domenica 6 novembre 2011

il chi sono io di Veronica

veronica mi ha mandato questo suo elaborato scritto:

Chi è l'altro? l'altro sono io.

Col mondo che non è più quello di allora,
con la televisione che non è più quella di prima
e con me stessa,
che per come mi sono persa e ritrovata,
non sono più quella che ero,
tre cose non sono cambiate in tutti questi anni:
gli amici e il loro affetto, la famiglia, e il bisogno di amore che ho.
Se io fossi…Se io fossi nel paese con la esse davanti, di Gianni Rodari.
L’attaccapanni sarebbe uno staccapanni, il temperino, uno stemperino che rifà crescere la punta alle matite e il cannone, uno scannone, non un’arma per dichiarare guerra ma uno strumento per costruire la pace.
Muterebbe la nostra prospettiva, cambierebbe il nostro modo di guardare alla realtà e di conseguenza il nostro modo di ragionare e di pensare.
Il “se io fossi” serve proprio a questo: a capovolgere la realtà, a ribaltare la realtà per scoprirne altre differenti od omologhe.
Il “se io fossi” non è uno strumento solo per esercitare la fantasia e compiere viaggi nella nostra immaginazione, ma è da sempre l’alleato prezioso della ricerca scientifica, di ogni scienziato, non è altro che il formulare delle ipotesi. E senza ipotesi la ricerca scientifica non avrebbe mai raggiunto i traguardi che oggi ci consentono di vivere in un’epoca scientificamente e tecnologicamente avanzata.
Ma “se io fossi” non è facile da formulare perché a volte può comportare il dovere levare le ancore, abbandonare le proprie certezze, e questo spesso non fa piacere, è difficile da accettare, e allora si preferisce ricorrere al fai da te, costruirsi dei “se io fossi” comodi, rassicuranti, a proprio uso e consumo. Capita agli adolescenti in fuga da un’infanzia che non vogliono più, ma che inconsciamente rimpiangono, e in corsa verso un mondo adulto a cui aspirano ma che non vogliono che sia come quello degli adulti che stanno intorno a loro.
Qui “se io fossi” diventa un compagno prezioso e inseparabile di ogni adolescente che non vuole arrendersi alla realtà.
E allora entra in gioco lo sguardo. Che non è il nonguardo, per continuare nel gioco dell’esse davanti di Gianni Rodari, ma tutto l’opposto. Sguardare in italiano ha il significato di guardare con intensità e persistenza. Tutti noi vediamo, ma vedere non è detto che sia osservare, guardare, sguardare con attenzione e intensità.
Voglio raccontare una storia indiana che ho appresa da altri.
E’ tratta dal Sakuntala di Kalidasi, uno dei drammi più famosi della letteratura sanscrita.
Narra di un grande elefante che se ne sta davanti ad un saggio immerso in meditazione. Il saggio guarda e dice: ‐ Questo non è un elefante ‐. Dopo un po’ l’elefante si volta ed incomincia ad allontanarsi lentamente. A questo punto il saggio si chiede se per caso non possa esserci in giro un elefante. Alla fine l’elefante se ne va. Quando è ormai sparito, il saggio vede le orme che l’animale ha lasciato e dichiara con sicurezza: ‐ Qui c’è stato un elefante ‐.
L’elefante invisibile del racconto è un’efficace immagine della grandezza della cultura e della realtà in cui siamo immersi e in cui viviamo, una realtà di cui non ci rendiamo conto per la pochezza dei nostri strumenti conoscitivi. L’elefante, come la dimensione della realtà, è realmente invisibile, se non si sa cosa guardare, mentre diventa incombente come una montagna che riempie l’orizzonte se solo abbiamo idea di ciò che dobbiamo e vogliamo guardare.

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