sabato 12 gennaio 2013

ancora su Hesse (5)

In questo periodo di novilunio sto facendo letture varie, ho appena comprato un libro su Mircea Eliade, delle ed. Mediterranee, e ieri mi sono tuffato e immerso nell'ascolto di un audiolibro, e così questa notte sono andato a letto alle 2 e mezza, con la tipica stellata da luna nera. Ho dunque rivisitato, dopo molti molti anni, il Siddharta di Hermann Hesse, in una versione nuova, di Paola Giovetti (Verdechiaro, 2009), letta da Enzo De Caro con quel suo caldo timbro di voce. 
In effetti la traduzione di Massimo Mila forse era oramai un po' invecchiata. Io ho il libricino pubblicato da Frassinelli, a Torino, nel 1951; era di mia mamma, con sue sottolineature. Hesse l'aveva dedicato all'amico Romain Rolland, che il mio bisnonno conobbe di persona nella sua attività di giornalista e di cui divenne fervente seguace in quanto pacifista. Quindi mia nonna nei suoi viaggi in Svizzera, in Germania, e a Londra e Parigi, seguiva la pubblicazioni di Hesse, almeno fino allo scoppio della seconda grande guerra, anche se poche erano le trad.it., ma lei leggeva correntemente in tedesco, francese, inglese.
Dunque stiamo parlando di un libro di novant'anni fa; sì il Siddharta di Hesse e il Profeta di Gibran -di cui vi riparlavo l'altro giorno- sono contemporanei (anche se i loro autori non si conoscevano).
Proprio in questi stessi anni del secolo scorso dunque, tra il 1906 e il '15, Hesse maturò la sua vera vocazione, e giunse a individuare il centro della sua personalità e perfezionò la sua capacità espressiva. Si diede ai viaggi: aveva già vagabondato per la Toscana e l'Umbria assieme alla sua compagna. Poi nel '07 compì un terzo viaggio in Italia assieme a due amici. E sempre in quell'anno passò alcune settimane nella comune naturista e di ispirazione teosofica, di "Monte Verità" ad Ascona in Svizzera. 
"Erano membri di quell'immane schiera di originali che conducevano una vita errabonda, come le comete, al di fuori dell'usuale ordine del Mondo".
Qui visse in una capanna nel bosco, arrangiandosi a saper fare di tutto,  praticando una vita alternativa ai valori borghesi, facendo del nudismo e compiendo arrampicate, e partecipando ad appassionate discussioni sul regime alimentare vegetariano e sul pacifismo.

 Tornò in città e visse frequentando una compagnia di vari "miglioratori del Mondo" (vedi il suo ironico raccontino "der Weltbesserer" del 1906, in cui già mostrava di guardare con disincanto a certi personaggi dell'ambiente culturale e ideologico dei giovani ribelli del suo tempo, e di sapere anche esercitare l'arte dell'autoironia). Quindi, in settembre-dicembre 1911 realizzò e concretizzò l'agognato e vagheggiato "pellegrinaggio in Oriente" e fu a Sri Lanka (allora Ceylon, parte dell'Impero britannico delle Indie), in Malesia e Singapore (anch'esse britanniche), e a Sumatra nelle Indie orientali olandesi, con un suo amico pittore.
"Mi pare che l'essere in viaggio costituisca per noi il surrogato (...) dell'esercizio dell'istinto estetico che (...) era vivo presso i greci (...). Il puro guardare, l'osservazione non turbata né dalla volontà né dal fine della ricerca, l'esercizio pago di sè della vista, dell'udito, dell'olfatto, e del tatto, rappresentano uno stato di beatitudine del quale i più sensibili tra noi sentono una nostalgia profonda; e il viaggio è il modo migliore per inseguire le tracce di quel paradiso perduto."

Sviscera il significato più recondito della propria nostalgia per l'appartenenza ad una "comunità ideale" in nome della quale valga la pena di compiere anche il sacrificio del proprio egocentrismo e persino della propria individualità. Era per lui anche un modo per andare contro corrente rispetto alla grande crisi morale e identitaria dell'occidente, indicando nell'incontro con le culture orientali una soluzione benefica e rivitalizzante.  
 Nel '13 raccolse le sue annotazioni prese durante quel grande viaggio verso l'Oriente ("fuggivo l'Europa,  il mio viaggio fu infatti una fuga", ma qui intesa anche in senso positivo, di ricerca di un mondo alternativo in cui estraniarsi, e anche di parziale rifiuto di certi tratti delle società occidentali) in "Aus Indien".
Partecipa alla fondazione della rivista "März", un periodico satirico contro il centralismo autoritario e il militarismo tedesco dell'epoca guglielmina.
E scrive recensioni di libri. 
"Che mi serve sapere se il tale o il talaltro è un simbolista, un naturalista, un allievo di... o un amico di ...? (...) Voglio sapere se ha da dirmi qualcosa di valido, se il suo libro può essere per me un amico, un consolatore, oppure solo un passatempo (...), se ha sangue, o è, appunto, solo un libro".
Scrive anche poesie, e nel '15 escono le tre storie di Knulp, ed inizia a dipingere all' acquarello.

I gravi disturbi psichici della moglie, la conseguente crisi della vita famigliare, e quindi anche i profondi turbamenti interiori suoi, lo fecero cadere in una fase depressiva.
Nel romanzo Rosshalde, riflette su queste problematiche, e scrive del protagonista: 
"vedeva con chiarezza che nonostante una nostalgia non ancora del tutto spenta, era passato accanto al giardino della vita, senza entrarvi (...). Ciò che gli rimaneva era l'arte, di cui non si era mai sentito tanto sicuro come ora".

Poi sopravviene la Grande Guerra. Si dedica totalmente ad attività umanitarie, in estate scrive l'articolo-appello "Non ucciderai" riprendendo espressioni tolstoiane. 
"Noi intellettuali, poeti, veggenti, folli e sognatori, dell'avvenire, siamo quelli che piantiamo gli alberi del dopo (...). Si può uccidere non solo il presente, ma anche il futuro(...). Il nostro dovere di uomini è di compiere un passo avanti, dalla animalità alla umanità".
Scrive numerosi testi contro la guerra e contro ai risvolti deleteri dei nazionalismi, che firma Emil Sinclair, dal nome dell'amico del poeta Hölderlin.  Nel novembre '14 esce l'altro suo famoso appello, con titolo tratto da un verso di Schiller nell' "Inno alla Gioia": "O Freunde nicht diese töne", "Oh amici, non questi toni!"(o non questi accenti), un accorato appello alla pace.
Si dedicò in Svizzera ad iniziative a favore dei prigionieri di guerra, e fu oggetto di molte critiche e venne tacciato di non essere patriota, di essere un disfattista, un imboscato e un vigliacco, se non anche un traditore. 
In una lettera scriveva: (Romain Rolland),"uno che sentiva come me, uno che, come me sensibile alla sanguinosa pazzia della guerra e della psicosi bellica, era insorto contro di essa. Non so se sarei riuscito a superare quegli anni senza il suo cameratismo" ...

Dopo la fine del conflitto mondiale, Hesse guardò con interesse alla rivoluzione bavarese e a Gustav Landauer, e ad altri eventi di quel periodo, come durante la repubblica di Weimar, o con la rivoluzione di Bela Kuhn a Budapest, o con la figura di Lev Trotskji nella rivoluzione russa, ma era piuttosto preoccupato in quanto desiderava che l'umanità compisse soprattutto un rinnovamento e una trasformazione interiore: 
"Non dobbiamo cominciare dal fondo, dalle forme di governo e dai metodi politici. Dobbiamo cominciare dal principio, cioé dalla costruzione della personalità, se vogliamo tornare ad avere uomini e spiriti che ci garantiscano un futuro".
Guardò dunque con grandissima partecipazione e interesse alla rivoluzione culturale che poteva venire nella coscienza germanica dalla diffusione del pensiero innovativo di uomini come Freud e  Jung. Scrisse interessanti saggi sullo Zarathustra di Nietzsche, e altri su Dostojevskji.

A questo punto si comprende meglio quanto della sua esperienza di vita entri a dare sostanza al romanzo, o "poema indiano" (si veda anche nelle appendici di documenti, aggiunte alla nuova edizione Adelphi). Il suo Siddharta lo scriverà poco più tardi nel '22 in due tempi.
Ebbe il plauso di Thomas Mann, di Stefan Zweig, ed Hesse divenne noto in tutto il mondo, e iniziò incontri e corrispondenze, con Bertold Brecht, con André Gide, con Thomas Elliot, con l'intellettualità europea e mondiale, tanto che alcuni lo definirono poi -suo malgrado- un "guru" (intendendo il termine nella accezione negativa che ha assunto in occidente).
"Siddharta" fu il libro pocket che la Beat Generation (e i suoi successori) si portavano con sè, in tasca o nello zaino.
Il messaggio fondamentale del protagonista del romanzo, divenuto leggenda, divenne (per almeno tre ondate successive di giovani alla ricerca di nuovi valori cui ispirarsi), un riferimento esemplare, lungo tutto il Novecento, per imparare ad "accettare la vita, cambiandone radicalmente il senso" (come scrive A. Gnoli su Repubblica del 2 settembre scorso).
In questa rilettura ho trovato molto interessante il fatto che nel romanzo si operi un immaginario sdoppiamento tra Siddharta e il Buddha Gautama (il che sarebbe come distinguere tra l'ebreo Gesù nazareno, e la figura simbolica del Cristo...), per dare la preferenza al primo in quanto "cercatore" della propria via verso la conoscenza di sè, pur manifestando apprezzamenti estremi per il sublime messaggio del Buddha, e per quell'essere perfetto, ma in cui il primo è estremamente umano mentre il secondo è una figura evanescente quasi sullo sfondo, per dire che il primo è un percorso del tutto individualizzato e strettamente personale in direzione delle profondità interiori e della unione di sè col Tutto, che può essere anche indicato quale modello, mentre col secondo si tratterebbe infine "solo" di aderire al suo pensiero, dato che la sua individuale esperienza di illuminazione non è comunicabile e non può essere che specifica, e dato che il Buddha, avendo raggiunto la perfezione, è in un certo senso irraggiungibile.

Comunque Hesse ha sempre presentato una copula di due figure speculari e indisgiungibili raffiguranti due aspetti del medesimo, qui ad es. ci sono nella prima parte Siddharta / Govinda; e nella seconda Govinda / Buddha Gautama, Siddharta / Kamala, e Siddharta / il traghettatore Vasudeva (così come pure con Demian / Sinclair, con Narciso / Boccadoro, nel "Lupo della steppa" Erminio/Erminia, poi anche nel "Gioco delle perle di vetro", ecc.).

Ma ora non incomincerò a commentare il Siddharta, dato che già stanotte mi ha fatto fare le due e mezza, e se voi state per caso leggendo questo post dopo cena ad un'ora tarda, non vorrei esser causa di un vostro tirar ore piccole (a parte poi il fatto che sul Siddharta di Hesse sono già stati scritti articoli, commenti, recensioni, introduzioni, interventi a convegni, e libri a fiumi, e in ogni lingua... per cui sarebbe arduo aggiungere alcunché... ).
Volevo però segnalare che ho preso spunto per questo post, dall' "Album Hesse" a cura di I.A. Chiusano, e Eva Banchelli (Mondadori, 1991, 2008) con foto e documenti.

Quindi qui concludo citando una sua poesia poco nota (che mi segnalò mia madre), e adatta alla situazione di congedo:

"Andando a dormire

Ora il giorno mi ha affaticato,
il mio fervido desiderio
dovrà accogliere serenamente
la notte stellata, come un bambino stanco.

Mani, lasciate ogni attività,
fronte, dimentica ogni pensiero,
tutti i miei sensi ora
vogliono sprofondare nel sonno.

E l'anima, non vigilata,
vuole librarsi liberamente in volo,
per vivere intensamente mille volte
nell'incantesimo della notte".

E' solo una di tre poesie che sono state musicate per orchestra e voce (l'intelletto e l'emozione), scritte in musica da Richard Strauss nel 1918.

(vedi altri post su Hesse messi il 18, il 19, e poi il 29 settembre 2011 sotto il titolo "segnalazioni", e poi il 13 ottobre successivo, su "Narciso e Boccadoro", con relativi commenti di lettrici)

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