mercoledì 21 novembre 2012

il poema lirico di Gibran

Chi ha seguito mie lezioni mi ha già ascoltato leggere alcune poesie di Gibran tratte dalla sua prima raccolta, "il folle" del 1918 (forse ricorderete: "le mie maschere", che ho riportato anche nel mio libro dell'anno scorso "le maschere e gli specchi"), e dalla sua raccolta: "il vagabondo". 


Qui vi propongo ora di leggere l'inizio del suo capolavoro poetico "il Profeta", che fu composto in inglese.
Jibran Kahlil Jibran ( o Gibràn Khalil Gibràn) fu un poeta e pittore libanese (1883-1931), nacque da famiglia cristiana-maronita, è vissuto viaggiando tra il Libano, l'Europa e gli Stati Uniti: lasciò il Libano da ragazzo, ed è vissuto a Boston, poi è tornato a Beirut per completare gli studi, e ritornato a Boston, poi visse a Parigi, dove fu allievo di Auguste Rodin, infine ritornato in America andò a New York (e quindi conosceva bene lo strazio del partire e del  cambiare città o Paese), dove poi morì. Grande estimatore e conoscitore delle spiritualità orientali, tra cui il misticismo Sufi, le filosofie hindu, e le correnti idealiste e romantiche europee (tra cui le liriche del visionario W. Blake). Divenne ammiratore di Abdul Bahà e si avvicinò alla fede "Bahai". Sebbene alcune fonti ci parlino di una certa comunanza proprio tra il personaggio protagonista de "il Profeta" e la figura di Abdul-Bahà, Il Profeta "non può essere considerato un testo legato ad alcuna religione specifica, ma piuttosto un'opera libera da condizionamenti di sorta, nata dalla capacità di Gibran di mettere in comunicazione il meglio della spiritualità di varie culture". 


Questo poema fu pubblicato a New York nel 1923, e venne in breve tempo tradotto in ben venti lingue; fu ed è considerato una "ineguagliabile sintesi tra pensiero orientale e occidentale". Ancora in epoche recenti è stato molto amato, ad es. nel movimento New Age.
Da alcuni quel poema è stato anche definito un "breviario per laici".
In italiano lo trovate su internet, o -tra le altre- nelle edizioni Guanda, SE, Newton&Compton, Piemme, o nelle Bis edizioni, nella Bur, e da Mondadori, Tea, UE Feltrinelli, Rusconi, eccetera....ecc.



Conoscevo già da tempo il poema, e son certo che lo conoscesse anche mia nonna materna, Fede Paronelli, dato che fu tradotto in italiano già nel 1936:


pubblicato da G.Carabba editore, a Lanciano in provincia di Chieti, con Prefazione di Augusto Mancini, e tradotto da E. Niosi Risos. Questo fu il primo suo libro pubblicato in Italia.


Ecco l'incipit:
Almustafa, the chosen and the beloved, 
who was a dawn unto his own day, 
had waited twelve years in the city of Orphalese for his ship
that was to return and bear him back to the isle of his birth.

L'arrivo della Nave




"Almustafa, l’eletto e l'amato, che come un'alba verso il suo giorno, aveva aspettato per dodici anni nella città di Orphalese il ritorno della nave che avrebbe dovuto ricondurlo alla sua isola natale.
E nel dodicesimo anno, il settimo giorno di Ielool, il mese del raccolto, salì sulla collina fuori le mura della città e guardando il mare vide la nave venire nella nebbia.
Gli si aprirono le porte del cuore, e la sua gioia volò lontano sul mare. Chiuse gli occhi e pregò nei silenzi dell'anima.

 

Ma mentre discendeva la collina, fu invaso dalla tristezza, e pensò nel suo cuore:

 

Come andarmene in pace e senza pena? Ahimè, non senza una ferita nello spirito lascerò questa città.
Lunghi furono i giorni di dolore vissuti dentro le sue mura, e lunghe furono le notti in solitudine; e chi può lasciare il suo dolore e la sua solitudine senza rimpianto?
Troppi frammenti del mio spirito ho seminato in queste vie, e troppi figli della mia brama camminano nudi fra queste colline, e io non posso staccarmene senza un peso e un dolore.
Non è un vestito che mi tolgo, quest'oggi, ma una pelle che strappo con le mie proprie mani.
Né è un pensiero che lascio dietro di me, ma un cuore addolcito dalla fame e dalla sete.

 

E tuttavia non posso trattenermi più a lungo.
Il mare che chiama a sé tutte le cose mi chiama, e io devo imbarcarmi.
Perché restare, sebbene brucino le ore della notte, è gelare e diventare cristallo, ed essere fissati in uno stampo.
Vorrei prendere con me tutto quello che è qui. Ma come potrò farlo?
Una voce non può trascinare la lingua e le labbra che le diedero le ali. Da sola, deve cercare l'etere. E sola e senza il nido dovrà volare l'aquila nel sole.

 

Così, quando ebbe raggiunto i piedi del colle, si volse ancora verso il mare, e vide la sua nave approssimarsi al porto, e a prua i marinai, uomini della sua patria.



 

E la sua anima gridò loro e disse:

Figli della mia antica madre, oh voi cavalieri dei flutti,
Quanto spesso veleggiaste nei miei sogni. E ora arrivate al mio risveglio, che è il mio sogno più profondo.
Sono pronto a partire, e la mia impazienza aspetta il vento con le vele spiegate.
Solo un'ultima volta respirerò in quest'aria immobile, un solo sguardo d'amore volgerò ancora alle mie spalle.
E poi sarò tra voi, un navigante fra i naviganti.
E tu, mare immenso, madre insonne,
Che sola sei pace e libertà per il fiume e il ruscello,
Solo un'ultima curva avrà questo ruscello, solo un altro mormorio questa radura,
E poi verrò da te, goccia senza confini all'infinito oceano.

 

E mentre andava, vide da lontano uomini e donne che lasciavano i campi e le vigne e si affrettavano verso le porte della città.
E udì le loro voci dire il suo nome, e gridare di campo in campo annunciando uno all'altro l'arrivo della nave.
Almustafa disse a se stesso:

 

Il giorno della separazione sarà il giorno del raduno?
E si dirà che la mia sera fu in realtà la mia alba?
E che cosa darò a chi ha lasciato l'aratro in mezzo al solco, o ha fermato la ruota del torchio?
Diventerà il mio cuore un albero carico di frutti che io possa cogliere e donare?
E i miei desideri scorreranno come una fontana per riempire le loro tazze?
Sono io un'arpa che la mano del maestro può pizzicare, o un flauto che il suo fiato può attraversare?
Io sono un cercatore di silenzi; e quali tesori ho trovato nei silenzi che possa dispensare con fiducia?
Se questo è il giorno del mio raccolto, in quali campi ho seminato, e in quali stagioni dimenticate?
( ... ... )

 

Queste cose egli disse con parole. Ma nel suo cuore molto restò inespresso."  ...


(ecc.)
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Oltre alle edizioni it. già prima citate, ora lo si trova anche con una nuova traduzione di Paola Giovetti, pubblicata nel 2011 da Verdechiaro edizioni, anche in audiolibro, letto dall'attore Enzo DeCaro (il che può forse facilitare la sua fruizione, dato che si tratta di un linguaggio espressivo e di un contesto culturale che potrebbe apparire lontano e faticoso o difficile per i più giovani).


In ogni edizione di Gibran troverete una introduzione e dei commenti, ve ne sono varie e pregevoli, di letterati, linguisti, anglisti, orientalisti, poeti, e scrittori (come Paulo Coelho), qui vi consiglio tra i tanti il commento di Rajneesh Osho, "The Messiah", 1987, trad. it. col titolo "I silenzi dell'anima", 1997; cui fanno seguito "I sentieri dell'anima", e "Gli abissi dell'anima", sempre delle Edizioni del cigno. Il terzo è appena stato ristampato in novembre '12, e lo sto appunto ora leggendo, per cui mi ha di nuovo smosso corde interiori che mi han spinto a scrivere questo Post.



(Vi proporrò altri motivi di meditazione del testo di Gibran nella prossima festa dell'Epifania, il 6 gennaio del  '13). 






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