lunedì 3 ottobre 2011

se i cambiamenti sono troppo veloci...


Diceva la guardia al re di Tebe Creonte: “Nulla o Signore possono gli umani giurare inattuabile: pensiero nuovo rende vana la certezza antica” (Sofocle, Antigone, 2° episodio).
Molte cose stanno cambiando attorno a noi ad una velocità forse eccessiva, tanto che fatichiamo ad abituarci a certe novità, e fatichiamo a renderci conto che ciò che conoscevamo e ciò cui facevamo riferimento, è obsoleto, è tramontato. La società in cui siamo cresciuti appartiene definitivamente e irreversibilmente al passato, e non ci è chiaro dove ci porterà il presente.
Molti dei nuovi campi di interesse dell’attuale dibattito etico, coinvolgono anche problematiche collegate all’identità personale. Il fatto che come umanità apprendiamo a fare nuove cose, per cui si ampliano gli studi di genetica, oppure ad es, si avviano le biotecnologie, o le nanotecnologie, ci fa compiere passi avanti nella conoscenza e rappresenta un importante sviluppo scientifico e culturale, ma il processo sta avvenendo a ritmi sostenuti, le conoscenze si dilatano sempre di più, ma soprattutto si passa a loro impieghi ancora mancando di esperienza e di sufficiente sperimentazione, ed il tutto si moltiplica a una velocità crescente. 
Un grave problema è dovuto proprio al fatto che non siamo forse predisposti ad affrontare così rapidamente imponenti e continui cambiamenti e a fare a tempo ad adattarci ad essi nell’arco di anni della vita individuale. Scriveva Tentori: “La trasformazione rapida, che non conosce la saggezza dei piccoli passi e dei graduali trapassi, produce smarrimento culturale nel dissidio tra diverse concezioni e stili di vita; e provoca squilibrio sociale nel contrasto tra abituali sistemi di organizzazione e nuove esigenze, nuove aspirazioni” (Tentori, 2004).  
L’effetto è ansiogeno e sconcertante, si modifica il rapporto tra l’uomo e l’ambiente naturale e con il moltiplicarsi di megalopoli ipertrofiche si modifica anche l’equilibrio delle relazioni umane. Con la mondializzazione e la globalizzazione economica e finanziaria, ed il boom demografico nei paesi poveri, si causano grandi spostamenti di popolazioni, e si pongono in forse molti equilibri. Nel contempo vengono meno come riferimenti le costruzioni ideologiche dell’otto-novecento, e ci si trova di fronte a problematiche interculturali complesse. Lo sviluppo incessante e graduale del benessere è ora in crisi. Ovviamente si diffondono catastrofismi e paure, ed il destino futuro del pianeta e dell’umanità appare sempre meno chiaro, un “futuro senza volto” (per usare una espressione di M. Mead). Tutto ciò ha importanti ripercussioni sulla formazione e trasformazione delle identità individuali e collettive, e sulla precarietà di equilibri via via raggiunti che non hanno molte chances di consolidarsi. 
Un problema è costituito dal fatto che a fronte di ciò, oggi “non abbiamo alcuna storia, leggenda o mito, condivisa, con cui personalizzarle, renderle intellegibili e quindi credere di influenzarle con le nostre azioni”, il che è fondamentale poiché essa “ci consente di vedere noi stessi nel corso di un viaggio iniziato da coloro che sono venuti prima e di cui condividiamo le storie, e continuato da coloro che verranno dopo, delle cui speranze siamo i guardiani, un viaggio verso una direzione, remota ma intellegibile” (J. Sacks, 2003, pp. 91, 93).

1 commento:

  1. L'uomo si sta dimostrando staordinariamente bravo nell'avanzare "di corsa" in certi ambiti, ma davvero pigro in altri, che non sono accessori, o abbellimenti dei primi, ma necessario supporto, se non addirittura fondamento.
    E' sempre più come se fossimo dei bambini impulsivi al volante di una macchina: abbiamo molto potere decisionale a disposizione, ma non riflettiamo mai abbastanza sulle conseguenze/implicazioni delle nostre azioni.
    Il dibattito bioetico, ad esempio, è innegabilmente esistente, ma si dimostra al momento insufficiente e troppo marginale, mentre dovrebbe essere al centro dell'attenzione, viste le possibilità in campo medico, evolutesi esponenzialmente nell'ultimo mezzo secolo.
    Nel frattempo, il dibattito ambientale, anche se connotato sul tema di "quello che possiamo ancora salvare" è più che altro composto di discorsi su "quello che oramai abbiamo perduto".
    Insomma, siamo bravi a piangere sul latte versato, ma non riusciamo ancora ad avere la mente un passo avanti alle noste mani.

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