lunedì 1 ottobre 2012

IV - in Belize, 1979

Al di là dell'Atlantico
continua il diario del nostro viaggio in Centroamerica nel 1979 (4a puntata)

black BELIZE

Fino a sei anni fa si chiamava Honduras Britannico, sviluppandosi lungo la costa nord-ovest del golfo di Honduras nel mar dei Caraibi. Dal 1964 è un territorio autonomo del Commonwealth, che nei prossimi anni avrà accesso alla piena indipendenza (1981) con il nome di Belize: 20 mila kmq. 
Passiamo il confine, e lentamente procediamo a Roaring Creeks, vicino a cui da dieci anni è in lenta  costruzione la futura capitale chiamata Belmopàn, proseguiamo per Never Delay e Butcher Burns, e arriviamo a Belize City.
Eccoci nella città tanto temuta perché ci hanno parlato dei suoi ladroni che mettono con facilità una bottiglia rotta sotto la gola dei turisti stranieri cercando dollari Usa ... e oltretutto, a quanto ci dicono, la polizia lascia fare o anzi è connivente.

Cogliendo l'occasione della fine della potenza marittima spagnola, nel Seicento gli inglesi, che avevano aiutato lo svilupparsi della pirateria, vollero assicurarsi un territorio sulla terra ferma in Centroamerica. Le grandi foreste del Petén contenevano grandi fonti di legname e forse anche di spezie e di essenze, e dunque cominciarono a stabilire un porticciolo per l'attracco in modo da iniziare attività commerciali. Sotto il dittatore ladino Carrera che voleva attirare protezione dalle rivendicazioni spagnole, fu firmato nel 1859 un accordo con gli inglesi che riconosceva loro l'uso di questa costa e parte dell'entroterra su cui già da più di un secolo avevano un loro porto, in cambio della costruzione di una ferrovia che collegasse la capitale del Guatemala al mar dei caraibi. Ma la ferrovia non fu mai costruita e i governi della repubblica presero a rivendicarla indietro, ma inutilmente. Nel 1945 fu inserita nella costituzione guatemalteca l'affermazione della propria sovranità sul territorio. Quando il governo inglese nel 1961 annunciò l'autonomia interna in vista del raggiungimento dell'indipendenza dentro il Commonwealth entro un ventennio, il Presidente del Guatemala minacciò la rottura delle relazioni diplomatiche con la Gran Bretagna esigendo la restituzione del territorio. Ora (1979) il paese è retto da una assemblea legislativa di 15 membri, dei quali 9 eletti, e da un governatore. [mentre poi nel settembre 1981 è divenuto indipendente e dieci anni dopo anche il Guatemala lo ha riconosciuto come Stato. La Camera è elettiva].

Da allora si è sviluppato il traffico sulla strada costiera verso nord, che collega il territorio a Chetumal nello Yucatàn messicano. Il paese ha circa 120 mila abitanti, di cui forse 30mila a Belize city, che è costruita su una penisola sporgente nel mare.
Dunque noi giungiamo alla linea di frontiera con il solo passaporto, per fermarci qualche giorno.
Le autorità di frontiera rilasciano una carta turistica per l'entrata provvisoria, anche senza visto, su presentazione di un biglietto di uscita (e mostrando, dollari alla mano, che abbiamo abbastanza soldi).

Il progetto è di andare su un'isola, ma la cittadina di BC non ci dispiace, e il timore covato per giorni svanisce in una atmosfera piacevole, data da casette esclusivamente di legno, in gran parte su palafitte. BC è tutta intersecata da canali.
L'aspetto è di un paesone, e le case tutte colorate danno all'insieme un'aria bonaria. Nettissima prevalenza di neri, ma ci sono anche non pochi bianchi, e soprattutto moltissimi mulatti. In mare ci pare di intravedere una balena con la sua grande pinna di coda.

Ci sentiamo  rilassati, tanto che scordando ogni cautela di prudenza Annalisa va con Silvia a fare la

shop di generi vari assortiti


spesa, beccandosi una gran pioggia scrosciante; il tempo è talmente inclemente che cominciamo a chiederci se sia sensato andarsene su un'isola sperduta. Intanto scrivo una lettera a casa visto che il negozietto Jet's Bar qui a fianco fa anche servizio da ufficietto postale.


Appena cessa il pioggione andiamo sul molo, e là ci imbarchiamo sul motoscafo di un gringo giovane che ritorna alla sua isola privata con la famiglia, e intanto dandoci un passaggio in boat-stop, si rifà del prezzo del carburante offrendosi di portarci a Caye Caulker (key in inglese, o in spagnolo cayo =isoletta), che è subito "prima" della "sua". Durante la lunga traversata, assalti di pioggia torrenziale ci scoraggiano; il mio "impermeabile" è bagnato fradicio da parte a parte. Ma la famigliola yankee non si scompone, sono abituati. Il nostro quaderno-diario si bagna anche se era dentro due sacchetti di plastica.


ecco la piccola key Caulker, vista dall'alto

L'isoletta (veramente isolata....) ci piace subito molto. E' stupenda! Ci godiamo tantissimo la luna piena sul mare, e al mattino dopo un alba rossa straordinaria. Qui si fanno scorpacciate di ottime aragoste. Oggi andremo alla barriera corallina (che ormai chiamiamo sempre la "corriera barallina" in omaggio ai trasporti pubblici scassatoni della terraferma). Siamo contenti.

Per prima cosa siamo stati due notti da Toni Vegas, un piccoletto chiacchierino che ha voglia di scherzare e che affitta delle stanze, senza reclamizzarsi troppo. Ha un terreno con delle palme su cui appendiamo le nostre amache e ci passiamo il pomeriggio con i tre compagni vicentini con cui abbiamo fatto amicizia sul bus: Beppe Guasina, Silvia Brunello, e Paola Fobasacco. Qui ci sono da circa un mese due nordamericani con il loro bimbo piccolo di nome Salomon, che a un anno e quattro mesi ancora non cammina. Lui aiuta il procedere lentissssimo dei lavori di Toni alla costruzione di una sua bella barca nuova.



I nostri tre amici passano una notte senza riuscire a dormire sulle amache sotto una tettoia. Intanto noi facciamo finalmente il bucato usando la riserva d'acqua piovana. Qui tutti hanno dei gran serbatoi d'acqua piovana che utilizzano anche per bere, e che certamente ci rifilano anche nelle orrende aranciate annacquate, di squash in bottiglia.  In generale tutte sono casupole di legno (alcune dipinte all'esterno) sopraelevate, e vicino ad un lungo molo per uscire a pescare, e con una botte per l'acqua piovana. Non ci sono giardinetti né recinzioni, né nomi di strade.





Noi poi andiamo a dormire sopra al bar di Martinez, per 5 B$, in una stanza, o cubabitacolo di cartone e assi di legnaccio, ricavata semplicemente portando via spazio a un terrazzo: Terrazzo su cui poi appendiamo l'amaca grande. Stranamente il cubabitacolo di cartone regge una ennesima pioggia tropicale torrenziale.

 le camere sono sopra al bar


Annalisa   ammira un gran cumulo di bellissime conchiglione




Annalisa annota:
«Prescrizione "medica" tipica dei caraibi: se avete un raffreddore, portatevi su un'isola dentro ad una barca in mezzo a una bufera, colà giunti aggiratevi nel villaggio tra gli acquazzoni (con o senza impermeabile fa lo stesso), oppure anche esponetevi sudati al vento di mare...  Tra le molte possibilità di scelta sul che fare, andate per la prima volta nella vostra vita alla barriera corallina con le mestruazioni e tuffatevi in acqua per mantenere ben saldo il vostro raffreddore...»
Annalisa ha sempre seguito alla lettera queste preziose prescrizioni.
Il nostro cubabitacolo è situato esattamente sopra all'unico juke-box esistente in tutta l'isola, per cui possiamo così ascoltare infinite e infinite volte al giorno, il bar è aperto dalle 8 alle 23, il ripetersi della stessa canzone (carina, ma divenuta insopportabile) "Ring my Bell", che impazza su tutta la costa da Puerto Barrios a Livingstone, al Belize (a proposito sentiamo alla radio che a puerto Barrios è scoppiata una epidemia di malaria).
C'è sempre sempre un forte vento costante.



Da queste parti di solito al buco delle finestre c'è solo una zanzariera, e qualche volta, per impedire l'eccessivo ingresso del vento o della pioggia di traverso, ci sono delle listelle di legno orientabili, tipo veneziana.

Poi troviamo un posto in una casa dove poter stare tutti assieme, e che da sulla spiaggiona.

Qui parlano un creol-english, ma molti parlano anche uno spagnolaccio, o una specie locale di spanglish, e quasi tutti sanno sia español che english.

In questo villaggio, oltre a non esserci -come in altri villaggi- né i nomi delle strade né i numeri delle case, non ci sono nemmeno le strade se non la main street. Le palafitte semplicemente sono state fatte lì, più o meno vagamente allineate e distanziate formando del tutto casualmente alcune simil-viuzze, ma soprattutto dando un'aria estremamente sparpagliata al paesino, anche se non confusionaria.
main street


Non ci sono nemmeno delle insegne, tranne che in tre casi, per cui semplicemente dopo un po' che sei lì impari che dalla señora tale si può andare a mangiare (previa ordinazione), che la talatra vende delle cose, e che la talaltra ancora affitta dei letti, o che la signora di là in fondo fa delle torte alle carote.
Ognuno si fa per così dire i propri orari personali, e ha una dispnibilità limitatissima di spazio per vendere o per darti il pranzo, e così tutto assume una atmosfera estremamente famigliare e confidenziale, dato che stai o nell'unica camera, o subito fuori dalla porta aperta...


C'è veramente una atmosfera moooolto rilassata... Non ci sono mezzi di trasporto, nè motorizzati né non, di alcun genere, tranne 1 piccolo furgoncino, 2 bici, e sul mare diverse, ma non fastidiose, barchette a motore. Si cammina.
I ragazzini scorrazzano liberi dovunque, non ci sono pericoli, e poi siamo su un'isoletta, dove ci si potrebbe perdere? e come scappar via?

Oggi dunque andiamo a fare snorkeling alla "corriera barallina" con la barca di Alfonso, cinque ore per 5 B$ maschera-boccaglio inclusi,

ma in realtà non avevamo pensato che ci si ferma un po' prima (perché la chiglia della barca non si danneggi con i coralli e gli scogli) e si deve raggiungerla a nuoto, il che è un problema dato che da là viene una corrente contraria fortissima... Il sole picchia forte, ci cospargiamo di olio protettivo.

Andiamo in un altro punto un po' più in là, alla frattura nella barriera, dove tra l'altro il fondale è anche più ricco.
Tutti i pesciolini colorati ti sguazzano attorno senza spaventarsi per la nostra presenza. Giriamo gli occhi attorno continuamente cercando di fissare nella memoria i colori violenti o delicati e le fosforescenze di certi pesci che ci passano sotto. Sulle concrezioni coralline si muove tutta una vita ricchissima che sta ancorata al fondo e noi molte volte non riusciamo a capire nemmeno quando si tratta di vegetali o di animali. Quando noi nuotiamo vicini ogni tanto ci indichiamo con la mano un pesce particolarmente bello. Mentre sto fermo alcuni piccoli pescettini prendono confidenza e mi vanno sui piedi, o mi assaggiano tra i peli delle gambe. Silvia vede un pescione veramente grosso e si spaventa. Io seguo per un po' un branco di pescioni blu e azzurri nelle loro peregrinazioni. Ci sono dei ricci con aculei lunghissimi: In definitiva questa parte della barriera corallina è un intrico di grossi coralli gialli.

Sulla barca ci bruciamo (=ustioniamo) per il sole, e sì che siamo già ben abbronzati... Alfonso si sdraia sul fondo della barca e si fa una spinello di erba mentre ci aspetta.

Anche qua i pellicani si tuffano in mare a capofitto, ci sono uccelli a forma di balestra, pappagalli in quantità dentro le case, eccetera.
Vediamo purtroppo una grande tartarugona morire lentamente di sofferenze per soffocamento: vengono ribaltate all'insù e poi appena muoiono le danno da mangiare come carne prelibata. Giuriamo che mai mangeremo carne di tartaruga per buonissima che possa essere...
E poi: siamo stufi strastufi di mangiare solo sempre aragosta !!!! anche se costa 2B$ (=1 $Usa) basta!

Ci sono delle specie di zancudos microscopici punzecchiantissimi che passano attraverso la rete della zanzariera... anche se in compenso non ti fanno uscire il sangue come quei mosquitos della foresta.
Ci compriamo una bottiglia di rhum locale, ma poi ne compriamo un'altra perché quella era di rhum bianco (a 6 dolares beliceños che valgono mezzo dollaro Usa) e non era un gran ché, mentre questa di color malto  (7 belizean dollars), della Caribbean Rum dei Cuello Brothers, è buonissssima.

Silvia raccoglie due cocchi appena caduti e Beppe riesce a tirar fuori la noce, mangiamo la polpa morbida e fresca con il rhum versato nella vaschetta della mezza noce, e il latte al rhum è squisito!
Solo qui in tutto il viaggio ci capita che ci offrono da fumare erba buona, marijuana.
Compriamo anche una bottiglietta di olio di cocco per 75 cents usa. Il 13 agosto provo a scrivere una lettera a mio padre, chissà se la riceverà...?




C'è un vero artigiano che pian pianino fabbrica tutto lui da solo uno yacht per un cliente canadese, tutto a mano senza mai usare attrezzature elettriche. Questo signore ci dice anche che l'albergo accanto (uno dei due soli esistenti) è di "un americano", dicono così anche loro per gli statunitensi ...
Eppure c'è dappertutto sui prodotti la scritta "hecho en Centroamerica" (=made in CentralAmerica).




Lasciamo l'isola su una barca che fa meno acqua di quella dell'andata, e poi a B-city sbagliamo la direzione perdendo così tempo prezioso, e allora prendiamo un taxi (lentissimo) con cui arriviamo proprio al momento della partenza della corriera riuscendo a prendere gli ultimi 5 posti!
Si viaggia nella foresta, pochissime casette e villaggi, Sand Hill, Lucky Strike, Orange Walk sono frazioncine, sosta a Corozal Town, che è un paesino piccolissimo. Gran negroni e negrette. In sostanza sono territori quasi spopolati. Poi si passa il confine con il Messico e si entra nello Yucatan.
Capolinea a Chetùmal, una città assurda e insulsa.

(continua con: la quinta puntata sulla stupenda penisola dello Yucatàn)

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