domenica 23 ottobre 2011

una favola di Ermanno Bencivenga



C’ero una volta io, ma non andava bene. Mi capitava di incontrare gente per strada e di scambiarci due parole, e per un po’ la conversazione era simpatica e calorosa, ma arrivava sempre il momento in cui mi si chiedeva: “Chi sei?” e io rispondevo “Sono io”, e non andava bene. Era vero, perchè io sono io, è la cosa che sono di più, e se devo dire chi sono non riesco a pensare a niente di meglio. Eppure non andava bene lo stesso: l’altro faceva uno sguardo imbarazzato e si allontanava il più presto possibile. Oppure chiamavo qualcuno al telefono e gli dicevo “Sono io”, ed era vero, e non c’era modo migliore, più completo e più giusto per dirgli chi ero, ma l’altro imprecava o si metteva a ridere e poi riagganciava.
Così mi sono dovuto adattare. Prima di tutto mi sono dato un nome, e se adesso mi si chiede chi sono rispondo: “Giovanni Spadoni”. Non è un granchè, come risposta: se mi si cihedesse chi è Giovanni Spadoni probabilmente direi che sono io. Ma, chissà perchè, dire che sono Giovanni Spadoni funziona meglio. Funziona tanto bene che nessuno mai mi chiede chi è Giovanni Spadoni: si comportano tutti come se lo sapessero.
Invece di chiedermi chi è Giovanni Spadoni gli altri mi chiedono dove e quando sono nato, dove abito, chi erano mio padre e mia madre. Io gli rispondo e loro sono contenti. E forse sono contenti perchè credono che io sia quello che è figlio di Tizio e Caia e padre di questo e di quello. Il che non è vero, ovviamente: non c’è niente di speciale nel posto tale o talaltro, o in Tizio e Caia. Se fossi nato altrove, in un’altra famiglia, sarei ancora lo stesso, sarei sempre io: è questa la cosa che sono di più, la cosa più vera e più giusta che sono. Ma questa cosa non interessa a nessuno: gli interessa dell’altro, e quando lo sanno sono contenti.
Una volta c’ero io, e non andava bene. Adesso c’è Giovanni Spadoni, che è nato a X e vive a Y e così via. E io non sono niente di tutto questo, ma le cose vanno benissimo.
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(da: La filosofia in 32 favole, 1991).

3 commenti:

  1. Davvero simpatico questo raccontino, e trovo anche che inquadri molto bene la situazione, almeno per come si presenta al giorno d'oggi.
    L'Io é un argomento spinoso, maldigerto dai più, tanto che si fa di tutto per non parlarne.
    Piuttosto, si preferisce nascondersi dietro a facili maschere create dal nome e dall'età, nozioni che non richiedono una ricerca troppo faticosa per rivelarsi.
    Il disagio provocato dalla domanda sull'Io è tale che il protagonista, emblematicamente, si trova costretto dagli altri a tacere a sua volta sull'argomento, conformandosi (in senso negativo) alla moda delle maschere.

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  2. è curioso il paradosso che emerge da questo racconto: quando io sono, non sono per gli altri; e quando non sono più, sono per gli altri. C'è un punto d'incontro tra "chi sono io" e "chi sono io per gli altri"? C'è una soluzione? Per l'autore sembrerebbe di no

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  3. Patrizia mi scrive per mail questo suo commento:

    Leggendo la favola di Ermanno Bencivenga, la cosa che mi è venuta in mente è
    la paura.
    La paura non come sentimento che provoca spavento, ma come paura di doversi
    sottoporre ad una fatica. Mi spiego.
    Preferiamo essere un nome piuttosto che un essere vivente, e questo è l'unico
    modo che abbiamo, spesso, per essere accettati dalla collettività: avere una
    sigla identificativa, un codice, un numero, se ci pensiamo bene.
    Difficilmente guardiamo oltre "i dati anagrafici", che hanno la grandissima
    funzione tranquillizzante per tutti noi.
    Penso che la paura sia più legata al fatto che, trovarsi di fronte ad un
    essere vivente, ci ponga nella condizione di osservarlo con attenzione per
    capire qualcosa di lui, ma per fare questo bisogna investire un po' del proprio
    tempo, un po' della propria attenzione ed anche un po' dei propri sentimenti.
    E' questo che fa paura, in pochi hanno voglia di guardare un pochino oltre i
    dati anagrafici. Allora usandoli, indossando le scarpe giuste, tenendo in
    spalla la borsa giusta, siamo facilmente identificabili e classificabili, tutti
    siamo più tranquilli e disposti a fare sorrisi amichevoli e tutti siamo,
    paradossalmente, più sconosciuti e soli ma con più tempo libero, felici e
    contenti. Oppure no....

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