lunedì 5 novembre 2012

India 1978, (1) da Amritsar a Old Delhi

34 anni fa eravamo dei giovani entusiasti, e dopo l' attraversamento del Pakistan in treno (vedi resoconto in un Post che ho messo in questo Blog il 9 sett.), eravamo poi andati in India per il nostro "grande" viaggio, iniziando da Amritsar.
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Prima di partire.
Mi leggo il volume VII della mia amata enciclopedia dell'Istituto Geografico De Agostini di Novara, 1962. Poi sulle filosofie e le religioni indiane ci sono in casa alcuni vecchi libri di mia nonna (G. De Lorenzo, Giuseppe Tucci, De Gubernatis, Prampolini, ma anche Nivedita e Kumaraswami, yogi Vithaldas, Vivekananda, Krishnamurti), e altri suoi o di mia madre; 



e alcuni miei libri più nuovi di P. Verni (delle edizioni La Salamandra, SugarCo, Arcana); e il diario del viaggio in India di Allen Ginsberg, tr.it. 1973 (con introduzione di Fernanda Pivano); quello di A. Moravia, Un'idea dell'India, Bompiani, 1962; e quello di P.P. Pasolini, L'odore dell'India, Longanesi, 1974, e Lanza del Vasto, Ritorno alle sorgenti, Bompiani, Milano, 1949. Poi La storia delle religioni a c.di H.Ch. Puech, appena uscita in it. dalla Laterza; o la storia della filosofia orientale, tradotta da Emilo Agazzi per Feltrinelli. Libri di René Guénon (Ed. Studi Tradizionali), di Mircea Eliade sullo yoga (Rizzoli), e "India segreta", un libro di Paul Brunton sul viaggio compiuto negli anni trenta, tr.it. Armenia ed., 1974. Le conferenze di Amalia Pezzali sulla cultura dell'India, ieri e oggi, del 1965. E ho visto quel film con la sceneggiatura di Marguerite Duras. Per avere una preparazione su questo piano mi aiutavano anche gli studi che avevo compiuti per un anno e mezzo all'Istituto superiore sul medio e l'estremo Oriente (Ismeo). Abbiamo in casa anche la storia universale della letteratura di G. Prampolini, ma è importante anche l'aver letto di H. Hesse, il Siddharta (Frassinelli, Torino, 1951), o Pellegrinaggio in Oriente, o Viaggio in India,... comunque 

...non basta certo per esser pronti a partire di fatto ...! 
Tutti questi pur interessantissimi e bei libri non sono però testi utili per tracciare un itinerario, per progettare un soggiorno, e per consigli pratici di viaggio ... ... Dunque vado in ricerca di altro tipo di testi, libri di consigli per questo viaggio.
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Quanto a vere e proprie guide turistiche, scopro che in italiano non ce ne sono. Gli unici due libretti esistenti sono della collana di Controcultura: uno (che è venduto come un supplemento a StampaAlternativa), edito dalla Savelli, Andare in India, del '74, in questo piccolo opuscoletto si dice poco. Poi è uscito un altro libretto della stessa collana di StampaAlternativa, Andare in Oriente, dell'anno scorso, un po' generico questo Oriente, dove su tutti quanti i paesi "orientali" ci sono in tutto 180 paginette... di 18x11 cm., ma è meglio del precedente, con qualche sommario consiglio pratico e i nomi dei pochissimi ostelli, guest houses e altre sistemazioni a buon prezzo. Vengo così a sapere che altrimenti in India ci sono solo hotel a prezzi quasi occidentali: e cioè mancano quasi del tutto alberghi e "pensioni" rivolte a un visitatore diciamo di livello intermedio.



Insomma in mancanza d'altro queste prime indicazioni sono preziose, seguiremo i loro consigli (sono entrambi traduzioni di opuscoli del BIT di Londra, una associazione "alternativa" per viaggi non intesi come nelle agenzie turistiche).
Bello il libro di Antonio Monroy, India, del 1965, in italiano pubblicato nel 1976.
Mia madre allora, un po' in ansia, ci regala la guide-bleu in francese, comprandola alla Libreria Francese di Milano, in centro, per "accompagnarvi  col pensiero nel vostro magnifico viaggio": R. Boulanger, Inde, Hachette, Paris, 1976.
Solo al ritorno troveremo nella ns cassetta di posta il quaderno sull'India stampato all'inizio di luglio dal centro di documentazione della associazione Avventure nel Mondo, che avevamo richiesto, ma che era arrivato dopo la nostra partenza, e che in pratica consiste in una raccolta di fotocopie da vari libri -in italiano o altre lingue-  sull'India.
Poi c'era M.Amante, L.Buffarini-Guidi, Viaggio all'Eden, Olympia Press, Milano, del 1972 (viaggio lungo lo Hippy Trail), ma era già esaurito.

Poi solo al ritorno mi sfoglierò il reportage di Folco Quilici sulla rivista "L'europeo" n.51 del dicembre 1967 (a. XXXIII)
 

e  il bel libro di testi e immagini che ne è derivato, di Folco Quilici: India, un pianeta, SEI, Torino, 1976 

Mi compro il diario di Pier Paolo Pasolini, L'odore dell'India, Longanesi, 1962, 1974, che mi prende moltissimo, e mi ritrovo in piena sintonia con le sue sensazioni, 
 

mentre il reportage giornalistico di A. Moravia mi lascia abbastanza indifferente (Un'idea dell'India, Bompiani, 1962), anche se il viaggio lo fece oltre che con Elsa Morante, anche appunto proprio con l'amico Pasolini. E inoltre ricordo di Enrico Emanuelli, Giornale indiano, Mondadori, Milano, 1955, e poi i suoi articoli sulla rivista «Epoca», per es. i due articoli sul "Monsone", con fantastiche foto di Brian Brake. Le ammalianti foto di Federico Patellani su "Epoca" del 1963: "Viaggio nell'India favolosa", in più puntate. Il testo di Alfredo Todisco, Viaggio in India, A.Mondadori. E infine il diario del viaggio in India di Allen Ginsberg, tr.it. 1973 (con introduzione di Fernanda Pivano).

E poi (purtroppo solo l'anno seguente al ns viaggione) uscirà la Guida all'India, di Piero Verni,


per Moizzi editore,1979, (che non è una trad. it., ma è stata  la prima vera guida italiana sull'India ).
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Per quanto riguarda conoscenze sulla situazione politica, so solo che Indira Gandhi (che era succeduta a Nehru nel 1965 dopo la sua morte) l'anno scorso ha perso le elezioni, e lei e il Partito del Congresso hanno dovuto cedere il governo ai nazionalisti conservatori.

_________DIARIO DI VIAGGIO ___________

domenica 9 Luglio - martedì 12 Settembre 1978
INDIA ! A journey into Fabulous



Al valico di frontiera di Wagah, passate anche le ultime formalità burocratiche pakistane, infine ci avviamo a piedi (perché non è consentito alcun mezzo di trasporto) verso il territorio indiano a un kilometro e mezzo più oltre, con i nostri sacchi che a casa senza questa atmosfera caldo-umida mi parevano proprio leggeri e quasi vuoti. Camminiamo in mezzo agli alberi e ai pappagalli e gli uccellini. E' un paesaggio stupendo che attraversiamo a piedi e guardandoci tutto d'attorno.
un banyano

Ecco in lontananza là incomincia l'India e il nostro agognato viaggio.... 
Ah! l'India .... dei miei sogni, e della letteratura per ragazzi...
Infine negli uffici doganali indiani impiegati indolenti e assonnati ci fanno la perquisizione dei soldi che abbiamo, e ci scoccia assai ma dobbiamo mettere tutto quanto in vista sul tavolo, quindi cambiamo un po' di soldi in rupie indiane, e poi via entriamo! 
ciao, namasté o namaskar  (il saluto in hindi), è fatta, siamo arrivati !
Ed è così che giungiamo in India a piedi... 

La prima impressione è quella dei suoni degli uccelli tropicali. Trovandoci finalmente fuori da un centro abitato, in piena campagna, e non in treno ma a piedi, nel silenzio.Non c'è nessuno... C'è intorno a noi la pace indaffarata della vegetazione indiana. Il primo simbolo dell'India che ci si presenta, cui finalmente approdiamo carichi di aspettative, è il volo e il cinguettio degli uccelli liberi e di diverse razze, che girano tra gli alberi.

Il secondo è certamente dato dai grandi spazi. Gli edifici (guardia di frontiera, dogana, cambio, uffici, caserma, ecc.) notevolmente distanziati tra loro, fan sì che si debba compiere tutto un percorso lungo un sentiero nella calura e nel silenzio (pieno di suoni in verità, come dicevo, ma non dei nostri, cioè voci e rumori umani).
E poi là in fondo passano i portatori in fila indiana, appunto, con grandi pesi e fagotti sul capo, ed i militari sikhs in divisa color kaki con turbante e barba, maestosi, conferiscono davvero una atmosfera quasi da film.
Ecco ora siamo entrati in questo mondo, in questa realtà parallela, sì siamo in situazione; disposti a guardare, osservare, ascoltare, stupirci e quindi forse anche a "credere" nell'Altrove ...

Ora c'è da raggiungere Amritsar, la città principale del Punjab indiano e prima città subito dopo il confine, dove andare a cercare un posto per lavarci, per mangiare, per dormire, insomma per riposarci. Ma in fondo che ce ne importa di affrettarci a raggiungere cosa, ormai anche qui siamo arrivati, siamo in India ... quel che faremo, dove andremo, si vedrà, qui c'è una atmosfera di calma, prendiamocela con calma, bisogna imparare a calmarsi dentro, ed è già riposante, rilassi la tensione interna. Ci mettiamo tranquilli all'aperto su delle panche di un baracchino con bibite (abbiamo imparato la lezione di Karachi). Io mi metto sotto a una pompa d'acqua e mi bagno totalmente (tanto poi ci si asciuga entro breve). Ogni tanto contrattiamo un po', ma senza impegno, le offerte di mezzi possibili per andare in città. Un po' più avanti c'è un bus per Amritsar (che sta a soli 30 km) che costa 1 rupia e 40 paisa. C'è uno che sopraggiunge pallido e lento, e beve dalla pompa, gli diciamo che è pericoloso, ma lui dice che non ne può più dalla sete... anche a uno che è lì che sta seduto sulla panca e che vediamo che ha del ghiaccio nel succo di frutta che sta bevendo diciamo la stessa cosa, ma dicono che bisogna abituarsi e farsi gli enzimi e le difese che occorrono qui... Non ci sembra sensato.
Comunque, dopo non poi moltissimo, saliamo con altri su un furgoncino per fare questi trenta chilometri, e poi dividendo la spesa spenderemo meno del ticket di quel bus che sin'ora non si è mai visto passare.
Poi per pura distrazione e idiozia scendiamo quando ci indicano la stazione ferroviaria e scendono gli altri... anzichè chiedergli di proseguire per scendere nel centro storico... Lì in un punto qualunque all'ombra, ci accomodiamo in terra, vicino a dei cavalli con carretto, ed esaminiamo la situazione, pensando sul da farsi. Per tutto il viaggio apprezzeremo molto questa possibilità di piazzarsi in un qualsiasi posto per fare le proprie cose (figuriamoci se a Milano, o a Ferrara, uno può accucciarsi a terra e stare lì a parlare o a fare qualcosa.... in città si è in un contesto troppo borghese di mentalità, sono cose che da noi si fanno solo in campagna...).
il nostro diario

E poi qui si vedono i sari di ogni qualità, forma e colore. Una cosa che ti colpisce subito venendo dal medioevo islamico in questo mondo antico è l'abbigliamento delle donne. Là fatto per coprire, nascondere soffocare, mascherare, stravolgere le forme dei corpi, per simboleggiare la presa di possesso, e un mondo di proibizioni morali; qui le pance nude, i corpi che sono sinuosi nell'andatura, i bustini reggiseno, e i volti, il trucco, le unghie, i monili, i capelli robusti e folti, i sari così femminili, le caviglie adornate, i sorrisi, e i fiori. 


AMRITSAR
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Quando cessò di vivere l'Impero Britannico delle Indie (ferragosto di 31 anni fa), avvenne la spartizione della sua eredità, nota appunto come partition: per cui il Punjab, la "terra dei 5 fiumi" fu (come l'India tutta) lacerato e strappato in due pezzi, a ovest la parte musulmana della regione entrò a costituire un nuovo Paese, il Pakistan (la denominazione è composta da una sigla di cui il Punjab forma la prima lettera, P), e la capitale Lahore restò dalla parte ovest della nuova frontiera; mentre la città principale del Punjab rimasta nella nuova Unione Indiana (o Hindustan) nella parte est, è Amritsar. Lahore e Amritsar erano vicinissime.... e ora divennero lontanissime. Così anche tutta la valle dell'Indo restò tagliata fuori dall'India.
Fu una vera tragedia con esodi incrociati di dimensioni apocalittiche lungo tutto il lunghissimo nuovo confine tra Pakistan e Hindustan (con scontri, morti, feriti, case abbandonate, gente senza dimora e lavoro, ...). Egualmente accadde anche in Bengala, ma con forse "minori" disastri.

Se Amritsar è effettivamente la città più importante del territorio dal punto di vista storico e culturale, è però la città santa dei Sikh (forse da singh, leone) e quindi non adatta ad essere la capitale di tutti. Quindi il governo del Pandit Nehru (il successore del Mahatma Gandhi), chiese al grande architetto svizzero Le Corbusier di progettare una nuova capitale, e lui ideò un piano urbanistico per una città ideale, utopica, che già dodici anni fa (1966) iniziò ad essere la capitale congiuntamente sia dello Stato indiano del Punjab che di quello del Haryana, ed è stata denominata Chandigarh, "la città d'argento", ed oggi è in un Territorio "federale" a sè, e conta già 380 mila ab.
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Dunque Amritsar resta un grande centro spirituale dei Sikh e della loro religione monoteista fondata dal guru Nànak nel millequattrocento. Il Tempio d'Oro, il Golden Temple dei Sikh (1574) è veramente un colpo! una sorpresa e meraviglia... Difficile descrivere l'emozione del primo sguardo...e anche descriverlo... già lo si sminuirebbe riducendolo a quel che è descrivibile, mentre esserci è tutt'altra cosa, è molto diverso. 
 E' una dimensione a noi sino ad ora sconosciuta della religiosità. E' un rifugio, un'oasi di pace. Fuori il casino, il caldo, il soffoco, il rumore, la sporcizia; qui l'incanto. Qui il mondo muta di segno, l'umanità è dignitosa, tutto è sereno. Si lasciano le scarpe, la "borsa e ci si copre il capo; prima di entrare si passa per una vaschetta d'acqua fresca che sciacqua i piedi, e un guardiano colorato chiede di non portare tabacco o altro da fumare. Gli occidentali però dovendo coprirsi la capigliatura assumono tutti un'aria un po' piratesca, da bucanieri dei Caraibi, con i piedi nudi e un foulard da donna che raccoglie i capelli.
Varcata la soglia sei nel mondo magico del Tempio d'Oro. La pavimentazione di marmo, pulitissima, fresca, impeccabile, e poi il silenzio, la pace, uccelletti che svolazzano e si posano in libertà. Ombra e correnti d'aria corrispondono ai luoghi ove la gente si sdraia, dorme, chiacchiera (in un tempio!), si incontra, passa le ore in libertà. Molti gli anziani con le barbe. Ci sono dei bagni per lavacri, e per poter poi immergersi nelle sacre acque purificatrici del vastissimo specchio d'acqua centrale. Gente che si spoglia, che si immerge. Ai bordi qualche antico alberone dall'aria veramente venerabile e vetusta. 




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Ci sono anche artigiani del marmo, che lavorano a questa costruzione che si amplia sempre più. Ai primi piani del bianco perimetro quadrilatero, sale di meditazione, biblioteche, archivi. Ai lati, sotto il porticato che corre tutt'intorno, fontane di quest'acqua sorgiva naturale, purissima e fresca, e giustamente sacra, attorno a cui lavorano volontarie donne che puliscono con una minuzia incredibile le già splendenti tazze d'ottone per bere. Sotto un portico un vecchio saggio, tutto bianco e con a tono il barbone fluente e morbido, sta seduto a gambe incrociate e parla in tono sommesso ad un piccolo gruppo di uomini e donne di tutte le età e condizioni, che lo segue attentamente. Al centro delle calme e pure acque sta il Tempio d'Oro, cui si arriva su una passerella di marmo. Di là vengono le musiche e i canti dolcissimi dei guru, che pervadono tutto il vasto ambiente attorno. File di sikhs dai mille colori festosi portano offerte di cibo profumato, su una foglia, che i guru metteranno in un grande vassoio comune da cui poi dopo un certo giro che i fedeli percorrono salmodiando, riavranno in cambio un po' di quello stesso cibo e mangeranno.


E’ buonissima questa pappetta strana e odorosa che si prende in un botteghino all'interno del tempio. Fuori dal quadrilatero del perimetro sacro che attornia lo specchio d'acqua ci sono istituzioni benefiche come dormitori per pellegrini (con i cessi e l'acqua per lavarsi!) la mensa per i poveri, e altri edifici;alcuni occidentali stanno là. Lo spettacolo che ti incanta è quello umano. Questo è quel che offre l'India, certo anche monumenti, templi, paesaggi, folklore, ma più di tutto ti ritrovi ad osservare con interesse l'umanità varia, cosa fanno, come fanno le cose, dove vanno, perché, che abiti, che colori, che volti hanno, che espressioni assumono, come gesticolano e parlano, come si muovono. Questo accade e ti affascina subito al Golden Temple di Amritsar, ti siedi e guardi la gente che sembra sfilare per presentarsi davanti ai tuoi occhi. Molti sikhs sono armati, di una alabarda, di una lancia, di un vecchio fucile, di una sciabola, o almeno di un pugnale. Anche vecchi, che penso siano deboli, portano tutti fieri le loro armi come simbolo del loro popolo dalle tradizioni di indipendenza. 












 Il Golden Temple è stato fondato nel Cinquecento da Ram Das come principale santuario (gurdwara) della nuova religione del sikhismo e sede in cui è conservato il testo sacro Granth Sahib (=il libro del Signore). Comprende pure una cucina di una mensa per tutti i visitatori, cioè dove chiunque può rifocillarsi, senza distinzioni di casta.

Il tempio è isolato in un laghetto artificiale, contornato di marmi bianchi sempre lavati e immacolati, il bacino delle acque sacre si chiama Amrita Saras cioè Fonte dell'immortalità, o Vasca del Nettare, ed è da qui che prende il nome tutta la città di Amritsar. Al tempio vi si giunge per una lunga passerella-pontile. 



La visita turistica è già subito insensata; passiamo ore al Golden Temple e ci torniamo più volte. Ad Amritsar c'è anche un bel parco (commemorativo di un massacro compiuto dagli inglesi) dove la gente va a dormire, a mangiare, a rilassarsi; e anche noi ci sdraiamo sul prato e poi sui muretti. 
Mangiamo qua e là, ci portiamo dietro qualcosa, a volte ci fermiamo in un posto; una zona in cui girovagare è naturalmente quella dei chowk, cioè dei mercati, e di solito di mercati ce ne sono vari.
(foto del GoldenTemple del 1912, da un libro di mio nonno paterno, di Leon Preiss)



A poca distanza dal tempio -come dicevo- c'è uno spiazzo dove si commemora una delle maggiori stragi compiute dall'esercito britannico nel 1919 contro persone che stavano assistendo ad un comizio per rivendicare lo Swaraj l'autonomia interna promessa durante la prima guerra mondiale e poi non attuata, il massacro di Jallianwala Bagh (380 morti e 1200 feriti) segnò una svolta nella storia indiana del Novecento per le diverse reazioni e infinite polemiche che suscitò. Comunque anche oggi ad Amritsar c'è tensione, non più né con i britannici né con i musulmani, ma ora è tra hindu e sikh, dato che tra questi vi sono movimenti che si battono per la creazione di uno stato sikh e dunque per separarsi dal resto del Punjab hindu. 


Ma Amritsar oggi è anche un centro industriale, che conta quasi 600 mila abitanti. E' un centro di comunicazioni importante, ci passa la Northern Railways e tutto il traffico verso Jammu e Kashmir, e verso il Nord. Arriva tutto il commercio che passa attraverso la Grand Trunk Road. La città in effetti è congestionata e incasinata.


Nella cucina punjabi è tradizionale il chiken tikka, cioè il pollo a pezzettini (che possono essere poi anche infilati su degli spiedini), marinati in una mistura di spezie e yogurth, che si cucina sulla carbonella (o anche in un forno d'argilla),  e poi viene condito con salsa chutney (o chatni, fatta di una mistura di spezie, frutta e ortaggi, cui si aggiunge aceto con zucchero)  e tamarindo, e ci si può versare sopra del ghee (burro di yak non salato e chiarificato, proveniente dalle montagne del nord).



Gli incontri

L'españolito un po' tsigano nell'abito, con il magnetismo del suo sguardo in cui c'erano insieme spavalderia e una certa timidezza, e con il suo sorriso complice. Fuggito di casa a 15 anni, è vissuto arrangiandosi un qualche modo con mille mestieri, ora gira, ha 23 anni e  legge con interesse filosofia, sa un po' varie lingue, parla bene l'italiano. Mi piace. La sua compagna ha un bel vestito afghano. Si fermano in India un anno o due. E poi quei tre, sempre ad Amritsar: uno inglese, uno canadese o australiano, e uno tedesco. Sembravano tre esemplari scampati a qualcosa, avevano l'aria come di chi dice "ora che ci siamo incontrati siamo tra noi", e tra naufraghi si è subito alleati, l'intesa è ritenuta scontata almeno sul da farsi nell'immediato. Sarà più o meno sempre così in India. Per il poi è tutto vago: ci siamo aggruppati vagando e dovremo vagare ancora. Ad Amritsar ritroviamo alcuni scampati dallo sfacelo del gruppo di Karachi: i due tedeschi, di cui quello cordialissimo che parla italiano, già fuori uso, pallidissimo. E invece adocchiamo due greci incontrati alla frontiera, che rincontreremo ancora altre volte nell'immenso oceano umano dell'India. E questo fatto un po' inspiegabile del rincontrare qualcuno già visto o di sentir chiedere di qualcuno incontrato, dà un senso di continuità a tutto il viaggio. Ma Paolo non lo rivedremo più. Paolo e Daniela invece li troveremo nella stanza accanto, ad Agra, proprio lì in quel buco di posto! E poi altri due...  Un altro gruppo compatto invece, il gruppo con cui faremo viaggi in treno fino in Nepal, si sfascia definitivamente a Sonpur e non ci si rincontrerà mai più. Solo i due francesi, tecnici di apparecchiature telefoniche, che incroceremo a Kathmandù pochissimo prima della nostra partenza, giusto in tempo per regalare loro dieci inutili bustine postali imbottite per pellicole fotografiche, di cui dovevamo sbarazzarci per far posto nel sacco e che non eravamo riusciti a vendere nei negozi.

Considerazioni.


La prima volta che vedi un rickshaw man, l'uomo ti fa pena, e ti senti male al pensiero di usarlo. In effetti poi ti abitui presto a non essere tanto suscettibile: questo è un mezzo di trasporto come tanti altri, solo più economico, e comunque se tu non lo usi non cambia proprio nulla, anzi, spesso molti rickshawmen ti pregano di andare con loro, e il rifiutarsi per moralismo insulso, o perché magari chiedono una rupia in più del prezzo giusto,  non fa che far fare una corsa in meno a questi poveri cristi che han bisogno di lavorare. Anzi dopo un po' quel che ti succede quasi senza rendertene conto, è che starai lì a contrattare per vedere di non farti fregare, e abbassare il prezzo, mentre si tratta di cifre che qui da noi sono ridicole. D'altronde è veramente terribile sentirsi direttamente i responsabili della fatica, del sudore del fiatone, della spossatezza fisica di chi funge da cavallo. E poi sono così magri; per non dire di quelli un po' più "vecchi". Sembra un po' di essere sull'autoscontro, nelle curve ti senti sbattuto fuori; il posto per sedere è un pò piccolo per due culi da grasso europeo, ed è un po' precario. Sotto il sedile ci sono i suoi attrezzi e la sua roba; dietro c'è modo di mettere i sacchi, ma ci stanno in bilico e sempre in pericolo di finire per terra. Quando tira su il parasole non si vede più niente altro che la sua schiena sudata. In salita bisogna scendere e seguire a piedi; in discesa vanno in "folle", ed è folle, ma è per risparmiare fatica. Il tutto può anche essere divertente...


Il corpo viene riassumendo una grande importanza, mangiare, dormire, evacuare, sudare, la sete, camminare, la fame. Problema del mangiare, dell'igiene che non esiste, del fatto che non ci si fida.
Comprando le beedies, le sigarette indiane fatte della sola foglia di ta bacco arrotolata, vediamo che l'accendisigari permanente è una corda lunga legata al palo della luce, che pende con la cocca in basso accesa che si consuma lentamente. Le beedies si comprano nei baracchini dove preparano il betel.
Annalisa annota: "Quando ci guardano ridono sempre, Carlo sta col fazzoletto rosa in testa, in cannottiera blu e con un foulard blu al collo con un fiore rosso, gli va così, ma non è perché si sia forse buffi che ridono, è soprattutto perché siamo diversi".
"Be indian, buy indian", uno slogan che ci accompagnerà per tutta l'India.


Qua lavorare è una cosa molto diversa che da noi, c'è tutto un muoversi intorno alle cose, ai loro stracci... Molte cose sono molto più faticose: cucinare rappresenta un problema notevole per l'accensione del fuoco, per il luogo scomodo e precario, eccetera.




Certi rickshaw hanno la tromba a pompetta come le prime auto.

Nel posto dove siamo andati la prima volta a mangiare abbiamo avanzato quasi tutto (trooooppo speziato, pepato, piccante). Vicino alle lampade c'erano dei bestiolini, tipo microsauri, che si mangiano gli insetti: sono i gechi. Stanno anche nelle stanze dove si dorme, sulle pareti.

Abbiamo dei momenti di crisi per il caldo, il problema non è tanto muoversi, cosa che con uno sforzo di volontà si fa, ma mantenere sempre la calma ad esempio, e il senso delle proporzioni delle cose, prendere decisioni, pensare, scrivere, leggere, studiare, sembra assolutamente assurdo con tale caldo-umido.

Quattro giorni fa soltanto eravamo in Italia a fare esami, ecc.; tutto è estremamente lontano, e un po' insensato; è lontano geograficamente e psicologicamente, in questo caso spazio e tempo si equivalgono.

Annalisa annota: "Ci sono molti vecchi rispetto per esempio ai paesi arabi, e dall'aria venerabile. I Sikh sono un popolo bellissimo; mai visti così tanti begli uomini tutti insieme.

All'Ufficio Telegrafo mi hanno fatto passare davanti a tutti. C'erano tanti impiegati alle loro scrivanie sparse dietro un bancone, e una notevole quantità di ventilatori sull'alto soffitto, e tutti insieme così grandi che giravano, davano un'aria da film americano".



Il Golden Temple è veramente qualcosa a ripensarci, ve lo dico io, che quando entri senti proprio ... PAF ! Forse bisogna essere un po' esaltati per sentire questo paf, comunque perché non esserlo ?
Osserviamo, e ci facciamo spiegare come ci si mette un turbante. I sikhs portano la retina ferma-barba, e quella ferma-capelli sulla sommità della testa: non si radono, né si tagliano i capelli mai mai.

E quel tizio che ci offriva hashish e noi lo cagavamo dicendogli in italiano che non si capiva un cavolo, in effetti parlava solo in punjabi, ma si capiva benissimo lo stesso cosa voleva. Era un tipo che non ci sconfinfferava per niente.

L'anziano di questo albergo indian style ha voluto provare a farsi la barba col mio rasoio elettrico; nessuno qui lo aveva mai visto. Lo hanno un po' rovinato, ma non importa, ché tanto poi ho dovuto comprarmi un rasoio a mano perché nelle camere non c'era mai l'attacco di corrente.... Appunto per questo sono dovuto scendere giù in cortile, e tutti sono venuti a vedere, si sono messi intorno a me e stavano a guardare come facevo; il cortile è lo spazio collettivo di comunicazione, e certamente in questi contesti la privacy è una espressione priva di contenuto. Ma a me non dispiacciono queste situazioni che permettono di socializzare, purché poi ci si attenga a dei limiti oltre i quali -secondo le nostre abitudini- allora diventano invadenti e la confidenza che si prendono è eccessiva.

Noi siamo più limitati di loro per i cibi, perché oltre a non trovare certe cose, non possiamo bere l'acqua naturale, mangiare il gelato, usare il ghiaccio per rinfrescare le bibite, mangiare verdura cruda, né frutta già sbucciata ... e va beh...
Troviamo dove mangiare bene, al "Café '77" una specie di negozio con tavoli all'aperto. I tipi devono essere stati in Occidente e capivano le nostre esigenze. In genere chi è ad Amritsar è appena arrivato. Sono gentilissimi e fanno espressamente i piatti che gli si chiede. Ovviamente c'è molto da aspettare. Il vecchio ci insegna come si chiamano alcuni piatti non piccanti, così li potremo chiederli quando ripartiremo da qui: intanto m'salah nehì vuol dire non forte, non piccante e speziato, in inglese not hot; chapati è un tipo di piadina; pai, o chàval = riso; aloo = patate; mattàr = piselli; egg protah = specie di frittata nel chapati; panir è il formaggio; dahi, lo yoghurt; dhal, lenticchie; e poi nimbu pani = spremuta di limone verde, il lime; e nira = il latte di cocco; infine chay è il thé. E ci dice i nomi delle marche sostitutive della coca-cola. Gentilissimo e affabile. 
Chiacchieriamo con un australiano che viaggia da parecchi mesi e ci da un sacco di notizie. Chissà perché si è come affamati di info, è un po' come sentire raccontare delle storie e il mondo esotico di cui si parla è proprio quello che ti sta attorno.
Qui ci sono pure comunque resti del periodo dell'impero musulmano Moghul che sono molto belli, come Jallanwalla Bagh.

Ad Amritsar andando verso il ponte che porta al centro, c'era sul marciapiede un telone con sotto dei baracchini dove un vecchietto secco secco, con un po’ di stracci "bianchì" a mò di mutande girati in modo ingegnoso tanto da formare delle vere e proprie tasche, e sorrideva. 
Da Amritsar si parte in treno per Ambala, nello stato dell' Haryana, e da lì poi ci si dirige a Dilli ovvero Old Delhi.
Non è che sia facile fare il biglietto del treno per Delhi....., vari sportelli, devi conoscere la burocrazia, il nome del treno (!), ma lo facciamo il giorno prima senza fretta.
I treni hanno quasi tutti la locomotiva a vapore che va a legna o a carbone; non hanno ammortizzatori, spesso mancano le portiere, e qualsiasi altro accorgimento di sicurezza (per es. per passare da una carrozza all'altra), non ci sono vetri ai finestrini, la cuccette (sleepers) sono delle assi di legno, così come le panche dei sedili.





§. OLD DELHI


Leggo che la vecchia capitale dell'impero Moghul, costruita attorno alla grande moschea, oggi si trova nella parte a nord della capitale federale New Delhi. Fu stabilita dal sultano Shah Jahan nel Seicento, lungo il grande fiume Yamuna (o Jumna), un affluente del Gange (nel quale confluisce circa 580 km più in giù, a Ilahabad (o Allahabad) più o meno a 120 km prima di Benares). Oggi Old Delhi si estende appunto a nord della Main Railway Station, e della Fortezza Rossa (Red Fort o Lal Qila), la Cittadella sul fiume, praticamente sviluppandosi attorno al gran bazar di Chandni Chowk, la "via dell'argento", una grande arteria commerciale piena di negozi, di traffico e di gente, un vero fiume di umanità, e di soldi. Qui giunge la Grand Trunk Road dal nord.

   Si arriva a Delhi il mattino molto presto, all'alba, dopo una notte in treno. Assi di legno piatte ad angolo retto, poi lo schienale si solleva e si appende con dei ganci all'asse di sopra (che non è un portabagagli, ma la terza cuccetta). Dormiamo con la testa sul nostro zaino. Ci sono 75 persone nei vagoni con cuccette riservate, è come essere in un corridoio di un dormitorio per poveri, perché non ci sono gli scompartimenti e alcune cuccette sono lungo il corridoio. 

I treni sono ancora quelli britannici e le locomotive fanno un vapore e una fuliggine pazzesca, dai finestrini entra tutto quel nero che poi ti ritrovi sulla faccia o negli occhi. Si passeranno varie giornate e nottate in treno in India, sia per la lentezza dei treni che per le grandi distanze. Lo stare in treno è una parte molto importante del viaggio, perché è una occasione per vivere con gli hindu e starci assieme.





C'è la II classe con posti prenotati, e quella senza (= III classe di fatto), poi la I classe (con le sbarre ai finestrini), e la Prima con anche l'aria condizionata, e inoltre la Lusso (rarissima). Le differenze di prezzo sono notevolissime (di fatto ci sono 5 classi). Tranne un paio di volte abbiamo sempre viaggiato in "2a classe con posti prenotati". (Il Mahatma Gandhi che viaggiava molto utilizzava sempre solo la terza classe)
negozio del barbiere
dal finestrino

Sbarchiamo nella grande Stazione Centrale della Vecchia Delhi (Delhi Main Railway Station). Siamo subito assaliti da una folla di rickshawmen che tentano di accaparrarci; non c'è nemmeno il tempo di pensare dove vogliamo dirigerci. Comunque se anche hai già qualche idea sull'alloggio, è difficilissimo imporsi, perché ogni rickshawman ha dei rapporti con alberghi e alloggi di vari tipi e ti porta dove vuole lui. Tenendo basso il prezzo che dichiari di esser disposto a pagare per la corsa scoraggi i più ambiziosi e alla fine hai con te solo due o tre disposti a un compenso basso, pur che sia. 


Saliamo con un ragazzo del Bangla Desh (il Bengala-est, musulmano, che sette anni fa si è reso indipendente), simpatico, che poi in inglese ci racconterà delle difficoltà che trova a lavorare a Delhi per il fatte di non essere cittadino indiano. Girovagando di qua e di là, perché i posti che ci faceva vedere in realtà non ci andavano bene, o erano pieni come l'ostello YMCA, finiamo vicino a Connaught Place, probabilmente oltre la sua zona perché è già a Nuova Delhi, ed è anche oltre la zona consentita ai rickshaw della stazione; uno lo insulta e con un altro ha una lite per questo.
Il posto è comodissimo, essendo molto centrale (tra la Old e la New), ma è piuttosto "caruccio" (sempre relativamente...), e bruttino oltretutto. Una stanza senza finestre, l'unica finestra è nell'attiguo bagno e da su un cortile rialzato, per cui se tieni aperta la porta del bagno hai anche la puzza del cesso e quelli del cortile che ti guardano dentro e il timore che qualcuno entri mentre ti addormenti, se le tieni chiuse soffochi nonostante il ventilatore piuttosto grande. Dev'esser stato un posto decente decenni fa, poi devono aver suddiviso le stanze, e non aver mai più pulito. Ci accampiamo: comperiamo un sari di cotone buon prezzo, che mettiamo sul letto per sdraiarci su quelle anziché sui loro lenzuoli di cui qui risparmio la minuziosa descrizione perché tanto poi sarà sempre così in India... comunque non sempre ci sono lenzuoli e federe sui cuscini), stendiamo la roba che laviamo sotto al ventilatore, così sarà asciutta per domattina, sparpagliamo le cose non potendo veramente utilizzare gli "armadi", mangiamo sul tavolino la solita frutta abbondante, ananas, e biscotti e altre robe, e in breve è un bivacco.
La Old Delhi forse supera ogni nostra aspettativa. Cominciamo a girarla con il rickshaw man di ieri, che ci consiglia di vedere la città al mattino prestissimo, all'alba appunto. Girando per varie stradine. I lebbrosi fanno una gran pena ma sone veramente raccapriccianti. Siccome é presto i poveri di Old Delhi sono ancora per la strada che dormono e si stanno svegliando, poi si disperderanno, e l'apertura dei negozi e delle bancarelle darà un po' di colore locale, come si dice, distogliendoli da certe cose; ma ora non c'è altro che la squallida grigia miseria, tutta lì in esposizione lungo i marciapiedi, e c'è silenzio. Tremendo. La miseria è veramente spaventosa, la gente vive accatastata, nella melma e nella merda, con le bestie, il pagliaio dentro casa. Sia gli esseri umani che le bestie sono macilenti in modo impressionante, le mucche, bianche con la gobbosità sul collo, paiono lì lì per morire di fame con la pelle appesa allo scheletro (mentre quelle del Punjab erano belle). Appiccicati in una quindicina per terra su un marciapiede di melma con i loro stracci addosso una volta forse "bianchi", e c'è una di loro che legge pubblicamente il giornale: spettacolo di grande dignità. I letti, i charpoy, intelaiature dì legno con in mezzo un intreccio di corde, sono sparsi davanti alle case lungo la strada, è lì che questa gente dorme. 


In mezzo al sudiciume c'è uno completamente insaponato, accovacciato per terra, che tenta di risciacquarsi con l'acqua di un bidone (altro spettacolo di grande dignità). L'acqua nella Old Delhi c'è solo due ore al mattino presto e due alla sera. I miasmi sono penetranti, quello che si vede è uno spettacolo immediatamente ripugnante, e la reazione al rigetto è piuttosto forte. C'è come un senso di nausea che ti prende, quasi l’impressione che l'aria stessa possa portare danno alla pelle esposta. Insomma è proprio così, non ti viene affatto lo spirito missionario tipo "fratello-mio-ora-ti-aiuto", ma anzi il desiderio di allontanarti. E certi quartieri della Old Delhi sono grandi... Ed ecco che ci pare di riconoscere un poveraccio incontrato ieri sera, che è lì che dorme per terra (ci ricorda Karachi); e uno che sembra proprio malato, un altro secondo me non si muoverà mai più di lì, sembra stia per morire... Certi sono lebbrosi, poverini.
In questo Paese fanno continuamente spaventosi rutti uragano; comunque per loro non è un problema, rutta il cameriere del ristorante e il commesso del negozio, non solo il tizio in treno o per strada. In effetti è tutta una costruzione nostra che debba essere un tabù... Vediamo un venditore di meravigliosi ventagli rotondi di penne di pavone!

A Delhi ci lasciamo prendere per un giorno dalla turistomania…, per cui un po’ per la curiosità di vedere cosa ha di bello questa Delhi, e un po’ per aver constatato che è immensa (in complesso tra Old e New, ci sono nel Territorio della capitale, che si estende anche a sud-est, circa 4 milioni di abitanti ufficiali). Così saliamo su un idiota e deleterio pullmann aperto tour-view, per un giro al museo di Gandhi, al Raj Ghat dove è stato cremato, e al parco col monumento a Nehru, e al bel mausoleo dell'imperatore moghol Humayun, del Cinquecento, ecc., ma in cui stanno più che altro a fermarsi alle fabbriche di roba tipica locale (!) (d’altronde ben ci sta, non li avevamo mai presi e ora sappiamo che non li prenderemo mai più...). 
A sud-est dove c'è il "vecchio Forte", si sono trovati resti della originaria sede indoariana del 1100 avanti Cr., con ceramiche dipinte. Sopra ad essa i musulmani moghol eressero una Cittadella.

Comunque le cose moghul, dell'impero del Gran Moghul (durato due secoli da metà 1500) di cui faceva parte il sultanato di Delhi (perché i moghol erano islamici), sono veramente straordinarie, con i loro immensi mausolei collocati a grandi distanze tra loro nella calma afosa di quest'aria greve e densa (forse sta per arrivare la pioggia?). 



Facciamo quattro chiacchiere con l'unico europeo del giro, un ragazzo yugoslavo anche lui sfiancato dal caldo umido e dalla pressione atmosferica. Almeno girando prendiamo arietta e stiamo seduti... 

Andiamo anche in posti più lontani. A 15 km c'è il Qutb Minar è il più alto minareto al mondo, costruito nel 1193, è alto 72 metri e mezzo, e con un diametro alla base di 14 metri e mezzo che diviene di due metri e mezzo alla sommità. Fu anche una importante torretta di guardia per fini difensivi.
Indimenticabile perché shockante, è il Lakshmi Narayam Temple, dove gli stronzetti dello stupido Tour View cui ci siamo accodati, si fermano solo mezz'oretta. E' il primo tempio induista che vediamo in vita nostra, ci saremmo fermati più a lungo, ed e così terribilmente e irrimediabilmente kitsch, che ci fa restare di sasso. Costruito nel 1938 dalla famiglia dei Birla (tra i nababbi più ricchi dell'India) in onore alla "moglie" di Vishnu, cioè Lakshmi (o Laxhmi). Tutto colorato con cattivo gusto e tinte forti, con gli dèi assurdi e barocchi di fronte ai quali non ci capisci niente perché ti sembra che sia assolutamente impossibile provare un sentimento religioso o di devozione. 


Tutto così apparentemente falso, eppure tutto così vero e vivo! Rosa, giallo, verde. Siamo forse a Disneyland? 

Ma la gente prende il tempio per un tempio, per davvero... E allora? Non si capisce... Ci rifletteremo su per vari giorni. Dovrò leggere un bel po' per cercare di capire allora che cosa è in generale la religione, cosa la spiritualità, e cosa la devozione, e il culto.... e cosa sono in questo caso particolare dell'hinduismo. 

         
Bisogna che mi documenti su qual'è il significato simbolico della figura di Lakshmi... Ecco è la Dea Madre, ed è l'aspetto femminile di Shiva, dunque sua sorella o sua "moglie", cioè la sua alter-ego femminile. E' venerata quale Dea dell'abbondanza, della prosperità, della buona fortuna (dalla radice sanskrita Lak viene il vocabolo inglese luck), quindi la Dea della fertilità, apportatrice dei frutti e dei doni (della terra). Ha l'appellativo di Padma, cioè fior-di-loto, ed è Dea di bellezza. Ora già capisco di più perché tanti indiani si rivolgono con tanto fervore a lei....
Diverso dai tradizionali templi antichi, questo costituisce uno dei primi tentativi di costruire un tempio moderno, in una nuova architettura per l'India del Novecento. In questo senso, può essere interessante.


Fuori c'era un incantatore di cobra sul prato di fianco ai gabinetti pubblici, anche lui sembrava impossibile.

Il Forte Rosso (Lal Qila) è un'altra cosa stupenda dei moghol, con dentro una cittadella, negozi, parchi, moschee, divani per le udienze, un harem (il palazzo "delle perle"). Era stato costruito da Shah Jahan per fondare la capitale, tutto in arenaria rossa, ma non vi poté mai risiedere perché il figlio lo detronizzò e lo rinchiuse nel consimile Red Fort di Agra. 
Di fronte al Red Fort di old Delhi si estende per chilometri il brulichio infernale di Chandni Chowk,  è affascinante vedere così, da lontano, tutta quella massa compatta formicolante. Quell'incasinatissimo vociante gran bazar all'aperto è il simbolo dell'India multietnica, multi-religiosa, multilingue.
A sinistra c'è l'enorme moschea di Old DelhiLa moschea (Jamaa Masjid o moschea del venerdì), del 1650, anche lei in arenaria rossa e in puro stile indo-moghul, con il suo  "altare" (mihrab) rivolto verso la Pietra Nera in Arabia, è seconda al mondo solo rispetto alla moschea della Mecca. Si estende su una superficie di 1200 mq. e nel suo cortile ci stanno 12mila fedeli. Tutti i musulmani dei Paesi del subcontinente indiano, e non solo, fanno un pellegrinaggio fin qui, per vederla.
mie foto in un viaggio successivo


Andiamo in giro per conto nostro a vedere varie cose. Chitli bazar è il quartiere musulmano 
più tradizionalista, con le donne velate da capo a piedi. La tomba dell'imperatore Humayoun del 1557, è pure molto bella.

Invece Digambara Mandir è un tempio dei Jaïn, della "corrente nudista" (digambara vuol dire: vestiti d'aria), che sono anche puri vegani, e qui c'è un ospizio e una clinica veterinaria per gli uccelli malati o menomati, Birds' Hospital (ne curano 30mila all'anno).




A Old Delhi si trova la cucina moghul style, tradizionale, come il dhal, uno stufato di lenticchie rosse, con spezie tipo curcuma e comino, cucinato con olio di sesamo, e con cipolla, cui poi si aggiunge della senape; e il tandoori, che è carne (di montone o pollo) cucinata in una pentola di creta messa in forno (appunto il tandoor, di origine afghana), con una miscela rossa (chiamata masala) che si ottiene col macinino, di varie spezie, tipo cardamomo, coriandolo, cannella, pepe, chiodi di garofano, noce moscata, zenzero e altro. Ma gli indiani in realtà la masala la mettono un po' dappertutto, mangiano anche la mela cruda con su una spolveratina di masala, o il cavolfiore.






NEW DELHI


La parte moderna fu costruita dai britannici per svolgere la funzione di capitale, al posto di Calcutta, che fu pienamente operativa dal 1931. Si sviluppa attorno a Connaught Circus, da cui si dipartono nove arterie rettilinee, grandiosi viali. Tra questi il famoso Janpath, il viale del popolo indiano. Al centro il piazzale rotondo di Connaught Place, con tutti gli edifici disposti in tre cerchi concentrici. 

L'altro punto di sviluppo urbanistico è l'esagono attorno all' India Gate (dove c'è anche il War Memorial in onore dei novantamila indiani caduti nella prima guerra mondiale), da cui parte un immenso Mall alberato, chiamato Raj Path ove a due km di distanza si erge il palazzo presidenziale (già del vice-re british), Rashtrapati Bhavan, un edificio a forma di H con una facciata di 182 metri, e che finisce in un immenso parco retrostante. Gli edifici dell'amministrazione federale fiancheggiano il vialone; e sulla destra in fondo c'è l'immenso palazzo circolare di 171 m. di diametro che è il parlamento Sansad Bhavan. 

Anche le grandi piazze e i grandi viali sono alberati, e vi sono imponenti palazzi o sedi di ambasciate. Tutto molto verde dunque, ma nonostante ciò difficile e faticoso da girare a piedi data l'immensità dell'estensione e la calura della pianura. Ha 280 mila abitanti, anche se sono in  massima parte uffici e ogni giorno convergono qui centinaia di migliaia di impiegati e lavoratori, e utenti. In effetti tutto il Territorio Federale della Capitale è a sè stante, e conta 4,8 milioni di abitanti (comprendendo Old Delhi e New D. e un area su-est).

Poi sfiniti infiliamo la porta di un elegantissimo bar airconditioned. In India nei posti fighi c'è l'aria condizionata che è freddissima, entrare è un colpo al cuore, restare è pericoloso, uscire diventa penoso ma necessario e poi stanno colle luci basse ... ma son cretini?

Andiamo a Connaught Place a fare il visto all'Ambasciata Reale del Nepal, divertente perché il tipo sembrava uno scerpa sceso da poco dall'Himalaya, ancora tutto bruciato dal sole di montagna. Lungo la strada ci offrono cambio nero dei treveller's checks. E droga naturalmente...

A Connaught Place siamo sempre assediati da questuanti, e se non li tratti bruscamente non ti mollano mai più; poveretti, che gran pena. Esser duro ti fa male e ti ripugna, ma non ti mollano più!  mica si può distribuire ininterrottamente (perché è a questo che ritengono che tu sia preposto venendo qui).
Non andiamo a visitare la vicina Birla House (o Birla Bhavan), cioè la ex dimora della famosa ricca famiglia, dove trovò ospitalità il Mahatma Gandhi nel terribile anno 1947, quando i britannici abbandonarono l'India, e lui vi passò gli ultimi suoi 144 giorni, prima di restare assassinato da un fanatico hindu (dieci giorni dopo la mia nascita). Oggi è un museo-memoriale chiamato Gandhi Smriti. 

Facciamo giri assurdi per raggiungere l'ufficio per gli sconti agli studenti sui treni, che sta alla New Delhi Railway Station, ma in un posto impensabile e difficilmente riconoscibile, senza nessuna scritta che lo indichi, con vari percorsi per arrivarci. E diluvia (non piove, diluvia). Scopriamo che ogni sconto per stranieri è abolito dall'anno scorso... Si aspetta ore la tizia, ma ormai siamo nel tempio indiano, aspettiamo ore la tizia. E' capire anche questo.

La burocrazia è veramente sviluppatissima. Si prenota il biglietto del treno da una parte, si va a qualche kilometro di distanza in un altro posto, tutto nascosto da negozietti costruitigli davanti, che neanche lo vedi, e quando riesci a capire che è lì non sai come arrivarci. Vi si accede per un cunicolo (e sopra i negozietti ci sono pure degli attendamenti di poveri cristi!). Lì, ma al secondo piano, si compera il biglietto. Poi lo si mostrerà al conductor al binario e si avrà il posto. Insomma un casino, va bene ?
Connaught Place è l'isola moderna all' europea di New Delhi, richiama tutti gli occidentali, che prima o poi ci passano senz'altro, come una attrazione, forse un ricordo del proprio mondo. Ma anche perché ci sono tanti uffici importanti.
Vicino c'è Jantar Mantar (=strumento di calcolo), un grande e strano edificio astronomico in muratura costruito all'inizio del Settecento. Ci sono pure altri "strumenti" più piccoli, che avevano il fine di aggiornare e precisare il calendario hindu. Curioso, interessante, e anche bello esteticamente.
Paharganj è il quartiere di un gran bazar di fronte alla stazione ferroviaria, dove fra l'altro hanno trovato casa a buon prezzo molti hippies occidentali che si sono fermati qui.

Le infrastrutture per la costruzione degli edifici sono in bamboo e dopo un po’ si piegano tutte, dando anche agli edifici più moderni un aspetto di sfascio, di precarietà, di irrazionalità nella costruzione, che è anche un po’ buffo.
Anche a New Delhi nel parco che c'è nella enorme piazza dell'India Gate c'erano tanti scoiattoli, ma poi in India ne vedremo moltissimi dappertutto, son proprio bellini.
A New Delhi abbiamo fatto proprio le abluzioni con i torrenti e i laghi di acqua piovana, e siamo andati in giro un po' anche apposta per sentire questa pioggia-pioggia monsonica di intensità mai vista; nei sacchi e nei sacchetti di plastica che stavano dentro ai nostri sacchi, e nei borsellini, ecc., si è bagnato tutto proprio il giorno della partenza. 
E poi dopo, tutto puzzerà di muffa.


Alla stazione, mentre chiediamo una bibita ad un bracchino, coperti ancora dall'impermeabile trasparente di quelli che si piegano in tasca, dunque tutti bagnati, con lo zaino rosso in spalla, ci si avvicina un poveraccio magrissimo, vestito col solo straccio interno alla vita e tra le gambe, e con un fagotto alla Chaplin. Tocca un braccio ad Annalisa, dicendo qualcosa. Immediatamente il tizio del baracchino-bar lo sgrida, poi salta fuori dal chiosco, prendendo da sopra il tettuccio un lungo bastone di legno; lo allontana gridando, e gli da un colpo sul petto, poi grida ancora, e gli affibbia un fortissimo colpo sul cazzo. Il poveretto si accascia gemendo. Il barista dice qualcosa ad un poliziotto che è subito arrivato, e dopo un attimo una piccola folla muta è ferma davanti all'uomo che sempre nella stessa posizione continua a toccarsi deve è stato colpito. Sarà questa l'unica scena violenta vista in tutto il lungo viaggio in India...

Alla stazione i coolies (facchini) sono tutti con abiti rossi, e portano pesi pazzeschi. 

    Ciao Delhi.
Andiamo a Udaipur con il "Chetak Express".

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lettera a mio padre, New Delhi 14 luglio 1978:

"Dato che ci troviamo nella grande capitale, provo a scrivere nella quasi certezza che questa lettera di posta aerea, arriverà (magari anche abbastanza presto, essendoci il collegamento aereo diretto Nuova Delhi-Roma). Innanzitutto stiamo abbastanza bene e siamo molto contenti, anche se un po' stanchi. L'India per ora risponde a tutte le aspettative che ci eravamo creati, e ne vale veramente la pena. E' un altro mondo, ma dirlo non significa molto. E' strano ma mentre avrei moltissime cose da dire, eppure dovendo sintetizzare qualcosa nello spazio di una lettera, non saprei cosa dire per non correre il rischio o di banalizzare, o di dire luoghi comuni, o di impressionare con immagini a tinte forti. Oramai si usa dire che esiste un quarto mondo per distinguerlo dai paesi in via di sviluppo benché più arretrati di noi. In effetti se quel che abbiamo visto in Turchia nell'interno, nel Sud Tunisino, e nel Sud Algerino è terzo mondo, questo è decisamente qualcosa di molto diverso. L'impatto col clima è notevole, e in fondo i monsoni che noi temevamo, sono un po' una salvezza. L'impatto con una cultura differente è immediato e palpabile, e si manifesta non solo nella carenza di razionalità ma in tutto un atteggiamento verso la vita, e soprattutto nella religiosità, nel modo di vivere, di sentire il fatto religioso.
La gente che almeno abbiamo incontrato sin'ora, e ne abbiamo incontrata, è di una cortesia notevole; certo in India come in Italia ci sono certi tipi...., ma la massa è più cortese, e soprattutto rispettosa. Il modo di viaggiare che ci siamo scelto e imposto, ci porta a convivere con loro, a fare un po' come loro, a provare i loro problemi, e a parlare molto. E' certamente faticoso, a volte pesante, ma molto gratificante sotto altri aspetti. L'impatto con la miseria è ciò che è più shockante; si tratta di un impatto fisico, fatto di odori, di rumori, di cntatti, di non sapere dove mettere i piedi o appoggiare le mani. E' nauseabondo. Non vuol dire niente dire ho visto una miseria terribile, non è cosa da cui si può rimanere estranei e che si osserva come spettatori disgustati, si è coinvolti comunque: ti ci devi confrontare, e questo ti mette alla prova. Non è soltanto una vacanza, è un viaggio, è una esperienza. In molte occasioni sei posto di fronte a scelte nei confronti di te stesso e degli altri che ti stanno attorno. Ti conosci poi meglio, sia fisicamente che spiritualmente. Un altro aspetto interessante sono i turisti occidentali. Tranne i pochissimi dei gruppi organizzati, che praticamente non incontri mai o con cui non puoi entrare in contatto, ci sono tutti questi giovani hippies (ma si chiamano freaks), ci sono quelli drogatini /o no che incontri continuamente perché sono tuoi simili anche se sono una infima quantità di mosche bianche in un oceano di mosche nere. Ci si unisce, ci si lascia, si ha simpatia, ci si guarda male, ci si racconta, ci si danno informazioni. Gente di tutto il mondo venuta nei modi, nei tempi e con intenzioni tutte diverse. E che dire poi del problema dell' acqua e del cibo, che ci occupa la mente costantemente?"


In effetti non si tratta propriamente di una lettera, ma di un "aerogramma" un foglietto di carta velina ripiegato su sè stesso, adatto come peso alla posta aerea, e con l'immagine del francobollo stampata (in modo da non rischiare che qualcuno tolga il francobollo per poi rivenderlo e butti via la lettera...).


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(il diario continua in successivi Post numerati)

per la lettura completa delle otto puntate su questo viaggio del 1978, vedi:



Pakistan (9.sett.12); poi Amritsar - Old Delhi (5.nov.12); poi Rajahstan - Agra - Benares (6.nov.12); quindi il Nepal (1.dic.11); Calcutta-Madras (24.ott.12); a Goa (25.ott.12); e su Bombay e Elephanta, con il rientro via Karachi ( 26. ott. '12); e infine per le considerazioni post viaggio ( 29 ott. '12).

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