domenica 16 febbraio 2014

ciao lettori


INFO
Vorrei rassicurare i miei pochi ma affezionati lettori che seguono i miei post su questo blog, che ci sono, e che presto metterò su un nuovo mio scritto. L'intervallo è stato non breve perché ho avuto vari problemi di salute in queste settimane (dal post del 18 gennaio, e poi mi ero ripreso quando il 31 avevo messo su in 4 puntate il testo sul "piacere della lettura"), e infine questi ultimi quattro giorni li ho passati in ospedale. 
Là si fa un viaggio in un'altra dimensione, è come un mondo parallelo che esiste contemporaneamente a quello della nostra quotidianità routinaria. Là dentro il tempo scorre in modo diverso, si perde anche un po' la nozione degli orari, e del succedersi di veglia e sonno… L'ambito spaziale è limitato alle pareti della camera, e gli esseri umani con cui si interagisce sono comparse che entrano ed escono dalla porta. La mente non riesce a concentrarsi su altro che non sia il proprio corpo, circondati come si è da altri degenti (presenti fisicamente al nostro fianco o di cui si avverte l'esistenza tramite le voci  che si odono da altre stanze) che pure sono altrettanto attenti al proprio essere fisico. 
Interviene un po' una scissione tra la propria identità personale e l'identificazione (di solito immediata e scontata) con il corpo col quale si deve convivere. Si ridefiniscono le priorità e i valori di riferimento.

Comunque sia, ieri pomeriggio ho ripassato in senso inverso la "frontiera", e sono rientrato in patria e nell'ambito domestico.
Intanto sto già lavorando al Blog, apportando vari ritocchi e aggiunte ad un post messo nel luglio 2011 in cui riportavo il diario di un mio viaggio sulle Ande del Perù compiuto nell'aprile 2004.

A presto, arrivederci
:-/

martedì 4 febbraio 2014

il piacere della lettura (4)

Un'ultima storia "esemplare". Ad Helene Hanff (autrice di "84 Charing Cross Road", 1970)  e al personaggio dell’omonimo film di David H. Jones (1987), magistralmente interpretato da Ann Bancroft, sembrava che nella Manhattan del secondo dopoguerra si vivesse con terribile disagio in un allucinante e intollerabile vuoto culturale.  Non già perché mancassero libri in vendita nei vicini bookshops, ma perché un amante delle buone letture non riusciva a trovare in essi i libri che gli convengono per appagare il proprio spirito. In effetti l'appassionata lettrice in questione, si sentiva attorniata da una marea di insulsi testi di largo smercio, di libri buoni per i consumatori della subcultura di massa, libri che si vendono pure al supermarket (e qui mi viene in mente, se permettete, anche il protagonista del romanzo di José Saramago ispirato al mito della caverna platonica, che nella sua storia è proprio un modernissimo e grandioso centro commerciale)

e quindi era ancor più disperatamente assalita da un senso di vuoto anche dopo ogni lettura. Per cui sentiva struggente nostalgia di quei buoni vecchi libri, intesi anche come oggetti, quelli con le copertine rigide, magari rilegati in pelle, che sono un piacere anche a vedersi, e persino da maneggiare, quelli che hanno le pagine di carta fine, magari dorate all'esterno, insomma di quei libri che avrebbero certo difficoltà a vendere alte tirature tra il suo incolto vicinato. Anche perché questi piacevoli oggetti sono così confezionati, in quanto contengono testi che sono indubitabilmente dei "classici della letteratura" e non dei best-sellers. Questi dunque sono i libri di cui va a caccia, ma per i quali inizialmente non ha i soldi sufficienti per comprarne quanti ne desidererebbe, e perciò per averli si rivolge per posta nientemeno che a Londra, 

al di là dell'oceano, ad una libreria che vende libri usati (la Marks&Co.). A loro dunque scrive chiedendo di procurarle belle vecchie edizioni dei suoi amati Wordsworth, Coleridge, Keats, Shelley, Dickens, eccetera. E visse felice e contenta, ricevendo i suoi pacchi postali dalla vecchia Inghilterra, aprendoli come fossero pacchi-regalo, e divenendo pure una affezionata pen-friend del suo inappuntabile fornitore Frank Doel (nel film Antony Hopkins) che oramai le conosceva l'animo certo meglio di qualunque amico e collega che lei frequentava quotidianamente. Fino al giorno in cui.... (ma questa è un'altra storia, come si suol dire).

Anche questa incontenibile lettrice in fondo sta nella linea di quella modernità "altra", decisa a non scordarsi il patrimonio comune di valori di cui è intessuto il nostro canone comune occidentale (per parafrasare Harold Bloom), e che le "buone letture" dei grandi classici della letteratura possono rivitalizzare, o rivivificare, in ciascuno di noi.
Ma, per ritornare alla analisi che tratteggiavo più sopra, ciò è collegato in definitiva anche alla questione della formazione del gusto, all'affinamento della sensibilità estetica, e alla acquisizione di cognizioni che rendano in grado di decodificare e leggere i diversi linguaggi cui vengono affidati i messaggi che si vorrebbero comunicare. Una adeguata educazione può aiutare a comprendere nonché a compiere una interpretazione dei messaggi complessi che il mondo fittizio delle storie, o più in generale il mondo delle nostre letture, ci invia e ci propone. Una formazione del senso critico, l'addestramento a compiere scelte e a darne ragione, una educazione al senso di responsabilità, sono pure elementi fondamentali nel raggiungimento del maggior livello di consapevolezza possibile, e preparano a sapersi districare nella molteplicità degli stimoli che nella vita ci bersagliano. Era Leopardi che sosteneva che leggere i romanzi ci rende più assuefatti alla vita.
Diversamente la "spettacolarizzazione" a finalità pubblicitaria, di ogni cosa, la "teatralizzazione" degli eventi, la rappresentazione iperbolizzata di pezzi di realtà, o la finalità persuasiva di messaggi iconografici o discorsivi, avrà la funzione, anziché di medium per la comunicazione di problematiche, di vero e proprio diaframma, o filtro tra noi e la realtà 

impedendoci di decifrarla con i nostri stessi mezzi, ossia fondamentalmente con l'esercizio della nostra stessa ragione. A ciò possono validamente opporsi proprio quelle buone letture di cui Helene Hanff (Ann Bancroft) sentiva la carenza, il venir meno, e dunque la necessità.
Ma perché si provi questa sensazione interiore di mancanza, che faccia sorgere una agostiniana inquietudine, è importante che chi educa la nuova generazione si ricordi soprattutto di educare al buon gusto, al piacere del bello, di curare insomma la formazione estetica.
E questa è operazione delicata, che tra l'altro può svolgersi soprattutto attraverso una costante cura delle letture, che porti all'acquisizione dell'abitudine di leggere, sinché essa possa infine divenire una necessità, un bisogno personale insopprimibile. Ma bisogna procedere gradualmente. Diceva J.L. Borges: "Non ho insegnato agli studenti la Letteratura Inglese, che ignoro, ma l'amore per certi autori -o meglio, di certe pagine; o meglio di certe frasi-. Ci si innamora di una frase, poi di una pagina, poi di un autore"...
Soprattutto però bisogna ricordarsi che non si deve aver fretta in queste cose, che dunque per raggiungere qualche piccolo risultato sono necessari tempi lunghi. D'altronde la stessa attività di lettura è proficua solo se -come scriveva Nietzsche nella prefazione ad Aurora - "si impara che sempre bisogna leggere lentamente". Ed oggi apprendere ad apprezzare i pregi della lentezza (vorrei ricordare un articolo di elogio della lentezza scritto quarant'anni fa da Ivan Illich su "Le Monde": Energie, vitesse et justice sociale, e da me tradotto in it. per un opuscolo Feltrinelli), almeno nella lettura, sarebbe anche un buon antidoto -questo sì- contro la cosiddetta "frenesia della vita moderna"...
Egualmente si potrebbe dire per le biblioteche come cliniche dello spirito che citavo all'inizio. Se effettivamente possiamo un po' rallegrarci quando un governo si preoccupa di costruire nuove biblioteche, ed apprezzare come buona intenzione il fatto che le voglia magnifiche architettonicamente ed avveniristiche, tuttavia ricordiamoci che anche in questo caso non bisogna aver fretta di trasferire antiche collezioni, informatizzarne l'accesso, per poi magari trovarci ad affrontare maggiori difficoltà di fruizione in elefantiache istituzioni seppur computerizzate. Quindi non è del tutto detto che ci si possa sempre sentire un po' rassicurati per il solo fatto che si costruiscono nuove e supertecnologiche biblioteche. Come scriveva Luciano Canfora a proposito della "nuova" Nazionale di Roma, o della modernissima sede parigina di 4 buildings della biblioteca nazionale di Francia, detta anche -facendo "il verso" ai treni a gran velocità- "TGB" (très-grande-bibliothèque) di Tolbiac, 

con tutte le sue impreviste inefficienze e disservizi per frequenti guasti tecnici: "Le biblioteche sono organismi delicatissimi. Non vanno violentate e trasformate in giganti faraonici. Debbono proliferare. Per i libri nuovi dovrebbero sorgere biblioteche nuove, lasciando in pace quelle storiche." E forse non ha tutti i torti, con che coraggio infatti si potrebbe smettere del tutto di frequentare -e consigliare di frequentare- luoghi di fascino come la vecchia "Nationale" in rue de Richelieu, o la vecchia sede della "British", veri templi sacri al rito della lettura ?

Per concludere non posso ribadire altro se non che è dunque essenziale prima di tutto pensare ad educare al gusto della lettura, risvegliando e vivificando il piacere di leggere, e di farsi leggere, addestrando a imparare ad assaporare tutto ciò che costituisce l'ambiente di contorno e di rinforzo a tale piacere, e soprattutto evidentemente premurandosi di consigliare buone letture che ci accompagnino nel percorso della nostra vita. Oltre a procurarci una indicibile soddisfazione, una buona lettura ci permetterà di conoscere meglio noi stessi, di confrontarci con gli altri, di comunicare e discutere con nuovi interlocutori questioni di comune interesse, di formarci o di affinare in noi le capacità critiche, di capire esperienze non nostre, di viaggiare in tempi e luoghi anche lontani, di partecipare insomma a tutto ciò che costituisce il nostro mondo e in particolare di prender contatto con quella parte che di esso non conosceremmo altrimenti; ma nel contempo -se vogliamo- ci permetterà anche di preservarci un angolo di intimità, di tempo per noi stessi, di necessaria solitudine, di silenzio, immergendoci in appassionanti trame, o in avvincenti e stringenti ragionamenti, o anche abbandonandoci al salutare esercizio di vagare con la mente.




 (brani tratti dal mio: "Il piacere della lettura", in: L.Bellatalla e A.Lazzarini, a c. di, Leggere nell'era della globalizzazione, SATE - Cassa di Risp. di Cento, Ferrara, 2001, pp.50-59; poi ritoccato e pubblicato col titolo "Il piacere di leggere - spigolature", in: Lettura e scuola nella società della globalizzazione, a cura di L.Bellatalla e P.Russo, editore F. Angeli, Milano, 2002, pp. 71-84.)

lunedì 3 febbraio 2014

il piacere della lettura (3)

Ogni narrazione, che sappia intrecciare situazioni e personaggi coinvolgenti, ci affascina e ci cattura nella misura in cui riesce in qualche modo a parlarci, a far breccia nel nostro mondo interiore. Il laccio con cui ci cattura sono eventi, dialoghi, in definitiva storie che pur sappiamo essere ipotetiche, fittizie, non effettive, non reali. Pur conoscendo questa premessa, stiamo al gioco, cioè accettiamo il patto di interessarci a questa situazione ipotetica, ed entriamo in questo mondo artificiale, acconsentendo con noi stessi a lasciarci trasportare dalle emozioni, vivendo per un certo tempo nella dimensione del "come se ". Rimuoviamo o assopiamo temporanea-mente, sia il fatto di sapere che si tratta di finzione, sia la consapevolezza del patto cui stiamo aderendo. Immediatamente, pur sapendo che si fa per finta, e fingendo con noi stessi che le storie finte tali non siano, accettiamo che ci ingannino e ci abbandoniamo quasi totalmente al loro fluire attraverso di noi, abbassando grandissima parte delle difese razionali. L'incanto si mantiene poi nella misura in cui tali vicende imitano in maniera verosimile la percezione che solitamente abbiamo della realtà. Esse debbono saper fare ricorso in modo perfetto al mondo simbolico, ripercorrerne le modalità immaginative e la loro peculiare logica. Il mondo della fiction, seguendo le regole del verosimile, deve marcare maggiormente della realtà consueta i suoi tratti, per colpirci e intrattenerci, ma lo deve saper fare come se si trattasse della realtà consueta. Le sue vicende e i personaggi che le popolano ci interessano perché ci forniscono uno specchio per riflettere sulla realtà, ci forniscono modelli, ci stimolano su come comportarci, ci danno idee. Facendoci calare nelle situazioni in cui si trovano i personaggi coi quali la vicenda romanzesca ci stimola ad immedesimarci, essa ci avvince in modo accettabile, perché più rilassato, in definitiva meno teso di quel che accadrebbe se vivessimo quei momenti nella realtà, poiché di fondo conserviamo la coscienza della loro dimensione fittizia, e del fatto che siamo solo lettori e non attori. Una storia che ci prende, fa leva sulle nostre emozioni e le orienta. Ci fa così vivere quel che forse non potremmo vivere mai, poiché in effetti esso è  proprio quel che vorremmo, o che non vorremmo, vivere. Rende plausibili con la sua arte cose su cui avremmo molti dubbi nella realtà, e tra i suoi artifici, vi è una "essenzializzazione" della realtà stessa attuata come unico mezzo per comunicare il messaggio di cui si fa veicolo. La storia da cui ci lasciamo prendere dunque compie per noi scelte che ci trascinano, deresponsabilizzandoci, persino fin dentro l'assurdo, il paradossale, il nonsenso. E' perché essa ci appare in certo senso quasi "più vera" del vero… 

Realizza i nostri timori e li esorcizza, drammatizza i nostri desideri e ce li mostra a tutto tondo nel loro dispiegarsi. In virtù di quell'inganno cosciente su cui si basa, che è un autoinganno, deve risultare verosimile al massimo e quindi sembrarci, almeno al momento, così possibile da poter poi esser eventualmente applicabile alla realtà che viviamo o vivremo, come accadeva per la liseuse di cui sopra... Le abilità dell'autore sono assai raffinate poiché chi crea una realtà fittizia, deve conoscere veramente a fondo la realtà effettiva per saperla imitare in maniera verosimile cioè amplificando certi aspetti e sottolineandone certi tratti, così da incidere sul lettore ma in modo per lui accettabile. Trovare quel punto di equilibrio e mantenerlo in sospensione per tutto il tempo della durata della narrazione è un artificio estremamente difficile. L'emozione del fruitore della storia deve restar desta anche là dove si vuole farlo ragionare. A ciò concorrono tutti gli elementi umani e materiali coinvolti in un amalgama armonico che deve vibrare all'unisono e con-muovere il lettore facendogli appunto "dimenticare" che è tutta finzione, a tal punto da fargli scordare anche che ha egli stesso dato il consenso a partecipare a questa realtà fittizia, "fizionale", dichiarandosi disposto a credere anche all' incredibile.
Ciò è possibile che si realizzi, tra l'altro perché il lettore è posto in condizioni da poter dotare di un suo senso gli eventi che si svolgono o almeno i comportamenti o le parole di alcuni o uno dei personaggi. Quanto più la situazione è costituita da un intreccio di elementi differenti, tanto più risulterà difficile per lo scrittore far sì che a tutte le componenti dell'insieme il lettore sia disposto a dar credito. La difficoltà risiede anche nel fatto che il lettore non è passivo fruitore e quindi di fatto non è solo un destinatario, un utente, o un ricettore, ma anche un interlocutore, che si pone e pone al racconto degli interrogativi: egli è infatti colui che interpreta il testo, anzi ogni e ciascun lettore è l'ermeneuta per antonomasia che dota di un suo senso ogni testo. Di qui deriva l'estremo arricchimento che una buona lettura può donare al suo lettore.
Una "buona lettura" è tanto più coinvolgente quanto meglio ci permette di porre in atto un processo di identificazione che ci consenta di affrontare anche messaggi e stimoli che possano innescare un intimo cambiamento, o predisporci ad una apertura verso la trasformazione, la metamorfosi di una parte di noi stessi.
Proprio dalla sia pur vaga consapevolezza di tale arricchimento nasce lo stimolo a continuare a leggere, si alimenta il bisogno di aprire sempre nuovi libri.
Ma non dimentichiamoci che la storia della lettura registra anche reazioni ben diverse. Ad esempio l'americano Ralph Waldo Emerson all'inverso di quanto detto più sopra, 

faceva appello piuttosto ad una "relazione originaria" col mondo, che non sia mediata dalle letture. Riteneva che attraverso parole lette, noi reagiamo alle sensazioni, idee, ricordi, e fantasie di persone che non abbiamo mai conosciuto, e che crediamo di conoscere. Ma.... tant'è, il libro emana un fascino ammaliante, e anche Emerson per rifiutarlo, ha affidato a sua volta il proprio messaggio a suoi libri che certo sperava sarebbero stati molto letti, come lo furono  (ebbero infatti tutti un enorme impatto sul pubblico, dal primo, "Nature" del 1836, all'ultimo "The Conduct of Life" del 1860).
In un certo senso si tratta di un piacere tale per cui, una volta gustato, poi non si riesce più a farne a meno, e ciò significa che può divenire un indispensabile piacere vitale, e vivificante, del quale si diviene dipendenti. La già citata Katherine Mansfield, ricoverata in Svizzera nel giugno 1922 in una villa convalescenziario per affetti da tubercolosi, scriveva in una lettera: "Potrei essere altrettanto felice se avessi qualcuno al mio fianco? No. Dovrei mettermi a conversare, e a volte è tanto meglio astenersi dal farlo." Ma in realtà ella era una divoratrice di libri, ed aveva con sè di che saziarsi. E infatti confessa che diversamente si sarebbe sentita "terribilmente a disagio, come in un vuoto" senza una buona lettura.

Se tutti i libri venissero distrutti, forse non mancherebbero persone che, come in "Fahranheit 451" (1953) di Ray Bradbury (da cui poi il film di Truffaut del 1966), sarebbero disposte a compiere l'immane fatica di imparare a memoria interi volumi pur di non rischiare di ritrovarsi in quel terribile vuoto cui faceva cenno la Mansfield.

Non di rado il divoratore di libri, il topo da biblioteca, der Büchtrinker, ovvero i vari Bookworms, sono affetti da una manìa paradossale, quella per cui non è per loro soddisfazione sufficiente il compiere una buona lettura, ma essi debbono ad ogni costo anche possedere personalmente tutti quei libri, il che può portare all'eccesso di riempirsi la casa di volumi in numero tale che non sarà loro mai possibile leggerli tutti. . .

Molti ricorderanno il famoso personaggio descritto da Elias Canetti in "Auto da fé" (1935), sotto le cui mentite spoglie si cela in effetti l'autore stesso che in tal modo compie una spietata opera di sarcasmo nei propri confronti.  Il bibliomane, che leggeva anche nell'oscurità, era il "famoso"professor Peter Klein che uscendo per fare una passeggiata portava in ogni caso con sè una piccola parte della sua grande biblioteca in una borsa gonfia di volumi che teneva sempre stretta addosso in una maniera speciale da lui escogitata per fare meno fatica (sforzo da Sisifo oggi superato dal kindle). 

Oppure si può citare lo scrittore tedesco K. Huizing che nel suo "Il mangialibri - il romanzo di chi ama leggere" (1994), descrive un parroco sàssone che, disposto a tutto pur di procurarsi certi libri, fu arrestato nel 1813; costui aveva appreso addirittura ad individuare con assoluta precisione la tipografia di provenienza di un qualsiasi libro, in base all'odore della carta. Qualche anno fa un furto inusuale è accaduto nel centro storico di Milano, alla "libreria Rovello" nottetempo tutti gli scaffali del settore per bibliofili sono stati svuotati; uno di loro evidentemente non ha saputo più resistere …
Nel 1842 fu edita a Torino una commedia teatrale di Alberto Nota, intitolata appunto "Il bibliomane" (riedita a cura di M.-C. Misiti per Interlinea, Novara, 2001) in cui si poneva in berlina questa versione paradossale del bibliofilo. Come spiega bene Umberto Eco, la linea di distinzione tra bibliofilo e bibliomane è realmente molto sottile e persino incerta, per cui è a volte labile (cfr. il suo ultimo Riflessioni sulla bibliofilìa, edizioni Rovello, stampato in mille esemplari contrassegnati, Milano, 2001, di una trentina di dense e gustosissime paginette su carta “velato avorio” e su carta “Rives”). In un manuale del bibliofilo si legge che "la più semplice accezione del termine è amico del libro. Ma un libro viene così diversamente guardato, letto, maneggiato, scelto, compreso, amato, che non si può, a partire da percezioni così svariate, riassumere in una sola formula tutte le differenti devozioni particolari cui si presta" (Ch.Galantaris, Manuel de bibliophilie, éditions des cendres, 2 tomi, Paris, 1998, t. I p. 11). Ma un manuale "classico" ed anche uno dei più minuziosi, oltre che dei primi, è quello scritto da Richard de Bury tra il 1343 e il 1344, negli ultimi due anni della sua vita, quando, a causa dei debiti, dovette vendere a più riprese consecutive una parte molto consistente della sua raccolta privata di volumi, e con quale strazio lo si può desumere già dalle prime righe dell'opera, ispirate da un passo del libro biblico dei proverbi: "Il desiderabile tesoro costituito dalla saggezza e dalla conoscenza, cui tutti gli esseri umani aspirano per un istinto della natura, supera infinitamente tutte le ricchezze del mondo" (questo l'incipit di Philobiblion, ora riedito in trad. francese a cura di Bruno Vincent, per Parangon-L'Aventurine, Paris, 2001).

Nella nostra epoca ormai il libro è divenuto un oggetto di uso quotidiano, e il fatto che possa esistere una degenerazione maniacale è comunque segnale di un dato, e cioè che oggi è sempre più frequente notare che del libro in un certo senso non si può fare a meno. Anzi esso è addirittura presente in abitazioni di persone non dedite alla lettura, in quanto è divenuto uno status symbol e non può dunque mancare in un salotto, o nella sala d'aspetto di uno studio professionale, altrimenti si farebbe la figura di persona di poco conto. Ancora nel manuale sopracitato si dice che radunando i propri libri prediletti, in realtà si miri a definire sé stessi, a costituire in un locale "un decoro che rifletta intenzionalmente o meno, le sfaccettature della propria personalità, e quindi (si miri) ad autoritrarsi" (ivi, t.I, p. 12), e questa è dunque un'altra caratteristica che si ritrova, enfatizzata, nel bibliofilo.

sabato 1 febbraio 2014

il piacere della lettura (2)

La scrittrice Katherine Mansfield (1888-1923) annotò un giorno nel suo diario : "J. ha letto Cekov a voce alta. Avevo già letto uno dei racconti per conto mio, e mi era parso che non valesse niente. Ma, letto ad alta voce, sembrava un capolavoro. Come mai ?" (The Journal, 1927).
E certo gioca in questo anche il piacevole ricordo che molti di noi hanno conservato delle letture che un genitore seduto vicino al letto ci faceva alla sera quando eravamo piccoli; d'altronde è questa una delle poche attività regolari che accomunano ancor oggi la vita domestica di certe famiglie. Inoltre forse nelle generazioni dei nostri nonni, ancora sopravvive in alcune località il ricordo delle pubbliche letture che si svolgevano durante le veglie campagnole del sabato sera. Perciò oggi si stanno tanto diffondendo dischi, cassette audio, videocassette, e CD con la lettura non solo di favole, ma anche di racconti e di interi romanzi. Non è solo fenomeno attribuibile alla pigrizia dell'era della televisione e del computer, che ci avrebbe disabituato alla fatica di leggere rubandoci così il piacere della lettura. E' anche una riscoperta del piacere di sentir leggere, del farsi raccontare un racconto.
Il romanzo di Raymond Jean, "La lectrice" (1986, tr.it. Robin ed., Roma 1999), raccontava la storia di Constance, una ragazza che ama molto leggere, e mentre legge, sogna, e si immedesima nel mondo fittizio e nei personaggi delle sue letture. Così le accade anche leggendo un romanzo che raccontava la storia di Marie, una ragazza che si recava a domicilio per intrattenere bambini, anziani, handicappati, 

dal film di Deville

tipi strani, ciechi, vecchiette, leggendo loro romanzi spesso con una liseuse sulle spalle. Constance decide di dedicarsi alla stessa sua attività, mette un annuncio sul giornale e scopre di aver dato risposta a una latente aspettativa, c'era infatti una enorme domanda che non trovava riscontro sul mercato....  Qui inizia la vita romanzesca e piena di incontri incredibili di Constance/Marie. Dal libro è stato tratto il film di Michel Deville, del 1988, (interpretato da Miou-Miouintitolato in italiano "La lettrice" (che è anche uno dei significati di liseuse…).
E ancora ad es. potrei menzionare il romanzo di Marie-Sabine Roger, "La tête en friche" (2008, tr.it. "Una testa selvatica", Ponteallegrazie - A.Salani editore, Milano, 2009), che racconta di un omone semianalfabeta, e di una vecchietta che si siedono sulla stessa panchina e lei incomincia a leggergli un libro,  e da qui nascerà un rapporto fatto di parole e di affetti che li trasformerà entrambi.


Quegli insegnanti di buona volontà che cercano di infondere il gusto della lettura, ci assicurano che i ragazzi a cui si leggono con una buona capacità recitativa testi che li possano affascinare, non solo restano coinvolti in un ascolto attento, ma presto provano tutti a leggere di loro iniziativa, e apprendono ad amare la lettura. E nel contempo, non perderanno del tutto il ricordo (e se si tratta di un bel ricordo non può non generare nostalgia) del piacere di farsi leggere. La lettura ad alta voce anche di testi narrativi dunque sta tornando ad affiancare la pratica del leggersi mentalmente un testo, del leggere esclusivamente per sè. E questo è certamente un dato positivo correlato sia alla diffusione del libro, che a quella delle letture (vedi il successo degli audiolibri), che non va trascurato. 
Il piacere di ascoltare non si limita ovviamente solo alla lettura ad alta voce, ma riguarda il piacere di sentir raccontare delle storie, delle narrazioni, come ad es. ci dice lo scrittore cileno Hernàn Rivera Letelier, in "La contadora de peliculas" (2009, tr.it. "La bambina che raccontava i film", Mondadori, 2011), un romanzo delicatissimo ed emozionante.

§.2
Quanto alla scelta delle nostre letture bisogna riconoscere che, nonostante eventuali oculati e affettuosi consigli di educatori e bibliotecari, siamo -almeno un po'- tutti autodidatti, se non altro nel senso che siamo propensi ad approfondire ciò che ci interessa. Comunque il contatto con i "grandi" autori universalmente riconosciuti tali, è solitamente una esperienza travolgente -anche se di fatto c'è anche chi è passato attraverso la lettura di grandi maestri senza peraltro modificarsi. Si deve creare in effetti un minimo di sintonia con un testo, e il possedere certi strumenti critici e conoscitivi aiuta moltissimo a capire e quindi a entrare nel mondo dell'autore. Ma ciò che a volte è più determinante è il fatto che una certa lettura, con cui troviamo spontaneamente appunto motivi di sintonia, stimoli la nostra fantasia.
veneto-arte.it

La fantasia è una capacità straordinaria dell'essere umano, e comunque è insopprimibile. Essa si esercita su qualsiasi materiale le si offra, in particolare se si tratta di materiali che si prestano ad attivare l'elaborazione di immagini. La battaglia contro la fantasia infantile condotta da certi savants razionalisti del Sei e Settecento, che ritenevano l'evasione dalla realtà una pratica diseducativa, è stata inevitabilmente una battaglia persa. In una trasmissione di Rai-Educational ("Il Grillo") intitolata "L'originale e la copia", uno studente liceale chiedeva al professor Gianni Canova: "Secondo Lei una storia romanzesca è evasione dalla realtà o rispecchia la realtà in tutti i suoi aspetti?". Canova: "Né l'uno, né l'altro. È una parte della realtà. Non la rispecchia, non ti porta fuori da essa, ma è un elemento che fa parte della realtà quotidiana, non riproduce il mondo, ma produce pezzi di mondi, in cui ciascuno di noi di tanto in tanto va ad abitare (...). Cioè il problema vero con cui dobbiamo confrontarci oggi è proprio l'impossibilità, sempre più marcata, di tracciare un conflitto netto e rigoroso fra la realtà e la finzione. Ma nessuno di noi lo fa nella propria vita quotidiana. Ognuno di noi, come dire, vive in una cosa che chiama realtà, "finzionalizzandola" continuamente e riempiendola di elementi virtuali, di sogni, di immaginazione. E nello stesso tempo i sogni, gli elementi virtuali, le immaginazioni, sono pieni di cose attinte dalla cosiddetta realtà. Cioè non pensate più in questi termini così dicotomici, etici: non c'è confine, se non quello che di volta in volta ognuno di noi stabilisce, ma è un confine continuamente spostabile, mutevole, aggiustabile e riverificabile di volta in volta."

Ma oltre all'immaginario che produce qualcosa di strutturato, non trascuriamo il fatto che la mente ha anche un'altra attività, più gratuita ancora: quando vengono stimolate associazioni di pensiero, essa a volte vaga liberamente istituendo connessioni creative anche senza sequenzialità e senza apparente senso alcuno. In particolare i testi narrativi, e poetici, hanno questo potere di rilassare e attivare nel medesimo tempo la nostra mente. Tra le varie forme di comunicazione scritta, proprio quella narrativa o poetica sembra rispondere a un profondo bisogno di comunicazione di moti dell'animo che più facilmente stimola ad innescare implicazioni col proprio mondo interiore. E molti lettori iniziano a vagare, anche da un testo ad un altro, proprio alla ricerca di tali stimoli. Diceva Jorge Luìs Borges: "Nel mio testamento -che non ho intenzione di scrivere- consiglierei di leggere molto, ma senza lasciarsi condizionare dalla reputazione degli Autori. L'unico modo di leggere è inseguendo una felicità personale." (Borges profesor, E.M.C., Buenos Aires, 2001). Ammetteva ad esempio ancora Enzo Siciliano in un articolo su "La Repubblica" in cui rievocava le sue prime letture: "La lettura mi aiutava a immaginare - e questo era tutto. Più che gli argomenti di un libro, quel che mi restava in mente era una proiezione musicale o un alone di visioni dove l'esistenza prendeva forma". 

Questa figura del lettore come di un curioso vagabondo ci permette di meglio cogliere e comprendere il bisogno di svolgere una serie di incessanti associazioni mentali, che è poi l'attitudine che costituisce una delle premesse indispensabili per stimolare il pensiero creativo, per uscire dagli schemi e dai percorsi prefissati in qualunque campo. Diceva Oliver Cromwell che "nessuno va più lontano come chi non sa dove sta andando".  Proprio così  accade anche a quei lettori vaganti intesi come coloro che "assaggiano" le letture più diverse anche in modo disordinato ma sempre da insaziabile curioso alla ricerca di qualcosa che possa ancora e nuovamente suscitare in lui meraviglie, stupore, interesse acuto, e comunque emozioni intense.

http://sistemabibliotecariomedionovarese.blogspot.it/2013/04/

In particolare le opere narrative più creative hanno questa capacità di comunicare emozioni intense poiché esprimono in modo originale e straordinariamente efficace il vissuto più profondo che l'autore ha elaborato nel compiere determinate esperienze di relazione col mondo oggettivo e con l'ambiente sociale a lui circostante.
E tale capacità di trasmettere emozioni accade anche quando l'opera d'arte innovativa di autori geniali -in particolare quelli a noi contemporanei- suscita un rifiuto a causa del suo impatto a volte violento con le abitudini mentali consolidate. Tale impatto è tanto più forte quanto più l'opera è sconvolgente perché tocca la nostra sensibilità su punti che scopriamo essere irrinunciabili o comunque importanti per la nostra visione delle cose. Il che forse succede più raramente con testi che sono già stati in qualche modo acquisiti e assimilati nella nostra tradizione culturale.
Ma tutte le trame, i concetti, le immagini, le possibili associazioni che un libro ospita nel suo testo sfuggono ad una prima lettura, e sovente anche a letture ulteriori, anzi sfuggono spesso anche al suo stesso autore…(!).
Tuttavia un libro ci è caro sopratutto nella misura in cui ha rappresentato una fase della storia della nostra coscienza, o ha costituito un punto di svolta. La lettura ci introduce in mondi esperienziali altri. Essa ci può cambiare, o comunque i vissuti di cui è portatrice entrano in contatto con i nostri, introducono sensazioni, riflessioni, conoscenze che iniziano ad abitare la nostra mente, e ci arricchiscono.