venerdì 11 ottobre 2013

Bali 7 (dintorni di Ubud)

SESTO GIORNO
seguito di lunedì 9 nei dintorni di Ubud

A questo punto ripartiamo per visitare la famosa Goa Gajah, cioè la grotta dell'elefante, vicino a Bedulu. Si scendono alcune decine di lunghi gradini, una cinquantina,

e giù sul fondo valle c'è uno spiazzo davanti alla parete di roccia della collina dove c'è una apertura scavata, e con i bordi dell'ingresso ornati con figure in bassorilievi scolpiti,


da lì con una stretta galleria oscura si arriva ad una nicchia con Ganesà, e un'altra con tre lingam addobbati, di Siwà. Il contesto fa un po' impressione e si rimane in silenzio.

Nella grotta c'è una bimba che prega intensamente e che poi rivedremo fuori che farà le solite piccole offerte di cereali e frutta. Il sito era stato nel tempo abbandonato e si era ricoperto di terra e vegetazione, sinché non fu riscoperto nel 1923, gli scavi procedettero nel 1954 portando alla luce un bacino sacro e vari piccoli tempietti e padiglioni.
un altarino col trono vuoto, che di fatto è un nido di api

Da qui poi volendo si potrebbe proseguire sul fondo valle lungo un sentiero nella fitta vegetazione sino ad un paio di statue di Buddha, anch'esse riportate alla luce da non molto.

Ritorniamo su un po' a fatica e poi riprendiamo ad attraversare la campagna per andare a vedere altri centri di artigiani. Le piante che si vedono sono a volte strane ma sempre belle.
Vediamo laboratori di monili in argento, e diversi negozi che vendono grandi acquiloni dai colori sgargianti, a forma di uccelli. Dopo averci fatto un po' di domande Madé Chandra ha capito molto bene che cos'è che ci interessa di più, e quindi ci porta a fare visita ad una famiglia di contadini che lui conosce e che vendono anche del caffè balinese. Entriamo nel compound, la nonna era a torso nudo, con costole evidenti e lunghi seni flosci. Ci diceva una francese con cui avevamo chiacchierato, che quando venne la prima volta a Bali circa trent'anni fa ancora nelle campagne e nei villaggi le contadine stavano a seno scoperto come si vede nei quadri dei pittori, o nelle vecchie foto d'epoca (d'altronde anche noi nel nord dell'India nel 1978 vedemmo alcune contadine così nell'Uttar Pradesh).

Comunque ci fa una certa impressione, la sorpresa è stata evidentemente reciproca, perché erano a casa loro, stavano riposando e non si aspettavano visite. Infatti dicono che oramai a quest'ora non possono più vendere i sacchetti di caffè, ma gentilmente aggiungono di dare pure una occhiata attorno.






E' stata per noi una occasione per vedere una vera situazione domestica di gente di campagna. La disposizione degli spazi è come negli altri aggregati famigliari, solo più semplice.

Ecco le confezioni di Kopi Luwak, cioè di quel particolare caffé che è mangime per le manguste locali, chiamato in inglese Peaberry coffee, o civet coffee, sono cioè i chicchi ruminati dallo zibetto delle palme, Asian Palm Civet (Paradoxorus hermaphroditus), e poi tostati, che prendono un particolarissimo sapore.

Ci offriamo comunque di acquistare un paio di confezioni, ma siccome dicono che loro possono tenere aperto lo spaccio solo al mattino, ringraziamo molto, e lasciamo comunque un obolo per il disturbo, e ce ne andiamo.
Riprendiamo a girare i villaggi e le strade di campagna. I ragazzini sono già tornati a casa dalle scuole e giocano per le strade o si ritrovano a chiacchierare.
Girando per stradine non potevamo non incontrare una qualche cerimonia, e in effetti passiamo a lato di una gran riunione famigliare (o di un clan di parentado), tutti vestiti per la festa.



Infine a Lodtunduh visitiamo nel banjar di Kling-kung un cosiddetto agriturismo che è in effetti una piantagione e orto botanico di alberi e piante per raccoglierne le spezie. Si chiama Teba Sari, e tengono anche degli zibetti e manguste, per dare loro i chicchi di Kopi Bali, in modo poi da raccoglierli di nuovo tra i loro escrementi dopo che sono passati attraverso il loro apparato digerente, e vendere il Luwak, o come viene anche soprannominato, poo-poo coffee (ovvero un caffè di merda...).
Madé Chandra e l'ingresso alla piantagione
tostatura dei chicchi

 Poi compriamo del thé, del kopi Bali, degli infusi aromatici, e un balsamo. Annalisa scivola, cade e batte un colpo forte contro lo spigolo del gradone, per cui si fa male all'osso della gamba. Ci fermiamo un po', ci sediamo e ci beviamo una buona tisana.


Riprendiamo la strada e poi ci soffermiamo ad ammirare delle belle risaie.
l'eroe Bima





Torniamo a Ubud e ci mettiamo in veranda a scrivere e leggere. Ancora mi sorprendo ad avere i sassi in bagno... Intanto si sente lontana una musica di gamelan, forse c'è un raduno in un cortile vicino.

Per cena andiamo in un posto carino conforme al cosiddetto Ubud spirit, restando in Hanoman, per non far camminare troppo annalisa. Si tratta del bar ristoranti "Kafe", dove c'è una atmosfera simpatica, una scelta anche di piatti internazionali, tanti sandwich e insalatone, è proprio mirato per un pubblico di giovani occidentali. Buona musica, personale al solito genilissimo e disponibile, io prendo Large indian plate, un piatto con dhal, melanzane, spinaci e panir, Annalisa un roasted butterfish con contorno di lenticchie, Ghi tortilla chips, e tuna sandwich; per finire un apple pie, e una spremuta di arance, e naturalmente tre botttiglie d'acqua. Tot. 8€ a testa. 

Al ritorno è buio, tutto è chiuso, le pensioni o alberghi, o guest houses, in genere non danno sulla strad (dove ci sono più che altro negozi), ma si raggiungono tramite i gang, cioè attraverso violetti stretti stretti come budelli tra i muri dei compounds famigliari.
C'è una falce di luna e una stellina molto molto luminosa. 
C'è uno scarafaggio grosso sotto alla porta del nostro bagno, forse viveva sotto i sassi. Domani annalisa comprerà un bello spray anti-insetti.
Bella giornata intensa, crolliamo addormentati.

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