domenica 26 febbraio 2017

Algeria 1977 (3a puntata: Timimoun e l'Erg-ovest )

terza puntata:

Dopo 63 km lasciamo la Nazionale, prendiamo a destra la n. 51 per Timimoun. Si attraversa la depressione di Meguiden, e se non si è stati troppe volte rallentati da insabbiamenti stradali, si arriva alla cosiddetta "oasis Rouge" (l'oasi rossa), che sta a sua volta su una sorta di terrazzamento che domina la depressione di Gourara, dove si trova la città di Tmimoun (di 40 mila abitanti).
Ma prima devo dire che il percorso fatto è stato spettacolare.  Abbiamo costeggiato i lembi estremi del Grande Erg occidentale, cioè di quella parte del Sahara che è tutta costituita da alte dune di sabbia color ocra (ma la colorazione dipende molto dall'orario e cambia durante la giornata).




Quel che più impressiona è per certi versi il fatto che queste dune si estendono a perdita d'occhio sino all'orizzonte sia davanti che ai lati, e per altri versi il fatto che con lo spirare di un po' di vento (l'aria calda tende a muoversi) la sabbia vene portata via e ricade più in là, per cui vedi le dune come muoversi, sembrano quasi onde di un oceano di sabbia. Si ha l'impressione che nonostante tutto il deserto sia vivo, vivente.  Provate a immaginare questo elemento in movimento, con certe dune di 300 metri che si spostano a volte anche velocemente tutte assieme, sono come montagne mobili... Vedi la cresta, o lama, delle dune muoversi come un serpente che proceda di lato ...
E poi è impressionante la potenza che questa sua immensità ti comunica. E sopra il sole ti dardeggia con i suoi invisibili ma tangibili raggi caldi, roventi.
Fa impressione pensare a quei mistici ebrei, cristiani e musulmani che si ritiravano nel deserto, per stare soli là nel silenzio di fronte a questa potenza "oceanica" della terra e alla potenza solare, a meditare e a pregare. Il deserto è anche sinonimo di Nulla, ed è anche l'assenza totale di fonti di sostentamento, per cui è accostabile alla Morte. Ma la sua purezza assoluta e l'assenza di ogni accidente condizionante, esercitano un forte fascino, che è appunto la misteriosa fascinazione dell' Assoluto.
Non c'è foto che possa rendere la realtà (frammista ai miraggi), a meno che uno sia un bravo fotografo con una apparecchiatura molto buona... ma non è possibile eguagliare la realtà di ciò che si percepisce essendo lì in situazione contornati dall'aria tipo foen, dalla polvere che ti entra nel naso, dal bruciore della pelle che scotta, e da un silenzio strano, e con l'emozione dello spettacolo dal vivo

[per es. ammiriamo queste, o altre, foto che oggi (2017) troviamo facilmente su Google-immagini]:




TIMIMOUN (tremila ab.)
Dunque eccoci arrivati. Ci accoglie una "Porta" della città, ma abbastanza distante dall'abitato, che è in puro stile africano sudanese-occidentale, come poi d'altronde vedremo che sarà tutto il nucleo centrale di Timimoun.
la "Porta"

le mura di argilla rossa e l'ingresso

la nostra R5

Ma vediamo che per passare con l'auto dobbiamo prendere la Porte Sudan, anch'essa fatta di argilla rossastra (argile roujeâtre).






un altro ingresso

Ecco una visione dall'alto (presa da un libro), la costruzione bianca è un tradizionale marabut, cioè la tomba di un sant'uomo:

(da un dépliant)

Infine troviamo un albergo, anch'esso in stile sudanese, e siamo così stanchi che decidiamo di concederci un poco di relax. Ecco l'Hotel Oasis Rouge, ma la unica scritta sull'ingresso dice in caratteri arabi: Fonduq el-Oaseh al-Hamra, l'hotel è di 3a categoria.



 C'è pure un ristorante, dove forse mangeremo qualche piatto locale cucinato in modo decente (di certo escludendo la carne di cammello e quella di caprone):

Ovviamente in camera ci facciamo innanzitutto una doccia per togliere la sabbia e la polvere, poi ci mettiamo una crema doposole per lenire il secco estremo della pelle. E infine andiamo in balcone a goderci la vista dell'immenso palmeto.

Ad un certo punto viene a mancare la corrente elettrica, e quindi si spengono i ventilatori....Andiamo  allora giù in piscina, ma scopriamo che non deve esser stata cambiata l'acqua, né ripulita da un bel po' di tempo. Quindi usciamo per girare la cittadina e l'oasi.

 il portone d'entrata al mercato

una bottega

Poi gironzoliamo per le stradine  interne




che in ceri tratti assomigliano più a tunnel con il massimo d'ombra e oscurità  possibile (e fa un po' impressione avventurarcisi dentro).






Intanto sentiamo parlare di un'altra "famosa" popolazione: i Touareg, "les berbères Blues", il "popolo blu". Ne abbiamo visti alcuni al mercato. Sono prevalentemente nomadi e sono loro che hanno tracciato le principali vie carovaniere tra il Niger e l'Africa nera e il mondo arabo. Sono in grado di trasportare le mercanzie più preziose (sono rispettati guerrieri)  in gran quantità con mandrie numerose di cammelli e dromedari per giorni e giorni. Portano sale, oggetti d'argento, o d'oro, tessuti, e spezie.  Viaggiano copertissimi di lana e di teli. Il sudore fa sì che la colorazione blu dei loro abiti rilasci quel colore che resta poi fissato col sole sulla loro pelle, ma in realtà questa è in parte una verità in parte una favola. I Touareg parlano una loro lingua un po' differente dalle altre parlate berbere, e hanno anche una loro antica scrittura.

Su di loro avevo letto il capitolo di Cottie Arthur Burland, Men without Machines, Aldous books, Londra, 1965, tr.it. I Popoli Primitivi, A.Mondadori, Milano, 1965. E poi uscì di R. Bosi,  Il libro dei popoli primitivi, Bompiani, Milano, 1982, §. "Gli uomini delle sabbie", e Gli uomini blu". E a c. di G. Corbellini, Atlante dei popoli del mondo, Vallardi, 1987, §. "l'Africa del Sahara e del Sahel", pp. 60-63.
A. Del Fabro, Atlante dell'Uomo - Popoli tribali, Demetra, Verona, 1999, pp. 66-70.
(E oggi c'è lo studio di Barbara Fiore, edizioni Quodlibet, 2011)

Poi c'è una bella raccolta in due volumi sui racconti tradizionali del folklore:



da un dépliant

Qualcuno ci dice che si può andare in aereo in un ora  e mezza da qui a Tamanrasset, il loro capoluogo presso il massiccio dello Hoggar all'estremo sud. Il volo con un air-bus nei giorni non di weekend è a buon prezzo (239 mila lire a/r in due). Così concepiamo l'idea di aggiungere questa mèta, in auto non ce la sentiamo di fare tutti quei chilometri in andata e ritorno. Per cui combiniamo, paghiamo il biglietto e l'indomani andiamo nel piccolo aeroporto, dove stiamo nella casupola di cemento ad attendere che arrivi il volo da Algeri che fa qui una sosta. Ma non arriva mai, è in ritardo, e nella casupola si muore di caldo. Finalmente arriva, saliamo sull'aereo! ... ma non parte  perché hanno trovato un guasto. Così dopo una lunga attesa dentro l'aereo soffocante, ci fanno scendere. Aspettiamo l'arrivo di un pezzo di ricambio... Ma non arriva mai... Finalmente arriva e ci mettono moltissimo a riparare il guasto però a un certo punto ci fanno risalire nell'aereo! Ma non si parte mai, forse il guasto non era ben sistemato.  Ci fanno scendere. Infine decidono di sopprimere il volo  perché oramai arriveremmo con il tramonto e i piloti non si fidano di atterrare eventualmente con il buio (in effetti venisse anche là a mancare la corrente...). Così ci restituiscono i soldi e la nostra escursione fallisce.... che delusione! il sogno Touareg è svanito...
A casa mi consolo rileggendo le pagine di Folco Quilici su quel popolo, nella Parte Prima  ("fuochi del deserto") del suo i mille fuochi, edizioni Leonardo da Vinci, Bari, 1965, pp. 77-103.

Ciao Tamanrasset (in berbero Tamanghaset) ti visiteremo in una prossima occasione..... Peccato, oltre ai Tuareg, ci sarebbe anche piaciuto all'estremo Sud fare una escursione sul Tassili dove ci sono le famose pitture rupestri scoperte da Henri Lhote (vedi il suo appassionante libro di Arthaud edizioni, del 1958 trad.it. da Il Saggiatore, nel '59, nella famosa collana "Uomo e Mito" a c. di Roberto Bosi).


La mattina dopo all'alba ripartiamo, scendiamo verso sud per 80 km e poi giriamo a destra verso nord-ovest prendendo in direzione di Beni-Abbès.
pompa di benzina= sosta obbligatoria


a volte ti invitano per un thé e per parlare
(da un dépliant)

KERZAZ
Ci fermiamo dopo altri 220 km a Kerzaz stanchi. Le scorse due notti le avevamo passate collezionando bottigliette vuote di bibite, riempiendole d'acqua e mettendole  a portata di braccio in modo da prenderle dal letto nel dormiveglia e svuotarcele addosso quando la calura si fa insopportabile e non si riesce a dormire... Ma non è un vero sonno riposante continuativo... Poi faremo così anche in auto viaggiando: ogni tanto ci sbattiamo in testa dell'acqua.



 da dove viene ? e dove va ?

un pozzo 

sorgente e abbeveratoio in mezzo al nulla

Mi viene in mente per associazione di idee il bel reportage di Quilici (si vedano i tre "classici" articoli di Folco Quilici, «Viaggio nel Sahara», con foto sue e della moglie Laura, sul periodico «Epoca», A.Mondadori, Milano, agosto 1962). Poi sempre suo, il già cit.: I mille fuochi, edizioni Leonardo, Bari, 1964, 1965. 
E di Roberto Bosi, Sahara, Fabbri editori, Milano.

Comunque ora eccoci al mercato di Kerzaz.

(dépliant)

Poi ripartiamo, e la strada si svolge per più di un centinaio di km come in un corridoio di grandi rocce di color bruno.




punto d'incontro


attenzione, rallentare: cammello fermo in mezzo all'asfalto

BENI-ABBES
Arriviamo poi a Beni-Abbès, ventimila abitanti, attorno ad una fortezza, ksar, una bella oasi, in cui si coltivano anche alberi da frutta. E' una località con diversi resti paleolitici, cioè di quando tutta l'area sahariana era ancora verde. Ci sono molti bei fossili, e dei minerali, e  vi è un fiorente artigianato di borse, cinture, e anche filigrane, spille, e tappeti kilim.

(da una brochure)

fibbia

kilim (o klimt) comprati


decorazione berbera tradizionale

Qui nei dintorni il missionario padre deFoucauld aveva fondato la sua prima comunità "la Fraternité"  all'inizio del Novecento. Da qui inoltre era partito un capitano francese che compì nel 1920 la prima traversata (compiuta da un europeo) del Sahara occidentale fino in Mauritania.
Sono i luoghi della Legione Straniera, con i loro fortini nel deserto...


l'oasi


pozzo con un otre (in vescica di pelle)
da un opuscolo

foto aerea dell'oasi (foto T.Stone, dall'Atlante Rizzoli)

un vecchio film sulla Legione Straniera

Incontriamo degli altri viaggiatori con un pick-up, e facciamo dei giri con loro fuori strada.








villaggio
casupole sotto ad un vecchio ksar (e nuova sede della Gendarmeria algerina)

lo spiazzo centrale della parte nuova (foto H.Kanus dall'Atlante Rizzoli)






Poi andiamo verso Igli, infine sostiamo a Tarhit, o Taghit, dove ci sono incisioni rupestri preistoriche.

affioramento di oued sotterraneo (da un opuscolo)

Passiamo da Colomb-Béchar (ora solo Béchar) che sta dietro all'Atlante marocchino, che a causa dei giacimenti di carbone sta perdendo le sue caratteristiche, ma che nel suo bosco di palme presso il oued, ha un giardino zoologico. E poi passiamo da Beni-Ounif, che è sul confine marocchino di Figuig, ed è abitata oltre che da berberi anche da harratins, che sono neri discendenti di schiavi. L'anno scorso (1976) il Marocco ha deciso di espandersi verso sud e ha annesso una parte dell'ex Sahara spagnolo, e quindi qui ci sono dei rifugiati che appartengono al partito sahrawi di liberazione (Polisario ). Le tribù berbere di quei territori sahariani sono chiamate sahraoui (=sahariani).

tende profughi con la bandiera sahraoui (da una rivista)
rifugiati giunti attraverso la Mauritania

Proseguiamo verso 'Aïn Sefra,  e siamo di nuovo in territorio sassoso, ma ancora al bordo del grande Erg sabbioso, da cui devono difendersi con filari di alberi, di erba, o con steccati di canne, o muretti.

Taghit



(continua)


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