sabato 22 ottobre 2011

il punto di vista di Adriana Cavarero

Leggete questa recensione che vi riporto più sotto, di Francesca Di Donato a un noto testo di A.Cavarero, in cui si tratta del tema dell'identità.

Guardate anche sotto:

http://books.google.it/books?id=8T6yAM-ZLBoC&pg=PA55&lpg=PA55&dq=Adriana+Cavarero+identità&source=bl&ots=qYmYShfxBY&sig=3JnAH6m0xLlxdruf5AGzAxJxuhM&hl=it#v=onepage&q=Adriana%20Cavarero%20identità&f=false

e troverete alcune pagine di A.Cavarero estratte da
Voci di donne, a cura di Bianca R.Gelli
Manni editore, 2002
vedi l'intervento di Adriana Cavarero, almeno le pagg. 55-62

di lei vedi anche le interviste alla Rai:
http://www.emsf.rai.it/radio/trasmissioni.asp?d=87
http://www.emsf.rai.it/grillo/trasmissioni.asp?d=182
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Ora ecco la recensione che vi annunciavo:
http://webcache.googleusercontent.com/search?hl=it&gs_sm=e&gs_upl=206810l211570l0l213220l12l12l0l0l0l1l257l2405l0.4.8l12l0&q=cache:9Wdd_2D3b1MJ:http://bfp.sp.unipi.it/rec/cavarero.htm+Adriana+Cavarero+identità&ct=clnk

A. Cavarero, Tu che mi guardi, tu che mi racconti, Milano, Feltrinelli, 1997. 
"Karen Blixen racconta una storia che le raccontavano da bambina. Un uomo che viveva presso uno stagno una notte fu svegliato da un gran rumore. Uscì allora nel buio e si diresse verso lo stagno ma, nell'oscurità, correndo in su e in giù, a destra e a manca, guidato solo dal rumore, cadde e inciampò più volte. Finché trovò una falla sull'argine da cui uscivano acqua e pesci: si mise subito al lavoro per tapparla e, solo quando ebbe finito, se ne tornò a letto. La mattina dopo, affacciandosi alla finestra, vide con sorpresa che le orme dei suoi passi avevano disegnato sul terreno la figura di una cicogna." (p. 1) 
Raccontando una storia tramandata A.Cavarero introduce al tema del saggio e conduce il lettore attraverso le quattro parti del volume - eroi, donne, amanti, narratrici - al tema centrale della sua analisi, ovvero la funzione della narrazione nella ricerca dell'identità.
In polemica col pensiero femminista postmoderno che parla di soggettività multipla, il soggetto per Cavarero è unico, irripetibile e sessualmente definito. 
L'arte del narrare, un'attività secondo l'autrice tipicamente femminile, ha il potere di ricondurre ciascuno alla propria identità e il racconto altro non è che la ricerca da parte del soggetto di questa identità. Contro l'oblio, dunque, la storia del soggetto va in cerca del suo racconto. Tra identità e narrazione c'è infatti un forte rapporto di desiderio: il soggetto desidera il racconto in quanto solo così recupera la coscienza della sua unicità. L'autrice si riferisce in particolare a tre rapporti 'narrativi': i rapporti d'amore, l'amicizia femminile e l'esperienza femminista dell'autocoscienza. "La politica delle donne - ella sostiene- è la relazione fra donne". Le donne nel passaggio da oralità a scrittura sono state vittime della separazione tra verso narrativo e potere definitorio della filosofia. Dalla definizione sono infatti state private del riconoscimento della loro specificità femminile. 
"La filosofia si occupa del "che cosa" (il problema delle definizioni fondamentali) e possiamo chiamare questo "che cosa" l' universale: "che cos'è" l'uomo, "che cos'è" il soggetto e così via. Si può anche domandare: "che cos'è il mondo?", ma, per quanto riguarda gli uomini, la filosofia definisce il che cosa del genere umano in universale, e ritiene la singolarità, l'unicità, questo nostro esistere fatto così e non altrimenti, che in fondo dovrebbe interessarci molto, al di fuori del dominio del suo discorso e dei suoi interessi. Questa espulsione non è stata una semplice espulsione ma ha avuto delle conseguenze abbastanza gravi. L'unicità, ossia il fatto che ciascuno di noi sia un unico esistente così com'è, è diventato un fatto superfluo. Si scrive la storia dell'uomo, si elaborano le scienze sull'uomo, ma su di me, su di te, sull'unicità, su ciò che siamo, di questo non esiste la possibilità di una scienza, non c'è discorso. Tutto questo è il superfluo. Ebbene la letteratura, la narrazione, la narrativa, fa e ha sempre fatto esattamente il contrario. Non penso solo a Karen Blixen ma possiamo pensare anche ad Omero, per esempio. Il narrare storia significa inserire qualcosa e qualcuno in un discorso che è anche memoria. In questo risiede l'unicità dell'esistenza.
Ci si può tuttavia porre la questione del potere di chi racconta. Se "il significato del racconto sta infatti proprio in questo semplice risultare che non consegue ad alcun progetto" (p. 8), e "chi cammina sul terreno non può vedere la figura che i suoi passi si lasciano dietro, gli è necessaria un' altra prospettiva" (p. 10), il rapporto narrativo è necessariamente passivo e al passato. Chi ci assicura che ciò che resta, la "cicogna", debba per forza essere quella e non altro? Se al soggetto resta estraneo il senso del suo agire, significa forse che non è in grado di dare egli stesso un senso alla sua storia? In altri termini, chi stabilisce la verità nella storia? Il narratore, cioè l'autore? Quest'operazione potrebbe risultare pericolosa. A questo proposito basta tornare a Omero e, tralasciandone i racconti dei re e degli eroi, che ci sono noti, soffermarci per un momento su una figura marginale come quella di Tersite. Se diviene necessario, come è possibile contestare il potere di chi racconta? E quali sono i luoghi per farlo? 
Opponendo l'unicità del soggetto alla pretesa dell' universale e identificando quest'ultimo con la totalità, l'autrice rifiuta il potere definitorio della filosofia. In tal modo rimane però aperta la questione della definizione di pubblico e privato, definizione di cui non si possono ignorare i confini senza restarne all'interno e rischiare quindi di ricondurre il senso politico dell'azione femminista ad un'esperienza intima. 
Si avverte dunque il bisogno di mettere in discussione le definizioni, che non possono essere date per scontate: perché infatti l'attività del narrare dovrebbe essere un'attività peculiarmente femminile e, anche ammesso che lo sia, chi l'ha definita tale e perché? Chi definisce infine la differenza femminile e perché?

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