed è come un respiro. I suoni accompagnano sempre anche le attività di cura, perchè sono vibrazioni. E questo è come un amplificatore, con questo si curano anche i disturbi alla colonna vertebrale. 
Anche quest'altro /e prende la concha, la sua grande conchiglia suonata all'inizio/ serve perchè si venga ascoltati; è frutto di madre natura, del mare, e i nostri antenati ne fecero un grande mezzo di comunicazione, attorno già a 1300 anni a.C. o prima. 


hatun chasqui, o postiglione principale, un messaggero andino ai tempi degli Incas che suona la conchiglia caracol, e porta con sè un quipus e una chuspa o borsettina per portarsi le foglie di coca per il viaggio. illustrazione dalla Cronica di Guamàn Poma del 1615



Anche quest'altro strumento è molto antico, si chiama ocarina, e serve per la fertilità, per celebrazioni, festività /e suona una melodia/

Nel corso dell'anno si ha un continuo passare da una celebrazione ad un'altra, e si utilizzano di volta in volta diversi strumenti musicali. Per cui quella ancestrale era una cultura orale fondata su questi molteplici momenti di comunicazione attraverso suoni. Nelle culture originarie sempre tutti si facevano i propri costumi per le cerimonie, così come i vestiti quotidiani, e utilizzavano le piante e le loro fibre, appartenenti alle proprie località. Questo per esempio è un tessuto che ha un significato profondo, qui troviamo decorazioni geometriche che sono parte di un tipo di "scrittura" ideografica tipico dei vari popoli sudamericani. Questi ad esempio ci stanno parlando, cioè si riferiscono alle forze ascendenti e discendenti che ci sono nelle persone. A volte teniamo molto animo, cioè siamo di buon animo, a volte il nostro animo è basso, ma sappiamo che c'è sempre la possibilità di risalire, di tirarsi su, di ascendere. 


(continua)

martedì 7 febbraio 2012

Königin der nacht

già vi avevo detto che stanotte ci sarà la luna piena d'inverno. se mai si dovesse sgombrare il cielo e dispiegarsi alla vista la volta stellata, vedreste troneggiare l' Astrifiammante (sternflammende) Regina della Notte evocata magistralmente nel "Flauto magico" (die Zauberflöte) dell'esoterico Mozart, nel fatale 1791. allora potreste ammirarla e riverirla ascoltando contemporaneamente la musica sublime e il canto della soprano a partire dall'aria Oh Zittre Nicht, non tremare figlia, ma per giungere infine alla grandiosità di Der Hölle Rache kocht in meinem Herzen, l'infernale vendetta mi ribolle in cuore (che letteralmente incanta con i suoi incredibili acuti, al di là delle parole che invocano la morte sul suo solare contendente). ascoltatela magari cantata dalla Callas o da qualche altra grande soprano (vedete in wikipedia "estensione vocale", e per contrasto "basso profondo").  
vi "posto" intanto queste citazioni da poesie inedite scritte da mia nonna materna Fede Paronelli, astronoma e violinista (morta nel 1944). il primo è un brano sulle costellazioni da leggere mentalmente e molto lentamente:

(...)
ne le tacite notti lunari,
passano e passano e passano calme
immutabili, sicure
del millenario celeste cammino
le geometriche antiche figure
de le mistiche costellazioni 
(...)

mentre quest'altro è tratto da un "notturno":

Voce di sogno, voce di sorgente, pallida voce,
o tu che canti ed io sola t’ascolto,
o tu che canti nel silenzio, pia voce di Stelle,
voce di tremula acqua e smossa fronda, 
prendi con te la mia preghiera ardente,
voce notturna. 

vi potrebbero accompagnare nell'alzar lo sguardo nel silenzio e provare quella meraviglia profonda che la luna piena può risvegliare e che può sfociare in uno sguardo, oltre che estatico, anche empatico...


sabato 4 febbraio 2012

sulla cultura tradizionale andina di lingua kichwa (1)

Nella notte tra lunedì e martedì ci sarà la luna piena d'inverno, quindi il culmine della stagione. E così per associazione di idee mi tornano alla mente alcune cose che avevo imparato sulla cultura indigena delle Ande, una cultura molto legata alla dimensione naturale.
Durante un viaggio attraverso i territori dell’area delle Ande dell’Ecuador ci siamo interessati della cultura della nazionalità Kichwa. A Quito ci incontriamo con Richard Salazar, un ricercatore di antropologia culturale che in quel momento lavorava nel Consiglio per lo sviluppo delle nazionalità e dei popoli (Codenpe), e che si autodefinisce di origine meticcia, il quale ci spiega che “gli indigeni delle Ande concepiscono la natura, il cosmo, gli esseri viventi, inclusi gli stessi esseri umani (anche quelli morti, gli antenati), come parte di un tutto indivisibile. Parimenti l’unità morale principale nella loro visione del mondo (cosmovisione) non è l’individuo, bensì la comunità”.  Inoltre abbiamo avuto poi la fortuna e l’occasione di stare a stretto contatto con alcuni indigeni autoctoni. Ad esempio un conoscente ci fa incontrare con una donna della popolazione del Nord, degli otavàlo, Quilumbango Saransig, che è una sua cara amica, sumak mashi (=dolce amica, in lingua Kichwa). 


Quindi dopo pranzo, lei col suo wawa, o guagua (=bimbo) Pumanaqui di quasi due anni, viene a prenderci al terminal de buses, e ci guida al suo villaggio, Peguche, a casa loro, dove siamo accolti da una famiglia di campesinos, contadini. C viene incontro Pacha la sorella di suo marito, anche lei con un bimbo piccolo, Kindi, che significa picaflor, cioé colibrì, e ci porta dalla grande reggitora della famiglia allargata, la Mamà. 
la Mamà


E lì abbiamo passato del tempo in questa grande casa di campagna, a parlare con il suo giovane cognato, Pintag, sulla loro spiritualità. Attualmente c’è una forte ripresa nel dare nomi originari della cultura locale al posto dei nomi latini. Il nome Pintag richiama quello di un generale otavàlo dei tempi della guerra con le truppe dell'Inca. Essendo morto in una prima battaglia, le truppe fecero con la sua pelle un tamburo, in modo che egli fosse presente alla testa dell'esercito durante lo scontro definitivo (poi perso), insomma fu l'ultimo eroico difensore della indipendenza degli otavàlo.
Con Pintag abbiamo passato un paio di intense giornate. Inizialmente gli chiediamo quali scenari futuri prevede per gli indigeni nella nuova situazione di democrazia multiculturale dell’Ecuador, esordisce dicendo che "anche in questo campo i concetti che si esprimono, che derivano dalla cultura accumulata nel passato, poi portano con sè un orientamento della società, perché ogni concetto implica una forma di vita. Sia nel senso che ne è espressione, sia nel senso che apre a certe modalità e a certi percorsi”. Tutta la spiritualità andina parte da cose concrete, reali, in cui si esplica Madre Natura, la Pacha Màma, cioè la terra, le acque, il cielo stellato, le piante, i vegetali, gli animali, che sono gli elementi che sostanziano la cosmovisione dei popoli indigeni.
Ora il mondo indigeno è alla ricerca di nuove soluzioni per potersi meglio autogestire nel futuro. “Bisogna considerare che tutto ciò che accade ha una sua ragione, ma il fatto è che la scoprirai dopo, per cui devi essere sempre aperto. A certi però interessa solo apprendere cose nuove, e poi mai si dedicano ad insegnare, sono in fondo degli egoisti. Noi otavàlo della campagna, ora teniamo il desiderio e la necessità di apprendere, di conoscere, ma non dovremmo dimenticarci che solo il restare nel territorio, radicarsi qui e dedicarsi anche a divulgare, fa sì che poi un domani certe cose concepite nel passato possano realizzarsi veramente. Perciò bisogna rimanere aperti. Se non ora, magari in un diverso momento o sotto diversa forma, poi si vede che c'è sempre una reciprocità nella necessità di apprendere e anche di insegnare. Pertanto dobbiamo sapere attendere per cogliere le opportunità. Non si tratta di credere nel destino, è una forma di vivere la vita. Ogni tappa è importante, ma non solo la prima o la seconda o la terza e poi basta, magari da un segnale il più banale che viene dopo, si potranno capire le ragioni delle tappe precedenti, passate, e poi in una fase successiva ancora, si potrà vedere come raggiungere l'obiettivo, e infine ci si potrà occupare di insegnare agli altri nella fase seguente."











Pintag
Ma non si tratta solo di una migliore organizzazione economica e sociale, dice ancora Pintag, ma anche di "migliorare la condizione spirituale, per cui tutte le cose buone che accadono, tutte le esperienze fatte nel passato, devi poi ricordartele e conservarne il senso dentro di te, per poi poterle trasmettere e proiettarle nel futuro". E ribadisce che “ogni cosa che c'è e ognuno di noi come individuo ha un significato unico; c'è una ragione per cui ciascuno è in questo mondo, in questo tempo, dato che ognuno è parte della Natura dentro la quale ha da svolgere un proprio ruolo, e la sua presenza assume il proprio significato.  Siccome in tutto quel che facciamo dobbiamo passare per quella che è la nostra specifica porzione della energia universale, allora si capisce come ciascuna forma di vita si relaziona con le altre, e i vari livelli dell'esistenza sono interrelati", e così pure è per il Kay Pacha, la dimensione tempo, comprendente pasado-actual-porvenir-futuro, cioè tempo passato - tempo presente - tempo prossimo - tempo futuro, come è rappresentato nel simbolo della Tawa Chakana, cioè dei quattro ponti scalonati (che gli spagnoli chiamarono croce andina).
Nella spiritualità ancestrale andina "il passato non è di dietro, e il futuro davanti, come pensate voi occidentali che avete una concezione lineare, rettilinea del tempo”. Ci spiega che loro pensano al passato come all'epoca di quelli che sono stati i primi, ñaupaq kausaqunak. Quindi non ritengono che gli esseri umani che ci sono stati prima, siano dietro di noi, e che quindi si sia noi ora in prima fila, ma all'inverso. Per la cultura aborigena "quelli che sono stati i primi, ci stanno davanti, noi ci siamo aggiunti dopo, siamo in coda. E' come per i numeri. Il passato è quel che ci sta di fronte, davanti, dinnanzi, e non è dietro, ultimo. Voi europei dite che il passato è finito, non c'è più, è morto, ma è al contrario: del futuro non si sa nulla, ora nemmeno esiste, il passato invece è tuttora vivo, ha dato forma al presente e ancora lo influenza o condiziona, agisce su di noi. Ma non solo il passato prossimo, ma anche il passato remoto, anteriore. Esso condiziona –o addirittura forgia- non solo l’attualità ma anche ciò che è prossimo a venire ne è influenzato, e persino il futuro lontano. Guai se non imparassimo da tutti quelli che prima di noi hanno affrontato tanti problemi, e le necessità di sopravvivere in un certo ambiente."
E' evidente che in questa fase di recupero di una concezione prehispanica, per lui è fondamentale tenere dinnanzi a sè i modelli precedenti; ma d'altronde anche in Europa certi  ebrei religiosi dicono che “le nostre radici sono dinnanzi ai nostri occhi”. E ci spiega come “in ciascun luogo il tempo proceda a spirale, e quindi anche chi arriva in coda per ultimo avrà i predecessori proprio dinnanzi a sé”. Per esemplificare traccia sulla terra il sacro simbolo del caracol, della chiocciola a spirale.
Poi aggiunge che "se parlare significa pensare, quindi è da qui che deriva il come apprendere le conoscenze, e perciò è importante in educazione, insegnare a saper parlare, a sapersi  bene esprimere, perché comporta saper pensare, e quindi è un insegnare a saper pensare. Inoltre bisogna sempre parlare del passato, e non trascurarlo e darvi poca importanza. Però bisogna stare molto attenti, vigili, perché non ci si deve perdere avanzando nel cammino”.
Prendendo spunto dall'acqua della tazza da cui sta per bere, ci parla della sacralità della Natura e di tutte le sue manifestazioni, le montagne, i laghi, i ruscelli, la pioggia, l'aria, la vegetazione, le varie forme di vita che si sono sviluppate, ... A questa si aggiungano “la sacralità del sole, cioé della fonte inesauribile di luce e di calore, che danno rilievo e colore al mondo, e della luna per tutti gli influssi che essa ha sulla terra, sul mare e su tutti i viventi. Se dunque recuperassimo il sentimento di questa sacralità, e partissimo da lì per sviluppare la spiritualità e i nostri valori di riferimento, nei nostri comportamenti come esseri viventi, come figli di madre natura, forse non saremmo giunti a questo punto di grave crisi del nostro ecosistema, tanto danneggiato dall'inquinamento da mettere a repentaglio la sopravvivenza di varie specie...”
La popolazione autoctona andina quindi è dedita al recupero, alla conservazione, e diffusione dei saperi tradizionali, affinché la cultura, e quindi in primo luogo la lingua, non vadano disperdendosi, ma anzi affinché siano rinvigorite, rinnovate e poste in grado di prendere parte al mondo moderno, per dare un impulso allo sviluppo di una nuova coscienza tra gli indigeni, di un nuovo atteggiamento di rispetto da parte della società attuale nei loro confronti, e di predisporre ad una visione più olistica delle problematiche di sviluppo che si armonizzi con il rispetto di madre natura.
Ci dice che nella concezione ancestrale del tempo storico, esso era visto come una successione di periodi, o fasi, detti Pachakutin (che significa rifacimento, ritorno, ricorrenza), e ci informa che da poco è terminato il periodo oscuro, dalla conquista spagnola alla ricorrenza del cinquecentenario, per cui ora sta iniziando (ritornando) un periodo (il decimo) di luce e di rinascita. Ritornerà un periodo di fioritura culturale e spirituale.
Ci porta a far visita a un luogo sacro in montagna, prendiamo la nostra macchina e dopo un po' di strada sterrata in salita su per una collina isolata,  


giungiamo quasi in cima, lasciamo l'auto e saliamo a piedi sul cocuzzolo (a 2837 m) di questo dosso (Pucarà de Rey Loma) ricoperto d'erba, dove c'è un unico albero, isolato, che resiste alle forti folate a raffica del vento. Da lì si gode un panorama straordinario: da una parte si vede giù la Laguna San Pablo (chiamato, dagli antichi abitanti Cara, Imba cocha), un bel laghetto sulle cui rive le donne del paese vicino vanno a lavare i panni. Venerato e rispettato sin dai tempi più remoti per la sua origine mitica. E dall'altra parte si vede la grande montagna Imbabura (di 4600 metri) a 60 km dalla cittadina, che da il nome alla provincia, e che la gente chiama taita, papà, poiché gli si attribuisce la paternità di tutto il popolo degli otavàlo, e, come di rimpetto a questa, si vede piuttosto in lontananza la maestosa montagna Cotacachi, che, pur trovandoci all'equatore, ha dei ghiacciai perenni (la cima è a quasi 5000 m.); essa ha un nome proprio (in spagnolo Maria Isabel Nieves) e gli indigeni per grande rispetto la chiamano Mama Cotacachi. E' un vulcano semi spento, ma potente. Secondo le fiabe locali i due si guardano e si desiderano, ma anche un po' si fanno ogni tanto dei dispettucci o degli scherzi, e giocano tra loro. Taita Imbabura presenta da questo lato una parte rocciosa che sembra un po' a forma di cuore, lì si trova l'anima della montagna. Certe leggende dicono che là dentro ci siano grandi ricchezze (si dice che forse là è stato nascosto all'arrivo degli spagnoli il tesoro di Atahualpa), e/o che se si riuscisse ad andare dentro, là non passa il tempo, e pare che qualcuno avesse trovato il modo di entrarci, e dopo 50 anni sarebbe uscito con la stessa età di prima...Quanto ai poteri di questa "vertiente mitica", di questo leggendario versante del monte, essa si farà conoscere pienamente solo da un Eletto il quale incontrato il tesoro dovrà fondare là sul sacro monte una città nuova... 
Taita Imbabura è il padre e quindi il protettore degli indios, simbolo di forza e durezza, e di virilità, da lui dipendono il tempo atmosferico locale e i buoni raccolti. Gli indigeni vengono periodicamente qui a svolgere il rito del Wakcha Karay (scritto anche Huaccha caray, regalo per i poveri), cioè a implorare la loro protezione e esprimere desideri per l’avvenire delle proprie comunità, per cui la gente si raccoglie qui intorno portandosi il pasto, che viene benedetto dallo Yachag, dallo sciamano, e si condivide tutto. Pintag ci racconta la leggenda della bella laguna e dell'albero che le fa come da sentinella. Tantissimo tempo fa ci fu un lungo periodo di aridità che flagellava tutta questa regione, e pertanto la gente pensò che si sarebbe dovuto compiere il sacrificio di una giovane per offrirla a Taita Imbabura e calmare il sacro monte che era divenuto così poco generoso. Una bella indigena chiamata Nina Paccha (fonte di luce) fu l'eletta, però il suo giovane innamorato Guatalquì, non era disposto a perderla, e così fuggirono assieme. Tutti si misero al loro inseguimento, e quando stavano per raggiungerli, il cielo si illuminò per un forte lampo, e Nina Paccha sparì. Il grande padre l'aveva trasformata in una bella laguna. Inoltre sorse un terribile fulmine proprio dove si trovava il giovane innamorato, che sfumò e germogliò in forma di albero lechero, così volle taita Imbabura affinché facesse da guardiano permanente della sua amata. Dato che la gente era immobilizzata dalla sorpresa e dallo spavento, una forte e abbondante pioggia incominciò a cadere su tutti i campi coltivati. Fu così che la laguna e l'albero si convertirono in templi rituali da dove si potevano alzare implorazioni per la semina, il raccolto e per la vita stessa...
Insomma quando si giunge là, bisogna chiedere permesso all'albero, e anche ai due grandi monti, e mostrare rispetto.
 il lechero

E' davvero un punto panoramico bellissimo, e questo albero lechero in quella posizione dominante sembra proprio essere un guardiano, o un testimone, in costante comunicazione e dialogo con il lago, con la valle e con le due grandi montagne. C'è silenzio assoluto, e di solito tira un forte vento. E' certamente un luogo in cui si percepiscono forti energie presenti. Perché il lechero si trova qui? Pintag ci parla del fatto che qui si può avvertire la energia principale e suprema dell'universo chiamata in kichwa Aya Uma (aya è lo spirito e uma la testa, quindi sarebbe il capo-spirito ovvero il Grande Spirito venerato anche dagli "indiani pellerosse" del nordAmerica, mentre gli spagnoli lo definirono il gran demonio, o testa di diavolo, ma la traduzione era una forzatura consapevole). Certi sostengono che questo albero solitario è divenuto un vero e proprio simbolo della "otavaleñidad", quindi di quel qualcosa comune che provano indios, meticci, e ladinos che è l'identità culturale locale, pur variamente intesa.
Dunque prima di venire abbiamo comperato alcune offerte da portare in omaggio, una banana, un sacchettino di cioccolattini, un mandarino, due piccoli panini, ecc. e ognuno ha dovuto prendere solo i suoi e pagare per proprio conto. Insomma non è come fare la spesa, e dunque questo ha fatto un po' tribolare il negoziante per dare a ciascuno il suo resto separatamente, come si conviene per tradizione. Giunti qui, dopo aver chiesto il permesso, ci siamo disposti in cerchio e Pintag ha intonato una melodia, poi dopo un lungo silenzio ciascuno di noi quattro è andato a scavare una buchetta in terra ai piedi dell'albero, dove ha deposto la sua offerta e l'ha poi ricoperta con quella terra, e tornando a sedersi al suo posto sul prato, Pintag l’ha invitato a pensare mentalmente qualcosa che desiderava particolarmente e che potesse essere nel prossimo futuro di generale gradimento. Infine lui ha intonato un'altra melodia, siamo rimasti lì ancora un po' in silenzio e in meditazione. C'erano dei gran nuvoloni anche neri, e il vento era proprio molto forte. Quando Pintag ha detto che il ringraziamento era terminato, ci siamo alzati. Proprio in quel momento si è aperto un grande varco tra le nuvole, e siamo stati inondati dal forte sole equatoriale, ci siamo detti che sembrava come un segno di accoglienza e gradimento. Quindi all'improvviso si è alzata in volo una grande aquila ! che è salita altissima, e poi se n’è andata lontano.
E' stato magnifico, emozionati abbiamo abbracciato quell'albero come fosse un anziano parente, con affetto. Siamo rimasti un po’ a guardare dei cavalli lontani. Poi mentre ci allontanavamo un cagnetto vagabondo si è avvicinato alla buchetta che avevamo fatto, e ha incominciato a mangiarsi le nostre offerte...
Poi Pintag ci ha portato a visitare le cascate, che si trovano nell'area di una ex grande hacienda in cui c'era un opificio di tessitura, e dove ora ci sono povere venditrici di cibo.
Si tratta di un bel bosco grande esteso, curato come parco pubblico, e piuttosto frequentato e visitato. 


Anche il bosco è caricato di sacralità, come già abbiamo visto la cultura locale e le tradizioni  mantengono una relazione molto stretta e fortemente sentita con il contesto ambientale naturale, in special modo con le montagne, i boschi, gli alberi, le fonti, i fiumi e i laghi, e al proposito hanno presenti moltissimi significati che sono attribuiti agli elementi naturali, e ricordano molte leggende e miti, che hanno poi ispirato una gran varietà di racconti e fiabe, come anche di riti e cerimonie, e feste. Qui c'è la sacra fonte, dove sono disciolti molti minerali provenienti dalle profondità della terra, il luogo è chiamato baño del Inca, perché qui si immergeva il principe Atahualpa (o Atawallpa) per purificarsi e intercedere con l'elemento delle acque, yacumàma.
La cascata principale compie un salto d'acqua di 18 metri di altezza, è formata dal rio Peguche che sgorga dal lago di San Pablo, e dopo la cascata cambia nome e viene chiamato Jatun Yacu (grande acqua). Perciò la comunità indigena del luogo si denomina Fachallacta, o "figli della caduta d'acqua", intesa quest'ultima quale sinonimo della forza e potenza dell'acqua. 


Questo è un luogo sacro per gli otavàlo, che qui vengono a compiere abluzioni e immersioni rituali, soprattutto durante la luna piena (quando l'effetto della attrazione lunare sulle acque è maggiore), per cui gli indigeni bagnandosi stabiliscono dei patti con lo spirito del fiume per caricarsi di forze e di energie per poter affrontare i prossimi lavori che li attendono.
Questo accade in particolare con il bagno rituale Armaytuta, durante la cosiddetta fiesta de San Juan, cioè con la festività del dio Sole, lo Inti Raymi, che si tiene nella notte tra il 21 e il 22 giugno nel momento culmine del solstizio (qui conosciuta appunto come "la notte del bagno"). In quella occasione si beve la bevanda sacra, la chicha de jora, cioè birra di granturco germogliato, si mangia in comune, api con cuy,  si cammina nel bosco sino alla cascata con musica e canti, poi si inala il vapore e le gocce d'acqua, e infine si danza al grido "churay! churay!" diffuso in tutte le Ande, oppure "hala-ha! ha, ha!", e si mangia un po' di "motecito" (una pappetta di mais bollito, come una polentina) a discrezione del sacerdote della cerimonia, cioè a seconda di quanto intensamente si balla (e le danze durano tre giorni e tre notti !). Queste feste collettive devono essere (da quanto ci riferiscono) molto coinvolgenti e travolgenti, e quando gli indigeni incominciano a bere basta poco perchè si inebrino e allora si scatenano in urli, canti e balli esagerati. Il professor Giovanni Onore, entomologo,  quando siamo stati in visita a casa sua a Quito, diceva che gli indigeni non sono forniti degli enzimi sufficienti per metabolizzare l'alcol, quindi non lo "digeriscono" e basta loro una minore quantità rispetto a noi europei per cadere ubriachi fradici (ne abbiamo visti parecchi). Per gli indigeni di tutto il nord questa festa in occasione dei raccolti d'estate è molto sentita come un riferimento culturale importante, e i preparativi (anche in senso "spirituale") durano diversi giorni. E’ anche questo un modo per affrontare il futuro della nuova stagione.
Ecco cosa può creare uno sguardo magico: ci fa vedere in un parco dove viene la gente a passeggiare per ricreazione, e in una bella cascata, cose sorprendenti e favolose; tutto dipende dal tipo di sguardo che si è attivato…
Oramai prossimi al crepuscolo andiamo con la nostra auto, sempre per una stradona di terra e sassi verso un villaggio e ci fermiamo vicino a una casa contadina, qui ci porterà a vedere la pietra nera, che si chiama hatun rumi, grande pietra, è molto rispettata, e spesso ci si reca lì a tenere cerimonie. Scendiamo a piedi lungo il muro della casa, Pintag saluta e chiede il permesso, il prato è sempre più scosceso e oramai umido, e la luce comincia a scarseggiare. Passati a fianco di una grossa mucca (che io nella penombra credevo potesse essere un toro) arriviamo a questa grossa pietrona nera, ed in effetti è molto suggestiva, anche perché c'è vicino un torrente con molti alberi alti che svettano lungo le sue rive, e quel poco di chiarore che c'è ancora li mostra come in controluce, mentre le acque sono un po' luccicanti. Il silenzio qui è totale (a parte il sottofondo del mormorio del ruscello e qualche muggito). Giriamo attorno alla pietra nera, e vedo che le rugosità della roccia sono state dipinte perché sembrava di poterci intravedere delle figure, che così sono state evidenziate e poste in risalto. Si tratta di un volto di profilo di uno che soffia dentro una grande conchiglia per farla suonare. Queste figure vengono mantenute e ridipinte.



C'è anche una spirale, che Pintag dice che rappresenta il tempo e dove si può ben vedere che il passato è sempre davanti al presente perché man mano che segui col dito il percorso un tratto del precedente si trova dinnanzi. Restiamo lì un poco in silenzio, io sono ammaliato per non dire stregato dall'ambiente circostante e dalla imponenza magica del grande masso scuro con le sue figure che oramai appena si intravedono. Gli alberi in controluce ondeggiano per il vento, e si levano profumi di fiori. Quindi risaliamo in silenzio su per il prato nel buio totale e raggiungiamo l'auto.
Pintag aggiunge che loro credono che ci siano momenti in cui lo spirito di una qualunque cosa o persona possa manifestarsi, trovare una porta di passaggio da una dimensione ad un'altra, un canale di comunicazione tra i Pachakuna; con un appropriato "camino", percorso, di preparazione puoi comunicare, puoi avere accesso entrando in sintonia con l'energia universale Aya Huma. Ti può aiutare l'energia specifica di una montagna, lo spirito del monte  (Apu), oppure altre, e per quello che riguarda lo spirito dei defunti, “a mezzogiorno, alle quattro del pomeriggio e a mezzanotte del lunedì e del giovedì si riescono a percepire dei colpi, delle scosse che facilitano il passaggio. Ma in generale il tuo spirito può incontrarsi con lo spirito di qualsiasi cosa sia piccola che molto grande, e per ciascuno c'è il suo momento magico da saper cogliere”. I trapassati e i viventi dunque si possono toccare con mano…
Un'altra persona indigena con cui facciamo conoscenza e poi amicizia è un vero e proprio personaggio pubblico, un rappresentante della cultura Kichwa, che si chiama Pumaquero, della nazione Puruhà (o Purwa), una popolazione del centro dell’Ecuador andino (provincia del Chimborazo). 



Gli parliamo della visita all’albero lechero sopra Peguche, e lui commenta che secondo lui si sarebbe dovuto utilizzare il suo nome originario in kichwa (cioè pinllu o pinkul); la simbre è l'energia del nome, se non si utilizza il nome autentico non giunge tutta la energia. Comunque dice che ci sono simbres che non si rivelano a chi non è iniziato, ad esempio nelle scritture (e allude ai quipùs e ai simboli sui tessuti) ci sono dei codici che sono riservati. Anche nella provincia di Chimborazo c'è un albero sacro; è vicino a dove si trova un antichissimo tempio andino, a 3260 metri, sul monte del Puñay.
Solo dunque questo ritornare al proprio passato, ma a un passato visto con gli occhi odierni, un passato rivisitato e ri-semantizzato, ritengono che potrà garantire loro di prospettare e di incominciare a vedere e costruire un futuro prossimo, dando luogo ad una cultura indigena rinnovata e rivitalizzata, nella conservazione e consolidamento della indipendenza del loro percorso di evoluzione culturale verso una società andina moderna all’altezza dei tempi, godendo lo stesso rispetto delle altre culture del mondo.


(per ulteriori approfondimenti -e foto- si veda in questo Blog il diario del viaggio compiuto nel 2009  sulle Ande dell'Ecuador, postato il 26 luglio scorso)


(continua)