venerdì 11 novembre 2011

Lê Thàn Khôi e la storia comparata dell'educazione

Per quanto riguarda l'importanza straordinaria che hanno l'educazione informale e l'educazione implicita nel trasmettere i valori e i simboli fondamentali di una cultura, soprattutto nelle società non sviluppate industrialmente, vorrei qui riportare dei brani da un'opera di un grande studioso della educazione comparata, il vietnamita Lê Thàn Khôi, che è stato professore alla Sorbona di Parigi, e un importante consulente dell'Unesco.  Nel suo testo "Èducation et civilisations"( in it. Educazione e Civiltà), del 1995, diceva, scrivendo una sua storia mondiale dell'educazione:


"Dato che tutto comincia con il gesto e con il linguaggio, anche questa storia comincerà con le società orali (...). L'educazione si è realizzata attraverso la parola, ed è stata accompagnata dall'osservazione e dall'imitazione, dall'arte e dal gioco, dalla musica e dalla danza. (...)
(...) La terra non si può ridurre al suo solo ruolo produttivo. Essa rappresenta un legame fra l'uomo e la natura, fra i morti e i vivi, e fra i viventi stessi (...). Altri valori sono comuni a tutte le società (...) perché imposti dalla lotta per la sopravvivenza: il rispetto del lavoro, l'educazione corporea, la conoscenza dell'ambiente e di tecniche di produzione. (...)
Un'altra fonte è la memoria dei vecchi che hanno vissuto una parte della loro vita in un tempo più antico o che ne hanno sentito parlare. Si è spesso ripetuta la frase di Hampate Ba: "In Africa, un vegliardo che muore è una biblioteca che brucia" (...)
Le fonti più autentiche, anche se il loro accesso non è facile, sono quelle dall'interno (di una cultura). Esse sono la lingua, la tradizione orale, i giochi e gli oggetti. 
In generale è forse meglio fidarsi della informazione indiretta apportataci ad es. dalle fiabe, piuttosto che da risposte a certe interviste (...). La ricchezza delle fiabe (...) proviene non solo dall'informazione spontanea di cui esse sono portatrici, ma anche dalle molteplici letture che esse autorizzano: accanto al loro senso manifesto, ve n'è sempre uno o più nascosti, che rinviano a tutti i problemi della società, al suo codice simbolico, alle sue proibizioni, e ai suoi fantasmi. Certo, queste testimonianze sono delle rappresentazioni, esse cioè hanno in sè dell'immaginario, e non si può riconoscere loro un valore assoluto. (...)
Così il riconoscimento di specificità culturali andrà di pari passo con la valorizzazione di certe caratteristiche universali, quali che siano gli ostacoli della traduzione linguistica: "è più facile -dice un proverbio Sarakollé- attaccare due uova assieme, che esprimere il pensiero degli altri". (...)

Dice un proverbio dei Vilì del Congo: "Quando il bambino è nel ventre di sua madre egli le appartiene. Da quando esce, è di tutto il villaggio". Il villaggio è qui preso nel suo senso più esteso, che comprende la rete di parentela e i gruppi di età. (...) (Anche quando in un villaggio) più lignaggi coabitano, l'educazione di un bambino è affare di tutti e di ciascuno. Ciascuno è abilitato a istruirlo, a punirlo, a consigliarlo. (...)
(...)
il secondo volume (non tradotto in italiano)

Qualsiasi educazione riflette una certa concezione del mondo che ne determina le finalità, i contenuti, i metodi. Essa tende dovunque a perpetuare il sistema sociale e culturale (...) Se le credenze generali non sono indipendenti dal modo di produzione e dal sistema sociale, questi tuttavia non le spiegano se non in parte (...). Ecco perché ogni generalizzazione è relativa (...)."


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