martedì 14 febbraio 2012

"corso" sulla cultura tradizionale andina kichwa (9)

Riporto alcune annotazioni dal mio diario del viaggio nell'area andina dell'Ecuador (diario che, avendolo postato già il 26 luglio, si può leggere integralmente qua più sotto in questo blog). 
Il nostro primo incontro con Pumaquero a Quito:

 Pumaquero è persona modesta ed è sempre pronto ad ascoltare a ad imparare qualcosa dagli altri. Chi non sa imparare, ci dice, non sa insegnare, mentre chi ha qualcosa da insegnare, vuole e sa anche imparare. 
Ora, così abbigliato, assume un aria un po' particolare: porta una camiciona blu scuro, con un poncho leggero dal vivace colore rosso, a righe bianche con decori, pantaloni leggeri bianchi come il cappello. Questo  suo sombrero (di panno o di lana cruda pressata) ha in cima dei rilievi, che lo dividono in sei parti, e da un lato gli pendono due nastrini che con l'aria producono vicino all'orecchio un fruscio leggero che ricorda il vento, l'elemento aria, mentre dall'altro lato gli pendono due pon-pon (il tutto ha un significato simbolico). Porta una borsettina tradizionale in cui tiene accuratamente certe sue cose; tra l'altro ad un certo punto ha tirato fuori da una piega all'altezza della vita, che stava tra i calzoni e la camicia, una ocarina.
Chiediamo che ci portino qualcosa da bere, e vediamo che ci rimane male per il fatto che avendo chiesto una aranciata gli avessero portato una bibita, quindi diciamo alla signorina che intendevamo dei succhi di frutta naturali, ma lui a questo punto chiede di portagli intanto subito un bel bicchiere di acqua fresca.
Prendendo spunto dall'acqua del bicchiere, ci parla della sacralità della Natura e di tutte le sue manifestazioni, le montagne, i laghi, i ruscelli, la pioggia, l'aria, la vegetazione, le varie forme di vita che si sono sviluppate, ... A questa si aggiungano la sacralità del sole, cioé della fonte inesauribile di luce e di calore, che danno rilievo e colore al mondo, e della luna per tutti gli influssi che essa ha sulla terra e su tutti i viventi. Se dunque recuperassimo il sentimento di questa sacralità, e partissimo da lì per sviluppare la spiritualità e i nostri valori di riferimento, nei nostri comportamenti come esseri viventi, come figli di madre natura, forse non saremmo giunti a questo punto di grave crisi del nostro ecosistema, tanto danneggiato dall'inquinamento da mettere a repentaglio la sopravvivenza di varie specie...
A un certo punto si è interrotto perché dice che in quell'ambiente chiuso gli mancava un po' l'aria, ed ha fatto aprire una delle grandi porte-finestre che danno sull'esterno. Poi si concentra sul bicchiere d'acqua che tiene con entrambe le mani, e beve alcuni sorsi.
Quindi ci dice dei suoi impegni con l'istituto che dirige, denominato "Jatun Yachay Wasi", in kichwa, o Hatun yachana huasi, letteralmente casa del grande sapere  cioè istituto di studi superiori, una istituzione culturale e di insegnamento, chiamata  in spagnolo anche "Universitas de sabidurìa ancestral", che lui e altri hanno fondato alcuni anni fa.
E' molto entusiasta del successo di questa iniziativa, che è diretta ad una operazione di recupero culturale e di valorizzazione di quanto di orginale c'è nella tradizione dei popoli aborigeni, e poi vi si promuovono gli studi e le ricerche sulle concezioni specificamente andine, cioè peculiari della cultura degli "indigeni" (oggi non si usa più dire indios). Inoltre in questo modo si diffondono e si coltivano le tradizioni più antiche che altrimenti stavano per essere dimenticate. Ad esempio ci accenna alla festa per il solstizio di giugno, che nel calendario lunare incaico ( o come dicono qui: incasico) è una giornata "libera" dai 13 mesi dell'anno; lungo tutta la cordigliera andina, dalla Colombia sino al nord del Cile, gli indigeni danzano per festeggiare e ringraziare che l'asse terrestre abbia questa inclinazione di 23° gradi e 27', poiché è da questo fatto che nasce la vita così come la conosciamo. 
 Ghila gli chiede esattamente che corsi ci sono in quell'istituto, e lui ci dice che si tratta innanzitutto di far conoscere e praticare la Medicina tradizionale. Quindi uno studio dei vegetali, delle loro proprietà, dell'influsso lunare , dei principi attivi presenti in ogni pianta, di come lavorarle per trarne beneficio. Ed egualmente per i minerali, e gli animali. Ma poi anche si tratta della cucina, del modo e delle motivazioni per cucinare i cibi in una certa maniera. Per cui è importante raccogliere tutta la sapienza medica locale, sia a fini curativi che di tipo preventivo. Pertanto in questo settore vi sono anche corsi per saper fare promozione della salute, svolgere una attività di consultorio a indirizzo individuale e famigliare, ma anche spiegare i campi nei quali i rimedi tradizionali non possono rispondere alle esigenze di salute di tutti. Alla fine si da un diploma di tecnologo terapeuta, ma sempre con una preparazione specifica relativa ai concetti di equilibrio e di squilibrio energetico, a livello individuale, famigliare, comunitario o ambientale, basati sulle concezioni e sui principi della medicina tradizionale delle Ande. 
In secondo luogo ci sono corsi di Agropecuaria, relativi all'agricoltura, orticultura, allevamento, che si basano anch'essi sulle concezioni tramandate dall'epoca incaica. I saperi relativi alla Madre Terra (Pachamama) e ai frutti che da, e alle necessità di curare e mantenere un equilibrio a livello ecologico e ambientale, in modo da operare in maniera e misura sostenibile per lo sviluppo e l'ottimizzazione del settore primario dell'economia andina. Quindi tenere sotto controllo l'erosione dei suoli, non praticare in modo indiscriminato la deforestazione dei territori, o lo sviluppo abnorme delle strutture industriali e urbane, ecc. Ma anche favorire  pratiche di coltivazione, semina, raccolto, e allevamento che si rifacciano ai principi della cosmobiologia andina. La cura del chaqra, del luogo di crescita, fa sì che quando il seme muore rinasca come pianta, o che il cucciolo sviluppi pienamente le sue capacità da adulto.
Poi c'è un area dedicata ai saperi relativi all' habitat, quindi rispettosi dell'ambiente, delle tradizioni e stili architettonici e artistici di costruzione peculiari del contesto ambientale e culturale, e anche delle motivazioni relative al loro orientamento, all'arredo, ai materiali utilizzati (naturali e biodegradabili, ma anche dello stesso territorio, in modo da essere partecipe delle stesse vibrazioni energetiche), così da poter poi "ritornare" a madre natura, perchè una abitazione prima o poi deve reintegrarsi con la terra, eccetera.
Infine un settore dedicato alla promozione e alla difesa in campo sociale delle comunità indigene, quindi in questa area si compiono studi di carattere sociologico, economico, giuridico, politico-amministrativo, basati sui principi di giustizia, e sull'etica specifica delle culture andine. E anche per dare le capacità di ideare e realizzare progetti di sviluppo ecosostenibili e fondati sullo scambio equo e solidale. In una comunità è fondamentale il tema della giustizia. Ogni persona è interdipendente e sociale. Cruciale è saper gestire la mediazione comunitaria. Per raggiungere una conciliazione dopo un episodio dirompente, è imprescindibile lo stare faccia a faccia, ma è difficile da gestire, ci vogliono persone qualificate, preparate, e che si siano sapute conquistare rispetto e autorità nella comunità per poter mediare. Perciò sin da ragazzi (sopra i dodici anni) il percorso di iniziazione deve condurre all'esercizio della governabilità. Attraverso la pratica ognuno deve imparare a prendersi cura di sè e autogestirsi, facendo esperienze.
Queste dunque in breve le quattro branche, o rami dell'istituto, che quindi è dedito al recupero, alla conservazione, e diffusione dei saperi tradizionali affinché la cultura (e quindi in primo luogo la lingua, o meglio le lingue aborigene) non vadano disperdendosi, ma anche affinché siano rinvigorite, rinnovate e poste in grado di prendere parte al mondo moderno, per dare un impulso allo sviluppo di una nuova coscienza tra gli indigeni, di un nuovo atteggiamento di rispetto da parte della società attuale nei loro confronti, e di predisporre ad una visione più olistica delle problematiche di sviluppo che si armonizzi con il rispetto di madre natura.

Pumaquero ne è da qualche tempo il Rettore, e questo impegno lo ha fatto conoscere e apprezzare, per cui ora è un punto di riferimento non solo per le comunità andine, ma anche per gli "altri", per il mondo della cultura, della amministrazione pubblica, e della politica a livello nazionale ecuadoriano. E' stato autorizzato dal consiglio della sua comunità indigena Puruhà (che vive nelle aree centrali della valle tra le due cordigliere quella Reale e quella occidentale) a conferire il bastone simbolo di saggezza e quello simbolo di comando. Ad esempio lo ha dato all'attuale presidente della repubblica ecuadoriana... Tuttavia come dicevo prima è persona semplice e alla mano.
Ci dice che nella concezione ancestrale del tempo, esso era visto come una successione di epoche, o fasi, detti Pachakutin, che significa rifacimento, ritorno, ricorrenza, e da poco è terminato il periodo oscuro, per cui ora sta iniziando (ritornando) un periodo (il decimo) di luce e di rinascita.
Tanto ha parlato e si è intrattenuto con noi a rispondere alle nostre domande e a spiegarci tante cose con pazienza, sorriso, e passione e impegno, che si è scordato di un appuntamento di carattere politico che aveva e per cui era venuto a Quito... Ci dispiace moltissimo, ma a questo punto gli chiediamo se vuole pranzare con noi da qualche parte. Gli fa molto piacere, anche se ci pare di capire che il suo particolare vegetarianesimo gli potrebbe porre dei limiti.
Andiamo dunque a pranzo. Anche qui notiamo che prima di bere un bicchiere d'acqua lo tiene tra le due mani e si concentra un attimo, ci dice che l'acqua è yucumama, è un elemento sacro, e che quindi lui fa un ringraziamento di accoglienza delle sue proprietà benefiche prima di assumerla. Ordina un brodo di verdure, e poi della frutta, ma fa alcune raccomandazioni al cameriere. Parliamo del vegetarianesimo, e Ghila gli fa notare come una contraddizione il fatto che lui ci abbia detto che nelle sue pratiche di cura (aveva appena ricevuto una chiamata al cellulare da una sua paziente e amica) fa uso di quegli animalini tipo porcellini d'india che qui si chiamano cuy, perchè dicono che il loro corpo è molto sensibile a certe infermità o malattie, e che dalla loro reazione, passando un cuy scuoiato lungo tutto il corpo del paziente, si può diagnosticare il male e il suo grado di gravità. Ma lui non aveva mai considerato la questione di incongruenze con la scelta vegetariana, e dice che ci rifletterà, ma che crede che in quel caso il cuy stia offrendo il suo corpo per aiutarci, e che questa è una sua destinazione positiva nel mondo. 
Poi pranzando ci dice che oggi è il giorno in cui Correa (che lui nomina come Rafael) assume il suo secondo mandato presidenziale e che anche lui era invitato alla celebrazione di investitura nello stadio olimpico, come rappresentante della sua comunità. Restiamo esterefatti e ci sentiamo un po' in colpa per averlo distratto così tanto, ma lui è molto sereno al riguardo. Ha molto apprezzato le numerose e schiette domande e perplessità di Ghila, e le nostre riflessioni, mie e di Annalisa sul rapporto tra particolarità e universalità di un messaggio, e sulla educazione. 

Secondo incontro, a Latacunga:
Alcuni giorni più tardi andiamo a Latacunga, dove in una trattoria ci fermiamo a chiacchierare con dei giovani. Uno di loro accennava a questa fase di "recupero" della identità aborigena andina attraverso la scuola elementare, ma anche i corsi per adulti, e i risvolti culturali delle attività sociali e sindacali. Mi fa tornare in mente alcune pagine che leggevo l'altro giorno in un libro preso alla Libreria "Abya Yala", sugli "equivoci" della "pretesa" di "insegnare la cultura". L' autore, José Sanchez Parga, trattando della educazione interculturale di base bilingue (EIB) che da ormai molti anni si è introdotta nelle aree a maggioranza indigena, esponeva i suoi "dubbi pedagogici"  relativamente alla sperimentazione sino ad allora svolta (tra il '91 e il 2005) nelle zone rurali della Provincia del Cotopaxi, diceva che l'insegnamento in kichwa era stato subordinato e condizionato ad un supposto "rafforzamento" dell'identità culturale, inteso semplicemente come una incorporazione di certi contenuti culturali nell'istruzione, cosa che è a suo parere ben lungi dal garantire "effetti di interculturalità". Come se il solo fornire nozioni culturali -scrive- fosse sufficiente per "fomentare" l'interculturalità, o darle impulso, perché si possa in tal modo "produrre equità ed eguaglianza" tra le diverse culture del Paese (le virgolette si riferivano al testo della precedente Costituzione di dodici anni fa). Mentre, dice Sanchez, le culture sono effetto della società e non dell'istruzione, e le culture sono qualcosa che esiste solo interculturalmente in quanto l'interculturalità, ovvero le relazioni tra culture, sono la forma di essere, di esistere e vivere di ogni cultura. Pertanto saranno gli attuali sviluppi sociali, le attuali linee di tendenza della società moderna ciò che produrrà i cambiamenti culturali, e darà impulso alla perenne trasformazione dei contesti culturali. La cultura è un prodotto e non qualcosa a sé stante che possa essere insegnato e impartito. Se ci si limitasse a questo allora si ignorerebbe la forza dei processi culturali, che sovrasta qualsiasi iniziativa conservativa per frenare i cambiamenti. Già questi primi pochi cenni ci possono dare un'idea del grande dibattito in corso sulla operazione di recupero e salvaguardia, ma soprattutto di rivitalizzazione, della cultura andina, che forse è stata riferita piuttosto alla cultura materiale, e a quello che fu il patrimonio culturale originario del mondo indigeno della sierra (?).
Ci re-incontriamo con Pumaquero, ma delle sue conversazioni ho già riferito in un altro post (oltre che nel diario).



Terzo incontro a Riobamba:

partiamo e facciamo un percorso su strade minori, le carreteras interparroquiales, attraversando Qero, e arriviamo infine a Riobamba (2750m). Ci reincontriamo con Manuel Pumaquero, che ci porta dopo Cajabamba, verso la Laguna di Colta (3180m). Intanto si schiarisce il cielo e vediamo Taita Chimborazo, vulcano di 6310 m. largo 20 km. il cui nome significa "re della morte" (certo tra quei ghiacciai, e a quelle altezze...). Andiamo a visitare la chiesetta di Balbanera, prima chiesa cristiana in Ecuador, costruita sopra quella che era stata una fonte sacra di acqua. In paese ci sono anche un monumento a Condorazo ultimo re dei Puruhà, e uno alla principessa Paccha. E poi ci mostra certi resti antichi inglobati in case, chiese, muri di Colta; ci fa anche notare una piramide di terra a gradoni sulla cima di un monte (ora costellata da antenne-ripetitori!!) e varie collinette naturali o artificiali (che si chiamano pukara) usate anticamente per cerimonie o come centri di studio e insegnamento da parte di maestri.
 C'è anche un paesino dove vivono i discendenti degli sciamani di un tempo. E infine visitiamo il suo istituto Jatun Yachay Wasi, con le sue coltivazioni, il suo laboratorio, le serre, le aule, gli animali. Vari studiosi delle antiche conoscenze andine, tra cui anche universitari, hanno contribuito alla fondazione. C'è stato anche l'avvallo e il supporto dell' Orden Andina de la Sabidurìa. Qui in vari punti del vasto prato circostante compiono atti rituali, commemorazioni, cerimonie, dibattiti, premiazioni, consegne di titoli,  meditazioni, accendono un falò e si radunano attorno per canti, eccetera. Nel suo ufficio di direttore, c'è uno strano quadro molto simbolista, è di una pittrice tedesca, ora defunta, che era una autorità nel campo degli studi sulle culture andine. Poi ci fa vedere che tiene un tamburo particolare per eventi ritualistici, con un timbro profondo e produce una sonorità molto intensa, con vibrazioni prolungate. Ha un bastone rituale con penne di condor e di kuriqingui (un uccello andino più piccolo), che viene consegnato in certe occasioni accompagnate da offerte ad es di frutta, come un simbolo che conferisce la facoltà di dirigere, amministrare, ordinare, controllare, aiutare, accompagnare la propria gente. In una speciale borsa fatta come un tascapane, tiene una grande conchiglia che si può suonare col fiato, e produce un suono potente ad un notevole volume, per cui si fa udire in un vasto raggio e sovrasta altri suoni e rumori. Bisogna però prima "riscaldarla" con dei rintocchi che la facciano vibrare. Il grande Pachakamaq ha fatto tutto con questo suono e con la luce; questo è il suono primigenio. E ce lo fa sentire, poi la mette nel borsello e la riappende al chiodo che intanto era venuto un po' fuori dal muro, e quindi col peso si stacca e la conchigliona cade finendo con un rumore secco sul pavimento ! lui subito si scusa con la conchiglia, la carezza e le parla. Anche noi ci siamo rimasti male, e ci sentiamo dispiaciuti per l'accaduto.
Poi ci mostra lo stendardo andino con i colori dell'arcobaleno (arco Iris) a quadretti diagonali; il rosso è nella diagonale centrale, mentre in Bolivia lo è il bianco, e in altre zone altrove, in quanto le diagonali scorrono e cambiano posizione turnandosi al centro. Esso è presente in tutte le cerimonie e occasioni pubbliche. Quindi ci mostra un sasso molto antico proveniente dal Lago Titicaca, il paese di origine delle culture aymarà e quechua-kichwa. Dice che quando è necessario "lavorare" col suono, e le vibrazioni, per sanare le persone (non per curarle), la si percuote ritmicamente con una certa altra pietra della stessa origine. Poi ci mostra un grande quarzo con un bellissimo interno, e dice che il quarzo è come l'ovulo, il seme, della Terra, quindi quando lo rompono, PachaMama ne risente. Anche questo è un potente sanatore. Poi mostra vari bastoni che si scuotono e si fanno battere tra loro, e che provengono da arbusti differenti, sia maschili che femminili. questi infilati in anelli di metalli vari lavorati, producono vibrazioni che vanno accompagnate con cantici, e anche di questi ce ne si serve per sanare, durante atti e cerimoniali di sanazione. 
Usciamo all'esterno, nel cortiletto in mezzo c'è un leggìo di pietra che fa come da pulpito per prolusioni, proclamazioni, discorsi pubblici. C'è scolpito come un gran librone aperto con incise delle iscrizioni, ma va prima bagnata la superficie del lastrone e strofinata con il palmo della mano, per poter poi vedere e leggere la scritta. Lui è molto orgoglioso del fatto che nelle Ande sia nata e abbia fiorito la cultura umana, e che proprio qui in vista di taita Chimborazo, e della sacra laguna di Colta sia sorto per la prima volta in Ecuador questo istituto per studiarla. Quindi ci porta a vedere l'aula grande, che porta su una parete la raffigurazione affrescata della Sabidurìa, del sapere, della sapienza, ed è interessante notare che tutte le culture l'hanno sempre rappresentata come una donna. Sopra c'è la figura di un alpaca con il Runa (l'essere umano) andino che va verso la presa di coscienza, di consapevolezza. Sulla parete di fronte c'è una raffigurazione del simbolo e sigillo dell'istituto, con la prima sua denominazione, Hatun Yachana Huasi, che è racchiuso in una corona con due fiori chuguirawa (una pianta amara curativa), un alberello kishwar che è già cresciuto abbastanza per essere considerato un "vecchio saggio", poi ci sono due serpenti piumati (Amaru, anch'essi rappresentano l'antica sapienza), e un condor che attende di venire nutrito dai due serpenti, e più oltre Inti, il Sole, e attorno l'uovo che è come il seme della Umanità. Il tutto forma una corona Maskapaycha con i simboli dei due uccelli andini kuriqingui e pettirosso, cioè sapienza e coraggio, che è la corona che veniva conferita ai grandi sapienti. L'insieme in pratica è come una sorta di mandala andino.

Sul pavimento di parquet ci sono dei tappetini e stuoie di paglia che servono per sedersi o sdraiarsi a fare gli esercizi psicofisici del cuyuri (il cosiddetto yoga andino). Sono anch'essi di una paglia locale perchè altrimenti le vibrazioni delle loro energie non sarebbero in armonia, dato che anche le stuoie partecipano alle vibrazioni generali. In un angolo vediamo un alto braciere (di bronzo?) che si usa per accendere il focolare sacro durante certi atti rituali. 
Usciamo fuori, dove c'è una copia in piccolo della piramide ellittica tronca di terra, che c'è sul monte Puñay, una semiovale a gradini di terra ricoperta di prato, con una radice di legno tagliata per poter far sedere in centro chi parla o gestisce l'evento. Un orto circolare suddiviso in settori da pietre bianche, a disposizione come laboratorio perchè gli studenti sia di agropecuaria, che di medicina possano apprendere a seminare e accudire le piante curative, e a fertilizzarle in modo naturale (ma ciò implica anche una serie di conoscenze di carattere generale della concezione del mondo e dell'uomo basata su una rete energetica). Ci sono spazi vuoti per consentire alla terra di riposare a cicli. Prima di dedicarsi all'orticultura si pronuncia o si pensa una orazione per chiedere il permesso alla terra di lavorarla e coltivarla. In queste occasioni bisogna che le parole dette a voce o mentalmente siano dette col cuore (per la medicina andina nei mammiferi ci sono quattro cuori, i due più importanti sono quello rosso, e il rognone, o rene, che è il primo eventuale sostituto del cuore rosso, ad esempio durante gli infarti). 
E infine dall'altra parte del campo c'è una sorta di "labirinto" o percorso a spirale, o vortice, o a sezione di conchiglia caracol, costituito da alberi, piante, arbusti autoctoni coltivati e curati da loro (si inizia con l'albero "della carta" che si squama, il pachamanka), che porta ad uno spiazzo (dove c'è anche una struttura di bastoni a forma di piramide con sopra dei teloni, dentro cui potersi isolare e raccogliere momentaneamente), dove ci fermiamo a meditare con una bella falce di luna splendente proprio dinnanzi al prato a gradoni dove ci si può sedere a semicerchio. Oramai sopraggiunge rapidamente il buio, che qui in campagna è totale. Restiamo a lungo in silenzio ad occhi aperti ad ammirare le silhuettes degli alberi e il riflesso d'argento sugli specchi d'acqua. Ci rimarrà una bella sensazione e un forte ricordo di questa serata. 

Il nostro incontro programmato di nuovo a Riobamba al nostro ritorno dal Sud, non riesce, quindi il quarto incontro sarà di nuovo a Quito prima della nostra partenza:
ci incontriamo di nuovo con Manuel Pumaquero, che era a Quito all' Instituto Intercultural Amautay Wasi. Lo aspettiamo, ci sediamo sul prato del parco di fronte, c'è molto vento, (...).
Manuel Pumaquero ci racconta che quando lo cercavamo a Riobamba, lui era stato via alcuni giorni con tre amiche, dormendo in tenda in una foresta sacra durante i tre giorni e notti di luna piena ! Un bosco di arrayanas, ce ne sono ancora solo altri due nel mondo. Dice che hanno fatto delle cerimonie presso dei resti antichi, e che lo spirito della montagna gli ha parlato. Gli diciamo che noi poi eravamo andati al Pasochoa, dove c'è il colibrì dal becco lunghissimo, ma che ovviamente non abbiamo visto. E allora lui dice che Tulcàn el kindi, cioè quel colibrì col becco più lungo, è un animale sacro ed è per loro un simbolo culturale, è rappresentato in quel famoso disegno gigantesco che si trova nella pampa presso Nazca. Gli diciamo anche di quando eravamo al mercato del bestiame fuori Otavalo, e si vedeva taita Imbabura con delle nuvole sulla cima, tutte rosse per il sole che sorgeva dietro, uno spettacolo affascinante, e lui dice che si chiama uruchungar quel "fuoco" delle cime dei monti, che appunto segnala la presenza dell'Apu, dello spirito della montagna. E che secondo le leggende in quelle occasioni i monti a volte si scambiano espressioni di vita (cioè mandrie, greggi, uccelli...!). 
Vede che giriamo con una sportina di plastica e gli dico che ci portiamo dietro dei giocattolini da regalare ai bambini poveri, e che a volte persino dei ragazzi grandicelli che fanno i lustrascarpe li hanno presi ed erano tutti contenti come fossero dei bambini. Ci dice che lo può ben capire perché anche lui da ragazzino ha fatto quella vita per più di un anno gironzolando da mattina a sera come un vagabondo per le strade, con la sua cassetta di legno per lustrare le scarpe, ma era così che si guadagnava da vivere...Penso allora a quanti sacrifici ha evidentemente dovuto fare per studiare e per conquistarsi la sua professionalità.
Poi lo accompagnamo in una allucinante corsa in taxi fino al Terminal Sur che sta fuori città, modernissimo, enorme, sperando che questa volta non perda un appuntamento importante che ha a Riobamba. Ci saluta con grandi abbracci e ci da sul palmo della mano sinistra alcune foglioline di "coca madre" da lui stesso raccolte, che tiene in un piccolo sacchettino apposito, la chuspa. Ciao Manuel, yupaichani! grazie. Speriamo di rivederci! 

carlo_pancera@libero.it

Sul nostro viaggio in Ecuador e sugli incontri avuti con Pumaquero, ora si veda il libro "Il viandante e lo sciamano", pubblicato dalla Este-Edition di Ferrara, con una prefazione e con note di commento al testo (e con tre raccontini di Ghila).

Un racconto per ragazzi, liberamente ispirato al soggiorno di Manuel a casa nostra è stato scritto da Ghila, e pubblicato col titolo "Uno strano ospite straniero" edizioni del gruppo Albatros - Il Filo, di Roma.

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