lunedì 13 aprile 2015

3) viaggio in Colombia, al Sud (Popayàn 1)

sabato 28 febbraio
Eccoci già arrivati, l'aeroporto è vicinissimo alla città.
Sono maniaci dei suffissi diminutivi ed è tipico colombiano usare la finale in -ico, oltre che in -ito: un momentìco, un puestìco, un frutico, las galleticas, el mercatico, las torticas (un momentino, un posticino, un piccolo frutto, i biscottini, il mercatino, le tortine), e così via. Stiamo in un albergo coloniale confortevole vicino al centro ("La Herreria", quasi 20 €uro a notte un'ampia camera doppia con bagno, con tasse e le due prime colazioni incluse; una occasione per le prenotazioni dell'ultimo momento via internet. Altrimenti stando ai prezziari ufficiali sarebbe 50€ tariffa piena, e 90€ in alta stagione), 

così uscendo, sia verso destra (in salita) che verso sinistra, prendendo el puente del Humilladero, e facendo solo due passi si è in piazza. 

La città, di circa duecento mila abitanti, è totalmente coloniale o in stile coloniale, e ha le facciate tutte in calce bianca (per cui è chiamata la ciudad blanca). Gli edifici sono quasi tutti con un solo piano superiore (qui chiamano "primo piano" il piano terra, e "secondo" il piano rialzato), e molti sono i balconi, le terrazze e le verande e loggette in legno. Fa un effetto armonioso e gradevole, una intera città tutta con uno stile uniforme. 
La città è tra le prime fondate nella colonia (nel 1537),

ed è il capoluogo del departamento (regione) del Cauca, chiamato così dato che dalle pendici della cordigliera centrale ha la sua sorgente il rio Cauca, uno dei fiumi più importanti del paese, che attraversa per intero. La città sta a 1760m di altitudine, ed è nella larga vallata tra le due catene centrale e occidentale, quindi nell'arteria nord-sud della Panamericana, quasi parallela all'altra vallata dove è Bogotà, e infine il dipartimento dà sulla costa dell'Oceano Pacifico. Una specialità che qui fanno molto bene sono le empanaditas de pipiàn, un antipasto (o una merendina) delizioso, si tratta di piccoli bocconcini impanati, fritti e croccanti (ci sono anche dei tamalitos de pipiàn se racchiusi dentro una foglia di pannocchia e cotti al vapore) ripieni di carne di pollo un po' piccante per il peperoncino (ajì) e in salsa di arachidi manì (da noi note come peanuts ovvero anche spagnolette o noccioline salate); certi dicono che forse il nome del luogo potrebbe derivare proprio da pipiàn (o viceversa, che il nome del cibo derivi da quello della zona?).

Come in moltissime città sudamericane le piazze si chiamano parque perché hanno sempre un piccolo parco o giardinetto al centro. La grande piazza principale qui si chiama Parque Caldas, dal nome dell'allievo di Humboldt, ed ha molti begli alberoni secolari. 


Arriviamo e vediamo che c'è parecchia gente, 

vari baracchini di venditori, specie di granite alla frutta, per cui hanno un trita-ghiaccio a ruota con una manovella.

Si affacciano sulla piazza: la basilica cattedrale, il teatro, e la Torre del reloj (torre dell'orologio), larga, bassa e tozza ma bella. 

Abbiamo un po' fame e andiamo subito alla tienda de café (negozio e bar) "Juan Valdèz"(una catena nazionale di bar), dove prendiamo un panino imbottito, un croissant al formaggio, un piattino strano e una gran coppa di frutta, per otto €uro e mezzo, prezzi dunque più economici che a Bogotà.  
C'è in un lato del piazzale un signore muy gordo (molto grasso) che canta stando seduto sulla sua sedia a rotelle. Dario Garcìa, deve essere un personaggio noto se ha attirato tanta gente. Canta bene canzoni di tipo tradizionale folklorico, dai testi strappalacrime, ma con una bella voce. Lo accompagna un amico veramente bravissimo con la chitarra classica. Bella accoglienza, eccoci subito "in situazione". Compro un suo cd. Come sempre in questi casi lo "spettacolo" è anche stare ad osservare la gente. 



Ma poi scroscia il diluvio. Eravamo nell'ufficietto di informazioni turistiche, dove poco prima di noi è entrato un gruppone di ragazzi delle scuole superiori in gita che devono raccogliere informazioni per il tema che dovranno scrivere. E restiamo bloccati lì, tutti accalcati. I ragazzi ci fanno delle domande vedendo che siamo stranieri (gli unici oggi in piazza). Pur piovendo a dirotto non fa freddo. Lo scroscio dura molto a lungo, siamo stufi e stanchi di stare in piedi.  Quando si trasforma in una pioggia normale corriamo addossati lungo i muri in un locale all'angolo opposto che è un panificio-pasticceria, collegato a un locale che fa da creperia e loncheria, con vari piatti, involtini, pizza e fette di torta, il nome è una sigla, Cuaresnor, ci torneremo.
Torniamo in albergo, a cambiarci, e intanto prenoto via internet per la prossima tappa.
Infine, venuto buio (poco dopo le sei), usciamo a fare un giretto, e poi andiamo a cenare, come ci aveva consigliato il ragazzo di turno alla ricezione, a "La cosecha" (il raccolto) -"parrillada" dato che fanno molti piatti alla griglia, all'angolo con la carrera séptima, dove io prendo arroz con pollo, che è una gran scodellata di riso giallo con pezzetti di pollo, moltissimi piselli e carote, e salsa dolce.

La mattina dopo vediamo dalla terrazza molte aquile, o falchi, che fanno circonvoluzioni con ampi giri in alto nel cielo.

Nel riconoscerci a vista come stranieri, tutti sono molto gentili e disponibili a dare indicazioni o spiegazioni e a rendersi utili, come dicevo anche nel Post su Bogotà. Leggevo prima di partire, che già nel 1963 Angelo Franza (nel suo capitolo sugli usi e costumi in Colombia, vol. XI dell'enciclopedia geografica "Il Milione"), scriveva che "i tratti comuni più evidenti sono dati dalla grande cortesia"; e così commentano nei Diari su internet vari viaggiatori indipendenti negli ultimi anni. Può sembrare sorprendente, dato che in mezzo ci sono state terribili esperienze di guerra civile e violenza -che si possono lèggere nelle interviste raccolte da Silvia DeNatale ("Mille vite", ed.Feltrinelli)-, ma è confermato da tutti quanti ci sono stati di recente. E così è pure con i payaneses (gli abitanti di Popayàn).
Andiamo a cercare una farmacia, e entriamo in una che non ha quello che cerchiamo e poi in una droguerìa che è una specie di parafarmacia e con prodotti da banco e di sanitari, questa è ben fornita, fa parte della catena "Servi Drogas".
Passeggiamo lungo la calle 4, e incontriamo ogni tanto degli indigeni (o Guambianos, o Coconucos o Puracés o altri della regione del Cauca) che scendono giù in città per incontri o per acquisti, molti sono vestiti con il proprio costume tradizionale.











Entriamo in un vecchio "centro commerciale" che consiste semplicemente in un insieme di singoli negoziati tutti attaccati tra loro.
Ci sono varie corriere che arrivano e che partono in continuazione, e varie busetas. Si incontrano anche cavalli con carretto, e asinelli.





Sui muri vediamo varie scritte e disegni murales.
Ci sono insegne di negozi di prodotti per la medicina naturale indigena.


Giriamo per un po' ma il sole è molto forte, e cerchiamo di procedere nel lato in ombra dove si sente un po' d'arietta (certe persone usano il parasole).

Ritorniamo in piazza alla "Cuaresnor" che porta pure l'insegna di Panificadora, e la pubblicità del pan de Tolima. Qui prendo una crèpe ripiena con pollo, uvetta, e ananas. La cassiera corre tutto il giorno di qua e di là per espletare differenti incombenze (è cassiera, porta le ordinazioni già pagate in cucina, pulisce i tavolini, fa la cameriera…); da noi direi che non si dovrebbe abbandonare troppo la cassa incustodita…
Poi restiamo lì a lungo, a parlare con casa via Skype, e a vedere le offerte per le prossime tappe su internet, ecc. sorseggiando una cioccolata.
Anche questo pomeriggio c'è un diluvio, ci avviamo col taxi in periferia ed entriamo nel grande moderno centro commerciale El Campanario, che è strapienissimo di gente, essendo domenica. Vediamo alcune giovani indigene vestite "moderne" (che si riconoscono comunque dalla pelle, dai volti, dal modo di comportarsi, e certe anche dal nasone prominente). Non-luogo allucinante in cui si gioca a fingere di essere negli usa.


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