sabato 25 febbraio 2017

Algeria 1977 (2a puntata: il Sud sahariano)

Seconda puntata:

Il nostro viaggio in auto dunque proseguirà con un intenso programma: andare a Sud dell'Atlante, per attraversare la regione sahariana Ovest, e poi tornare sulla costa per vedere anche la riviera occidentale, attraversare la Cabilia e ritornare a Sud, e vedere il Sahara Est, per poi rientrare in Tunisia all'altezza del grande lago asciutto di sale e finire a riposarci sull'isola di Djerba nel sud tunisino. Una sorta di grande 8.

il nostro percorso

Certo facendo questo giro si cambia totalmente paesaggio sia geografico che umano. La fascia costiera e quella collinare della Cabilia, con il suo aspetto mediterraneo, lascia il posto appena si scende dagli altipiani dell'Atlante, ad un paesaggio rude, secco, arido, e molto più povero, ma ricco di storia e di culture locali. Praticamente un altro paese, dal punto di vista geografico e umano.

Per prima cosa siamo andati a Djelfa (a 430 km da Algeri) sugli Hauts-Plateaux, gli altipiani, dove abbiamo trovato un bell' albergo tradizionale ed economico (forse era l'hotel Central). Il camping era indicato, ma è per ora soltanto programmato ma non realizzato.



A quanto ci sembra nei luoghi pubblici le arabe sono velate, mentre le berbere (o nomadi) no.


bar
La cittadina è abbastanza moderna e ben tenuta (relativamente agli standard locali).


Djelfa (che sta a circa mille m. di altitudine), è il capolinea della ferrovia da Algeri, subito dopo passano le propaggini dell'Atlante coi monti degli Ouled Naïl, dove allevano il bestiame, poi si ridiscende.

Da qui inizia il nostro viaggione-avventura.
Subito da fuori città, si trova tutta una ampia fascia stepposa e brulla. Poi dopo 112 km a Laghouat (con casette tipo cubabitacoli bianchi), il panorama è decisamente cambiato ed è tutto secco il terreno, con ogni tanto una oasi di verde dovuta a qualche rigagnolo (oued) magari di una falda sotterranea. E' il deserto. Qui praticamente c'era già il Limes dell' impero romano, e anche della dominazione ottomana, e della originaria colonia francese del 1830.


E da ora incominciano a vedersi qua e là le grandi tende di pastori e nomadi beduini.


Poi, più oltre si procede e più tutto è sassoso e incolto, oramai siamo proprio in piena area desertica, ma all'improvviso, c'è una enorme oasi, in cui ci sono abitanti e coltivazioni. Ad es. un centinaio di km. dopo Laghouat ecco la grande palmeraie, l'esteso palmeto di Berriane, di cui si vede da lontano il minareto in posizione un po' sopraelevata. Con questo sole che spacca le pietre, e un paesaggio sempre uguale (ovvero nullo), è come una sorpresa, una speranza, una specie di  sogno.

BERRIANE
Berriane
un pozzo

Qui c'è ombra, c'è quasi un po' più "fresco", e si sente lo scorrere delle canalizzazioni d'acqua. Giriamo per il paese.


Annalisa presso il cimitero


GHARDAIA
Proseguiamo ancora più a Sud, nel territorio chiamato La Dayà, verso la regione dello M'zab (dove appunto abitano i mozabiti) e la storica città di Ghardaïa. Ecco che abbiamo percorso da Algeri 630 chilometri nel caldo torrido (appena un po' attenuato sull'altopiano). Vista da fuori è imponente e impressionante così ancora tutta compresa dentro le sue mura (con le porte, che col sopraggiungere del buio vengono chiuse !!).
Qui finalmente c'è un campeggio in un cortile dentro al recinto di un muretto, e montiamo la nostra tenda all'ombra delle palme (ci sarebbero se no delle piccole capanne di paglia, ma non ci attirano). Comunque in entrambi i casi dove c'è sabbia c'è il problema degli scorpioni. Oppure ci sarebbe anche un hotel ricavato l'anno scorso da un architetto dentro ad un antico fortilizio, ma è caro.



Ed eccoci dunque nel capoluogo dello M'zab ! 


(foto T.Stone dall'Atlante Rizzoli 1979)

 lo spiazzo in terra del souk, del mercato, a Gahardaïa 
(da una cartolina)


sottoportici all'ombra (foto da Cartoline postali)
 la strada principale



 ruelles, stradine interne




Gironzoliamo a curiosare dappertutto, e saliamo su in cima, al belvédère, da dove si ha una panoramica dello M'zab, detto anche la "pentapoli" dei mozabiti (Ghardaia, Beni-Isguen, El-Atteuf, Bou Noura e Guerrara).


I mozabiti sono sia una etnia sahariana berbera, sia un gruppo linguistico (parlano lo Tumzabt), che un gruppo religioso musulmano, sono Ibaditi. E vivono in questa area sin dal medioevo. Questa setta considerata eretica dalla maggioranza dei musulmani "ortodossi", trovò riparo isolandosi qui, e giunse nel X sec. a dominare l'oltre-Atlante.  Essi sono in perenne contrasto con i beduini Chambaa che transitano attraverso questa zona. Si tratta di antiche faide, mentre oggi il vero "pericolo" per i Mozabiti sarebbe piuttosto rappresentato dall' espansionismo degli arabi che si stanno impossessando tendenzialmente di tutto il territorio dell' Algeria, a partire da nord. Inoltre qui vediamo anche una presenza di neri, di solito commercianti.


Andiamo a visitare la "città santa" di Beni-Isguen con il suo palmeto (che sta a soli 5 km a sud), sul corso del oued M'zab.



entriamo (ci sono solo tre porte di ingresso a Beni Isguen)


la vista dalle mura: la cittadina è ad anfiteatro sul fianco della collina

la piazzetta del piccolo e semplice mercato (lastricata) che si tiene tutti i pomeriggi tranne di venerdì

giunto in cima al colle 


Poi andiamo a visitare il grande palmeto dell'oasi (ventimila palme).
l'ingresso alla palmeraie

il gran vialone (col fondo stradale di sabbia pressata) di accesso ai palmeti


Qui vivono quelli che lavorano alla irrigazione, ai pozzi, alle canalizzazioni, alle coltivazioni, e ai raccolti.
(carte postale)



Qui tutto è ben regolamentato, come diceva un antropologo e scrittore berbero di nome M.Mammeri: «Non vi è nulla di più concertato, voluto, misurato. Non si vive andando controcorrente rispetto a tutto l'ambiente naturale, senza una coscienza acuta e quotidiana di tutte le condizioni dell'esistenza: l'arte degli Ibaditi è dunque condannata alla vigilanza». 
Una leggenda dice che lo sceicco Djemma sposò una donna solitaria di nome Daya che aveva incontrato una sera presso il luogo dove lei aveva la sua tenda, all'ingresso di una grotta (in arabo: ghar), la quale sapeva bene come sopravvivere in un territorio arido, sfruttando i doni delle oasi. 
Grazie alle loro ingegnose trovate, e a duro e continuo lavoro i mozabiti sono riusciti a creare, e a mantenere, le condizioni per vivere in questa regione. Non c'è bisogno di innaffiare il terreno di un'oasi, perché l'acqua scorre sotterranea a circa 60 metri sotto il livello del suolo. La si può pompare fuori con un sistema di tira-e-molla con delle corde tirate da bestie da soma tipo asini o cammelli. 
Gironzolare qui è veramente un incanto.
Il giorno dopo andremo a Melika (che significa: la regina):
 l'infermeria della "mezzaluna-rossa" (Croissant-Rouge) ovvero "crocerossa" di Melika

(cartolina)

la piazza centrale (per terra un venditore)
cartolina

[Sui berberi algerini oggi c'è lo studio di Marisa Fois, edizioni Carocci, 2013]

Dopodiché inizia il Grande Sud, l'area del Grande Erg occidentale, che sarebbe la parte di deserto sabbioso, con le dune, o erg (mentre il deserto di terra dura e sassosa, si chiama hammada ).
Ci premuniamo per il viaggio: facciamo ovviamente il pieno, prendiamo una bella tanicona d'acqua  filtrata (si consumano più di 7 litri al giorno a testa), taniche di benzina (che però non sarebbe appropriato portarsi in auto, e che vanno tenute all'ombra sotto degli stracci bagnati), un imbuto, occhiali da sole ben scuri, motore a posto con liquido di raffreddamento, e qualche spuntino da mangiare (cioè datteri, banane, arance, pane arabo, frutta). Partiamo come sempre appena albeggia in modo da poter arrivare dove sostare,  prima del mezzogiorno. Prendiamo di nuovo la lunga arteria asfaltata che è la Nazionale n.1. A 15 km c' è a destra una stradina che in 22 km porta a Metlili Chaamba, villaggio beduino cui ho già accennato prima. 

Attenzione! là in fondo finisce il territorio sassoso e iniziano le grandi sabbie.

E in effetti la cosa cambia. Con la sabbia che il vento spinge sulla strada l'auto può scivolare e occorre andare piano. Purtroppo non è cosa che si può indovinare a distanza, te la trovi lì all'improvviso. Inoltre il "nastro di bitume" non è poi tanto largo...

 le prime grandi dune (nel silenzio assoluto e totale)
 se dovessi restare senz'acqua... e hai sete... ecco la soluzione...(?!)

attenzione! zona attraversamento cammelli

 monito frequente: la carcassa di un'auto abbandonata

se dovessi restare senza benzina... e hai fretta... questa è la soluzione...(?!)

ecco che cosa ci faceva qui un trattore... : sevizio pulizie stradali

E poi in realtà la gran luce ti stanca la vista, e sabbiolina o polvere ti entra dappertutto, sugli occhi, nel naso, e nel motore e dentro l'abitacolo dell'auto. Ed è questa che ti dà una sensazione di asciutto, di secco in gola. Per fortuna abbiamo con noi delle caramelle.

piccola cartina stradale dell'Erg-West

Da quando sono iniziate le corse, i raids, in motocross sulla trans-sahariana, questo percorso è divenuto mitico. Ma come dicevo nemmeno la Nazionale n.1 è una strada comune da percorrere... e inoltre a parte i giorni di quella manifestazione, qui non c'è assolutamente nessuno, tranne qualche rarissimo tir o camion scassato. Per cui fare questo tragitto al momento è una vera avventura.
Anche se ora la strada è asfaltata (goudronnée), essa segue il percorso della pista carovaniera che nel Medio Evo collegava l'Africa Nera al mondo arabo, e al Mediterraneo, già da tempi immemorabili (sin da quando in età neolitica l'attuale area desertica era più verde e vi scorrevano ruscelli, e vi vivevano animali da cacciare, come ci mostrano alcuni graffiti e dipinti rupestri).

Ad un certo punto in mezzo al nulla e nel silenzio più profondo, vediamo un'altra auto che va in direzione sud come noi, e che si è fermata. Qui vige la legge del deserto per cui non si nega a nessuno un soccorso. Ci avviciniamo e vediamo che è pure una macchina italiana... si sono fermati perché c'è piazzato lì sulla strada un asino...!... tutto solo...
e ci sono tre ragazze di Torino: Marilaide, Santuzza, e Paola, con cui facciamo subito amicizia,




 e percorreremo assieme la strada fino a El Goléa.  Incontrarsi, anzi incontrare altri italiani, in mezzo al deserto... letteralmente. Questo sì che è un miraggio che si avvera...!
In effetti il calore fa evaporare quel po' di umidità che c'è sotto la sabbia, e sembra davvero di vedere pozze d'acqua che riflettono l'azzurro del cielo, e strane sagome... Ma è regola ferrea di non lasciare mai il percorso sicuro, per andare a verificare....

EL GOLEA
Riprendiamo il viaggio, e dopo 270 chilometri da Ghardaià, giungiamo all'oasi di El Goléa. Si tratta di una grandissima oasi di 182 mila palme, con una cittadina di circa 16mila abitanti, in gran parte beduini originari di Metlili Chaamba che si sono staccati da là qualche secolo fa perché le risorse non erano più adeguate al numero crescente di popolazione, e si sono stabiliti qui dove c'era un fortilizio, uno usar. E' curioso pensare al fatto che quando arrivano i rari turisti e chiedono loro da dove arrivano, e ovviamente tutti dicono da Ghardaia, si sentono dire che era una città bellissima o/e interessante,  o che erano tutti gentili ... e in realtà questi sono i loro antagonisti ... i beduini considerano i mozabiti ibaditi come degli eretici come dei pessimi (o addirittura non-) musulmani...
Comunque anche la gente di el Goléa è accogliente con gli stranieri, e l'oasi è davvero bella.
Le case del nucleo più vecchio sono ancora di terra, poi ai ns giorni si è costruita una parte più "moderna". Molti degli attuali abitanti sono però originari dell'ex Sudan francese (oggi rep. del Mali), o dalla repubblica del Niger, o anche dal Tchad, e sono africani neri.

 la palmeraie

il vecchio ksar (fortezza) e un marabut bianco


  il suk (mercato)




 i sotto portici all'ombra

Ci è piaciuto molto, ma al mattino dopo ripartiamo perché il nostro obiettivo è la città di Timimoun, a 380 km. da qui, e attraversando l'oceano di dune... non si possono fare programmi orari troppo rigidi perché ci può sempre essere un imprevisto (sabbia sulla strada, qualcuno in panne, una buca che mette a repentaglio gomme e sospensioni, il radiatore che si intasa di sabbia, o il liquido di raffreddamento che si è seccato, la guarnizione della testa del motore o qualcun'altra si è ammollata e mezza sciolta, ...un animale sulla strada subito dopo una curva, ecc...)


A casa avevo guardato e letto anche i libri di Folco Quilici, I mille fuochi dal Sahara al Congo, edizioni Leonardo da Vinci, 1964, 1965, in cui riferisce del suo viaggio attraverso il sud algerino nel 1961; e poi  I grandi deserti, Rizzoli editore, Milano, 1969 (con il cap. sesto sul Sahara),


ed in seguito è poi uscito un suo volume dedicato specificamente solo al deserto sahariano: F.Quilici, (ma con anche F.Rho, E.Turri e altri), Saharaedizioni Istituto Geografico DeAgostini, Novara, 1980.

che raccoglie e sviluppa il suo reportage sulla rivista «Epoca» anno XIII, n.622 dell'agosto 1962. 

Così sarà pure la prima parte del volume fotografico di Barletti e Squilloni sui deserti, edito da Vallecchi nel 1979

E se non sbaglio inizierà con questo percorso anche il diario di viaggio di Todisco (A.Mondadori, 1980):


(segue alla 3a puntata)

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