martedì 25 febbraio 2014

viandante & sciamano 2

Dalla presentazione del libro tenutasi l'altroieri alla libreria IBS.


Anita Gramigna:
Sfogliate le pagine di questo libro, e vedrete che si tratta di un libro molto accattivante, si viene sollecitati dal desiderio di andare avanti a vedere di cosa parla, perché incuriosisce. E vedrete che viene la voglia di leggerlo. Intanto è composto da diverse parti: una introduzione di carattere saggistico, un diario di viaggio, dei racconti di stile narrativo, a mio parere affascinanti,  e delle schede con consigli didattici, quindi con diversi linguaggi che si intrecciano... apparentemente sono diversi ma in realtà si richiamano gli uni agli altri, e come? non si richiamano solo dal punto di vista logico, ma anche con ironia. Per cui dopo una prima lettura curiosa e ludica, cui il testo si presta, ecco che ci invita a rivedere alcuni passaggi. Poiché questo libro è spiazzante, ci mette di fronte ad un punto di vista ironico (non solo perché ci fa pure sorridere, ci sono delle situazioni che sono comiche o che non ci aspettavamo) anche perché è ironico nel senso socratico del termine, in quanto ci pone di fronte ai nostri pregiudizi, a dei punti di vista che creano disorientamento. E' per questo che è un libro di pedagogia, proprio in quanto è un testo errante, cioè a dire è un testo che fa dell'errare la sua cifra unitaria. Il concetto dell'errare qui attraversa tutti i registri linguistici. Dal saggio epistemologico, alla raffinatezza dei racconti di Ghila, dove c'è un onirico che ci pone di fronte al tragico della realtà, per non parlare del diario di viaggio, e dell'utilizzo delle schede didattiche. Spiazzante perché a un certo punto ci chiediamo: ma io sono sicura di sapere veramente che cos'è la differenza culturale? veramente sono sicura di capire che cos'è la spiritualità? ma veramente io sono così aperta verso l' alterità?... quindi è ironico in questo senso, così come Socrate metteva i suoi interlocutori di fronte alla loro presuntuosa ignoranza. Ed in questo senso è anche disorientante: dobliamo rivedere i nostri punti di vista. Al termine della lettura del libro io ho sentito questa necessità. 
E' un testo paradossale, ma alla fine ci accorgiamo che offre delle chiavi di lettura, ed in questo senso è errante, perché per certi aspetti le chiavi di lettura sono quelle che ci fanno comprendere che i nostri preconcetti sono errati, sbagliati, sono tutt'altra cosa rispetto alla visione del mondo che presumiamo di avere, almeno restando nel mondo che noi conosciamo nella nostra quotidianità. Ma la nostra quotidianità non è già più quella che era ieri ... ed è ricca di differenze, di varietà di punti di vista. Quindi questo libro contempla la possibilità dell'errore, e dell'errare come strumento di esplorazione. 
Dunque è un libro errante non solo perché ci parla di viaggio, e ci consente di viaggiare leggendo, e ci consente di pensare in modo critico, e anche ironico, sui nostri pregiudizi, ma anche perché valorizza la differenza, e quindi sottolinea anche i propri errori, perché gli autori non fanno mistero del proprio stesso smarrimento ad es. di fronte alla spiritualità abissale e a volte un po' tragica del mondo indio.

E poi ci sono i racconti, che sono scritti con un tono che io vorrei definire contestualmente umile e poetico. Apparentemente semplici, chi scrive sembra non voler dare troppa importanza a quello che vien dicendo, sembra come dire: sì io sono qui, voglio parlarvi del mio mondo onirico, dei miei sogni, delle mie emozioni, ma non prendetemi troppo sul serio, ed è paradossalmente il modo migliore per stimolare a prendere sul serio quel che dice l'autrice. Per addentrarsi in un linguaggio che mentre parla di un mondo altro in modo accattivante, ancora una volta, e narrativo, utilizza con grande spontaneità la metafora con sentimento poetico. Sentimento poetico significa in questo caso offrire una visione alta rispetto a quello che si dice nella concretezza, ma nello stesso tempo poetico anche perché l'autrice in questi suoi racconti si scopre, scopre la sua anima, i suoi sentimenti, la sua visione del mondo a volte forse ingenua, con sentimento, per dirci anche: io sono così, semplicemente così, questo è il mio modo di dirti che ho amato questo viaggio, e che amo le persone che ho incontrato, anche quando hanno scardinato i miei punti di vista. 

Vorrei ora cominciare appunto subito con una domanda, che vorrei rivolgere ad entrambi, ma vorrei partire da Ghila, una domanda su questo senso del sogno, perché questi suoi racconti attingono al linguaggio del mito, e al retroterra della cultura indigena andina, però contestualmente aprono le finestre sul contemporaneo, e sulla vita di ogni giorno (cosa che fa anche il sogno, utilizzando immagini paradossali, ma illuminando la nostra quotidianità). Allora io vorrei chiedere prima a Ghila, ma anche a Carlo che utilizza quando racconta certe esperienze la metafora come uno stratagemma narrativo, volevo chiedere: la dimensione del sogno, non solo nel senso della consapevolezza di una atmosfera onirica, archetipica, ma anche del sogno sognato ad occhi chiusi, quanto e come questa dimensione compare nei vostri scritti? nei racconti di Ghila questo aspetto è più scoperto perché è una scrittura che appunto si scopre maggiormente.  

Ghila Pancera
Nel racconto "Il viandante e lo sciamano" che è quello che da anche il titolo al libro nel suo insieme, è stata in parte una scelta consapevole, e in parte no (perché quando si scrive narrativa non si tratta mai del tutto di una scrittura "programmata"consciamente). Quello che ho capito man mano -ma non sono sicura che fosse un mio obiettivo fin dall'inizio- è che questo racconto non solo è quello che tra tutto quel che ho scritto sino ad oggi, più parla di me (cioè volessi far capire a qualcuno chi sono, gli farei leggere questo racconto) ma per me oltre ad essere una metafora del viaggio, e dunque di una spiegazione di ciò che è per me il viaggiare, parla in effetti anche della meditazione, ovvero di ciò che per me è stata in varie situazioni l'esperienza della meditazione. Quindi in questo senso sì, si può parlare di qualcosa di affiancabile all'onirico. Per cui l'uso delle metafore è dovuto a questo elemento, in quanto parla nel contempo del viaggiare, che non è mai un dato solo fisico. E in effetti in questo senso si fa come autori (e forse si fa fare anche ai lettori) un viaggio che non è solo spostamento fisico, ma anche un movimento in un "territorio" altro, nel senso di un "territorio" denso di alterità.

Il personaggio dello sciamano qui poi allude alla figura reale di Pumaquero, sul quale ho anche pubblicato un piccolo romanzo "Lo stano ospite straniero" (edizioni Albatros - Il Filo), del genere "letteratura per ragazzi",  ispirato a quando venne appunto ospite da noi a Ferrara, ma ovviamente con tutta libertà narrativa, in cui non mancano aspetti di ironia.
E' in vendita nelle maggiori librerie, ma lo si può già ordinare o prenotare (anche direttamente alla casa editrice:  ordini@ilfiloonline.it).

Ghila e Pumaquero a Ferrara
(continua)

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