domenica 9 settembre 2012

Pakistan 1978 (n° 0)

Dopo che in questi giorni persino la stampa italiana ci ha parlato del Pakistan (evento rarissimo) mi è tornato alla mente il nostro attraversamento di quel Paese da sud a nord nel lontano 1978 quando eravamo due ragazzi in cerca dell'avventura. Negli anni Settanta il Pakistan faceva parte dello "Hippy Trail" per andare in Oriente, e raggiungere l'India via terra, attraversando Iraq, Iran, e Afghanistan. Comunque a tutt'oggi è un paese assai poco conosciuto e poco visitato anche dai grandi viaggiatori.

INTRODUZIONE
Abbiamo preso il volo più a buon prezzo che c'era per andare in India, e cioè con atterraggio a Karachi in Pakistan. Da lì andremo col treno su sino all'unico punto di confine transitabile agli stranieri, cioè nel Punjab pakistano, nei pressi di Lahore, e da lì entreremo in India ed andremo ad Amritsar.
Come guide non ce ne sono proprio. Gli unici due libretti sono della collana di Controcultura (che è venduto come un supplemento a StampaAlternativa), edito dalla Savelli, Andare in India, del '74, in questo piccolo opuscoletto c'è una (=1) pagina sul P. in cui si dice ben poco, cioè che questa è una repubblica islamica e quindi "le donne possono aspettarsi di essere infastidite" (p.40), e si danno alcuni consigli sul visto e sul cambio, e che a Lahore c'è un ostello dell'YMCA. Poi un libretto della stessa collana di StampaAlternativa, Andare in Oriente, dell'anno scorso, un po' meglio del precedente, dove su tutti i paesi orientali sono 180 paginette (11x18 cm.), di cui sei (=6) sul Pak. Dice che c'è "una atmosfera aggressiva" nei confronti degli occidentali, e per le viaggiatrici. che: qui "le donne devono aspettarsi un trip pesante" (p.60). Mah, chissà, poi vedremo. Dice che per passare il confine non c'è bisogno di un "Road Permit" come in passato; e che in ogni stazione ferroviaria c'è una "Retiring Room" per dormire.
E infine c'è pure un diario di viaggio lungo tutto lo Hippy Trail, di Amante e Buffarini-Guidi, per la Olympia Press, con alcune pagine sul Pakistan, ma che però sono solo sul nord del Paese (e comunque il libretto risulta esaurito). Poco dopo la nostra partenza è uscito un ciclostlato di "Avventure nel mondo" che ha alcune pagine sul Pak., ma ovviamente non lo abbiamo potuto utilizzare. Ci sarebbe in it. anche una guida di Vito Salierno, pubblicata dall'editore Ceschina sei anni fa, ma non la troviamo, forse anche questa è esaurita.

Ho inserito immagini trovate in internet, che dovrebbero essere circa della fine degli anni Settanta, o che comunque rendono l'atmosfera di allora.
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Il 9 luglio si vola Thai, si potrà ben dirlo: orchidea omaggio !


1st PAK !  attraversamento Pakistan

Prima viene il Pakistan. Impatto violentissimo all'arrivo in areoporto. Sensazione di distanza e differenza radicale rispetto a tutto ciò che avevamo visto prima d'ora.
Gente per terra, bivaccante, tipi che dormono, casino, anzi aria di sfacelo, non sembra proprio un areoporto internazionale. Forse fa questa impressione perché è notte. Sembra che siano tutti dei "barboni".
Un signore di una certa età fa passare rapidamente le sue quattro mogli, tutte vestite, o meglio coperte, di nero, ma a volto scoperto; seguono una notevole quantità di bambine tutte in nero.

C'è una umidità fortissima e ha appena piovuto. C'è un aria greve, una atmosfera molto particolare. Immediatamente ti coglie una sensazione di essere lontanissimo; ti separa dal tuo mondo una distanza abissale che solo può esser coperta in tempi lunghissimi e a fatica, se non con un aereo. Sei quindi come avessi tagliato i ponti dietro di te e fossi catapultato in un vastissimo e del tutto nuovo altrove, senza ormai più la possibilità di fare anche solo un passo indietro... Ed è proprio così: sei in questo contesto, e sei letteralmente una mosca bianca, e qui devi cavartela diversamente dal solito. 
Su consiglio di Paolo cambiamo in rupie-pakis 8 dollari in due, cioè 145 rupie-pakis (1$=18 rp), che dovrebbero bastarci per raggiungere il confine nord in treno (1300 / 1400 km circa).

Esci dall'areoporto di Karachi di fatto ancora carico del tuo mondo, dei tuoi tempi, della tua bella razionalità, e ti ritrovi che qui certe regole non valgono, che qui si gioca a un altro gioco, e che tu stesso sei visto e vissuto dagli altri come se fossi uno che non è comunque quello che eri sempre stato sino a poco fa...
Se la prima sensazione è di ritrovarti improvvisamente in un altro Mondo, un altro luogo in un altro spazio, subito c'è anche l'impatto con un'altra dimensione del tempo, con un suo diverso concetto, con altri tempi, altri ritmi ...
Ed ecco che si naufraga nel piazzale antistante l'areoporto, dove essendo notte fonda non c'è alcun mezzo pubblico per andare alla stazione, che non sia un "taxi" gestito da strozzini ricattatori che chiedono l'inverosimile per portarti in città che è a molti km di distanza. Così c'è un immediato formarsi granitico  del concetto di "noi" come opposto a quello di "loro", e ci si aggrega con altri approdati lì, e in tutto saremo ben sedici tra italiani e altri di "noi".
La nostra guidina di Controinformazione consigliava: calmatevi! sedetevi in un posto qualunque e prendetevi il tempo per riflettere. Non esigete che i nostri tempi e ritmi, e la nostra smania di efficienza, siano validi anche qui. 
Si passa il tempo in tranquille contrattazioni con vari autisti, con furgoncini, con scooters da trasporto, per portare il prezzo a livelli ragionevoli, facendo loro capire che altrimenti ... (!??) Altrimenti non ci interessa affatto, ecco!.... E che noi avremmo dormito lì per terra come tutti gli altri, e avremmo preso l'autobus l'indomani mattina.
In realtà noi volevamo prendere il primissimo treno per Lahore, dato che tutti ci avevano detto che a Karachi (che si pronuncia Karacì) non c'è proprio nulla da vedere o da fare, e insomma vorremmo arrivare il prima possibile in India (e ancor più adesso...) e dunque andare subito alla stazione. Per mostrare e dimostrare che il tuo atteggiamento di indifferenza è verosimile e rispondente a realtà, a parte le grandi difficoltà di comunicazione, e a parte il rimbambimento nostro (per stanchezza, fuso orario, lo spaesamento, e rifiuto di stare lì) devi appunto mostrare calma, e dunque che senza fretta ti stai davvero disponendo a passare la nottata su quel piazzale...  Le cose dunque si fanno ben lunghe perché dopo un po' sono loro che non si fanno più vedere (per non dover abbassare i prezzi) e sei tu che li devi poi andare a cercarli ...
Comunque dopo un po' di questo gioco al rimpiattino, riusciamo a combinare e ci stipiamo in dieci (+ gli zaini!) in un furgoncino scooter tipo "Ape", di quelli che usano i nostri panettieri per portare il pane dai forni ai negozi. Ed è già la dimensione dell'assurdo (ma un po' anche della festa), e dell'Altrove.
Più che scomodissimi e sballottati per parecchi km ci facciamo portare alla stazione ferroviaria, dove una mezz'ora più tardi arriveranno allo stesso modo gli altri sei cui si sono aggiunti dei tedeschi e degli austriaci che chissà dov'erano prima. Il tizio paki che sta dietro con noi (e così ci porta via dello spazio vitale) se ne sta a fissare stravolto Annalisa per tutto il tempo...
Il casino successivo è dovuto al fatto che lo scooter-furgoncino, provenendo da un certo lato, non può giungere proprio sul piazzale della stazione (ma questo lo capiremo dopo) e fermarsi davanti all'edificio, perché la piazza è tutta scassata, forse ci sono dei lavori in corso... Tra questo dato, che per il momento non può esserci chiaro, e tra il buio pesto (dato che non c'è illuminazione pubblica), fattostà che lì dove lui ci ferma non ci sembra affatto quello che noi abbiamo in mente debba essere la stazione centrale della grande città di Karachi, e sospettiamo che il tipo ci voglia fregare. Segue una gran discussione a vuoto, dato che quello non sa l'inglese, ma solo quelle due o tre parole che gli servono, e sospetta che noi non vogliamo dargli i soldi pattuiti...

Poi, superati questi casini, ci incamminiamo verso dove ci ha indicato, evitando pozze di melma e cani che ci abbaiano contro; qua e là ci sono enormi tubi di cemento dentro cui dorme della gente. Nell'atrio della stazione il pavimento è tutto tappezzato di gente che dorme per terra avvolta in stracci; c'è anche un lebbroso.
La nostra guidina Savelli, che abbiamo portato con noi, dice che c'è sia un ostello dell'YMCA, sia il Salvation Hostel, dell' esercito della salvezza, sia un regolare Youth Hostel. Ma non ce la sentiamo di metterci a cercare di qua e di là.
Chiediamo a uno seduto su una sedia sul marciapiede, se c'è una Ritiring Room della stazione per dormire (sempre come dice la guidina); sì, c'è, ma constatiamo che è un buco soffocante, nudo, cioè senza alcun elemento di "arredo", muri e pavimento. Allora ci accomodiamo anche noi a terra, ma fuori, sul marciapiede del primo binario, e tentiamo di dormire mentre si avvicenda sempre qualcuno che ci gironzola attorno e ci parla in lingua urdu. 


Una vecchietta ci chiede con insistenza esasperante dell'elemosina, e non riusciamo a spiegarle che non abbiamo altro che le rupie-pakis che servono per comprare il biglietto.
E ci sono cornacchie, cornacchie, cornacchie.
Più tardi una pioggia (che sarà di brevissima durata) ci fa fuggire qua e là in cerca di riparo, facendo ridere e divertire tutti i pakistani.
Albeggia. Ai primi chiarori si risollevano pian piano da terra i corpi morti dell'atrio. Dalle varie informazioni captate, deduciamo che il primo treno sarà alle nove, o che gli sportelli apriranno alle nove, o che è alle nove che si incominciano a vendere i biglietti per il primo treno che va bene per noi (cioè sino a Lahore) ... Comunque il concetto base ci sembra chiaro, ed è: tra ora e le nove qui non c'è niente da fare per voi. Essendo appena passate le cinque, orario locale, allora potremmo anche pensare di fare un giretto in città tanto per dare una occhiata.
Il non potersi lavare, non potersi cambiare, lavare i denti, ci fa sembrare tutto più pesante e scostante, ma certo a questo ci dovremo abituare. In città intanto si potrebbe tentare di fare una colazione !
Lunghe discussioni con il tipo della gabbia-deposito-bagagli: molti dei nostri zaini  o sacchi, non sono chiusi con un lucchetto e loro non vogliono prendersi responsabilità ..., quindi non ci danno lo scontrino del deposito. Alla fine sembra che li convinciamo a venderci il biglietto, ma noi temiamo che poi ci freghino qualcosa mentre siamo via.
Comunque usciamo dalla stazione nel piazzale dove si stanno radunando tanti tizi con giacca e turbante rosso, poi sapremo che quelli sono i coolies, cioè i portatori e facchini che lavorano nelle stazioni. 
Ci dirigiamo verso dove ci sono diversi autobus. 




Ci sono lungo i marciapiedi panche scassate sparse qua e là davanti ai caffé in disarmo..., letti di corda grossa intrecciata con gente che lì dormiva all'aperto, e che ora si sta svegliando e stiracchiando , terra battuta intrisa di acqua piovana, puzze nel caldo. Gli autobus sono generalmente sgargianti e scassati, tutti istoriati di latta lucida sbalzata a mano, con disegnini, e fronzolini di stoffa, e con vari ammennicoli appesi dove c'è il posto del guidatore.

Ne prendiamo uno che dovrebbe andare verso il centro-città.
E' subito stra-strapieno; c'è una gabbia davanti per proteggere le donne, che sono divise dagli uomini da grosse sbarre consistenti. Ma forse così possono stare più tranquille, buon per loro in fondo... Non ci sono porte, e mancano molti finestrini. Difficoltà di comunicazione tra i due settori per dire di scendere qui.... Alcuni di noi si fermano in un locale, noi invece giriamo e mangiamo un po' di banane e di mango. A un incrocio, vicino al mercato generale delle carni, che inizialmente avevamo scambiato per una stazione...,




c'è per terra, sulla strada e non sul "marciapiede" un mucchio di paglia, dove riconosco proprio quella vecchietta che chiedeva l'elemosina, e che vive lì...
Per salire e scendere dai marciapiedi ci sono un po' di mattoni o di sassi su cui camminare per non andare nella melma, che è mista pattume e fogna. In certe stradine secondarie è proprio difficile camminare e fa schifo.
Sulle bancarelle, o per terra sotto, alcuni ancora dormono, ma all'inizio non li riconosci: piccoli e magri, accovacciati in stracci, completamente avvolti e immobili, così rischi di urtarli.

I dentisti generalmente sono cinesi, e hanno insegna con grandi dentiere colorate (ma con i canini neri).
Troviamo un bel parco di una moschea e ci stravacchiamo lì per un bel pezzo, rinunciando a vedere altro di Karachi. Dormo un po' sul prato con la testa appoggiata al marciapiede. Arriva un tipo tutto bianco, non solo nei vestiti, ma proprio di un pallore incredibile, con un filo di voce. Chiede hashish, è tedesco, giovane giovane, ma oramai al tramonto... La visione del fantasma mi risveglia, e decidiamo dopo un po' di ritornare verso la stazione, cercando di raccogliere gli altri lungo il percorso.
Arriviamo, e là c'è un gran casino! gran movimenti di gente, folla, andirivieni, vocii. Ritiriamo tutti i bagagli; non ci fanno pagare dato che non ci avevano venduto il biglietto, e non vogliono neppure una mancia. Nulla ci è stato fregato. Bisogna "solo" che ci arrampichiamo noi lassù dove li hanno accatastati per prenderceli da soli. 

File pazzesche sono in corso davanti agli sportelli che sono differenziati (per questo molti hanno dormito lì...). Inoltre scopriamo che ci sono due diversi atrii uguali con sportelli differenti. Insomma non è come da noi che uno va allo sportello e dice che biglietto vuole, ma per ciascuna tipologia di treno, e anche in certi casi per ciascun treno c'è il suo sportello, magari anche separato per classi. Come dice la guidina che abbiamo, sui treni c'è prima, seconda, intermediate, e terza classe, e poi ci sono i treni di lunga percorrenza e i locali eccetera con un bel numero di combinazioni intersecando il tutto ... 
Nulla di ciò che avevamo capito sul treno delle nove che va sino a Lahore aveva alcun senso...Disperazione di tutti noi, alcuni fanno tentativi di informarsi su quale sia la coda dafare, notizie contrastanti e scoraggianti, sbandamento totale del gruppo, chi qui chi là, difficoltà a passarci notizie nella ressa, e anche di ritrovarsi. Faccio due code sbagliate .... e così -credo- perdo dei treni. Incazzatura, rabbia, voglia di fuggire da questo posto. Senso di impotenza. Gli accordi con gli altri saltano, ognuno tenta una soluzione sua. Anch'io allora prendo due biglietti qualunque per Lahore di sola andata .... .... erano per uno dei treni forse peggiori, nella "sistemazione" peggiore, cioè senza prenotazione posti, eccetera... è di terza classe (con sconto studenti e stranieri), quindi costa pochissimo.

Insomma è una specie di "locale" che fa mille fermate in tutti i paesini... Però parte fra un'ora! E così siamo i primi del gruppo a partire.


Ci schiacciamo dentro ad un vagone qualunque, ... ed è il vagone esclusivo per donne. Dunque io dovrò proprio sloggiare di lì. Annalisa di primo acchito è malvista dalle altre che già si erano sistemate per il lungo viaggio (24 ore), ma per fortuna un giovane marito che accompagna là la moglie, parla inglese e ci aiuta a "sistemare" Annalisa e i nostri sacchi di fianco e assieme a tre nipotini. Io resisterò con lei per un po', ma la mia presenza tra le donne (sebbene marito) è ritenuta scandalosa (ma non dalle donne) dai controllori che passano e che poi riusciranno a scacciarmi di là.  Il vagone adiacente è quello del ristorante, che così fa da spartizione rispetto ai vagoni passeggeri-uomini. Vado nel primo vagone successivo in modo da restare il più vicino possibile. La cucina del vagone-"ristorante" ha il forno a legna, e poco dopo c'è uno spazio, un androne per fumatori di narghilé. Il passare da un vagone all'altro è un gioco-rischio da saltatori: niente porte o predellini, né piattaforme di congiunzione, o altro ...
Annalisa si era poi scritta questi appunti: "E' stata una cosa complicatissima che le donne capissero o decidessero infine
   che io ero inglese (=angrès) che certo non ho tentato di dire loro che ero italiana. Nessuna, tranne una che stava
  nell'altro scompartimento-donne, sapeva una sola parola in inglese. Grande esperienza con queste donne nel lungo
  viaggio; impatto talmente forte di distanza dall'Italia, dall'Europa ...
  Noi infine non abbiamo mangiato né bevuto nulla per tutte le ventiquattrore per non sentirci costretti ad accettare i loro
 cibi che gentilmente offrivano. Mi offrono sempre da mangiare con mani lerce. Hanno un bagaglio pazzesco di sacchi di
 juta, o di valigioni di legno, o di metallo, che ingombrano totalmente lo spazio tra i due sedili, anzi panconi, antistanti.
 Così non si possono mettere giù i piedi, si può solo stare a gambe incrociate sul legno, oppure metterle dritte sopra ai
 sacchi. 


  Molti venditori ambulanti salgono sul treno e poi riscendono. Sale anche una mendicante; poi un lebbroso. Mai vista
  tanta miseria come ora: in treno venivano ad esibire e gridare le loro disgrazie e le loro storie per commuovere.
 Sono comunque affascinata da queste donne semplici popolari, che guardo e osservo in continuazione, cercando di
 capire di che cosa parlino, e cosa fanno.
 Quando entrano odori forti dal finestrino mi pare che a loro molte volte non diano alcun fastidio quelle che io ritengo
 puzze, e forse viceversa. "

Io invece sono in un vagone strastracolmo, e sto quasi sempre in piedi durante la tradotta notturna; per fortuna durante il giorno ero riuscito a dormicchiare un po' sdraiato sopra al portabagagli. Oppure sto accovacciato alla meglio su un gran baule di metallo dalla superficie irregolare. Si sta stipati e tutti sudati, in un numero senz'altro record, certo il massimo possibile e immaginabile (tipo quelle gare per vedere in quanti ci si riesce a schiacciare in una cabina telefonica), 

eppure, incredibilmente c'è sempre un passaggio continuo di gente, che letteralmente si intrufola, scavalca, salta. Venditori, militari, tipi "desperados". Se ne stanno anche  appollaiati come degli uccelli sul bordo superiore degli schienali dei panconi (sono piccoli e magrissimi con gambe piegate quasi senza cosce e con le ginocchia alla bocca), oppure stendono rudimentali amache improvvisate e si appendono sopra al corridoio, oppure sono capaci di dormire in piedi. Altri, quando molti scendono a una fermata, si accatastano giù sul pavimento.
Una lite: il tizio che viene espulso da un buon posto che si era conquistato, da parte di uno che arriva all'ultimo momento con un biglietto con reservation, e che chiama il controllore. Quello gli dice che fare così non è da buon fratello musulmano. Si chiamano fratello tra di loro, bayì, oppure zio, babà, se la persona è più anziana. 
Passano così le ore, l'intera giornata, la notte .... Il ritmo giorno-notte non sembra corrispondere gran ché al ritmo sonno-veglia, e comunque non si fanno nessuno scrupolo a svegliare uno per dirgli una cosa. 
Solo tre, che non sono stati presenti contemporaneamente, in tutto il vagone zeppo sanno qualche parola in inglese, e ciononostante vogliono a tutti i costi imbastire impossibili e lunghissime "conversazioni" con me anche notturne, con questo stranissimo esemplare vivente del mondo occidentale che non si capisce bene che cosa ci sia venuto a fare qui tra di loro... Grande problema da risolvere e che interessa molto tutti quanti: perché io e mia moglie non abbiamo figli? e perché allora non cambio moglie? o forse sono io che non sono capace? e io dovrei rispondere. esasperante, anche perché l'interrogatorio si ripeterà tutte e tre le volte che c'era uno che "sapeva" qualche parolina in inglese...
L'unica persona gradevole era stato un certo M. Ahmad, della Darakhshan Society di Karachi, che mi lascia anche l'indirizzo in caso al ritorno avessimo bisogno.
Dopo questo viaggio mi resteranno i calli sul culo per molte settimane.
E' veramente curioso come queste eterne ore (alla fine in tutto un giorno e mezzo) mi siano rimaste minuziosamente registrate nel cervello e sembrino di una indicibile lunghezza se paragonata a 36 o più ore, sia pure intense, passate a casa.
Alla fine quando il treno si blocca per un paio d'ore, "soltanto" a pochi kilometri da Lahore, ho temuto che davvero potesse non finire mai questo trasferimento al nord, e quindi di non riuscire a farcela ad arrivare sino al termine. Ero evidentemente in una disposizione talmente negativa da sentirmi vittima inerme di eventi sovrastanti.

Eccoci finalmente arrivati distrutti alla grande stazione di Lahore, la capitale del Punjab che nella spartizione è stata assegnata al Pakistan, nonostante fosse assai cosmopolita e "mista" dato che i suoi abitanti erano da sempre gente delle varie religioni dell'India (hindu, musulmani, sikh, parsi, jain, buddhisti, ecc.), e che fu per un secolo la sede del governo dello Stato da parte dei Sikh,

città probabilmente interessante ma che giunti a questo punto non ci frega proprio niente di vedere, vogliamo solo e subito arrivare oltre confine in India, la nostra vera mèta, che è a pochissimi km dalla periferia di questa città. Ci sediamo in un posto a cercare di considerare la situazione, e di riflettere sulle scelte da fare. Ci sarebbero sia l'ostello dell' "Esercito della Salvezza", sia quello dell'YMCA, e poi qualcuno ci aveva fatto i nomi del "Braganza" in Mc Leods Rd di fronte alla stazione, e dell'Uganda Hotel. La nostra guidina dice di evitare Rainbow hotel, Holiday Guest House, e Chartedred Rest House. Ma scartiamo la sola ipotesi di fermarci a dormire. Ci avevano detto che vale la pena vedere il Forte, e Badshahì, e Wazir Khan, moschee molto belle, ma "in compenso" di stare attentissimi che ci sono molti ladri. In caso di bisogno di aiuto o di problemi (o guai) la nostra guidina dice di rivolgersi a mister Phailbus  "che già in passato ha aiutato un sacco di gente" (p.65), e da il suo indirizzo, è direttore della WDPA (?). Ci pare in conclusione molto meglio andarcene, così si semplifica e si conclude...

E invece ci ritroviamo subito in difficoltà per raggiungere il vicinissimo confine, il che davvero ci angoscia. L'abbiamo vissuto male questo Paese, e vogliamo letteralmente fuggire di qui, sfuggire a questo Pakistan dagli occhi indagatori e giudicanti, dal sorriso mellifluo, o forse farla semplicemente finita con la tensione che ci ha provocato lo shock del primo impatto, liberarci come da una forza occulta che sembra imbrigliarci, voler trattenerci, impedirci di fare il nostro-grande-viaggio-nell'India-favolosa. Questa dicono è l'India islamica, ma ora per noi questa non lo è, non è più India, è altra cosa. 
Esasperati, e oltretutto esausti, finiamo i soldi pakis pagando un taxi, anche se un po' caro, pur che ci porti subito fuori città, al confine di Wagah (che chiude alle 5 pm). Nel tragitto si ferma e ci chiede di anticipargli i soldi perché se no non può fare benzina...  (sono 15 km in tutto). Ma comunque ci porta finalmente alla dogana di uscita per 8 rupie p., ma si ferma a una certa distanza perché teme problemi per lui.
Fa un caldo pazzesco! Andiamo ai baracchini degli uffici. Ci dicono che mediamente ci vorranno un paio d'ore per sbrigare tutte le formalità. Chiedo la toilet ma non c'è; mi faccio -scusate- una cagata colossale all'aperto, semplicemente sul retro degli uffici, dove lentissimi si svolgono i controlli sotto inutili ventilatori. Le guardie di confine chiedono ad annalisa se regala loro il refil delle biro...
Passate anche le ultime formalità burocratiche, infine ci avviamo a piedi (perché non è consentito alcun mezzo di trasporto) verso il continente indiano a un kilometro e mezzo più oltre, con i nostri sacchi che a casa senza questa atmosfera caldo-umida mi parevano proprio leggeri e quasi vuoti. Camminiamo nel verde in mezzo agli alberi e ai pappagalli e gli uccellini.
Ecco in lontananza là incomincia l'India e il nostro agognato viaggio.... 
Ah! l'India non siete riusciti a fregarmela, ah, ah. ah....  Ce l'ho forse su con i pakis? ma che pirla che sono, ma mi sento cosa dico?....

Infine negli uffici doganali indiani ci fanno la perquisizione dei soldi che abbiamo, e ci scoccia assai ma dobbiamo mettere tutto quanto in vista sul tavolo, quindi cambiamo un po' di soldi in rupie indiane, e poi via entriamo! Un po' più avanti c'è un bus per Amritsar (che sta a 30 km) che costa 1 rupia e 40 paisa.
ciao, namasté o namaskar  (il saluto in hindi), è fatta, siamo arrivati !
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( Il viaggio poi appunto proseguì in India )

II°  paragrafo pakistano:
Dopo il nostro viaggione per l'India (e Nepal), torneremo a Karachi con volo delle Indian Airlines da Bombay l'  11 settembre. All'aereoporto all'arrivo rivedremo i doganieri Paki che ci perquisiranno ovunque (e noi speravamo che loro non fingessero di trovarci della roba addosso o nello zaino....). Ci perquisiscono tutto, anche la cintura, e la bustina da toilette. in cui esaminano bene il tubetto del dentifricio aprendolo da sotto, e poi ci fanno togliere le scarpe e le esaminano (uno poco prima aveva della roba nascosta in una cavità nel tacco della scarpa). Poche, pochissime parole su questo dover ripassare da Karachi, su questo breve riaffondare nelle sabbie mobili degli islamisti che ti vorrebbero trattenere per inghiottirti. D'altronde perché stimolare il ricordo con troppe parole ulteriori? Ci è bastata quella sensazione che rimane e rimarrà per sempre in noi...
Solo poche cose dunque: le facce, le barbette, le "papaline" ricamate, certi turbanti con pennacchi di uscieri e inservienti, i baffi, certe scarpe. Meglio non dir nulla invece di ostelli, retiring rooms, toilets, autobus e minibus, e altro (come le povere donne soffocate e sommerse sotto i burka, con solo una retìna per sbirciare attraverso, magari davanti a un solo occhio....). 
C'è comunque stata da parte nostra una riconsiderazione dello stato di Karachi alla luce di raffronti con certe città indiane (tipo Benares o Calcutta), per cui in fondo ora Karachi ci sembra meno scassata di quanto ci fosse apparsa al primo giorno.

Per poi da lì prendere finalmente il volo di ritorno della Thai !

P.S.: le foto le feci con la mia vecchia macchina fotografica, e sono in forma di diapositive da proiettare (e i colori si sono già un po’ sbiaditi…); mi dispiace non saperle scannerizzare e inserire … 

Appendice: i ricordi di Annalisa
su PAKISTAN 1978

I miei ricordi non sono del tutto uguali a quelli di Carlo, perché alcune delle cose cose che racconta sono molto vaghe o inesistenti nella mia testa. Invece altre cose che lui non descrive le ho ancora perfettamente presenti.
A Karachi appena arrivati c’è molta tensione. Vogliamo trovare un posto dove andare a dormire, ma siamo proprio spaesati. Però ci facciamo forza delle esperienze di viaggio in altri paesi, per cui cerchiamo di essere rispettosi degli altri. Io porto una gonna lunga, una camicia blu a maniche lunghe, e fa un gran caldo. Ci avviamo verso il centro della città e purtroppo fin dall’aereo cercano di starci appiccicati una coppia di italiani che preferiremmo non avere vicini, ma loro si sentono più sicuri così, e non ci mollano. Lei ha caldo, si è tolta la sua camicetta e gira solo con una canottiera del suo compagno, che oltretutto le sta larga e le sta scollatissima sotto le ascelle. Si incontrano solo dei ragazzi, che sono molto agitati ed un gruppo non piccolo ci segue. Sono vestiti alla “occidentale” con pantaloni e camicia; nessuno di loro ha una tunica tradizionale. Cerco di convincere la ragazza italiana a coprirsi un po’, ma anzi lei si arrabbia con i pakistani e li sgrida, ed io sono preoccupata. C’è un forte caldo appiccicoso ed un buio pesto.
Non troviamo un albergo, abbiamo gli zaini pesanti e quindi ad un certo punto decidiamo che i ragazzi vadano a cercare un posto per dormire da soli e senza il bagaglio mentre noi restiamo nell’androne di una casa a far la guardia agli zaini. Fuori dal portone restano parecchi maschi paki. Quando i nostri due tornano dopo non molto avendo trovato un alloggio, noto che Carlo ha in mano il suo coltello da campeggio arrugginito, probabilmente per far vedere che sa difendersi. Lui! che con farebbe neanche un graffio a nessuno! Non ricordo dove dormiamo. Ma siamo salvi; stranamente nessuno ha cercato di rubarci qualcosa, non ci hanno violentate, non hanno pestato i ragazzi. Il pericolo che abbiamo potenzialmente corso è stato notevole, ma una buona stella ci ha protetti.
Il mattino dopo nei nostri giri arriviamo ad un grande mercato. E’ pieno di gente, vociare, confusione. Dopo poco mi rendo conto che che vedo solo uomini che fanno la spesa. Il mio sguardo incontra solo quattro donne (non so se sole o accompagnate); sono completamente coperte da una enorme tunica nera, che copre anche la testa ed il viso, gli occhi sono nascosti, e loro possono vedere solo attraverso un reticolo fatto grezzamente della stessa stoffa della tunica. Mi viene voglia di essere altrove.

In autobus nella gabbia riservata alle donne (un terzo dello spazio riservato agli uomini) si sta tutte attaccate. Cerco di guardare attraversi il reticolato per capire dove sia Carlo; sono in ansia perché non ho idea dove dovremmo andare. Le altre donne mi osservano, mi sembra stupite per questo mio comportamento sconveniente. Alla fine Carlo mi urla di scendere e stranamente riesco a capirlo, meno male.

In treno le donne dello scompartimento in cui sono capitata sono gentili, mi sorridono, cercano di comunicare, mi offrono da mangiare. Io ho una fame tremenda ma non me la sento di accettare per una mancanza di igiene che va al di à della fantasia. Faccio segno che non sto bene, che ho mal di stomaco, ma chissà se la mia gestualità ha un qualche senso per loro. Appena salita sul treno avevo esaminato le cose che mi ero portata da mangiare da casa, uova sode schiacciate nel viaggio e un paio di panini stantii. Li avevo trovati orribili, e pensando che mi sarei procurata di meglio li ho buttati fuori. Non immaginavo quanto avrei rimpianto quelle cose!
Piano piano mi rendo conto che mi sono piazzata in un vagone riservato e che le donne mi stanno ospitando. Verso sera si preparano i giacigli; ognuna ha una cuccetta, ma una signora sistema tutto il suo bagaglio (i bagagli sono sempre enormi) sulla cuccetta in alto accatastandoli da una parte, lei si sistema in una cuccetta sotto stretta insieme alla figlia già grande e mi cede la cuccetta di sopra, dove scomodamente, un po’ rattrappita, riesco però a dormire.
Carlo viene a trovarmi un paio di volte, guardato con curiosità da tutte. Il controllore, gentile e comprensivo quando lo vede  lì però lo fa allontanare. Anch’io una volta vado a trovare Carlo nel suo vagone.  E’ difficile passare perché la quantità di gente è incredibile. Tutti gli sguardi sono puntati su di me ed io capisco che quello che sto facendo proprio non va bene.
Quando la breve esperienza pakistana sarà finita, mi ripeterò che non vorrò mai più andare in un paese islamico. Ero già stata in Turchia, in Tunisia due volte, in Algeria, in Egitto, ma nulla di paragonabile al Pakistan di allora.
All’arrivo al confine con l’India, dove giungiamo dopo circa un km a piedi perché il taxi non ha il permesso di avvicinarsi, si schiuderà subito un altro mondo. Sole luce e una vegetazione stupenda accompagna i nostri passi. Le donne al confine vestono i loro sari sgargianti, hanno le braccia nude, la vita e la pancia un po’ scoperte, i volti truccati, guardano negli occhi le persone e parlano anche con gli uomini…  Mentre attendiamo che la burocrazia faccia il suo corso per consentirci di entrare in India (avendo già il visto) nella lunga attesa mi bagno le braccia e le coscie alla fontanella.
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PS: ora aggiungo io invece una notarella storica per spiegare come mai dovevamo andare su fino a Lahore facendoci questi 1400 km.
Il fatto è che con la fine dell'Impero indo-britannico e l'indipendenza sotto forma di due Stati (secondo le richieste di Jinnah, separatista islamico), la Unione indiana, e il Pakistan. Ci fu nel 1947/48 una guerra terribile tra i due nuovi Paesi per definire i propri confini. In conseguenza di questa tragedia, che Gandhi aveva sempre cercato di scongiurare (e riuscì a evitare eccessi nella divisione del Bengala) che si chiamò partition, la grande spartizione, che spaccò l'India, ci fu l'esodo di proporzioni più che bibliche di 10 milioni di hindu che fuggirono dai territori di Lahore, del Punjab, del Kashmir, dei Sind, di parte del Rajahstan, e altri, rimasti al di là del confine, in direzione verso l'India; e contemporaneamente quello di 7 milioni di musulmani indiani verso il nuovo Stato del Pakistan. Altro che questo nostro viaggio che ho chiamato "la tradotta"!... fu una Apocalisse. Gandhi fu ucciso da un fanatico nel gennaio del '48, e in settembre morì Jinnah. Nel 1956 il Pakistan si dichiarò Repubblica Islamica. Poi ci fu un'altra guerra nel 1965/66 in Kashmir. Nel 1970 ci furono le prime elezioni federali pakistane, e vinse Alì Bhutto. A quel punto credendo forse in una sua possibile liberalità la provincia orientale del Bengala islamico, dichiarò nel 1971 la secessione e si separò dal Pakistan. Il che generò una sanguinosa guerra "civile" tra le due parti dello Stato, che degenerò anche in una terza guerra indo-pakistana dato che l'India sostenne l'indipendenza del Bangla Desh (Bengala Libero). Nel 1977 il generale Mohammed ZIa spodestò il governo eletto, ritenendolo troppo accomodante con l'India, attuando un colpo di Stato militare, per cui il presidente Bhutto venne incarcerato, e poi fu impiccato.
Ecco come mai allora c'era un solo punto in cui poter passare il confine, ed era riservato ai soli stranieri, e non potevano transitare mezzi di trasporto di alcun tipo ma si poteva passare solo a piedi...
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per la lettura completa delle otto puntate su questo viaggio del 1978, vedi:

Dopo questo presente testo sull'attraversamento del Pakistan (9.sett.12); vedi poi Amritsar - Old Delhi (5.nov.12); poi Rajahstan - Agra - Benares (6.nov.12); quindi il Nepal (1.dic.11); Calcutta-Madras (24.ott.12); a Goa (25.ott.12); e su Bombay e Elephanta, con il rientro via Karachi ( 26. ott. '12); e infine le considerazioni post viaggio ( 29 ott. '12).
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il testo è presente anche su
http://viaggiculturali.wordpress.com/2012/09/10/attraversamento-pakistan-nel-lontano-1978/

1 commento:

  1. Annalisa mi scrive:
    " I miei ricordi non sono del tutto uguali a quelli di Carlo, perché alcune delle cose cose che racconta sono molto vaghe o inesistenti nella mia testa. Invece altre cose che lui non descrive le ho ancora perfettamente presenti."
    Quindi aggiungo le sue note come Appendice.

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